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Torano, Trebbiano d’Abruzzo 2017 Emidio Pepe

20 novembre 2020

Che terra straordinaria l’Abruzzo, e che vini autentici quelli qui prodotti, come il Trebbiano, un vino bianco antico, dal sapore ancestrale, che si produce in molte zone d’Italia ma che proprio qui sembra ravvivarsi di caratteristiche uniche.

Trebbiano d'Abruzzo 2017 Emidio Pepe - foto A. Di Costanzo

Non scopriamo certo oggi Emidio Pepe, facciamo ogni anno tesoro delle splendide bottiglie che vengono fuori dalla cantina di Torano, bottiglie che segnano il tempo senza subirlo minimamente, tanto quando si tratta del Montepulciano d’Abruzzo che quando si assapora il loro Trebbiano.

Sono questi vini provenienti da un territorio molto particolare, dove la natura incontaminata gode di un microclima distintivo, con la terra argillosa e calcarea che si avvantaggia dell’influenza del mare e delle fredde correnti del vicino Gran Sasso; vini che nascono da vigne vecchie condotte con i più rigidi principi della biodinamica, senza alcun utilizzo di prodotti chimici, anche nelle annate più difficili.

Le uve sono raccolte a mano, pigiate ancora con i piedi, un metodo di produzione assolutamente artigianale, per quanto originale e, se vogliamo, anacronistico. Cui s’aggiunge, per il Trebbiano d’Abruzzo in particolare, la vinificazione “in bianco”, cioè senza bucce, con affinamento esclusivamente in vetro. Una caratteristica, quella di far maturare il prodotto direttamente nelle bottiglie, che resta una prerogativa irrinunciabile per Emidio Pepe, ancora dopo oltre cinquant’anni di vendemmie.

La duemiladiciassette si è rivelata annata assai ostica da queste parti, non sono mancati disastri qua e là in regione, certo non qui a Torano, dove si fa, come detto, un grande lavoro in vigna prima che in cantina, riuscendo a tirare fuori, evidentemente, un vino bianco di spessore e grande armonia.

Ci arriva infatti nel calice un vino dal bellissimo colore paglia, con tenui riflessi dorati sull’unghia del vino nel bicchiere; il naso ha bisogno di un po’ di tempo prima di rivelarsi del tutto, è certamente coinvolgente e fine, vi si colgono note di fiori e frutta molto invitanti e seducenti, con sentori di bergamotto e albicocca, finanche foglia di tè e fieno. Il sorso è asciutto e vibrante, assai fresco e sapido, è questa una di quelle bottiglie capaci di regalare una bevuta rassicurante, da conservare nella memoria prima che in cantina.

© L’Arcante – riproduzione riservata

Quarto, ritorno a Sud

17 novembre 2014

Vieni a Sud che ci trovi il mare, il sole e la fantasia verrebbe da dire ogni qualvolta ti ritrovi a scrivere qualcosa dopo aver mangiato da Marianna e Pino. Che pure se a Quarto il mare non c’è la mia è una mezza verità che nessuno potrà mai smentire. 

Marianna Vitale, Cuoca dell'anno 2014 per L'Espresso - foto L'Arcante

Marianna Vitale quest’anno ha fatto il botto: è Cuoca dell’anno per la Guida ai Ristoranti d’Italia L’Espresso, Chef donna dell’anno per Paolo Marchi di Identità Golose, dalla Michelin ha visto confermata la sua (luminosa) Stella e il Gambero ne comprova senza mezzi termini la crescita ormai esponenziale; un grande successo insomma, un momento d’oro che si merita tutto e che premia anzitutto il suo talento purissimo, quasi una vocazione, ma anche l’intuizione, il sacrificio enorme di una ragazza che si è letteralmente inventata il lavoro della sua vita. E il bello, pare, deve ancora venire… 

Benvenuto, Cotechino e Friarielli, Fagioli e Scarola - foto L'Arcante

Nell’ultimo mese ci sono tornato due volte, dapprima con un po’ di amici per festeggiare la chiusura della stagione a Capri, poi giusto una settimana fa per conto mio. Due momenti da mettere qui sul diario, due momenti colmi di suggestioni, colori, profumi e di straordinaria gioia, quella che viene fuori da ogni piatto di Marianna grazie anche all’armonia che regna in sala con il buon lavoro di Pino, Carmine e Giannantonio.

Allora si comincia così, con Cotechino e friarielli ed una Zuppa di fagioli cannellini, sconcigli e funghi, due piccoli appetizer di benvenuto. Il Cotechino è quello (artigianale) di Mario Carrabs, il resto è bontà del territorio flegreo.

Minestra di verdure e frutta di stagione... - foto L'Arcante

Uno dei migliori piatti per freschezza ed armonia è la Minestra di mare con verdura e frutta di stagione, uno di quelli nuovi in carta quest’anno. Marianna nei suoi piatti sembra amare molto le spigolature, magari anche sovrapporle, andarci in contrasto ma senza annullarle del tutto. Un segnale di forte vitalità. Come l’uso dell’acidità come una sfida non necessariamente da vincere.

Lumachine di mare - foto L'Arcante

Ci arriva quindi la Zuppa di Maruzzielli, o lumachine di mare, un fuori carta giustamente ‘forte’ che mi riporta all’infanzia e a certe domeniche in cui il vero e proprio ‘spasso’ era tirarle vie dal guscio con l’ago di mamma, stando però attenti a che non te le fregassero una volta ‘pulite’. Piatto di straordinaria succulenza. 

Trebbiano d'Abruzzo 2011 Emidio Pepe - foto L'Arcante

Tra le decine di bottiglie provate, prima in compagnia di amici e poi successivamente con Lilly mi è rimasto impresso più di tutti questo meraviglioso Trebbiano d’Abruzzo 2011 di Emidio Pepe, bianco di grande carattere, a pieno titolo nella storia del vino italiano ma che mancavo di provare da qualche tempo: mi ha conquistato subito, sin dal primo sorso, vibrante e compulsivo, con un naso ampio e suggestivo, pieno di sfumature ed un sapore mascolino e sapido. Sui generis.

Spaghettoni, con Ricci di mare e Bufala, con Cipolla rossa e Lime, Con Alici e pomodoro. L'Impepata - foto L'Arcante

Questo qui potremmo definirlo il trionfo dello Spaghettone: l’abbiamo provato con Ricci di mare e Bufala (1), poi con Cipolla rossa, acciughe e lime (2), infine con Carciofi e colatura di alici (3), grandiosi! Infine l’Impepata¤, il meraviglioso schiaffo alle papille gustative del Mischiato delicato con cozze, pepe e limone (4).

Sgombro e Cos Cous, Vitello Stonnato, il Gran Fritto, Baccalà e Pamigiana - foto L'Arcante

Altro giro altre sensazioni. Molto buono lo Sgombro arrosto,  gazpacho e grano spezzato (1), con la vellutata delicatezza del gazpacho che inchioda le velleità dello sgombro; sapori netti invece con il Vitello Stonnato, già un must qui a Sud, ovvero lingua di vitello con pesce azzurro marinato alla shiso, maionese al pomodoro e polvere di capperi (2).

Quindi Il baccalà e la parmigiana di melanzane (3), forse l’unico piatto che pur buono lascia pensare alla necessità di una rivisitazione, quantomeno nel servizio. Infine Il Gran Fritto (4), quello tradizionale presentato però in tavola con grande garbo e finezza. Una gioia per gli occhi e per la gola.

Calamaretti spillo con Quinto Quarto e nero di Seppia - foto L'Arcante

A chiudere, ancora un fuori carta, Calamaretti spillo con il loro quinto quarto e nero di seppia, forse il piatto più ‘gurmè’ della batteria ma che ai palati più attenti ed esigenti piacerà senz’altro. C’è dentro intuizione e tecnica, fattori che non sfuggono (quasi) mai all’appassionato di turno.

Sud, la Carta dei Vini - foto L'Arcante

Due parole sulla carta dei vini: la cantina di un ristorante negli ultimi dieci anni ha subito cambiamenti epocali, via le carte infinite, quantomeno non sono più il modello da seguire, libroni quasi sempre buoni solo per aumentare di qualche metro quadrato l’ego del patron o sommelier di turno, un cambiamento di rotta che ha dato il là ad un rinnovamento necessario e tangibile anche nei migliori ristoranti ‘stellati’.

Ecco che il lavoro di fino di gente attenta e scrupolosa come Pino, aperta alle novità ma senza strafare, merita rispetto e valorizzazione; Sud ha una carta dei vini che segue pari passo la crescita della sua cucina, continua a girare sulle 250 etichette dove trovano spazio nomi noti ma anche buone chicche, con ricarichi anche abbastanza centrati.

Bene, questo è, sono tornato a Sud con il desiderio di stare bene, me ne sono andato via assaporandone già nuovamente il ritorno. ‘…Però per favore non farlo nuovamente tra due anni’, mi dicono.

Chiacchiere distintive, Marianna Vitale.

Quarto, dietro l’angolo c’è Sud.

Ristorante Sud
Via SS Pietro e Paolo n° 8 Quarto (Napoli)
tel. 081.0202708
www.sudristorante.it
Aperto la sera, domenica e festivi a pranzo Chiuso il lunedì

© L’Arcante – riproduzione riservata

Loreto Aprutino, Montepulciano d’Abruzzo 1995

29 Maggio 2010

Il vino ci salva tutti! Il prelibato nettare gelosamente conservato in ognuna delle ambite bottiglie concede a tutti una chance, ai cultori e agli ignoranti, agli appassionati di lungo corso e ai neofiti, professionisti, millantatori, cronisti, giornalisti o presunti tali, tutti trovano nel vino, nel grande vino in particolare, tutte le risposte alle proprie domande, alle proprie manie, alla propria presunzione; vignerons per la vita o più convenientemente produttori di occasioni, costruttori di falsi miti o egocentrici fanatici – gli “enorchici” li chiamo io -, cioè un po’ enofili, un po’ anarchici, un po’ orchi, a volte un po’ coglioni: il vino, il grande vino, li salva tutti! 

Folco Portinari affermava che né Mario Soldati Giuan Brera, (icone per molti cantori del vino di oggi) si intendevano di vini, o meglio “avevano l’assidua abitudine di sovrapporre al piacere di parlare di vini e di cibi il parlare di se stessi, per cui più che la mera capacità di discernere gli argomenti era il loro irreprensibile istrionismo fabulatorio, la loro irruenza verbale, lo stile a tratti baroccheggiante ed umorale a divenire protagonisti delle loro decantazioni enologiche”. Può non sorprendere quindi che lo stesso Mario Soldati, pur avendo vissuto lungamente l’Abruzzo non abbia mai riportato nemmeno il solo nome di Valentini nei suoi racconti, che pur hanno segnato un passo fondamentale della cronaca enologica del nostro paese. Erano certamente altri tempi e nulla potrà mai dissacrare la potenza comunicativa ci certi mostri sacri, ma nulla di più banale sarebbe continuare a crearne nuovi presunti tali delegando loro, soprattutto agli “enorchici”, il racconto dell’Italia del vino; la leggenda del grande Edoardo Valentini allora, e quella della sua azienda oggi sono legate anche alla loro costante lontananza da certi meccanismi mediatici, quindi non è poi così necessario apparire, soprattutto quando si ha dalla propria l’indiscussa capacità di essere.

E’ un grande vino questo Montepulciano d’Abruzzo ’95, forse non il più grande tra quelli venuti al mondo dalle vigne abruzzesi del compianto Edoardo, ma certamente tra i più anacronistici e forse per questo sorpendenti. Il colore ha conservato una veste rosso rubino con riflessi appena granata, poco trasparente, quasi materico nel bicchiere, ricco di sostanza estrattiva. Il primo naso è lampante di prime note di riduzione, lontano certamente dalle aspettative di neofiti e di chi non conosce la materia che ha tra le mani, ma anche a questi ultimi basterà appena una decina di minuti per rendersi conto di non aver mai bevuto qualcosa di simile e di ripetibile, di aprirsi quindi, come il vino non smetterà mai di fare di qui ad un paio d’ore, a sensazioni olfattive e gustative autentiche, vere, uniche.

I profumi vengono fuori gradualmente, invitanti, coinvolgenti, avvolgenti, costantemente giocati su di un contrasto tanto incomprensibile quanto affascinante, dalla frutta matura a note di tabacco, dalla confettura di amarene e ribes a nuances speziate, da sensazioni animali, terragne e sottili e finissime note minerali. Una marcia lenta verso un ventaglio olfattivo di una complessità entusiasmante. In bocca poi sfodera un carattere di gran classe, entra con estrema morbidezza, il tannino scivola sulle papille gustative completamente risoluto, il nerbo acido è sottile ma presente, il frutto ha di gran lunga la meglio, è prepotente ed intenso, è dolcemente persistente fino a cocludere la sua corsa emozionale in un finale lungo, quasi masticabile, di frutta candita, di cioccolato, di note iodate. Un vino oggi probabilmente nel suo momento migliore, estremamente godibile, vero purosangue italiano, fuori da ogni schema, disegno, trama che non sia strettamente riconducibile alla terra di origine ed al suo più grande interprete.

© L’Arcante – riproduzione riservata

Loreto Aprutino, il Trebbiano 2003 di Valentini

26 aprile 2010

Ci sono certi vini pronti a stravolgerti, sono lì ad aspettarti al varco; tu giochi a fare il ricercatore di sensazioni uniche, volgi lo sguardo altrove e loro sono pronti a scommettere di poterti smentire, addirittura a mani basse. Allora cosa fai? Continui a cercare e qualche volta trovi, bevi, a volte troppo, e credi di aver capito, ci cammini anche le vigne per essere certo di aver ben compreso, ma non hai fatto i conti con l’inatteso, appena dietro l’angolo, così pur rimanendo affascinato da certe sirene rimani della convinzione che c’è qualcosa che non va. No, ti sbagli, è la madre terra, che pulsa ogni volta in maniera nuova, e qui lo senti in ognuno dei sorsi del Trebbiano di Valentini: il 2003 pare a tratti cantare la vigna, la sua unicità!

L’azienda del compianto Edoardo, scomparso di recente, è oggi nelle mani di Francesco Paolo Valentini, è ubicata a Loreto Aprutino, in provincia di Pescara, e si estende per circa duecento ettari di cui sessantaquattro interamente votati alla vite ed altri cinquanta circa destinati alla coltivazione delle olive. Per il giovane Francesco Paolo non è stato certo facile raccogliere l’eredità di un monumento della vitienologia italiana come è stato il padre, in verità non sempre osannato dalla grandeur mediatica specializzata ma pur sempre un uomo che ha fatto la storia, con idee proprie ed uno stile non certamente comune soprattutto in anni durante i quali la maniacale ricerca del vino era del tutto sintetizzabile nella semplice replicabilità e votata all’esile bevibilità, in particolar modo in riferimento ai vini bianchi, parametri questi assolutamente distanti, da sempre, dall’idea di vino della famiglia Valentini.

Il Trebbiano d’Abruzzo rappresenta perlopiù il vino di maggiore produzione dell’azienda, esemplare anche nell’esecuzione di altri due tradizionali vini abruzzesi come il Montepulciano ed il Cerasuolo d’Abruzzo, quest’ultimo davvero particolare soprattutto per l’estrema longevità dimostrata negli anni. Il Trebbiano 2003 ha un colore giallo paglierino con riflessi nettamente dorati e gode ancora di buona luminosità. Il naso non è immediatamente complesso ma lasciandolo respirare soprattutto ad una temperatura di servizio ottimale (12-14 gradi) offre un ventaglio olfattivo davvero delizioso, ampio e variegato, con sentori floreali e fruttati, su tutti fiori di ginestra ed esotiche nuances di ananas, poi ancora albicocca matura, note di burro di nocciola. In bocca è superlativo, al gusto mostra gran carattere, il 2003 è ricordato come un millesimo piuttosto caldo e questo vino in particolare ne ha sofferto soprattutto in fase di maturazione delle uve che sono state raccolte con un deciso ritardo sul calendario vendemmiale. Ciononostante il palato è pervaso da una gradevolissima vivacità gustativa, la beva è ampia, piuttosto grassa eppure fresca ed equilibrata, il finale di bocca risulta copiosamente avvolto in sensazioni salmastre ed accenna un ritorno di frutta candita.

Un grande bianco da bere su piatti importanti, la più grande qualità di un vino del genere sta nella capacità di sostenere benissimo abbinamenti diversi, anche durante tutta una cena, l’intuizione sta nel giocare sapientemente con le temperature di servizio. Fresco sui 10-12 gradi con antipasti di pesci, scottati ma anche salsati, oppure su primi piatti dai sapori iodati (es. con ricci di mare), oppure spingendosi oltre sino ai 14 gradi se si vuole inseguire l’approccio a carni bianche o arrosti di pesce. Un ultimo consiglio, scaraffarlo, se ne gioverebbe non poco!

Questo vino è il nostro vino bianco dell’anno.


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