Posts Tagged ‘gewurztraminer’

Il vino secondo la Signora Carmela, il Gewurztraminer

28 marzo 2019

© L’Arcante – riproduzione riservata

Villeneuve, l’Arline di Giorgio Anselmet

10 Maggio 2014

Arline Anselmet - foto A. Di Costanzo

L’Arline è solo una delle chicche di questa piccola cantina Valdostana, bianco dolce – o da meditazione come si usa dire più in generale – da Pinot Gris al 50%, Muscat di Chambave e Gewurztraminer, per qualche tempo affinato in rovere.

Colpisce la freschezza che ritorna sul finale di bocca, dal carattere quasi salino, da passito mediterraneo, con quei sentori un po’ agrumati un po’ melliflui che riportano alla mente Pantelleria e Samos. Siamo però in alta montagna, intorno ai mille metri, a un passo dal cielo.

© L’Arcante – riproduzione riservata

Termeno, Gewürztraminer Kastelaz ’11 E. Walch

13 Maggio 2012

Non so quanto possa essere durevole il piacere di tutto un pasto accompagnato con un vino di questa struttura e complessità aromatica, tant’è che a parlar di Gewürztraminer sono davvero pochissimi quei vini che sanno esprimere con una tale profondità e vigoria tutta la tipicità del varietale.

Il Kastelaz 2011 di Elena Walch¤ è senza dubbio alcuno un bianco superlativo, c’è ben poco da girarci intorno, assolutamente cristallino nel colore, esagerato quasi nell’intensità aromatica ed estremamente voluttuoso al palato. Veste un giallo paglierino piacevolmente dorato, il naso è praticamente infinito, inarrestabile, indomabile: sa di frutta tropicale, fiori gialli, erbe di montagna e piante officinali, agrumi, spezie e chi più ne ha, più ne metta. Il ventaglio olfattivo è tra i più complessi e variopinti mai proponibili: si colgono nitidi sentori di ananas e litchi, rosa canina e gelsomino, camomilla, mentuccia e finanche dolci note di miele di Millefiori; un continuo divenire di finissima levatura. 

In bocca, al primo sorso, appare anche docile, morbido, sostanzialmente però è carico di materia, quasi grasso, sapido e lungo; e basta giusto un altro sorso per coglierne appieno tutta l’anima più nobile del Gewürztraminer. E’ un bianco di particolare struttura, pervaso però da una giusta tensione acida ma anche caratterizzato da un notevole spessore alcolico (siamo sui 15 gradi!). Non è, per dirla tutta, un bianco per tutti e, aggiungo, nemmeno da spendere su qualsiasi piatto, però se amate il pesce crudo, o una o più variazioni sul tema, avrei anche pensato all’abbinamento giusto da proporvi… (leggi qui¤).

Termeno, Lagrein 2011 Cantina di Termeno

15 aprile 2012

Alcuni scritti ampelografici riportano che è quasi certo che “lagrein” derivi da Lagara, colonia della Magna Grecia famosa per un vino, il Lagaritanos. Del lagrein sono generalmente riconosciuti due biotipi abbastanza difformi nella dimensione del grappolo: quello a grappolo corto ed uno a grappolo lungo, tra l’altro con caratteristiche organolettiche abbastanza diverse. Nelle zone cosiddette più tipiche, si ottengono sostanzialmente due tipologie, il rosato (Lagrein Kretzer) e quello scuro (Lagrein Dunkel). In entrambi i casi il risultato è quasi sempre al di sopra delle aspettative.

Tramin o Cantina di Termeno è senz’altro tra le cantine sociali altoatesine di più antica tradizione viticola; sono 270 i soci, sparsi qua e là tra Termeno, Ora, Egna e Montagna, territori tra i più vocati dell’Alto Adige su una superficie totale di circa 230 ettari. Molti ricorderanno magari il loro meraviglioso Terminum, un vino dolce tra i migliori in Italia o forse il Nussbaumer, altro piccolo gioiello di gewürztraminer vera e propria bandiera di queste terre.

Ogni qualvolta mi trovo dinanzi a un vino di queste zone mi ritorna in mente una frase, lapalissiana, di Giovanni Puiatti; si parlava di vini bianchi, della frenata subita negli ultimi anni dai bianchi friulani a favore dei vini altoatesini: “Il Friuli ha cominciato a fare i conti con le proprie convinzioni, i propri limiti commerciali, non appena in Alto Adige hanno deciso di sbarcare sul mercato italiano”. “E’ stato subito un bagno di sangue”. Non ha certamente torto, anzi. La qualità anzitutto, indiscutibile, ma soprattutto il rapporto prezzo-qualità, talvolta decisamente inarrivabile.

Probabilmente, ma molto in generale, i vini dell’Alto Adige mancano ancora di quella profondità, longevità ampiamente riconosciuta a mani basse ai classici friulani, ai bianchi soprattutto, ma in quanto ad altro (pulizia espressiva, franchezza varietale, bontà gustativa) siamo veramente su livelli di assoluta eccellenza.

E parlando di rossi magari questo Lagrein Dunkel 2011 è giusto quel rosso domenicale da spendere a tavola senza pensarci su più di tanto: dal colore purpureo, con un naso vinoso, floreale di viola e fruttato di mora, solo appena speziato; il sorso è asciutto e ben inquadrato, disinvolto, senza particolari briglie, insistenze tanniche o sferzate acide. Mettiamola così, ma non facciamolo sapere a quel geniaccio di Willi Sturz, non sarebbe affatto d’accordo: un rosso di facile approccio, di estrema pulizia olfattiva, franchezza varietale e bontà gustativa, appunto. Però non abbiate timore di beccare una bottiglia di due o più anni. Vi racconto del duemilaundici appena in cantina, ma non ho resistito a confrontarlo subito col 2010; poi, con altre intenzioni però, con un Riserva Urban 2006. Davvero sorprendente il lagrein di Tramin, e i primi due mai sopra i 10 euro in enoteca!

Termeno, Gewurztraminer Terminum 2001: di un dolcissimo nettare e di un’amara riflessione…

2 ottobre 2010

Non è mai semplice raccontare un vino dolce, il pericolo è che si rischia quasi sempre di finire su considerazioni stucchevoli e ripetitive del tipo “giallo oro, naso mielato e palato dolce e piacevole”.

Negli ultimi 20 anni in Italia ci hanno volutamente propinato tante di quelle ciofeche edulcorate come se ogni uva e vigna sparsa per il paese fossero adatte a produrre vendemmie tardive, passiti o peggio ancora muffati. La regola del listino ampio e per tutti i palati, diciamolo dichiaratamente, ha trovato nel tempo tanti cari estimatori ipocriti facendo sì proseliti ma nutrendo gli appassionati nel modo peggiore, lasciandoli nella convinzione che fin dove crescevano, oltre alle vigne, alberi della cuccagna e paperi e papaveri poteva essere prodotto di tutto, dallo spumantino economico per l’aperitivo al grande rosso da invecchiamento finanche al prelibatissimo vino da meditazione. Così il fenomeno “tutti figli di un Sauternes minore” dopo aver vissuto una partenza lanciatissima protrattasi sino a fine anni novanta, si è visto di molto ridotte le ambizioni scemando sino a ridursi nuovamente in prodotto di nicchia.

Oggi, nel sempre stracolmo pentolone tricolore di Bacco, di uva dolce ne bolle sempre di meno, un po perché fare vini del genere come dio comanda costa un botto e soprattutto perché l’euro pesante ha reso un tantino più complicato anche le belle e ricercate chiusure in “meditazione” delle cenette tra amici; La vita, confesso, è diventata complicata anche per noi sommeliers, poichè oltre alla difficoltà di volgere continuamente lo sguardo al di là dei soliti noti, evitando “pacchi e paccotti” in agguato, ci si è messa anche la creatività, talvolta sopra le righe, di certi chef patissiere, continuamente alla ricerca di una destrutturazione antropica della materia e con essa la folle esaltazione di mille e più ingredienti, il che di certo non ci facilita l’abbinamento: certi dessert appaiono sempre più belli da vedere, buonissimi da mangiare (ci mancherebbe!) ma sempre meno suscettibili ad accostamenti azzeccati o quantomeno lineari.

Detto questo, rimangono sicuri alcuni punti di riferimento assoluto per la tipologia, alcuni vini che rappresentano ognuno un grande valore aggiunto per l’areale di produzione, per l’aziende che li produce o per la valorizzazione di un vitigno o tecnica di produzione: parliamo per esempio di vini straconosciuti come il Ben Ryè di Donnafugata, il Muffato di Castello della Sala, il Ramandolo di Dario Coos giusto per citarne alcuni o piccole perle dell’italica enologia, talvolta misconosciute come il Moscato di Saracena di Viola o il Maximo di Umani Ronchi. Ci sono poi vini come il Terminum che hanno la capacità di essere al tempo stesso iconografia del bere dolce (strapremiato, straraccontato) eppure sempre poco “visto” sulle carte dei vini, defilato come pochi altri pare passare quasi inosservato, perchè?

La cantina di Termeno/Tramin nasce nel 1898 grazie a Christian Schrott, il locale parroco che aveva tra le varie vocazioni quello di essere deputato al parlamento austriaco, fu lui a volere fortemente che i piccoli viticoltori dell’areale sud tirolese convenissero a strutturarsi in cooperative, salvaguardando così il patrimonio vitivinicolo e l’economia di tutti, non solo il proprio. Oggi l’azienda nel suo insieme annovera circa 280 conferitori che ricoprono una superficie di più di 230 ettari vitati. Il Gewürztraminer è un vitigno marcatamente aromatico, i vini che ne nascono, quelli tradizionali sono piuttosto asciutti ed offrono generalmente spiccati sentori di rose e chiodi di garofano e, a seconda della località di origine, una più o meno marcata variabile minerale.

Il Teminum è invece una vendemmia tardiva, cioè le uve vengono raccolte dalla pianta in piena surmaturazione, quando gli acini colmi di zuccheri residui offrono mosti ancor più ricchi e concentrati di aromi e caratteri varietali esaltati poi da una fermentazione controllata e da una maturazione in legno di rovere. Il 2001 è di un bellissimo colore oro, ha saputo preservare tutta la sua vivacità, al naso si offre con una complessità impressionante, la frutta candita lascia subito campo toni mielati e a spezie finissime, alla cannella, a note balsamiche ed eteree, particolarmente fini e persistenti. In bocca è dolce, la sensazione è che gli zuccheri residui abbiano ampiamente preso il sopravvento forgiandone la spina dorsale ma ciononostante, dopo quasi un decennio non risulta per niente stucchevole, tutt’altro, estremamente piacevole. “Oddio! Giallo oro, naso mielato e palato dolce e piacevole”: lo sapevo che andava a finire così!! 

Consigli per gli acquisti? Solo buoni suggerimenti!

17 dicembre 2009

Una piacevole conversazione con l’ostetrica, stamattina, mi ha lasciato riflettere su alcune questioni che spero di avere tempo di tracciare su questo blog.Nel frattempo però, così come ho fatto con lei, vorrei regalare alcuni consigli utili per scegliere bene il regalo da fare all’enoappassionato di turno. Spendere bene i pochi denari che si è deciso di investire per un regalo, soprattutto se materialmente “effimero” come una bevuta, non è mai male.

In tempo di Natale vanno a ruba i “marchi storici”, tanto velocemente quanto il loro riciclaggio; pertanto, se la persona a cui dovete fare un regalo non ha, secondo le vostre conoscenze, una particolare educazione a bere vini ricercati, avete scelto il giusto. Il “marchio storico” ha sempre il suo fascino, è immediatamente apprezzato, gradito e garantisce spesso anche una qualità media dei suoi vini abbastanza alta; pensate poi al fatto, da non trascurare mai, che per l’occasione, qualora risulti un regalo, per così dire, in eccesso, potrà essere anche facilmente riciclato; non avreste, quindi, potuto scegliere di meglio.

L’azienda famosa, quella presente in tutti i buchi e pertugi della distribuzione ha sempre gran mercato, ma anche il nome del vino: Barolo, Brunello, un po’ meno ma in grande recupero l’Amarone, il Taurasi sono vini da non mancare di prendere in considerazione se siete a secco di idee. E di questi, potete starne certi, in questi giorni troverete anche succulente offerte commerciali: fate attenzione però a che non siano svendite, perchè va bene che le aziende hanno bisogno di svuotare le cantine, ma anche i commercianti non scherzano, per l’occasione, nel rifilare il peggio delle denominazioni su citate.

Altra questione è quella legata al dove comprare i regali. E’ importante scegliere bene dove cercare le vostre preziose bottiglie che non necessariamente, sia ben inteso, deve avvenire esclusivamente nelle enoteche. Negli ultimi anni è cresciuta molto la sensibilità della grande distribuzione verso i vini di qualità, fattostà che si possono trovare tante diverse etichette disponibili anche nei più piccoli dei supermercati; state però attenti a che le bottiglie vengano conservate bene, spesso le luci forti utilizzate per illuminare i reparti possono causare in qualche modo surriscaldamento delle bottiglie (soprattutto quelle poste più in alto), ma questo è forse il male minore. Peggio avviene per quelle stoccate in depositi non giustamente condizionati, muffe e sbalzi di temperatura non fanno certo bene alla sanità di un vino. Attenti a quelle che vengono spesso utilizzate per fare esposizioni nei banchi salumeria (etichette opache, a volte ingiallite) e a quelle bottiglie, da bandire assolutamente, messe in bella mostra in vetrina. Quando comprate qui, sarebbe anche opportuno informarvi se in caso di difetti evidenti del vino o “sentore di tappo” vi sarà data l’opportunità di avere una nuova bottiglia o rimborsato l’importo pagato, questa è anche una delle ragioni che vi deve indirizzare a quei luoghi che sapete tra i vostri abituali.

Nelle enoteche, è prassi, ma non tutti la applicano, “cambiare” le bottiglie: che è cosa buona e giusta. Qui è importante precisare che oltre alle banali osservanze di cui sopra, ci si deve aspettare altri accorgimenti e servizi assolutamente indispensabili. Chi gestisce l’enoteca deve avere forte propensione alla professionalità, meglio se certificata (ma non è certo indispensabile) e deve essere  una persona con la quale ci si può confrontare apertamente sul vino, sul suo mondo, sul proprio gusto senza per questo essere tediati da termini tecnici o poetiche evasioni.

Disponibilità, affabilità vi potranno aiutare a scegliere meglio il vostro regalo ideale, la sua professionalità sarà quel valore aggiunto spesso disatteso in altri luoghi che vi potrà indirizzare oltre che a scegliere il giusto vino magari anche a capirci qualcosa in più: l’enoteca non è un luogo dove entrare avendo fretta di uscire, è anzi il posto giusto dove lasciare scorrere via le lancette dell’orologio seguendo, affascinati, il percorso fantastico tracciato dalle etichette e dai suoi protagonisti. Chi saprà accompagnarvi con racconti e storie di vini e persone incontrate vi avrà offerto un servizio impagabile. Oltre ai “marchi storici” è proprio qui che si possono scoprire realtà nuove e piccoli gioielli, piccole rappresentazioni liquide di una ruralità fondamentale, con poca “faccia” e tanta sostanza non senza piacevoli sorprese. Diffidate però dagli anarchici, quelli che spendono il piccolo per il bello ed il solo buono, questi, credetemi, non sono buoni nemmeno per il brodo della minestra maritata! 

In sintesi, regalate vino per il prossimo Natale, compratelo pure dove vi pare, ma che abbia una storia da raccontare, un’ideale a cui dare voce, e che soprattutto vi sia consegnato nelle mani da chi il vino lo vive con amore e professionalità e non solo come una qualunque altra battuta di cassa!