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Pian dell’Orino, il grande Brunello a Montalcino

15 febbraio 2016

Il colore di questo sangiovese riappacifica con la tipologia, è bello, vivo, profondo. Un invito a rivedere molte posizioni degli ultimi anni, il Brunello di Caroline Pobitzer e Jan Hendrik Erbach racconta di un territorio unico ed imperdibile!

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Abbiamo a lungo raccontato la loro storia¤, Caroline e Jan Endrik ne hanno passate tante per strappare qui in Toscana quel minimo sindacale di credibilità che si deve a chi ha stravolto la propria vita pur di inseguire un sogno; forse anche per questo i loro vini¤, il loro Brunello anzitutto, sono divenuti in pochi anni un riferimento assoluto di questo pezzo di storia del vino italiano, vieppiú per chi va alla ricerca di piccole grandi storie dentro una bottiglia.

Anche per questo vale la pena tornare a scriverci su, un grande esercizio per chi ama ritornare su sentieri forse poco battuti ma che conducono ad esperienze di grande valore emozionale. Questo 2006 lascia un solco incredibile tra i pregiudizi sul biodinamico e la perfezione stilistica dipinta da molti come irraggiungibile per i vini cosiddetti naturali.

Il primo naso, a quasi dieci anni di distanza rimane profondamente varietale con note tostate appena accennate e terziari che vengono fuori solo alla distanza, senza infierire, disegnando un quadro olfattivo chiaro e didascalico che gli rende notevole complessità. Il frutto ha conservato polposità, il sorso impressiona per equilibrio e spiccata sapidità, lunghezza ed ampiezza, di rara autenticità. Il Brunello 2006 di Pian dell’Orino è un piccolo capolavoro in perfetto stile naturale¤.

© L’Arcante – riproduzione riservata

Montalcino, Il Brunello 2002 di Pian dell’Orino

20 novembre 2012

Duemiladue, annus horribilis per il vino? Chissà, si, boh, però; fu sicuramente un anno con un andamento climatico estivo davvero pessimo, e che certamente ne io ne Lilly dimenticheremo mai, tanta era l’acqua che prendevamo ogni sera dopo il lavoro costretti a bordo della nostra Nuova Vespa Centoventicinque.

E a guardare i numeri c’è ben poco da dire; pensate che a Montalcino, con la ‘92, la 2002 è la peggiore annata degli ultimi vent’anni: solo Due Stelle, pollice verso! Eppure, nonostante in molti si dissero talmente poco disposti nel dargli credito tanto da decidere non solo di non produrre i loro cru ma addirittura non produrne affatto, qualcuno, vuoi per necessità vuoi per avventatezza volle comunque mettersi in gioco, provarci. 

A tal proposito mi ritornano in mente le parole di Franco Biondi Santi quando gli chiesi di quell’etichetta speciale di Rosso prodotto appunto nel 2002. “Beh, Potevamo vendemmiare in Agosto quell’anno, tanto era già maturo il sangiovese grosso, ma ebbe a piovere, e per tutto il mese: più o meno 100 millimetri di pioggia la settimana, sino a metà settembre, quando decisi di far cominciare a tirar via il salvabile.  Portammo in cantina quel poco di buono che potemmo, da cui ricavammo, appunto, pochissimo vino, atto a divenire poi proprio quel Rosso di Montalcino lì!”.

Ma proprio lì, a due passi dalla Tenuta Greppo c’è anche Pian dell’Orino, la splendida azienda di Caroline Pobitzer e Jan Erbach, che decisero invece di mettersi in gioco; magari per necessità visto che muovevano proprio in quegli anni i loro primi passi a Montalcino. Dei temerari quindi o forse, chissà, semplicemente degli avventati. Detto ciò, e tutto il male possibile dell’annata e delle possibili vie di fuga da quel millesimo così nero per il Brunello, ti capita poi un vino come questo nel bicchiere e pensi a quanto invece possano essere riviste verso l’alto certe classificazioni. Non di molto magari, perché diciamolo subito che l’impressione che si ha di questo vino, già al secondo sorso, è che non avrà certamente lunga vita – manca chiaramente di profondità, di spina dorsale -, ma ad oggi, dopo dieci anni, mostra al naso come in bocca tante belle sfumature forse impossibili da cogliere allora e quindi altrettanto difficili da immaginare in prospettiva. 

Il colore è luminoso, ha sicuramente retto bene gli anni, sono infatti solo accennate le sfumature aranciate, giusto un’ombra sull’unghia del vino nel bicchiere. Il naso è ben calibrato, pulito, si avvicendano, a chiare note terragne, di sottobosco e di frutta secca i più classici sentori di confettura di amarena e prugna, grafite, e ancora note di briciole di cacao, cuoio e tabacco bagnato. Un quadro olfattivo sufficientemente apprezzabile se si pensa anche alla discreta freschezza che si coglie poi al palato: il sorso è maturo ma ben teso, con un tannino risoluto ma ancora sollecitato da buona acidità. Potremmo dire di un Brunello di ottima beva e di alto gradimento, un fiore tra le macerie di un’annata dannata, forse anche troppo. O troppo in fretta.

Rosso di Montalcino 2008 Pian dell’Orino

18 marzo 2011

Poi giuro che per un po’ non ne parlo più, ma non posso non raccontarvi di quest’altro bel vino prodotto da Caroline Pobitzer e Jan Erbach in quel di Montalcino, a Pian dell’Orino.

Cosa dirvi di questo vino? Magari si potrebbe partire dal fatto che è semplicemente buonissimo; Poi però bisogna spiegarlo, raccontarlo avendone coscienza e naturalmente quel pizzico di autorevolezza tale da potervi permettere di comprendere, far passare per certezza una impressione tutta tua, come quando un amico ti offre un consiglio che imparerai poi ad apprezzare; e allora veniamo ai fatti, quelli concreti, poi le mie sensazioni.

L’azienda è collocata in uno dei posti più suggestivi di Montalcino, praticamente con vista sulla Tenuta Greppo dei Biondi Santi (n’est pas?) ma ciò che rende unica questa etichetta è quell’imprinting che Caroline e Jan han deciso di dare ai loro vini, definitivamente puri, vivi, inconfondibili. L’ideale li tiene strettamente confinati ai rigidi protocolli naturali, laddove in vigna la cura biologica della piantagione diviene maniacale, assumendo un ruolo centrale, mentre in cantina, con manualità essenziale e moderna al tempo stesso, riesce a garantire vini che oltre ad una spiccata autenticità riescono, tanto il Brunello quanto questo Rosso di Montalcino, ad esprimere una integrità di quelle che rimangono ben fisse nell’immaginario tanto da assurgere a riferimento: insomma, un sangiovese che più espressivo non si può, o giù di lì. Questi i fatti.

La franchezza con la quale si propone questo Rosso 2008 è la stessa con la quale Jan passa dai numeri matematici delle formule scientifiche a gesti di inusuale semplicità per spiegare in soldoni cosa significa fare agricoltura biologica, vini naturali, e non dover raccontare ogni volta la stessa solfa filosofica per farsi comprendere, per far arrivare il messaggio che un vino è sano quando si lavora la vigna con giudizio, coscienza e pragmatismo e non con architetture astrali fini a se stesse o al massimo funzionali al marchio del quale sono al servizio.

Veste un colore rubino netto, di leggiadra trasparenza, ma non troppa; il primo naso è uno sbuffo di terra asciutta, ma appena l’ossigeno s’impossessa dello spazio libero tra le sue maglie è un continuo susseguirsi di note di piccoli frutti neri che si lasciano lentamente suffragare da lievi insistenze speziate, di china e rabarbaro, e spiccata mineralità. Un Rosso che brunelleggia mi verrebbe da dire, anche se ad un naso così importante non segue un palato altrettanto desto, ma in fin dei conti non è la sua vocazione quella di conquistare per spessore gustativo: è asciutto, di nerbo, di buona beva e sfugge via solo nel finale di bocca, lievemente amaro. In fin dei conti, un vino che offre tante qualità che fanno di una bevuta una piacevole esperienza. Altro bel colpo Weinstein!

Giro di vite a Montalcino, di Pian dell’Orino e dell’uomo che sussurrava alle piante…

15 febbraio 2011

Quando Caroline Pobitzer è giunta a Montalcino dall’Alto Adige, dove è nata e dove prima di allora si occupava della proprietà della sua famiglia, un grande castello rinascimentale – Castel Katzenzungen– ai cui piedi vive un’immensa vite di oltre seicento anni d’età, aveva certamente le idee già ben chiare su quale fosse la filosofia da seguire nella nuova splendida proprietà a Pian dell’Orino; poco più di tre ettari giardino sistemanti ad un tiro di schioppo da quel Greppo dei Biondi Santi tanto famoso nel mondo quanto, per molti, icona inarrivabile.

L’incontro con Jan non ha solo consolidato un progetto aziendale se vogliamo già forte, rendendolo oltretutto univoco dopo il loro matrimonio, ma lo ha reso sensibilmente proiettato nel futuro di una terra fortemente contesa che solo nelle radici più forti sta lentamente ritrovando, dopo brunellopoli, la sua vera essenza, quell’autenticità da tutti sospirata ma da pochi palesata in maniera così pregnante come qui a Pian dell’Orino.

Jan Hendrik Erbach è invece nato e cresciuto a Karlsruhe, in Germania, ha studiato a lungo viticoltura prima di arrivare alla prestigiosa Accademia di Geisenheim dove ha completato la sua formazione professionale; da qui, dopo gli studi, ha vissuto e lavorato per alcuni anni in Francia, maturando una lunga esperienza soprattutto in merito alla viticoltura cosiddetta naturale, una vocazione questa che lui stesso difende strenuamente dalla volontà di molti che tendono stupidamente alla sua banalizzazione – i suoi rimedi e le pratiche antiche e consolidate nel tempo, per esempio – nel solo intento di etichettarla per meri fini commerciali. E’ per questo che ci tiene a sottolineare quanto “in una viticoltura sana ed equilibrata non si deve aver necessità di sposare questa o quella teoria, fare sfoggio di questa o quella filosofia”, “la terra ci parla, ci chiede e ci racconta, basta saperla ascoltare o meglio, leggere”; ecco perché alla fatidica domanda “ma siete biodinamici?” non si scompone: “Non abbiamo necessità di sfoderare una filosofia produttiva, la nostra bibbia è la nostra esperienza, il vino si fa a questo modo, devi conoscere il tuo terreno, le tue vigne, l’ambiente in cui crescono e qui devi sapere dove e come poter e non poter mettere le mani; il resto, la cantina, c’entra tanto o poco a seconda di che uva ci porti dentro, il tempo poi ti dirà dove puoi arrivare con i tuoi vini, a te basta saggiarli e decidere”.

Prima di partire per questo viaggio era doveroso cercare di carpire quante più informazioni possibili sulle aziende e sui vini che saremmo poi andati a scovare, riducendo così al minimo, dove possibile resettandole, le antiche e conservatici memorie in materia. “Il Brunello di Montalcino di queste terre, di questa in particolare – ci dice in sintesi Jan – altro non è che lo specchio del sangiovese cresciuto sui terreni sassoso-galestrosi di questa regione a nord del Monte Amiata”, esprime quindi, “proprio tutte quelle asperità, quelle complessità di un ambiente inoltre fortemente condizionato dalla particolare situazione pedoclimatica, difficile, ma forse proprio per questo, unica al mondo”. A Pian dell’Orino si seguono poche regole e fermamente radicate in quella che per ragioni di sintesi chiamerò biologica (o se preferite un estremismo tanto amato, ancor più conservatore, biodinamica) ma che in effetti rincorrono ed esigono un risultato finale di tal finezza ed eleganza – pienamente colti in tutti gli assaggi effettuati, dalle botti come nelle bottiglie – che mi verrebbe da dire, a certi soloni del biopensiero in particolare, che prima di sparare cazzate su certe “caratteristiche e tipiche puzzette” vengano un paio di mesi a lezione da Jan e Caroline!

Complessivamente il vigneto aziendale conta circa 6 ettari di cui almeno tre proprio qui intorno alla casa-cantina, piantati con una densità di impianto di 4.500 piante/ha dalle quali si ottiene mediamente una resa massima che a seconda dell’annata si aggira fra i 30 e i 60 qli. La biodiversità qui è un valore assunto ineludibile, come detto, pertanto per incrementarla nelle vigne, viene praticato costantemente un sostanzioso inerbimento con semi di leguminose, graminacee, cereali ed erbe officinali – queste ultime tra l’altro utilizzate per le tisane somministrate per rafforzare il loro sistema immunitario – cercando di creare così un ambiente favorevole allo sviluppo di popolazioni variegate di insetti, rettili, volatili e piccoli animali utili all’incremento della vitalità del terreno ed alla competizione biologica verso parassiti nocivi. Poco, ma indispensabile l’utilizzo del solfato di rame per alcuni trattamenti che comunque non prescindono da principi ancor più rigidi dei vari “protocolli” sviluppatisi intorno alla biodinamica e fortemente caratterizzanti la conduzione del vigneto da parte di Jan e dei suoi collaboratori.

In cantina non vengono perseguite tecniche invasive durante la fermentazione (tipo rotatori, pale ecc…) che avviene lentamente ed in maniera spontanea, con fermenti indigeni e quindi non di colture batteriche commerciali; le varie pratiche di decantazione avvengono per caduta naturale seguendo i diversi livelli su cui è costruita la cantina – essenziale, senza cioè nessun viaggio introspettivo architettonico, e tra l’altro perfettamente integrata nel paesaggio, ndr – mentre per i vini non v’è chiarifica se non la naturale precipitazione dei depositi; è bassissimo l’uso della solforosa, “affinché si riesca a garantire al vino piena salubrità ma anche che rimanga perfettamente digeribile”.

La produzione prevede essenzialmente tre vini, il Piandorino, un rosso giovane, da consumare velocemente e che esce come igt, un Rosso di Montalcino, dove è già espressamente tangibile lo straordinario lavoro in vigna – il 2008 mi è parso tra i più buoni mai bevuti prima – ed il Brunello Pian dell’Orino propriamente detto, che nelle migliori annate, come il 2006 bevuto praticamente in anteprima, rappresenta secondo me, un vero e proprio piccolo gioiello di vino-frutto e ficcante mineralità; fattostà che proprio con il 2006, il prossimo anno uscirà anche, per la prima volta, una Riserva, con le uve raccolte perlopiù a pian Bossolino e Cancello Rosso in località Castelnuovo dell’Abate, tra i più vocati del territorio e dove tra l’altro ricadono le vigne di un altra azienda fuoriclasse, Stella di Campalto, che non riusciremo a visitare in questi giorni solo per mancanza di tempo ma di cui possiamo solo pensarne bene tanta è la considerazione che gli stessi Caroline e Jan, di cui ormai ci fidiamo ciecamente, manifestano apertamente.

Qui il passaggio a Podere Sanlorenzo di Luciano Ciolfi;

Qui la passeggiata tra le vigne de Il Paradiso di Manfredi;

Qui la spassosa ed indimenticabile visita a Diego e Nora Molinari a Cerbaiona;

Qui la visita del pomeriggio da Gianfranco Soldera a Case Basse;

Qui la deliziosa mattinata in compagnia di Franco Biondi Santi e la visita del pomeriggio a Casanova di Neri;

Brunello di Montalcino 2006 Pian dell’Orino, piccolo capolavoro in perfetto stile naturale!

10 febbraio 2011

Come innamorarsi ancora una volta di un vino o di un’azienda? Ve lo spiego io, avere la fortuna di incontrare e lasciarsi prendere letteralmente per mano da persone come Caroline Pobitzer e Jan Hendrik Erbach!

Pian dell’Orino conta circa 6 ettari di cui almeno tre intorno alla casa-cantina, a due passi dalla Tenuta Greppo di Biondi Santi con la quale sono confinanti; sono piantati con una densità di impianto di 4.500 piante/ha dalle quali si ottiene mediamente una resa massima che a seconda dell’annata si aggira fra i 30 e i 60 qli. La biodiversità qui è un valore assunto ineludibile, e per incrementarla nelle vigne, viene praticato costantemente un sostanzioso inerbimento con semi di leguminose, graminacee, cereali ed erbe officinali – queste ultime tra l’altro utilizzate per le tisane somministrate per rafforzare il loro sistema immunitario – cercando di creare così un ambiente favorevole allo sviluppo di popolazioni variegate di insetti, rettili, volatili e piccoli animali utili all’incremento della vitalità del terreno ed alla competizione biologica verso parassiti nocivi.

In cantina, non vengono perseguite tecniche invasive durante la fermentazione che è assolutamente lenta e spontanea, con fermenti indigeni e quindi non inoculati utilizzando colture batteriche commerciali, le varie pratiche di decantazione avvengono per caduta naturale seguendo i diversi livelli su cui è costruita la cantina – essenziale, senza cioè nessun viaggio introspettivo architettonico, e tra l’altro perfettamente integrata nel paesaggio, ndr – mentre per i vini non v’è chiarifica se non la naturale precipitazione dei depositi; è praticamente inconsistente l’uso della solforosa, “affinché si riesca a garantire al vino piena salubrità ma anche che rimanga perfettamente digeribile”, dice Jan.

La produzione prevede essenzialmente tre vini, il Piandorino, un rosso giovane, da consumare velocemente e che esce come igt, un Rosso di Montalcino, di cui però ne parlerò specificatamente in un prossimo post, avendone portato via qualche bottiglia ad uso, per così dire personale, ed un Brunello di Montalcino propriamente detto, che nelle migliori annate, come proprio la 2006, bevuta praticamente in anteprima, rappresenta un vero e proprio piccolo gioiello di vino-frutto e ficcante mineralità; proprio con questo millesimo tra l’altro, il prossimo anno uscirà anche, per la prima volta, una Riserva, con le uve raccolte perlopiù a pian Bussolino e Cancello Rosso in località Castelnuovo dell’Abate, tra i più vocati del territorio. Il colore di questo sangiovese riappacifica con la tipologia, è bello, vivo, profondo. Il primo naso è un effluvio di piacevoli sensazioni varietali che lentamente lasciano la scena a sottili note tostate e terziarie che vengono fuori a rendere complessità ad un timbro olfattivo già di per se intenso e verticale. Il frutto, polposo, croccante è in primo piano anche in bocca, il percorso di invecchiamento, il legno per intenderci, incide poco o nulla sulle primarie sensazioni gustative, è assolutamente ben fuso, tutt’uno si direbbe, con la materia.

Un aspetto che impressiona di questo vino, che lo rende cioè pienamente godibile sin da ora, è la spiccata sapidità che chiude il finale di bocca dopo l’importante impronta acido-tannica che gradevolmente pervade il palato al primo sorso, poi giustamente ammantata da un altrettanto importante apporto glicerico. E l’eleganza, commista alla finezza dei tannini. In definitiva un vino sul quale si possono tranquillamente aprire le scommesse sulla sua durata nel tempo ma del quale, a me personalmente, interessa quanto, e più, riesce a garantirmi oggi, una volta stappata la bottiglia: da quel che ho bevuto, puro, significativo ludico piacere. Che l’annata in questione sia forse la migliore dell’ultimo lustro non v’è dubbio, ne abbiamo avuto oltretutto conferma bevendo altre signore etichette come per esempio il Cerbaiona di Diego Molinari e Il Paradiso di Manfredi; il vino di Jan e Caroline non è assolutamente da meno!  

Montalcino, Brunello 2003 Pian dell’Orino

1 settembre 2010

New YorkMontebello Restaurant, 19 p.m.. La midtown della grande mela conserva sempre un fascino unico, a quest’ora è in uso vestirsi elegante per la lunga notte eppure rimane sempre un luogo da vivere easy, nella maniera più rilassata possibile. Quella porta sotto la cappottina rossa sulla 56esima strada è da anni crocevia di stars e uomini dell’alta finanza newyorkese in cerca dell’italian style in tavola, e anche stasera il piccolo bancone in marmo del bar è già assediato mentre i tavoli, allestiti con sobria eleganza, vanno man mano occupandosi. Luke è intento a spiegare a un cliente la differenza tra il pomodoro San Marzano da quello cinese, Margareth innesta per l’ennesima volta il verme del suo cavatappi nel collo di una bottilgia di Brunello di Montalcino Pian dell’Orino 2003; Non ne sa ancora molto di quel vino, ma il suo wine merchant le ha fatto assaggiare una paio di dita la settimana scorsa e lei se n’è subito innamorata, a tal punto che non perde occasione nel proporlo, con molto successo; “it’s one of the best organic wine ever tested”: il frutto, la sua franchezza, il gusto rotondo eppure ricco di sfumature di carattere, impareggiabile per bevibilità.  

Londra, Apsleys del Lainsborough – St. Regis Hotel. A pochi metri da St. Jame’s park e dal maestoso Buckingham Palace sta per andare in scena l’ennesima rappresentazione culinaria d’autore di Massimiliano Blasone. Nemmeno il sofismo tutto anglosassone ha resistito alla grandeur del mitico Heinz Beck, che attraverso la sua longa manus in terra Elisabettiana è riuscito in un battibaleno a conquistare anche i palati più fini del Regno Unito coniugando all’immortale eleganza dei luoghi la profondità della sua cucina partorita e lungamente testata nel laboratorio tristellato de La Pergola in Roma. Scorre lentamente, scivola docilmente dal decanter in vetro e argento al prezioso calice di cristallo di boemia, il tavolo dei quattro abbottonati buisness men della city è già alla seconda bottiglia, e si è servito appena l’appetizer. Il Brunello di Caroline Pobitzer sembra non avere eguali per piacevolezza, nonostante l’annata 2003 sia stata delle più calde, il colore ha il timbro della tipicità con quel granato smagliante con appena accennate sfumature aranciate ed il gusto una freschezza da manuale. Il sommelier non perde un colpo, arriva appena in tempo sul servizo dell’agnello, ratatouille ed animelle e del filetto di manzo al vino con spinaci e funghi al balsamico…  

Tokyo, quartiere di Marunouchi, da poco passate le 11 e mezza. “Se cerchi un ristorante italiano chic a Tokyo, il Luxor è il posto per te”. Sembra essere questo il leit motiv che ogni guida, cartacea ed on line, dedica allo storico ristorante di Mario Frittoli nel cuore del paese del sol levante. E’ appena iniziato il servizio di colazione ed il ristorante è già brulicante di uomini d’affari, in una delle sale private del locale va in scena una trattativa molto accesa, giocata pare, sul fil di lana. Sono in discussione parecchi soldi ed il menu a dispetto della celerità richiesta dagli ospiti propone un gran misto di gastronomia tipica italiana, alla maniera di casa. Dalle grandi vetrate si scorge in lontananza l’avvicinarsi di un temporale, a tavola invece sembra aver prevalso il buon senso; Sorrisi, pacche sulle spalle ed il nuovo gusto magico di questo bel Brunello di Montalcino hanno sancito l’accordo raggiunto; Tokyo avrà ancora il suo riferimento per il made in Italy, Januchi, il sommelier, una lauta mancia per aver saputo scegliere il vino più giusto: “la Toscana è una terra magnifica, capace di conquistare chiunque; Pensate, questo vino nasce da persone arrivate da molto lontano Montalcino, eppure ne rappresenta appieno l’anima, nobile, colta, naturale ed internazionale!

Nota bene: I luoghi ed i personaggi (non tutti) di questo racconto sono reali, vogliano questi ultimi, scusarmi invece per i fatti, che sono di mia pura fantasia; Non la bontà del Brunello di Montalcino Pian dell’Orino 2003 di Caroline Pobitzer e Jan Hendrik Erbach, senza dubbi uno degli assaggi più buoni di questo 2010 dalla Toscana, una sorpresa di gran gusto, e da quello che ho potuto leggere qua e la, con una bella storia di persone e terroir alle spalle tutta da scoprire. Non perdetevelo, vi conquisterà!