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Torgiano Rosso Riserva Rubesco Vigna Monticchio 2009 Cantine Lungarotti

10 gennaio 2019

Un assaggio che ci mancava da qualche tempo, un vino indimenticato, tra i primi ad aprirci le porte su territori straordinari da scoprire che non abbiamo mai smesso di amare sin dal nostro primo passaggio da quelle parti, là a Torgiano, nell’agosto del ’99 quando visitammo l’azienda degustando diversi vini, poi il museo del vino¤. Un po’ di noi era rimasto là, così ci tornammo ancora per l’inaugurazione del museo dell’olio, un anno dopo. Un po’ di loro ce lo siamo inevitabilmente portati via con noi, per sempre.

Torgiano rosso Rubesco Vigna Monticchio Riserva 2009

A quasi vent’anni dalla scomparsa del Cavalier Giorgio Lungarotti avvenuta giusto pochi mesi prima d’allora, nell’aprile del ’99, ci ritroviamo, forse un po’ spiazzati ma comunque con gusto, davanti a un magnum di Riserva Rubesco Vigna Monticchio 2009.

Un vino che nasce proprio dall’intuito di Giorgio Lungarotti deciso a dare vita a qualcosa di straordinario per quell’epoca per l’Umbria seguendo un modello a quel tempo già affermato ed in forte espansione come il Chianti Classico, da qui distante poco più di un centinaio di chilometri. Non a caso le uve coltivate nel vigneto da cui prenderà poi il nome, poco fuori Torgiano, sono proprio Sangiovese e Canaiolo, varietà tipiche della vicina Toscana a cui si aggiungeranno qualche tempo dopo, ma in altri appezzamenti, alcune altre di richiamo internazionale tra cui soprattutto Cabernet Sauvignon e Chardonnay.

Per anni questo vino rosso ha sempre mantenuto questa base, in larga parte Sangiovese con una piccola quota di Canaiolo attraversando il tempo e le mode che hanno visto in cantina tutti i passaggi che la storia del vino italiano degli ultimi 40 anni ha poi attraversato, in qualche maniera subito, in parte superato, restando comunque un riferimento assoluto per la vitienologia umbra nel mondo. Un rosso austero, mai banale, capace di attraversare il tempo come pochi con non poche sorprese.

Così quando nel 1968 arriva la denominazione di origine controllata per l’areale si è di fatto decretato un valore enorme per quell’intuizione che, nel frattempo, già si fregiava di portare in etichetta il nome della vigna da cui nasceva, Vigna Monticchio appunto e, caso più unico che raro in Italia, per molti anni con l’uscita sul mercato non prima di dieci anni di affinamento tra vasche, legni e bottiglia. Un percorso in parte abbandonato solo di recente dopo un lento e graduale cambiamento iniziato proprio con la scomparsa del patron Giorgio, quasi inevitabile se vogliamo, che ha spinto l’azienda a ridurre i tempi di affinamento a sei anni lavorando di più sulla selezione in vigna e sui vari passaggi del vino tra legno grande e piccolo e bottiglia .

Non a caso proprio con il duemilanove, dopo oltre 40 vendemmie, viene fuori la prima annata con solo il Sangiovese. L’annata depone certo a favore di un vino dal colore intenso e vivace, godiamo tra l’altro di un assaggio da una bottiglia formato magnum che notoriamente consente una migliore conservazione del vino nel tempo. Il naso è invitante e avvenente, caratterizzato tanto da frutto (visciola, mora) quanto da toni balsamici e terrosi. Il sorso è asciutto, caldo, avvolgente, poco tannico, anzi, ha una beva scorrevole e subito appagante. Dopo (quasi) dieci anni è in perfetto stato di grazia!  

© L’Arcante – riproduzione riservata

C’è poi, tra gli altri, anche quel Sagrantino di Montefalco 2008 della Tenuta Bellafonte…

9 novembre 2012

Ne avevo colto qua e là delle buone impressioni, sia sul progetto che sull’ottimo vino. Di certo, dopo questo assaggio, posso solo aggiungervi tutto il buono possibile.

Bel sagrantino quello della Tenuta Bellafonte di Bevagna, tutto giocato sul frutto e il gran carattere. Si coglie subito una buonissima materia prima ma soprattutto una intelligente gestione dell’uso del legno, in perfetta sintonia col varietale, le sue peculiarità – non sempre di facile lettura – ed un tenore alcolico importante ma affatto soverchiante la struttura complessiva del vino, marcata evidentemente da una certa acidità e da tannini fini di un certo spessore. Per farla breve, vale un sorso accattivante, di buona aromaticità e bevibilità ma di assoluta prospettiva. 

Il colore è avvincente, rubino, ricco e con ancora vivaci nuances porpora sull’unghia del bicchiere. Molto gradevoli quelle note di mora e piccoli frutti neri e rossi che saltano immediatamente al naso, già al primo approccio e che sembra poi, in bocca, di morsicarli per davvero. Un quadro olfattivo che si arricchisce quasi subito di tanto altro: di sfumature tostate, cioccolato, note anche speziate e iodate, sanguigne, sul finire. Il sorso invece è immediatamente avvolgente, carico com’è di frutto e di nerbo, con tannini puntuti, ben presenti ma per niente invadenti. Mi è piaciuto parecchio questo duemilaotto, un vino se vogliamo pure sgraziato, appena appena sbocciato ma, forse proprio per questo, da non perdere assolutamente.

Tenuta Bellafonte è distribuito in Italia da Les Caves de Pyrene.

Montefalco, Trebbiano Spoletino Trebium ’09

20 giugno 2011

“Antonelli San Marco è un’azienda vitivinicola di 170 ettari in un corpus unico al centro della zona Docg Montefalco con una grande storia alle spalle, una grande passione tramandata per questo territorio e una grande cura della qualità dei prodotti”.

Così recitano le tre righe di presentazione dell’azienda sul loro sito istituzionale, aggiungendo che “da anni la Antonelli San Marco ha intrapreso un percorso di ricerca e miglioramento continuo dalla vite fino alla bottiglia secondo uno stile che è volto alla tipicità e all’equilibrio, alla bevibilità e all’eleganza, più che alla potenza, con estrazioni delicate e un uso moderato del legno”. Al di là dell’uso compulsivo della parola “grande” (ripetuta per ben tre volte) non si può certo negare all’azienda di Montefalco il grande lavoro di qualità riscontrabile nei suoi vini, su tutti il Chiusa di Pannone, che rimane – per me – uno dei migliori sagrantino mai saggiati negli ultimi anni.

Prendendola alla larga, c’è da dire che il trebbiano è un vitigno che mi ha sempre affascinato tanto; povero lui, ne ha vissute e subite tante, ogni dove, e se non fosse stato per quei pochi, pochissimi exploit abruzzesi, in verità giusto Valetini e qualcun altro lì intorno, hai voglia che vitigno minore e dimenticato da Dio! Pertanto ben venga chi lavora – in questo caso però in Umbria – per rivalutarne le sorti, offrendone magari una visione/versione altrettanto interessante e meritevole di attenzione.

Negli ultimi tempi poi mi sono ancor di più appassionato alla faccenda leggendo Jacopo Cossater,  qua e la , a proposito della necessità di guardare con occhi nuovi al trebbiano, a quello spoletino in particolare, tornando più volte sull’argomento offrendo tra l’altro sempre maggiore chiarezza; così mi sono chiesto se non mi corresse l’obbligo di fare anch’io un passaggio sul tema. Da neofita.  Ho quindi pensato di inserire in carta, ormai già da qualche settimana, il Trebium duemilanove di Antonelli San Marco, giusto per vedere l’effetto che fa. 

Ebbene, riprendendo una citazione dello stesso Jacopo, il quale definisce il trebbiano spoletino“un vino davvero dritto”, mi sento a ragion veduta di avallarne a mani basse la definizione; vi aggiungerei, solo, che trattasi di una bella sorpresa! Si offre vestito di un bel paglierino intenso, cristallino e discretamente consistente nel bicchiere. Il primo naso è vivace, virtuoso, sottile su note floreali quanto più ampio su quelle fruttate e minerali: vira da nitidi riconoscimenti di biancospino a precisi sentori di mango e frutto della passione, e, sul finale, un sospiro di bergamotto e lievi aromi speziati. In bocca è asciutto, verrebbe quasi da dire drastico, possiede una trama acida di spessore ed ampiezza gustativa incontenibile, non è certo un vino di facile beva, ovvero uno di quei bianchi raccomandabili a palati assuefatti a burro e caramello; chi ama invece le durezze, chi ricerca nei bianchi, soprattutto in estate, la freschezza, saprà come goderne appieno! Un primo (p)assaggio decisamente convincente.

La Dolce Vite nel nome del Cervaro della Sala

14 giugno 2010

Capri Palace Hotel&Spa

L’Olivo incontra Castello della Sala

Venerdì 25 Giugno ore 19,30

Nello scenario incantato dell’isola di Capri va in scena un evento di particolare valore storico per il mondo del vino italiano; Incrociamo con grande piacere le storie di un territorio, l’Umbria, e di uomini che dal nulla o quasi la storia del vino l’hanno fatta e la faranno soprattutto nel prossimo futuro: il ristorante L’Olivo, due stelle Michelin dal 2009, apre le sue porte nella splendida cornice di Anacapri al mito dell’azienda Castello della Sala della famiglia Antinori, e per l’occasione, con Oliver Glowig saranno guests chef Romano e Iside De Cesare de  La Parolina di Trevinano (VT).

L’evento segue di appena qualche settimana il successo di apertura di stagione con la bellissima serata trascorsa in compagnia di  Luigi Moio e Antonio Pisaniello e rientra nel ricco calendario di appuntamenti enogastronomici di prestigio che per tutto il 2010 caratterizzerà “La Dolce Vite” del Capri Palace e che vedrà come protagonisti tra gli altri anche la maison Krug e l’indomabile Silvia Imparato in una verticale storica del suo fuoriclasse Montevetrano

Gli ospiti saranno accolti nella cantina storica “La Dolce Vite” dove Renzo Cotarella gli presenterà quella che senza dubbio è la sua azienda del cuore, tra le più preziose tra le altre che costellano il panorama viticolo degli Antinori; A seguire, la speciale cena degustazione presso il ristorante L’Olivo abbinata ad alcuni dei millesimi del Cervaro della Sala dal 1988 ad oggi.

La degustazione sarà condotta come sempre dai sommeliers di casa a L’Olivo Angelo Di Costanzo e Giovanni Guida:

  • Cervaro della Sala 2008
  • Cervaro della Sala 2004
  • Cervaro della Sala 2001 
  • Cervaro della Sala 1999 
  • Cervaro della Sala 1994 
  • Cervaro della Sala 1988 

Un vino straordinario da cogliere e da scoprire  in 20 anni di storia; In chiusura immancabile la presenza del campione di dolcezza di casa Antinori, quel Muffato della Sala di cui non si farebbe mai a meno!

Per informazioni dettagliate e prenotazioni:
Capri Palace Hotel & Spa
Ristorante L’OLivo
Via Capodimonte, 14
80071 Anacapri – Isola di Capri – ITALIA
Phone: (+39)081 978 0225
Fax: (+39) 081 978 0593
www.capripalace.com
olivo@capripalace.com

C.mmare di Stabia, Sagrantino day al Crown Plaza

12 aprile 2010

Torna in scena l’appuntamento con il “Sagrantino Day International 2010”, l’evento organizzato dal Consorzio Tutela Vini Montefalco in collaborazione con l’AIS e la Worldwide Sommelier Association, giunto ormai alla sua 4° Edizione.

La manifestazione sarà presentata al prossimo Vinitaly durante la conferenza stampa “Sagrantino Day International 2010 – L’autoctono di Montefalco fa il giro del mondo con l’Associazione Italiana Sommelier”, che si terrà Venerdì 9 Aprile alle ore 11,00 presso la sala A, Centro Servizi Brà (PAD. 8/9). A seguire una degustazione guidata di 6 Montefalco Sagrantino D.O.C.G., organizzata in collaborazione con Enoteca Italiana e condotta dal Vice Presidente Nazionale AIS Antonello Maietta. Le sedi che lunedì 19 Aprile, ore 19.00, ospiteranno in contemporanea mondiale le degustazioni sono 34, in particolare in Italia si dislocheranno nelle città di Abano Terme, Pescara, Aosta, Arezzo, Belluno, Genova, Reggio Calabria, Modena, Siracusa, Montefalco, Casamassima (Ba), Castellammare di Stabia (NA), Torino, Olbia, Udine, Potenza, Roma, Treviso, Varese, Venezia, Rovigo, Verona, Firenze, Savona, Crema, Rovereto, Isola d’Elba, La Spezia, Pesaro, Isernia mentre all’estero sono state selezionate prestigiose sedi nelle capitali europee Londra, Amsterdam, Bruxelles ed infine in Lussemburgo.

Per la sessione di Castellammare di Stabia, lunedì 19 Aprile alle ore 19.00, le degustazioni saranno a cura di Nicoletta Gargiulo, Primo sommelier della Campania e d’Italia 2007, Angelo Di Costanzo, Primo sommelier della Campania 2008 e Salvatore Correale Primo Sommelier Campania 2009. Aprirà l’evento un saluto di Antonio Del Franco, presidente Ais Campania e la presentazione a cura del relatore Gianni Aiuolo.

Per informazioni generali relative all’adesione e/o partecipazione all’evento di Castellammare di Stabia contattare la responsabile di delegazione dell’associazione sommeliers Campania: Delegazione Ais Penisola Sorrentina
Via Campanella 51 
80061 Massa Lubrense (NA)
tel. 081/8081686 – cell. 338/6398521
nicolettagargiulo@irgilio.it

Per informazioni generali invece, e per avere gli indirizzi delle varie sedi sparse in Italia e nel mondo, contattare gli uffici del Consorzio Tutela Vini Montefalco al numero di tel./fax. (+39) 0742/379590 oppure mezzo email a info@consorziomontefalco.it .

Castello della Sala, Cervaro ’87 da colpo al cuore

21 febbraio 2010

La passeggiata pomeridiana lungo i filari ci ha solo lasciato immaginare come possa essere suggestivo il vigneto di Cervaro nel suo massimo splendore di colori, ai primi di settembre; il colore bruno della terra, puntinato solo da bianchi residui fossili del Pliocene, e dei ceppi in riposo vegetativo, si discosta appena dal grigio cupo del cielo nuvoloso che si coglie all’orizzonte, eppure non riusciamo a non apprezzare l’effetto visivo provocato, a non rimanerne affascinati, i filari che si perdono a vista d’occhio in una compostezza geometrica tale da non ammettere una, dico una, sbavatura. Alle nostre spalle l’imponente “torre del rifugio” a dominare la collina del Nibbio, proprio sotto le sue mura, si spalancano le porte del meraviglioso Castello della Sala.

Il Castello è senza dubbio una delle fortezze medievali più belle d’Italia, costruito nel 1350 per Angelo Monaldeschi della Vipera è divenuto proprietà degli Antinori nel 1940. La tenuta intorno al castello si estende per circa 500 ettari di cui 170 piantati a vite e 7 ad uliveti con un dislivello che varia dai 200 ai 400 metri sul livello del mare. Vi si coltivano uve chardonnay, grechetto, sauvignon, semillon, riesling, procanico e pinot nero; l’impianto delle vigne è votato all’utilizzo del sistema a cordone speronato semplice, e tranne che per le uve del Muffato, la vendemmia è praticamente perfettamente meccanizzata. La cantina di vinificazione è stata terminata nel 2006, è grande, forse troppo, integrata con le migliori tecnologie moderne tra le quali mi hanno molto colpito lo “static draner” (una sorta di vasca refrigerata di prefermentazione) e non di meno la presenza in cantina, oltre che delle tradizionali vasche dalle taglie forti, anche di tanti piccoli contenitori di acciaio, a sottolineare e garantire la particolare attenzione profusa alle microvinificazioni delle masse non solo sui vini di maggiore pregio.

La bellissima opportunità di bere questo Cervaro della Sala ’87 è stata in verità, diciamola tutta, una vera e propria estorsione mossa nei confronti di Renzo Cotarella; le chiacchiere distintive che mi ha generosamente concesso non potevano non terminare con l’alzata nei calici di uno dei primi vini che han visto la luce sotto la sua direzione al Castello della Sala, luogo che rimane, dopo 33 anni, in tutto e per tutto il fiore all’occhiello della sua opera professionale in Antinori, oltre che un gran bel pezzo del suo personalissimo album dei ricordi, che qui, tra queste mura, pare abbia lasciato impronte indelebili e spezzoni di vita a frotte!

Il colore è giallo paglierino carico con appena accennate sfumature dorate, cristallino, e di una vivacità di colore stupefacente. Il primo naso è lieve, pulito, pare dica di aspettarlo, poi lentamente inizia a concedersi su piacevoli sensazioni di acacia, pinoli e nocciola secchi, pietra focaia, non lunghissimi ma di nitida espressione. In bocca è una esplosione di gusto, è secco, caldo, avvolgente, possiede una freschezza incredibile, pare ingoiare d’un fiato una boccata dell’aria asciutta e tagliente lasciata testè fuori le mura, alla cieca parrebbe un vino di un paio d’anni al massimo.

Forse improprio paragonarlo, come lo stesso Cotarella ha azzardato, ai migliori Corton-Charlemagne, ma se in poco più di vent’anni il risultato è questo, soprattutto se pensiamo che almeno i primi dieci sono stati spesi, non senza incoscienza, a capire le peculiarità di un territorio straordinario ma senza dubbio con poco o nulla del valore dei cugini d’oltralpe, non c’è che dire, è senza ombra di dubbio un colpo al cuore fenomenale!

Chiacchiere distintive, Renzo Cotarella

17 febbraio 2010

Sbuca dalla porta delle scale come farebbe un bambino per sorprendere gli amichetti intenti a nascondersi prima dello scoccare del fatidico “dieci”: “Scusatemi per il ritardo, sono qua!” Non si può non aspettare Renzo Cotarella, soprattutto se è in anticipo di cinque minuti, soprattutto se appena di ritorno da Udine ed in partenza per Firenze, ma va bene così, la giornata non poteva chiudersi meglio se non con quattro chiacchiere, distintive come sempre, con colui che il Castello della Sala l’ha vissuto e lo vive più di tutti e con una profondità pari a nessun altro se non, forse, al compagno di viaggio di sempre, tal Franco, capo cantiniere storico, che ha lasciato qualche tempo fa per raggiunti limiti di età “ solcando qui al Castello un abisso umano più che un vuoto professionale”.

Renzo Cotarella entra in Antinori, a Castello della Sala nel 1977, non si sa quanta più incoscienza dell’uno o dell’altro, ma il marchese Piero Antinori pare rimanere folgorato dal suo talento e dalla sua intraprendenza, tradotti poi nel tempo, in duro lavoro e notti insonne lungo quel cammino di affermazione mondiale che ha condotto ad oggi le tenute della storica famiglia fiorentina a rappresentare senza ombra di dubbio un modello vitivinicolo tra i più apprezzati ed ambiti del mondo.

Renzo Cotarella è un “modello professionale” per molti, qual è il segreto? Se la passione, l’impegno, lo studio, la dedizione, la disponibilità, l’analisi critica sono modelli a cui rifarsi, non è necessario guardare a Renzo Cotarella, ci sono tanti esempi del genere, basta valorizzarli.

Come ha fatto il marchese Piero Antinori con lei? Beh, 33 anni fa ero certamente in una posizione diversa da quella di oggi, eppure c’è stato qualcuno che ha creduto fortemente in me, la mia vita, umana e professionale è indissolubilmente legata alla famiglia Antinori.

Come cerca di fare lei oggi; A quanto ne so, in giro per le tenute tanti giovani agronomi ed enologi. Senza dubbio. La storia viticola non si può ascrivere ad un solo uomo, non basta nemmeno una generazione per vederne raccogliere i buoni frutti. I giovani, il rinnovamento sono indispensabili per dare continuità al moto della vite. In campagna, in vigna come in cantina, o nelle bottiglie, non esistono segreti da difendere, da celare, ma solo tanti da scoprirne, e solo il tempo può concedere questa opportunità, tempo che ad un solo uomo non basta mai.

Il vino del cuore? Non un vino, una terra. Ci hai camminato le vigne questa mattina, io lo faccio da trent’anni. Circa 25 anni fa eravamo con il marchese Piero in giro per la Borgogna. A cena, una sera, ordiniamo uno Corton-Charlemagne, più o meno vecchio di una decina d’anni. Ne rimasi profondamente conquistato, il marchese mi sussurrò all’orecchio, quasi in maniera disarmante, dell’impossibilità di ripetere un tale risultato dalle nostre parti. Oggi il Cervaro della Sala è il risultato della sfida raccolta quella sera, il moto perpetuo per il quale continuare la nostra strada, con lo stesso entusiasmo di allora.

Giocando fuori casa? Eravamo nella seconda metà degli anni ottanta, mi è rimasto impresso un La Tache 1978 di Romanee Conti bevuto una sera, tra amici, a Roma: una verticalità ed una profondità mai più ritrovata in nessun vino bevuto di lì in poi.

Qual è il futuro del vino secondo Renzo Cotarella, qual è la strada da seguire? Originalità, qualità espressiva. Un vino va “sentito”, non si possono tralasciare le emozioni del momento e nemmeno si possono scordare. Certi vini rimangono un puro esercizio meccanico, non hanno certo vita lunga, e senz’altro davvero poco da dire.

Banale chiederle un modello ideale a cui rifarsi, ma sottolieamolo, quale? In Antinori si è perseguito una via faticosissima ma necessaria. Oggi ogni tenuta, ogni azienda ha una propria anima, una propria cantina, un proprio staff che la vive profondamente, ne raccoglie i sentimenti e ne traduce le sensazioni. E non posso negare di pensare che sia stato un processo iniziato tardi, nonostante prima di molti altri, avremmo dovuto incamminarci, su questa strada, molto tempo prima. Ma va bene così.

L’obiettivo prossimo in Antinori? L’evoluzione stilistica. Chi ha bevuto i vini di Antinori (Tignanello, Solaia, Guado al Tasso, ndr) antecedenti al 2004 rimarrà sorpreso di ritrovare nei millesimi successivi vini di maggiore e straordinaria personalità, riconoscibilità, autenticità.

Adesso le muovo una critica, fuori dai denti: perché il Pinot Nero a Castello della Sala? Ad oggi i risultati non hanno certo fatto sgranare gli occhi e conquistato palati? Qualcuno direbbe ostinazione, altri distrazione, io so che rincorro un modello ancora lungo da venire, ma nel ’90 tirammo fuori un vino straordinario. Negli anni a venire nella tenuta del Castello abbiamo lavorato particolarmente per i bianchi, da qualche tempo abbiamo ripreso le redini anche del Pinot Nero, vediamo un po’ cosa mi dirai tra tre-quattro anni.

Ci concediamo con un caloroso abbraccio, abbiamo speso tante altre parole sulla Franciacorta, su Prunotto, sull’Orvieto, l’origine certa di cui sopra che Renzo Cotarella non ha mai trascurato lungo la sua strada, tanto che oggi, il San Giovanni del Castello della Sala è certamente uno dei migliori mai bevuti prima. Tanti buoni ragionamenti, analisi critiche, osservazioni, con la convinzione, tra una domanda e l’altra, di avergli estorto e bevuto una bottiglia del più grande vino bianco italiano di sempre, tal Cervaro della Sala 1987. Annata sicuramente minore!

Castello della Sala: terre, uomini e vini che hanno fatto la storia in Italia e nel mondo

17 febbraio 2010

 

Il salottino ha le luci basse, l’atmosfera è molto rilassata proprio come quando si è tra amici. Gli argomenti di discussione sono tra i più disparati, vino, cibo, mercato (ma và!) e le soluzioni ai problemi alle difficoltà espresse in questi ultimi anni, tra le più irrazionali, e non perché siamo ciucchi, tutt’altro, dobbiamo ancora metterci a tavola, ma perchè ci accorgiamo che proprio la semplicità disarmante, dei nostri buoni propositi, appare come un’arma paradossalmente lontana da ciò che in realtà si sta mettendo in campo in questi anni, per frenare l’emorragia in atto nel mondo del vino: territorialità a prezzi centrati, alta qualità espressiva, originalità innanzitutto, servizi e professionalità. Comunque, tra un bicchiere di Bramito del Cervo 2008 e dell’eterno incompiuto Pinot Nero, nel millesimo 2006, si arriva al clou della serata: ci raggiunge Renzo Cotarella, a.d. di Antinori ed in tutto e per tutto il fautore numero uno del successo e dell’affermazione di Castello della Sala, del Cervaro in particolare, come riferimento assoluto dell’enologia bianchista italiana nel mondo. Delle chiacchiere con il responsabile di tutta la produzione delle aziende della famiglia Antinori ne parlerò a breve, la cronaca di una giornata speciale in questo meraviglioso lembo di Umbria tanto vicino a questo territorio quanto suggestiva finestra sulla Borgogna si è guadagnata  priorità e mia profonda devozione.

Il primo pomeriggio lo abbiamo dedicato esclusivamente a camminare, a lungo, le vigne; Siamo stati fortunati, nonostante la temperatura rigida ci ha accompagnato un sole tiepido ma efficace a non farci flagellare oltremodo dalle lievi folate di vento gelido che tagliano in questi giorni il fondovalle del fiume Paglia, lungo il quale si estendono a perdita d’occhio i centosettanta ettari di chardonnay, grechetto, riesling, sauvignon, semillon e procanico del vigneto ai piedi del castello, tutto piantato a cordone sperato con una densità di circa 5.500 ceppi ed una resa quasi sempre al di sotto degli 80ql per ettaro. A monte invece, sulla collina terrazzata denominata “Consola”, l’impianto di Pinot Nero, sfida e ostinazione di Renzo Cotarella alla ricerca di una quadratura del cerchio ancora lontana su quello che è, senza dubbio, l’unico vino tra tutti quelli prodotti nelle tenute del Marchese Antinori, dal Piemonte alla Puglia, ancora incompiuto. Ci accompagnano in questo percorso i giovani e bravissimi Massimiliano Pasquini, direttore in loco della produzione a Castello della Sala e Federica Amicone, anch’essa enologa, che l’indomani ci aprirà anche le porte di La Braccesca a Montepulciano.

La tenuta qui in Umbria è di proprietà degli Antinori dal 1940, è collocata geograficamente giusto al centro tra Roma e Firenze, in provincia di Orvieto, ad un tiro di schioppo dal confine regionale con la Toscana. Come detto, gli ettari sono 170, una cantina di vinificazione, terminata nel 2006, perfettamente integrata nel paesaggio, con le più moderne tecnologie produttive a disposizione ed il castello con la bellissima e maestosa “torre del rifugio” che domina a perdita d’occhio tutta la tenuta a 360°, nel ventre del quale si intersecano centinaia e centinai di metri di cunicoli ed anfratti, perfettamente restaurati, che ne fanno uno dei luoghi del vino più suggestivi ed affascinanti che abbia mai camminato negli ultimi anni. Qui giacciono migliaia di bottiglie, oltre a tutte le annate prodotte nella tenuta, tutte quelle altre di maggiore prestigio, dal Solaia al Tignanello, che appena possono Piero Antinori e lo stesso Renzo Cotarella vengono a degustare per comprovarne l’evoluzione stilistica e la tenuta nel tempo: millesimi eccezionali e minori, sparsi ordinatamente qua e là nel caveau, oggigiorno introvabili in giro, assolutamente impossibili da riavere, a memoria storica liquida degli ultimi trent’anni della produzione di maggiore pregio delle tenute del marchese.

Un viaggio emozionante, evocativo di un passato nobile e laborioso e suggestivo di un presente e di un futuro straordinario, votato all’assoluta intransigenza nella ricerca della qualità, della massima espressione territoriale che un vino può donare di sé, che un bicchiere di vino possa riportare alla mente e fissare nella memoria. Camminare queste vigne, strusciare queste mura, odorare queste atmosfere non può che riappacificare l’animo, donare l’impossibile sensibilità tattile per immaginare il passato e sognare il futuro. Poi, Il Cervaro della Sala ’87 bevuto, fa tutto il resto!


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