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Brunello di Montalcino Bramante ’08 Sanlorenzo

1 marzo 2013

Non c’è da stupirsi se da un’annata non proprio coi fiocchi il Brunello di Sanlorenzo ne viene fuori comunque in grande spolvero. Il lavoro di Luciano¤ in vigna è costante, maniacale a tal punto dal conoscere quasi meglio ognuna delle sue piante che ciò che gli tintinna in tasca.

Brunello di Montalcino Bramante 2008 Sanlorenzo - foto A. Di Costanzo

Duemilaotto a Montalcino a 4 stelle. C’è però un limite a quest’annata, secondo molti. Da quel che ho letto in giro alcuni critici intervenuti a Benvenuto Brunello 2013¤ hanno provato a coglierlo: un limite che qualcuno ha tenuto a sottolineare come una carenza episodica¤, qualche altro come una diversità espressiva¤ poco tipica ma tuttavia accettabile, qualchedun altro ancora invece come la perenne incapacità del sangiovese brunello di mantenere fede alle aspettative, quasi sempre in credito col suo reale valore di mercato. C’è infine chi¤ non le ha mandate affatto a dire sibilando che molto probabilmente il limite grosso dinanzi a certe annate è proprio della critica, soprattutto quella internazionale, ormai talmente appiattita dai vini d’asfalto del nuovo mondo dal non sapere più leggere certi vini italiani.

Non c’ero, quindi non entro nel merito e lungi da me esprimermi su linee di carattere generale. Ho bevuto però i nuovi vini di Luciano Ciolfi, a più riprese, con la calma dei forti e la pazienza di un fan. Il Bramante 2008 farà faville sul mercato. E’ vero, in questo ha ragione da vendere Antonio Galloni¤, rientra certamente tra quei Brunello 2008 di grande slancio degustativo che tanto piacerà ai ristoratori appassionati sempre alle prese con troppe scelte difficili in materia di Brunello di Montalcino. Ma ci dispiacerà?

Ha però un naso di grande integrità ed intensità, che sa di arancia Sanguinella ed erbe officinali, poi man mano di garofano, ciliegia e liquerizia. Il sorso ha spessore, deciso, manca però forse di quella spinta acida a cui ci eravamo abituati nelle precedenti uscite, ma è succoso e tremendamente sapido. Ecco, Il duemilaotto di Sanlorenzo¤, contrariamente al recente passato non gioca stavolta sull’elegante sottrazione, austera e pregnante nel 2004 come nel 2006 ma, per la prima volta, sull’abbondanza di una o due curve in più. Io dico che ce ne faremo una ragione, convintamente.

Montalcino, in ragionevole ritardo

15 settembre 2011

Se n’è parlato tanto nei giorni scorsi, e certamente ha fatto bene all’opinione pubblica, quantomeno utile nel farsi un’idea di ciò che stava accadendo. Ha vinto il buon senso, il Rosso di Montalcino non si tocca! Bene…

Montalcino ha un grande passato, ricco di storia, blasone, successo; e senza dubbio un futuro immensamente luminoso, desto, da scommetterci su senza pensarci nemmeno un attimo. Stiamo parlando di sangiovese.

Sul presente, l’abominevole querelle aperta (ancora una volta) dal Consorzio nel tentativo di cabernetizzare ovvero merlottizzare il Rosso, e l’insistenza, direi alquanto furbesca (e pure un poco ignobile) con la quale si cerca una terza via “commerciale” – gradita certamente ai più ma salvifica per chi se non per pochi? -, anziché rimboccarsi le maniche e – siamo o no in uno dei distretti enologici mondiali di maggiore ricchezza? – pensare a nuove formule promozionali, è meglio stendere, giunti a questo punto, un velo pietoso.

Giro di vite a Montalcino, alla scoperta del mito Brunello da Biondi Santi a Casanova di Neri…

8 febbraio 2011

E’ notte fonda quando arriviamo a Montalcino, sulla strada, sin dalle prime curve che da Chiusi-Chianciano ci hanno condotto qui, la neve, copiosa, riveste i tetti e le mura di cinta delle piccole case in pietra che scorrono ai lati lungo la via. Troviamo riposo nella piccola area di sosta comunale, giusto ad un tiro di schioppo dalla Fortezza; l’aria lì fuori è gelida, il termometro sfiora lo zero, ma il camper è a dir poco confortevole ed il nostro entusiasmo arriva praticamente alle stelle, a guardar fuori, da qui luccicanti e splendenti come non mai.

L’indomani, il giorno uno, ci incamminiamo sulla strada per il Greppo, la storica dimora della famiglia Biondi Santi, 25 ettari di giardino sotto al cielo, a pensarci bene la casa del Brunello, nato tra l’altro proprio qui, tra queste vigne e queste mura verso metà ‘800, per opera di Clemente Santi, nonno di quel Ferruccio – frattanto divenuto già Biondi Santi – che proprio sul finire di quel secolo faceva muovere i primi, importanti passi in giro per il mondo a quel “vino brunello” consacrato poi alle grandi tavole dal figlio Tancredi, e che oggi continua a vivere per mano di suo figlio, Franco, classe 1922 e maniere da galantuomo da vendere: insomma, in definitiva un mito, non più classificabile semplicemente come un vino! Con me pochi amici, uno imperdibile, tal Nando Salemme e poi Dino e Alessandro, con i quali cammineremo nei prossimi giorni le vigne più suggestive di Montalcino alla ricerca di quel Santo Graal tanto prezioso ed ambìto – pur vituperato dall’ignobile scandalo di brunellopoli che è inutile nasconderlo, aleggia ancora nell’aria – quanto praticamente introvabile.

Arriviamo al Greppo a metà mattinata, sono passate da poco le dieci, il lungo viale di cipressi che dalla strada statale conduce alla tenuta pare accompagnarti nella storia, ed in verità lo fa; ai lati, s’intravedono giù per la collina le vigne spoglie, alcune già potate e rilegate, tutte tinte di un bianco candido come se stessimo in paradiso. Bussiamo ad una piccola porticina, ad aprirci lui, Franco Biondi Santi in persona: che emozione! Si può pensare ai successivi dieci/quindici minuti come un tuffo nella più comune delle situazioni del genere, dove l’imbarazzante atmosfera accademica rischia sempre di prendere il sopravvento, un classico dovuto insomma; saranno invece più di due ore di appassionante storia di vita vissuta, cominciate con una piacevolissima chiacchierata intorno al focolare di casa, vis à vis con almeno cento anni di storia sociale e culturale di Montalcino e non solo, e terminate, dopo una accurata e particolareggiata visita in cantina (che suggestiva!) – accompagnati stavolta da una brava e cordiale collaboratrice – con la degustazione di tutti i vini prodotti al Greppo: il Rosato, annata 2007, nato come omaggio all’amata moglie del dottor Franco, stufa – si dice – di veder macchiate di rosso le tovaglie di casa ed oggi vino particolarmente amato dai francesi; il Rosso 2008, austero e risoluto come pochi altri della denominazione, e per finire, il superbo Tenuta Greppo Annata 2006, un Brunello di Montalcino manifesto di un territorio, di questa vigna, e a guardarci in faccia, con molta probabilità la migliore delle porte che potevamo imbroccare per vivere poi con il giusto piglio le esperienze dei giorni a venire; non a caso, è questo, a detta di molti appassionati storici alla tipologia, quell’archetipo del Brunello da molti ricercato e (quasi) impossibile, a quanto pare, da replicare altrove!

Il sole inizia a farsi tiepido, è già primo pomeriggio, lasciamo il Greppo e riprendiamo la strada statale verso Montalcino, ci attende a pochi chilometri, sulla strada per Torrenieri, Giacomo Neri; il suo vino è da molti considerato l’altro Brunello, la sua azienda, Casanova di Neri, indubbiamente capace in poco più di un ventennio di stravolgere letteralmente gli equilibri locali, affermandosi in tutto il mondo come un nuovo riferimento assoluto, certamente di slancio moderno, diciamolo pure, con vini dai tratti caratteriali palesemente internazionali – l’uso della barrique, e qualche legno di poco più grande, qui hanno praticamente sostituito in toto le grandi botti – ma senza alcun dubbio ognuna delle bottiglie che viene fuori da questa cantina non si può certo additare per mancanza di carattere, tutt’altro, magari ci si potrebbe interrogare su quanto risultino marcate dal manico più che dal terroir, ma stilisticamente rimangono ineccepibili e, avendo avuto la fortuna di bere dei suoi Brunello, del Cerretalto in particolare, più di un millesimo, chiaramente riconducibili all’autore.

L’azienda, nata a fine anni settanta, vanta oggi poco più di 36 ettari di vigneto suddivisi in quattro appezzamenti collocati nel circondario ilcinese in posizioni diverse e ben distinte: Le Cetine a Sant’Angelo in Colle, il Cerretalto ed il Fiesole nei pressi dell’omonimo casolare di fronte a Montalcino (sede della cantina) ed il Pietradonice, a Castelnuovo dell’Abate, destinato però alla piantagione delle varietà internazionali lavorate secondo la d.o.c. Sant’Antimo. La cantina è di quelle belle grosse, delle più moderne, l’acciaio, tanto, reso fondamentale nelle fasi di vinificazioni; camminando i locali, distribuiti su più livelli sottoterra, sono certamente differenti le sensazioni provate alla Tenuta Greppo, piccola e suggestiva com’è, ma come si è detto, qui siamo ad un approccio più moderno, figlio senz’altro di quell’espansione sui mercati esteri tanto discussa, e discutibile per certi versi, ma assolutamente indispensabile per dare continuità e vigore ad un territorio, diciamolo pure fuori dai denti, ritrovatosi nel dopoguerra praticamente abbandonato a se stesso ed in poco più di vent’anni, siamo negli anni settanta, pietra miliare ricercata da tutti nel mondo.  E Giacomo Neri di questo ne ha saputo fare tesoro, e di quanto sia stato bravo nel vestire i suoi vini di carattere e personalità te ne accorgi non appena metti il naso nei calici colmi dei suoi vini; dalla coscritta ruvidezza del suo Rosso di Montalcino, all’immediata espressività del suo BrunelloEtichetta Bianca”, rimasto, ci dice, “tal quale a come lo amava papà Giovanni”. I fuoriclasse però rimangono il Cerretalto, prodotto solo nelle annate eccezionali, con quella sua spiccata mineralità e quell’inconfondibile timbro ferroso ed il Tenuta Nuova: di quest’ultimo, il 2006 è a dir poco spettacolare, di una compostezza fuori dal tempo, succoso e potente ma di rara, rarissima eleganza.

Ci concediamo da Giacomo e la splendida cordiale moglie Enrichetta, ci mettiamo alle spalle questa prima giornata a Montalcino; il mito, Franco Biondi Santi, ci ha donato con le sue parole, la sua esperienza, l’essenza di questa terra; Giacomo Neri, come noi figlio del nostro tempo, ci ha mostrato, forse, il futuro. Noi crediamo di aver colto un sacco di cose in più, un mare di sensazioni, palpabili, che ci lasciano pensare che a volerlo solo immaginare quanto sia esaltante un tour per le terre montalcinesi, solo una prima tappa del genere può riuscire ad azzerare tutto quello che credi di aver imparato, che sei convinto di sapere, su questi luoghi, su queste persone, questo vino, per poi capire e comprendere, sino in fondo, tutto quello che verrà nei prossimi giorni.

Qui il passaggio a Podere Sanlorenzo di Luciano Ciolfi;

Qui la passeggiata tra le vigne de Il Paradiso di Manfredi;

Qui la spassosa ed indimenticabile visita a Diego e Nora Molinari a Cerbaiona;

Qui la visita a Case Basse di Gianfranco Soldera;

Qui la piacevole scoperta di Pian dell’Orino di Caroline Pobitzer e Jan Hendrik Erbach;

Dieci cose che ho capito e che mi hanno tolto dalla mente ogni ragionevole dubbio!

10 gennaio 2011

Al supermercato ci vado sempre molto volentieri, amo fare la spesa e quasi sempre l’azzecco in tutto e per tutto, con buona pace della mia signora! Ho imparato addirittura anche a confrontare i prezzi, gli sconti e le offerte, anche se alla fine, diciamocelo, tutto quello che prendi da un prodotto lo perdi – a volte di brutto – su altri due o tre. Ma tantè che ci piace giocare a carte scoperte e non è certo questo il nocciolo della questione, perchè tutto è lì, in bella mostra, sei tu a scegliere, quindi una volta arrivato alla cassa, rimani l’unico responsabile dei tuoi rimorsi. Così è se vi pare, ecco perchè anche su queste pagine, troverete sempre un diario scritto a carte scoperte, che cerca di mettere assieme i tasselli di una passione e di tanto in tanto un qualche tentativo di capire, pure quando questo significa mettersi in gioco. Così, dopo più di anno di posts, persone, sbevazzate e rincorse per vigne e cantine, eccovi alcune cose che ho capito in un anno e più di blog che ritengo opportuno rilanciare per sgombrare la mente da ogni ragionevole dubbio!

1- Iniziamo con una avvertenza: Il sommelier non fa proprio tutto quello che combina Antonio Albanese nella sua divertentissima parodia. A meno che non siate disposti a sborsare una lauta mancia!

2- Le guide ai vini d’Italia, come quelle ai ristoranti servono e come. Una o due al massimo però! La prima per gli enostrippati, se no per tutto novembre di cosa scriviamo? L’altra, magari a “editori uniti” (e degustatori pure, ma quanti sono?) per il largo, larghissimo numero di consumatori, al netto dei committenti!

3- I produttori di vino ne hanno le scatole piene, ma piene per davvero, più della cantina di bottiglie, di una burocrazia che serve (nel vero senso della parola) solo ai burocrati e molto poco a loro e a i consumatori. “Avete idea di quanto costi in termini di tempo e denaro stare appresso a sti coglioni?” (cit. anonima)

4- Il giornalista enogastronomico visita tutte le aziende e/o i ristoranti di cui scrive, anonimamente, pagando i conti regolarmente (dietro ricevuta fiscale rimborsata) e ne riporta recensioni del tutto obiettive. Quindi se ti senti un mago ma non ti filano, non è colpa tua, solo questione di tempo!

5- A tal proposito, scrivere di vino non fa guadagnare, e quando lo fa, solo al farmacista di turno!

6– Inutile ribadirlo, ma per scrivere di vino, di quel vino, devi quantomeno averlo prima assaggiato.

7- Fondamentale: per poter scrivere di vino (e godere di un checchè di credibilità) devi aver letto almeno un paio di volte Mario Soldati ed aver mancato d’un soffio – per un tot così – di conoscere Gino* Veronelli, e possibilmente mettere qua e là nelle tue recensioni uno o due passaggi tanto cari ai maestri. Se no rischi di essere un tuo contemporaneo, sfigato! (*) Chiamarlo Gino – e non Luigi – è segno di gran devozione oltre che di pane quotidiano!

8- Nel Taurasi, come dimostrato per la “faccenda Brunello”, non v’è merlot o cabernet che tenga, basta non fare troppe domande in giro e pretendere pure delle risposte. Per tutto il resto, c’è il piedirosso!

9- Capri è l’isola azzurra, Ischia l’isola verde, l’isola ecologica però non sta nel golfo di Napoli.

10- Infine, questo blog non gode di sponsors, quindi niente benefattori, ma non l’ho mai scritto perchè se qualcuno volesse fare della pubblicità sul nostro blog… non saprei, dovrei vedere, valutare, mi si aprirebbe una questione etica prima che morale: vabbuò può essere che accettiamo! 😉

Benvenuta (generosa) vendemmia 2010, ma…

14 settembre 2010

Benvenuta (generosa) vendemmia 2010! Nelle scorse settimane, in previsione della vendemmia che andava già iniziando in alcune regioni d’Italia, si sono subito levate voci gaudenti di piena soddisfazione in virtù dell’imminente sorpasso, numeri alla mano, nei confronti dei cugini francesi, che avrebbe confermato la produzione vitivinicola italiana come primo riferimento assoluto in Europa, grazie ad una vendemmia abbondante, talmente ricca che porterà nelle cantine italiane (già stracolme, ndr) uve sane ed in quantità più che soddisfacente. Giusto il tempo però di lanciare alcune riflessioni e tutto l’entusiasmo iniziale è andato subito a farsi benedire, lasciando spazio ad accesi dibattiti, speculazioni mediatiche nonchè polemiche sterili e quintalate di buoni auspici per riordinare un sistema che a quanto pare non riesce proprio a vedere ad un palmo dal naso il buco nero che si è aperto all’orizzonte, continuando ad annaspare, ed in maniera pedissequa, a sovrastimare un mercato in continua svalutazione, perchè in Italia di uva e di vino se ne producono fin troppo! 

Così, in attesa del lungo inverno alle porte che ci accompagnerà in in giro per l’Italia e ancora in Francia a scoprire e capire cosa poi è arrivato nelle bottiglie (promettiamo che ne leggerete delle belle!) abbiamo chiesto ad alcuni enologi, stimatissimi amici, di darci delle dritte o più semplicemente illustrarci il loro punto di vista sul campo, in primo luogo in terra campana, certamente primario interesse di questo blog e qua e là in giro per l’Italia. Ecco le prime testimonianze che ci sono arrivate. 

Fortunato Sebastiano, enologo, con Vigna Viva segue diverse aziende sparse nelle cinque province campane; La sua è una testimonianza molto utile che ci da il polso di diverse microaree regionali; Questo il suo racconto: “è importante premettere che tutte le vigne di cui scrivo sono condotte in regime biologico. In provincia di Salerno (Picentini e Cilento) si prefigura una grande annata, con uve Fiano straordinarie, raccolte a fine agosto, di grande equilibrio acidico; L’aglianico promette benissimo, le escursioni termiche e gli abbassamenti di temperatura di fine primavera hanno rallentato le maturazioni ma qui questo non è un problema. In provincia di Benevento, areale di Sant’Agata dei Goti, dove opero, è stata per l’aglianico un’annata difficile, la peronospora è stata particolarmente invadente; La Falanghina invece molto buona, il Greco ed il Piedirosso idem, ci attendiamo vini molto interessanti. Qui alcune zone umide hanno risentito delle temperature medie troppo basse, inchiodandosi e trovando un pò di difficoltà di allegagione, la cosiddetta maturità eterogenea. Ad Avellino, negli areali di Montefusco, Santa Paolina, Castelfranci, Lapio, Montefredane, San Michele di Serino, il Greco è risultato molto equilibrato e dalle acidità perfette che mi fa pensare ad un’annata “tipica e varietale”, peccato per la grandine di fine luglio a Santa Paolina che ha un po ridimensionato le prospettive. L’Aglianico è in grande forma, ci aspettiamo grandi cose anche perchè per le zone più alte si arriverà presumibilmente sino a metà novembre per la raccolta; il Fiano risulta di grande spessore a Lapio, e anche nelle esposizioni più calde si avranno uve di buona spalla acida, a Montefredane si prevede una vendemmia nella media ma proprio qui si è registrata peronospora larvata diffusa, con le problematiche che ne conseguono. Infine a San Michele di Serino non ho dubbi sul fatto che si otterranno uve di grande qualità come base spumante”.

Massimo Di Renzo, enologo in Mastroberardino, senza dubbio tra le aziende di riferimento per tutta la regione; Ecco le indicazioni di Massimo: “Le mie riflessioni sulla vendemmia sono basate soprattutto su dati rilevati e costatazioni nelle province di Avellino e Benevento. L’inverno freddo e piovoso ha ritardato un po’ l’inizio della fase vegetativa, riportandola ai tempi classici delle suddette zone, sfatando gli anticipi a cui si è stati costretti negli anni precedenti. La primavera e l’estate sono state caratterizzate da precipitazioni superiori alle medie stagionali. In linea generale oltretutto non è stata un’estate molto calda e le escursioni termiche sono cominciate già forti nel mese di agosto, e ciò si traduce in un rallentamento nella progressione della maturazione, esaltando ricchezza aromatica e freschezza nelle uve. Siamo in ritardo sull’epoca di raccolta di circa 15 giorni, possiamo dunque confermare quanto accennato in precedenza e cioè che si ha un ritorno alle vendemmie tradizionali di ottobre avanzato e novembre, il che, ove possibile, esalterà fortemente il valore del territorio sulla qualità delle uve che arriveranno in cantina. Più degli altri anni la conduzione del vigneto è stata difficile ma prevedo ottimi risultati per chi ha lavorato bene in vigna, chi ha saputo guardare con lungimiranza ad una materia prima di qualità e non necessariamente di quantità. Detto questo però, con un mese circa ancora avanti, è naturale che saranno decisive le condizioni meteo dei prossimi giorni per definire il profilo definito dell’annata, pertanto incrociamo le dita e buona vendemmia a tutti!”

Grazie mille a Fortunato e Massimo, come sempre precisi e di facile lettura, a breve ci occuperemo anche dell’areale vesuviano (Lacryma Christi, ndr) e dei Campi Flegrei; Continuiamo, imperterriti, a scoprire e capire il vino e le sue origini, e così ci pare più facile, non trovate?

Qui la vendemmia 2010 nei Campi Flegrei illustrata da Gerardo Vernazzaro.

Qui il polso della provincia di Caserta, Gennaro Reale su le Terre del Volturno e Roccamonfina.

Qui le impressioni dei vignerons Antonio Papa e Tony Rossetti che ci presentano il millesimo nella terra dell’Ager Falernus.

Montalcino, Brunello 2003 Pian dell’Orino

1 settembre 2010

New YorkMontebello Restaurant, 19 p.m.. La midtown della grande mela conserva sempre un fascino unico, a quest’ora è in uso vestirsi elegante per la lunga notte eppure rimane sempre un luogo da vivere easy, nella maniera più rilassata possibile. Quella porta sotto la cappottina rossa sulla 56esima strada è da anni crocevia di stars e uomini dell’alta finanza newyorkese in cerca dell’italian style in tavola, e anche stasera il piccolo bancone in marmo del bar è già assediato mentre i tavoli, allestiti con sobria eleganza, vanno man mano occupandosi. Luke è intento a spiegare a un cliente la differenza tra il pomodoro San Marzano da quello cinese, Margareth innesta per l’ennesima volta il verme del suo cavatappi nel collo di una bottilgia di Brunello di Montalcino Pian dell’Orino 2003; Non ne sa ancora molto di quel vino, ma il suo wine merchant le ha fatto assaggiare una paio di dita la settimana scorsa e lei se n’è subito innamorata, a tal punto che non perde occasione nel proporlo, con molto successo; “it’s one of the best organic wine ever tested”: il frutto, la sua franchezza, il gusto rotondo eppure ricco di sfumature di carattere, impareggiabile per bevibilità.  

Londra, Apsleys del Lainsborough – St. Regis Hotel. A pochi metri da St. Jame’s park e dal maestoso Buckingham Palace sta per andare in scena l’ennesima rappresentazione culinaria d’autore di Massimiliano Blasone. Nemmeno il sofismo tutto anglosassone ha resistito alla grandeur del mitico Heinz Beck, che attraverso la sua longa manus in terra Elisabettiana è riuscito in un battibaleno a conquistare anche i palati più fini del Regno Unito coniugando all’immortale eleganza dei luoghi la profondità della sua cucina partorita e lungamente testata nel laboratorio tristellato de La Pergola in Roma. Scorre lentamente, scivola docilmente dal decanter in vetro e argento al prezioso calice di cristallo di boemia, il tavolo dei quattro abbottonati buisness men della city è già alla seconda bottiglia, e si è servito appena l’appetizer. Il Brunello di Caroline Pobitzer sembra non avere eguali per piacevolezza, nonostante l’annata 2003 sia stata delle più calde, il colore ha il timbro della tipicità con quel granato smagliante con appena accennate sfumature aranciate ed il gusto una freschezza da manuale. Il sommelier non perde un colpo, arriva appena in tempo sul servizo dell’agnello, ratatouille ed animelle e del filetto di manzo al vino con spinaci e funghi al balsamico…  

Tokyo, quartiere di Marunouchi, da poco passate le 11 e mezza. “Se cerchi un ristorante italiano chic a Tokyo, il Luxor è il posto per te”. Sembra essere questo il leit motiv che ogni guida, cartacea ed on line, dedica allo storico ristorante di Mario Frittoli nel cuore del paese del sol levante. E’ appena iniziato il servizio di colazione ed il ristorante è già brulicante di uomini d’affari, in una delle sale private del locale va in scena una trattativa molto accesa, giocata pare, sul fil di lana. Sono in discussione parecchi soldi ed il menu a dispetto della celerità richiesta dagli ospiti propone un gran misto di gastronomia tipica italiana, alla maniera di casa. Dalle grandi vetrate si scorge in lontananza l’avvicinarsi di un temporale, a tavola invece sembra aver prevalso il buon senso; Sorrisi, pacche sulle spalle ed il nuovo gusto magico di questo bel Brunello di Montalcino hanno sancito l’accordo raggiunto; Tokyo avrà ancora il suo riferimento per il made in Italy, Januchi, il sommelier, una lauta mancia per aver saputo scegliere il vino più giusto: “la Toscana è una terra magnifica, capace di conquistare chiunque; Pensate, questo vino nasce da persone arrivate da molto lontano Montalcino, eppure ne rappresenta appieno l’anima, nobile, colta, naturale ed internazionale!

Nota bene: I luoghi ed i personaggi (non tutti) di questo racconto sono reali, vogliano questi ultimi, scusarmi invece per i fatti, che sono di mia pura fantasia; Non la bontà del Brunello di Montalcino Pian dell’Orino 2003 di Caroline Pobitzer e Jan Hendrik Erbach, senza dubbi uno degli assaggi più buoni di questo 2010 dalla Toscana, una sorpresa di gran gusto, e da quello che ho potuto leggere qua e la, con una bella storia di persone e terroir alle spalle tutta da scoprire. Non perdetevelo, vi conquisterà!

Brunello di Montalcino, assaggi a tutto tondo

11 novembre 2009

Una recentissima degustazione trasversale di Brunello di Montalcino fatta lo scorso fine Ottobre, ha decisamente rafforzato secondo me il grande coraggio con il quale alcuni marchi storici ilcinesi stanno portando avanti ormai da tempo una progressiva modernizzazione del blasone toscano.

montalcino-1[1]

Allo stesso tempo però ci duole sottolineare quanto alcune altre aziende per modernizzazione hanno ben inteso esclusivamente la sua “internazionalizzazione”; è noto ormai la storica appartenenza al mercato mondiale di questo stupendo vino italiano, il Brunello ha sempre (quasi) avuto un anima ed un corpo inconfondibile e le recenti (più o meno)  modifiche al disciplinare hanno consentito oltremodo di consolidare il mito nonostante un lungo e chiacchierato dibattito, adottando tra le altre anche misure concrete a difesa del marchio, sempre al centro di possibili contraffazioni in un mercato a volte non proprio sotto controllo. Alcune riflessioni però me le sono (ce le siamo) concesse lo stesso, al di là dei prezzi, in alcuni casi davvero discutibili e sempre meno accessibili ad un pubblico ampio, legati spesso soprattutto a costi più suscettibili di problematiche crude che l’economia ilcinese non riesce a metabolizzare piuttosto che alla ricercatezza del prodotto; ma veniamo ai vini degustati: il mito è sempre all’altezza? E quale etichetta per non sbagliare? E’ giusto aspettare tanto tempo prima di berlo? Ecco cosa ne è venuto fuori.

La premessa è che per trasversale abbiamo inteso l’assaggio in contemporanea di diversi Brunello di Montalcino di aziende differenti ed annate diverse ma vicine come qualità.

Brunello-di-Montalcino-Riserva-DOCG-%E2%80%93-Tenuta-Col-dOrcia-Poggio-al-vento-1999[1]

Brunello di Montalcino riserva Poggio al Vento ’98 Tenuta Col d’Orcia, Loc S. Angelo in Colle, Montalcino (SI). Qui alla fine la standing ovation era d’obbligo, e qui che tutte le nostre domande e/o riflessioni hanno avuto le risposte più esaustive. Poggio al Vento è un gioiello dell’enologia toscana, uno di quelli da esibire con orgoglio, non facile da trovare in giro anche perchè non proprio papabilissimo con i suoi 55 euro a bottiglia, ma di certo di gran lunga superiore a diversi altri Brunello di costo al di sopra della media qui trattata. Il colore è segnato dal lungo invecchiamento, ma di una bellissima veste tendente all’aranciato, nel bicchiere la sua scorrevolezza lascia passare inosservata la sua consistenza sia alcolica che estrattiva, segnale di una riuscitissima fase evolutiva. Al naso è complesso, ricco e persistente naturalmente su profumi e sentori di gran lunga fini ed eleganti, scorza d’arancia candita, acacia, cuoio, cardamomo, in sequenza ordinata e ben definita. In bocca desta preoccupazione per l’impatto deciso e calorosamente avvolgente ma poi il tannino fa il suo dovere, dà spalla e non da protagonista, e ritornano piacevolmente note speziate sul finale di bocca. Un gran bel Brunello, prodotto con una lunga sosta in botte di rovere d’Alliers, in più o meno 18.000 unità e solo nelle annate maggiormente favorevoli.

Brunello di Montalcino ’99 Fattoria Poggio di Sotto, Loc. Castelnuovo dell’Abate, Montalcino (SI). Qui il rosso ha acquisito una tonalità aranciata con una bellissima trasparenza, segno del tempo che ha svolto per bene il suo lavoro anche in relazione alla consistenza nel bicchiere che non ha perso corpo. Al naso il vino è soprattutto terziario, ricco cioè di profumi dovuti proprio all’invecchiamento, con sentori di spezie, tabacco, pelliccia su tutti; dopotutto l’azienda è restìa a mettere in commercio questo vino prima dei 36-40 mesi di affinamento in botte, alla vecchia maniera. In bocca è deciso, persistente con un tannino ancora di nerbo ma ben equilibrato. Si è riconquistato fiducia dopo un assaggio precedente non proprio esaltante.

vpsbrunelloannata1999b[1]Brunello di Montalcino Villa Poggio Salvi ’99 Villa Poggio Salvi, Montalcino (Si). Biondi Santi è sicuramente un riferimento importante per tutta l’enologia italiana ed altrettanto lo è oggi, e la continua ricerca di confronto col presente è un valore aggiunto per una azienda che non si è mai posata sugli allori. Villa Poggio Salvi è un marchio che si è fatto strada sulle orme leggendarie del grande Franco Biondi Santi, di proprietà della nuora, moglie del figlio Jacopo. Questo Brunello può risultare (è risultato) abbastanza semplice nella sua totalità ma di certo non gli si può certo dire di domandare un prezzo impossibile. Di colore rubino netto, concentrato e poco trasparente nel bicchiere, al naso ripercorre una linearità rassicurante con profumi di frutti maturi, confettura di marasca, caffè. In bocca è secco, asciutto con un tannino presente ma non incalzante, decisamente “rotondo”.

Brunello di Montalcino ’99 Mastrojanni, Loc. Castelnuovo dell’Abate, Montalcino (SI). Ecco un taglio decisamente più moderno del Brunello di Montalcino, proposta da una azienda che seppur non proprio giovanissima ha virato decisamente verso uno stile più “morbido” rispetto alla tradizione montalcinese. Di colore rubino, si percepisce subito che la qualità della materia prima è altissima, concentrato con lievi nuances tendenti al granato. I profumi ricordano inizialmente il passaggio in legno, botti di media capacità di rovere francese che esaltano la sua freschezza gustativa nonostante la lunga sosta tra legno e bottiglia; poi anche qui saltano fuori sentori di frutta matura, quasi cotta, liquerizia e fini spezie. In bocca è caldo con un tannino ben domato, mi lascia perplesso solo nell’equilibrio, per il bellissimo colore, i concitati profumi ma una complessità non avallata da una lunga persistenza.

Brunello di Montalcino ’00 Mastrojanni, Loc. Castelnuovo dell’Abate, Montalcino (SI). A gran fatica alla fine è venuto fuori un gran bel vino. Quando si dice che per godere di un vino si ha la necessità di aspettarlo per certi versi sembra essere un eccesso di sacralità, ma necessaria. Il vino è rimasto aperto per almeno tre ore e mezza prima di manifestare “vagiti” squillanti. Il colore è apparso subito bello, concentrato, al naso dopo “l’attesa” si è concesso generoso su frutti maturi come prugna e ciliegia in confettura e sottospirito accompagnati da una nota fine ed elegante di erbe aromatiche, infine di tabacco. In bocca asciutto, di buona concentrazione, anche di tannino, ben presente ma non devastante come spesso accade in vini di questo estratto. Una nota a margine: l’azienda Mastrojanni propone una vinificazione estremamente tradizionale per i suoi Brunello, in vasche di cemento prima del lungo affinamento in botti di rovere d’Alliers.

A378CDBCAXLOX1XCANC4W5TCAA74Q4BCARHLARKCAGGXZFPCAIL3GKGCA897ECFCAKXBNBZCACDD1DVCA5HDC61CAY3B380CA6DOGODCAAIIHL4CAZVI5Q2CAWNEFMVCA7IRRW0CAN3HKUXCA863PASBrunello di Montalcino Castelgiocondo ’00 Marchesi Frescobaldi, Firenze (FI). Un marchio con oltre settecento anni di esperienza è difficile che smentisca le attese, ma quando si inizia a legare la qualità alla quantità qualche passo falso può accadere (o no?) . Produrre 250,000 bottiglie di Brunello non è da molti, soprattutto se è il Brunello di punta dell’azienda che solo nelle migliori annate viene affiancato dalla riserva. La forgia non è male, il colore è di buona concentrazione, il naso offre una franchezza immediata su note di ciliegia, di prugna in confettura e cassis ed in bocca il vino rivela un buon corpo ed un tannino non invadente. E’ un vino però che manca di personalità, manca di quella mascolinità che al Brunello serve per non disperdersi negli anni, in una parola un vino certamente corretto anche nel prezzo ma senza armonia e, credo, in una fase già discendente della sua parabola evolutiva.

GrepponeBrunello di Montalcino Greppone Mazzi ’00 Tenimenti Ruffino, Pontassieve (FI). Se il diavolo veste Prada, il Greppone Mazzi potrebbe tranquillamente vestire Missoni. Questo passaggio per raccontarvi di un vino che davvero riconcilia col terroir di Montalcino. E’ pur vero che l’azienda è malinconicamente orbitante nella sfera anglo-australiana dopo la cessione a Constelletions brand (multinazionale del drink e non) ma se i risultati sono questi, tanto di cappello. Il vino è concentrato, polposo ed invitante già all’esame visivo, i profumi sono dapprima austeri, l’alcol inizialmente è sovrastante ma dopo un po’ questo Brunello sembra scoprire una verve eccezionale: sentori di confettura di frutta, di mirtillo, cassis, penetranti ed avvolgenti, poi ancora note di cardamomo e tabacco. In bocca è potente, 14 gradi a tutto tondo per un vino caldo, di corpo ma asciutto e perfettamente bilanciato nelle sue componenti di durezza e morbidezza. Sicuramente con un paio d’anni ancora alle spalle ci darà nuovamente soddisfazioni.

Brunello di Montalcino ’01 Castello Banfi, Loc. Poggio alle Mura, Montalcino (SI). Un paio di numeri per capirci. Castello Banfi è un colosso da 11.000.000 di bottiglie, circa 900 ettari di proprietà e tra le 22 referenze presenti in carta di questo Brunello se ne producono qualcosa come 660.000 bottiglie. La dimensione non proprio artigianale non vuole essere un pretesto per sparare a zero su questo vino, ma certamente dopo la degustazione non rimane nella memoria come per esempio Il Poggio Alloro riserva ’99 di recente assaggio o per esempio il cru Poggio alle Mura ’99 altrettanto eccezionale. Colore profondo, profumi molto evoluti, quasi pompati da una polposità che promette al naso ma in bocca rimane evanescente lasciandosi una scia di alcol che seppur non eccessivo non è supportato da un corredo acido-tannico all’altezza. Rimandato, alla prossima annata.

A378CDBCAXLOX1XCANC4W5TCAA74Q4BCARHLARKCAGGXZFPCAIL3GKGCA897ECFCAKXBNBZCACDD1DVCA5HDC61CAY3B380CA6DOGODCAAIIHL4CAZVI5Q2CAWNEFMVCA7IRRW0CAN3HKUXCA863PASBrunello di Montalcino  Castelgiocondo ’01 Marchesi Frescobaldi, Firenze (FI). Di ritorno sul marchio settecentenario siamo passati al 2001 del benemerito non certamente consapevoli della poco felice interpretazionbe del 2000. Qui ci siamo divertiti a dirne tanto su come sia fantastico il mondo del vino e dei suoi protagonisti, non prima di aver apprezzato come in un balzo di una sola annata abbiamo assaggiato due etichette che possono essere sintetizzate proprio come croce (la ’00) e delizia (la corrente ’01). Colore rosso rubino con lievi accenni aranciati ma ben corredati da una veste brillante. Al naso ci mette un po’ per esprimersi al meglio ma sembra eseguire alla perfezione “il mandato” con sensazioni che girano dalla frutta matura, al balsamico, al goudron fino a note di tostato e di caffè in particolare. In bocca è gradevolmente tannico, di buon corpo e con un frutto delizioso ed avvolgente; ma sa di Brunello? Insomma un vino estremamente corretto, senza particolari picchi di entusiasmo ma comunque piacevole.


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