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Napoli, storica verticale di Taurasi Struzziero: un lungo viaggio nel tempo a caccia di emozioni…

23 Maggio 2011

Ecco una di quelle occasioni di confronto e crescita professionale che mai mi sarei perso di vivere; le ultime settimane di lavoro sono state particolarmente impegnative, dure, volendone sottolineare lo stress fisico, ma una verticale storica come quella messa su dall’amico Luciano Pignataro, che rincorre, indietro nel tempo, dal 2004 al 1977, oltre trent’anni di Taurasi, era un appuntamento da non mancare.

Sull’azienda ci sono poche altre parole da spendere se non la promessa, da parte mia, di continuarla a seguire con maggiore attenzione; chi volesse saperne di più, può dare un’occhiata quiqui   per avere contezza dell’entusiasmo che si palesa dalle note di degustazione che seguono. Bene ribadire forse che Struzziero, dopo solo Di Marzo e Mastroberardino, è la terza azienda per storicità in Irpinia, e che, come solo la concorrente azienda di Atripalda può fare, è ancora capace di offrire tangibilità liquida di annate di Taurasi così lontane nel tempo. Alla sessione di degustazione, coordinata in maniera egregia dal gruppo servizi dell’Ais Napoli, hanno partecipato, con il sottoscritto, Antonio Paolini, storica firma del Messaggero di Roma e grandissimo conoscitore di vini, Alberto Capasso, docente Slow Food, Mario Struzziero, enologo e proprietario dell’azienda di Venticano e naturalmente, in grande forma, Luciano Pignataro.

Taurasi Riserva Campoceraso 2004 (campione da botte) Si offre con grandi aspettative, per molti l’annata è di quelle da ricordare, tra le migliori che si ricordino nell’areale in epoca moderna; qualcuno addirittura la indica come riferimento assoluto, l’inizio del nuovo corso di una denominazione che non si può dire certo avulsa dall’enorme confusione interpretativa venutasi a creare soprattutto nell’ultimo decennio a causa – non a caso – dell’acuirsi della crisi delle vendite; a dire il vero ci aggiungerei anche quel peccato di vanità (leggi improvvisazione) che taluni proprio non si sono fatti mancare. Un bel rubino a vedersi, concentrato e vivace; il primo naso risente ancora della lunga, lunghissima sosta in legno – siamo ad oggi ai sette anni – ma esprime, in maniera quasi disarmante, una integrità e compostezza di eccellente fattura. Sentori fitti e fini di frutta matura carpiti subito appena svolte le nuances tostate, addolciti da spunti alcolici evidenti ma non ingombranti; lentamente poi emergono sentori balsamici e note che sanno di terra: l’imprinting, si direbbe, dei Taurasi di Struzziero; poi il tempo avrà modo di ricomporre a modo il puzzle. Beva asciutta, vigorosa, di ottima persistenza. Finale di sostanza, appena sopra le righe i tannini, in evidenza, crespi ma di pregiata finitura.

Taurasi Riserva Campoceraso 2001 L’ho subito accolto come il migliore della batteria, sin dal primo assaggio passatomi dai bravi sommelier del gruppo Ais di Napoli a cui era affidato il compito di governare la storica sessione di degustazione. Migliore non perché una spanna sopra gli altri, che tranne il ’77 – e per la verità soltanto al naso – erano perfettamente, aggiungo oltre ogni mia aspettativa, integri e godibili; semplicemente, in maniera evidente, quello più vicino, a mio modesto parere, a quel modello di riferimento “tradizionale” che in molti ricercano nel Taurasi. Colore di uno splendido aranciato maturo e vivace, abbastanza trasparente, il primo naso è subito invitante ed inebriante di aromi finissimi di frutta secca, corteccia, spezie e note balsamiche sottili e dolcissime: carrubo, china, pepe bianco e liquerizia. In bocca neppure il tempo di pensarci un attimo, secco, austero, intenso e persistente; tannino in grande spolvero ed equilibrio, non certo un campione di morbidezza, guai a pensarlo dinanzi a certe bottiglie, ma perfettamente bilanciato e pacato nel finale lievemente amaro. Davvero un gran bel bere, sull’immediato ed in prospettiva. 

Taurasi Riserva Campoceraso 1997 Dell’annata si tessono lodi da sempre, per qualcuno addirittura “l’annata del secolo scorso”; personalmente è la prima che ricordi, vissuta, come “grande”. Un riferimento su tutti, che ha ovviamente poco a che spartire con l’aglianico, il Solaia ’97 di Antinori, bevuto in compagnia di splendidi amici, una sera a Santa Cristina, appena dopo aver ricevuto la nomina di “vino dell’anno” da Wine Spectator. Ma torniamo a noi, ovvero al Taurasi di Mario Struzziero. Il colore offre una splendida verve aranciata, trasparente quanto basta per esaltarne le sfumature sull’unghia. Naso inizialmente empireumatico, sporco, ma con la giusta attenzione non si fa certo fatica a riprendere le note lasciate nei calici precedenti; qui ancora sentori evidenti di frutta secca e spezie; poi terra, humus, in lento e finissimo divenire. Palato asciutto, oltremodo austero: l’alcol, come i precedenti sui tredici gradi e mezzo, pare sparito dal contesto ma in effetti qui da padrona la fa l’acidità – viva, espressiva, caratterizzante – ed il tannino, finissimo e infinitamente elegante. Un capolavoro per chi non ha paura delle durezze del Taurasi, per me, che paura non ho, rimane comunque una incollatura sotto alla duemilauno, e non solo per il naso inizialmente scomposto.

Taurasi Riserva 1990 Annata calda, la prima vissuta in prima persona da Mario in cantina; e a distanza di un ventennio ancora in piena evidenza nel bicchiere. Il colore rimane di un aranciato vivo e compiuto, seppur lievemente opaco rispetto ai precedenti, abbastanza trasparente. Il naso è subito dolce, le note di frutta secca e corteccia qui emergono come macerate, liquorose, di finissimo spessore ma un tantino più scontate rispetto ai precedenti ventagli olfattivi. Di tanto in tanto una sbuffata cioccolatosa e ancora di liquirizia. In bocca è secco ed abbastanza caldo, qui l’alcol – come tradizione a quel tempo raggiunge di poco i dodici gradi e mezzo – pare dominare eccessivamente il sorso, che rimane sì di buona persistenza ma esce meno incisivo dei precedenti, più corto, sicuramente meno emozionante pur non essendo affatto scontato. In perfetto stato di conservazione ma probabilmente nella sua fase di compiuta espressività.

Taurasi 1977 L’avessimo beccata tutti quell’unica (credo) bottiglia in quasi perfetto stato di forma saggiata al momento della “verifica tappo”, ne staremmo a parlare in altri termini; ma ahimé così non è stato, e probabilmente non poteva essere altrimenti; a quei tempi, in quegli anni dico, gli obiettivi erano essenzialmente altri e non certo votati alla speranza di ritrovarsi dopo oltre trent’anni a discutere di Taurasi così vecchi. Avendo la capacità di berlo dimenticandone subito il naso intriso di dolci note marsalate, se ne potrebbe trarre un quadro gustativo di tutto rispetto: secco, oltremodo asciutto, in perfetto stato di grazia e compostezza, con un tannino dissolto ma con un nerbo ancora non del tutto sopito. Un bel bere si direbbe, ma null’altro. Al netto, naturalmente, dell’unicità e dell’indimenticabile esperienza.

Qui invece da non perdere il report della brava collega sommelier (e giornalista)  Monica Piscitelli pubblicato in contemporanea su www.lucianopignataro.it. Altre interessanti impressioni le trovate qui su Percorsi Di Vino, il blog di Andrea Petrini.

Paccheri di Gragnano con genovese ed asparagi, con il Lambrusco di Modena di Podere il Saliceto

25 marzo 2011

Una occasione di confronto imperdibile, così ci siamo mossi nell’ideare e realizzare questo piatto omaggio a L’Albone di Gian Paolo Isabella. Molti di voi avranno già sentito parlare della “genovese” che con il ragù rappresenta un altro caposaldo della cultura gastronomica partenopea. Lilly, come sua naturale predilezione, l’ha alleggerita e resa alla portata del Lambrusco Salamino e Corbara di Podere il Saliceto. Gli asparagi segnano la stagionalità di un piatto che in realtà stagione non ha; Un ringraziamento a Gian Paolo per averci concesso questa opportunità, a Daniela e Andrea per l’imbeccata. Quindi, non resta che farci… un in bocca al lupo! (A.D.) 

Ingredienti per 4 persone:

  • 320gr di Paccheri di Gragnano – Pastificio dei Campi
  • 250gr di carne macinata – manzo
  • 4 cipolle bianche
  • 12 punte d’asparagi
  • olio extravergine di oliva q.b.
  • sale q. b.
  • Parmigiano Reggiano

Preparazione: versate dell’olio extravergine di oliva in una padella ed unitevi le cipolle tagliate e fettine, lasciatele appassire e quindi stufare per almeno tre quarti d’ora. Aggiungete poi la carne macinata, lasciate il tutto in cottura ancora per una mezzora aggiustando di sale.

Frattanto tagliate le punte degli asparagi e lavatele accuratamente, passatele in una pentolina e lasciatele sbollentare per circa 15 minuti, non oltre per non dissiparne il valore nutritivo e naturalmente per lasciargli conservare una certa croccantezza, funzionale all’abbinamento col vino.

A questo punto portate in ebollizione dell’acqua salata e buttateci la pasta; ricordatevi che la buona riuscita della preparazione prevede una cottura dei Paccheri di Gragnano al dente. Scolate ed aiutandovi con un coppapasta passate quindi alla composizione dei piatti; con un cucchiaino riempite la pasta con la genovese (sei per ogni piatto è la giusta composizione), tagliate quindi in due le punte d’asparagi e ponetele in circolo nel piatto (ne basteranno tre per ognuno). Completate la preparazione cospargendo un cucchiaio di salsa su ogni piatto ed appena prima di servire, con una grattugiata grossolana di Parmigiano Reggiano.

Il piatto – Paccheri di Gragnano con genovese ed asparagi, 2011: la ricetta punta alla creazione di un piatto che manifesti in fase di degustazione un certo carattere ma che non esprima spigolature eccessive che possano appesantire il palato; i tratti più incisivi della preparazione rivelano quindi almeno tre cardini su cui costruire con L’Albone di Podere il Saliceto un abbinamento degno di nota: la prominente succulenza della genovese, la tendenza dolce della stessa (la cipolla fa la sua parte da leone) e della pasta, naturalmente l’importante persistenza gustativa – oltre che olfattiva – garantita dalle punte d’asparagi appena sbollentate, che assumono, tra l’altro, un ruolo decisivo nel ripulire la bocca ad ogni boccone.

Il vino – Lambrusco di Modena L’Albone: il ricordo di certi lambruschini flaccidi e abboccati non depone quasi mai a favore di chi si prodiga per la valorizzazione di questo storico e valoroso vino emiliano; e se bastassero poche bottiglie di L’Albone per sfangarla ne saremmo certamente felici, ma ahimè so per certo che non è così, ma non disdegno di aspettarmi sempre delle buone nuove dalla splendida Emilia. Ho trovato in questo vino due o tre cosettine che mi sono piaciute parecchio, oltre al colore rubino vivace con sfumature porpora. Un naso delizioso, di quelli classici si direbbe, di mora, frutti rossi maturi, ma anche lievi nuances di erbe officinali. Il primo assaggio poi è sincero, l’approccio disincantato, ma infonde subito l’idea di un vino più arcigno di quanto ci si aspetti. In etichetta marca 12 gradi in alcol (io credo invece che ne abbia almeno un mezzo punto in più), si profitta della carbonica per danzare liberamente al palato, ma di stoffa ce n’è e te ne accorgi al secondo bicchiere: il frutto è croccante, turgido, se ne giova la beva che rimane fluida e succosa ma non certo disattenta, il tannino concede solo una labile e piacevole sensazione, ma la spalla acida c’è e non vuole certo defilarsi, sa che gli tocca un ruolo di primo piano; e noi glielo serviamo, sul piatto s’intende! Ben fatto Gian Paolo, ben fatto…

La nostra Lilly Avallone ha pensato e realizzato questa ricetta in virtù del  concorso indetto da Podere il Saliceto in collaborazione con due blogger d’eccezione, Andrea Petrini di Percorsi Di Vino e Daniela Delogu alias Senza Panna. (A.D.)

L’Albone è in cerca di una ricetta d’autore

9 marzo 2011

Leggevo qualche giorno fa sul blog dell’amico Alessandro Marra di questa simpatica iniziativa messa su da Gian Paolo Isabella di Podere Il Saliceto (leggi anche qui ), in collaborazione con due blogger d’eccezione, Andrea Percorsi Di Vino Petrini e Daniela Senza Panna Delogu. Semmai vi girasse pure a voi, e pensate di avere tutte le carte in regola, quello che occorre sapere per parteciparvi lo trovate qui e qui; trattasi in effetti di preparare una ricettina ad hoc da abbinare a L’Albone, un vino prodotto con uvaggio di lambrusco salamino e sorbara prodotto naturalmente dal – mi dicono – simpaticissimo Gian Paolo Isabella. Che dite, ci proviamo?


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