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Carta canta

10 marzo 2012

Prendo spunto dal post di Jacopo sul suo Enoiche Illusioni. Me l’ero perso, ma solo perché ero in giro a bere aglianico qua e là, in cerca di persone, conferme, buone nuove, cose del genere insomma.

Non che ci sia da stupirsi più tanto – o forse si? -, però è indubbio che non mi capitava da tempo vederne una così. E non è che frequenti solo posti infiocchettati. Diciamocelo una volta per tutte: la carta dei vini o ce l’hai oppure lascia stare. E non mi dite che siamo alle solite, che siamo noi a menarla, non è che vi si chiede un lavoro certosino, quello va bene lasciarlo ai fissati, come me per esempio. Però cavolo, un po’ di attenzione!

Non è necessario metterci per forza tutto: la foto dell’etichetta, la denominazione, quando c’è la sottozona o il cru, il nome del vino, l’azienda, i vitigni, l’annata, magari indicazioni tipo “organic wine” o quando, in caso di verticali, sia nel frattempo cambiato qualcosa (uvaggi, denominazioni ecc.). Queste sono cose complicate, talvolta addirittura pesanti se non opportunamente supportate.

Basta riportare in carta – semplicemente – ciò che c’è scritto in etichetta: denominazione, quando c’è il nome del vino, l’azienda, annata e prezzo. Possibilmente scritti correttamente.

Montefalco, Contrario 2008 Antonelli San Marco

1 luglio 2011

Non è mai facile riprendere a bere dopo dieci giorni filati di antibiotico, aerosol e compagnia cantando, ma pur lentamente bisognava comunque tentare di riconquistare quella freschezza svanita nelle scorse tristi giornate di inedia etilica.

Così dopo ancora un paio di giorni di quasi digiuno, e, pare, un paio di chili lasciati chissà dove – Lilly te lo giuro, la bilancia non mente! – tra una scaraffata e l’altra, ho potuto lentamente ritrovare quella sensibilità degustativa decisamente sopitasi a furia di amoxicillina triidrato, ambroxol cloridrato e cose del genere insipide ed algide così come il nome che si portano dietro; l’occasione, un assaggio per festeggiare, diciamo così, il nulla, e tanto per cambiare, novità su novità, cercare di capire cosa ti combinano in quel di Montefalco reinventandosi – dicono – il sagrantino in una veste insolita, dinamica e sbarazzina nonché – udite, udite – di pronta beva. Ehmbé, quasi quasi ci credo…

Appena un paio di settimane fa, riprendendo il filo tessuto dal buon Jacopo Cossater, ho scritto del Trebbiano Spoletino Trebium 2009, proprio di Antonelli San Marco; una vera sorpresa per me, e a quanto pare per tutti gli appassionati bianchisti, che finalmente si ritrovano dall’Umbria un’autentica novità non più giocata sull’emulazione del binomio chardonnay-grechetto tanto fortunato in quel di Castello della Sala quanto ovvio e scontato così come ripreso altrove. Per amor di verità, di bei vini bianchi in regione ce ne sono e come, basta però uscire un po’ fuori dall’ovvio, quel buco nero nel quale invece pare ormai entratoci irreversibilmente l’Orvieto, che soprattutto dopo l’ultimo recente cambio di disciplinare pare emergere ancor di più privo di una qualsivoglia identità se non quella imposta dall’uso e dal consumo del momento.

Ritornando a noi invece, proprio dalle vigne di Filippo Antonelli nasce, nel 2008, l’idea del Contrario, un’altra novità – decisamente offline – che certamente farà storcere il naso a qualcuno ma, a quanto pare, seriamente valutata: il sagrantino da bersi giovane. Approfonditi studi infatti, portati avanti in azienda con la collaborazione del professor Di Stefano dell’Istituto San Michele all’Adige, hanno condotto all’idea che in alcune vigne della proprietà, ove insistono particolari condizioni climatiche, se vendemmiato con giusto anticipo e vinificato ed affinato ad una certa maniera, il sagrantino riesce ad esprimere caratteristiche di unicità e prontezza di beva fuori dai soliti canoni offerti dal vitigno e dalla tipologia docg Montefalco. Così la sfida di proporre al mercato un sagrantino in versione “più giovane” di due anni e senza passaggio alcuno in legno; un prodotto, se vogliamo easy to drink, destinato a fare leva sui consumatori con la sua vivace freschezza anziché la proverbiale opulenza e struttura tannica solita del “vino madre”. Insomma, un sagrantino al 100%, ma al contrario. 

Ed in effetti il colore è bello ricco, vivace, concentrato e con piacevoli nuances rubine; il primo naso è intenso e voluminoso, ampio: lo spettro olfattivo invita ai fiori e ai frutti rossi maturi, succosi e appena premuti. Lo spettro olfattivo s’allarga, di annusata in annusata, anche su sottili note di cipria ed inchiostro; poi il palato, avvinto alla freschezza assoluta, asciutto, succoso anche qui, sferzante eppure piacevole e rotondo con un finale piacevolmente amaro e ferroso. Un gradevole bere, non c’è che dire, anche se non posso esimermi dall’avanzare dubbi su quanto questo vino possa dare l’idea di ciò che in realtà è il sagrantino di Montefalco, visto che di questi pare rifuggire proprio le caratteristiche primarie di quello che è, agli occhi e al palato di tutti, uno dei vini più austeri ed autentici del panorama rossista italico. Magari l’idea potrà risultare vincente, soprattutto in loco, nell’avvicinare quei giovani consumatori, quei palati meno esigenti, al consumo di un vino locale anziché il solito morellino, il dolcetto o un raboso del piave; ma ripensandoci un attimo, non dovrebbe essere questa la mission affidata ai secondi vini ricadenti su territori di così nobili origini? Ah già, qui il Rosso, in quanto a territorio ed autenticità, è già bello che andato!

Montefalco, Trebbiano Spoletino Trebium ’09

20 giugno 2011

“Antonelli San Marco è un’azienda vitivinicola di 170 ettari in un corpus unico al centro della zona Docg Montefalco con una grande storia alle spalle, una grande passione tramandata per questo territorio e una grande cura della qualità dei prodotti”.

Così recitano le tre righe di presentazione dell’azienda sul loro sito istituzionale, aggiungendo che “da anni la Antonelli San Marco ha intrapreso un percorso di ricerca e miglioramento continuo dalla vite fino alla bottiglia secondo uno stile che è volto alla tipicità e all’equilibrio, alla bevibilità e all’eleganza, più che alla potenza, con estrazioni delicate e un uso moderato del legno”. Al di là dell’uso compulsivo della parola “grande” (ripetuta per ben tre volte) non si può certo negare all’azienda di Montefalco il grande lavoro di qualità riscontrabile nei suoi vini, su tutti il Chiusa di Pannone, che rimane – per me – uno dei migliori sagrantino mai saggiati negli ultimi anni.

Prendendola alla larga, c’è da dire che il trebbiano è un vitigno che mi ha sempre affascinato tanto; povero lui, ne ha vissute e subite tante, ogni dove, e se non fosse stato per quei pochi, pochissimi exploit abruzzesi, in verità giusto Valetini e qualcun altro lì intorno, hai voglia che vitigno minore e dimenticato da Dio! Pertanto ben venga chi lavora – in questo caso però in Umbria – per rivalutarne le sorti, offrendone magari una visione/versione altrettanto interessante e meritevole di attenzione.

Negli ultimi tempi poi mi sono ancor di più appassionato alla faccenda leggendo Jacopo Cossater,  qua e la , a proposito della necessità di guardare con occhi nuovi al trebbiano, a quello spoletino in particolare, tornando più volte sull’argomento offrendo tra l’altro sempre maggiore chiarezza; così mi sono chiesto se non mi corresse l’obbligo di fare anch’io un passaggio sul tema. Da neofita.  Ho quindi pensato di inserire in carta, ormai già da qualche settimana, il Trebium duemilanove di Antonelli San Marco, giusto per vedere l’effetto che fa. 

Ebbene, riprendendo una citazione dello stesso Jacopo, il quale definisce il trebbiano spoletino“un vino davvero dritto”, mi sento a ragion veduta di avallarne a mani basse la definizione; vi aggiungerei, solo, che trattasi di una bella sorpresa! Si offre vestito di un bel paglierino intenso, cristallino e discretamente consistente nel bicchiere. Il primo naso è vivace, virtuoso, sottile su note floreali quanto più ampio su quelle fruttate e minerali: vira da nitidi riconoscimenti di biancospino a precisi sentori di mango e frutto della passione, e, sul finale, un sospiro di bergamotto e lievi aromi speziati. In bocca è asciutto, verrebbe quasi da dire drastico, possiede una trama acida di spessore ed ampiezza gustativa incontenibile, non è certo un vino di facile beva, ovvero uno di quei bianchi raccomandabili a palati assuefatti a burro e caramello; chi ama invece le durezze, chi ricerca nei bianchi, soprattutto in estate, la freschezza, saprà come goderne appieno! Un primo (p)assaggio decisamente convincente.


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