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Fiano di Avellino 2011 Pietracupa

11 dicembre 2013

Dovessi scegliere tra i fiano di Avellino in circolazione quello con il rapporto prezzo-qualità più sorprendente questo qui di Sabino Loffredo si giocherebbe alla grande il podio più alto.

Fiano di Avellino Pietracupa 2011

L’impianto è solido e promette ancora buona evoluzione, bello già il colore carico e luminoso. A cercare il pelo nell’uovo il profilo organolettico manca forse di quello scatto mordace a cui siamo abituati nei vini di Pietracupa, qui abbastanza sobrio; di certo l’annata è stata letta più che bene, gestita con coraggio nonostante il caldo di quell’anno spingesse molti a vendemmiare in fretta e furia facendo poi vini sostanzialmente più magri e verticali.

Gli ha fatto bene stare in bottiglia, non a caso pare tra i più performanti fiano duemilaundici in circolazione. È un piacere starci col naso nel bicchiere, offre rimandi varietali di grande autenticità e in fin dei conti trovo di giustezza anche il sorso, pulito, rinfrancante, sapido, assai piacevole soprattutto se accompagnato con pietanze poco salsate.

Taurasi Pago dei Fusi ’06 Terredora. Parliamone!

27 Maggio 2013

Per quanto mi riguarda continuerò con molta probabilità a preferirgli il Fatica Contadina, senza alcun dubbio tra i Taurasi di maggior spessore in circolazione, in certe uscite davvero memorabile, vera e propria pietra miliare.

Taurasi Pago dei Fusi 2006

Con circa 200 ettari di vigneto di proprietà sparsi qua e là in Irpinia Terredora è certamente un riferimento di tutto rispetto, una di quelle aziende capaci di riuscire a coniugare grandi numeri a bottiglie in grado di strapparti comunque compiacimento e soddisfazione.

Etichette sulla bocca di tutti ma non sempre in prima pagina; una famiglia, quella dei Mastroberardino, tra l’altro abituata a tenere un profilo basso nonostante la dimensione produttiva attuale faccia pensare ad altro, ed una conduzione aziendale che rimane a misura familiare, con papà Walter saldamente alle redini e Daniela e Paolo a correre qua e là in giro per stare appresso alle pubbliche relazioni ed al mercato ormai chiaramente di livello internazionale.

Rimarcare la forte impronta territoriale dei suoi vini era anche una prerogativa del lavoro del compianto Lucio, il terzo dei fratelli Mastroberardino purtroppo prematuramente scomparso ad inizio di quest’anno. Persona che ha lasciato dietro di sé un grande ricordo, serbato con affetto e stima da tutti, da coloro che l’hanno conosciuto di persona a quelli come me che ne hanno solo sentito parlare in bene, per le sue capacità umane prima che professionali.

Lucio Mastroberardino

I suoi bianchi ad esempio non hanno mai ceduto al fascino della barriques, e i rossi mai sono stati spinti sopra le righe per piacere a tutti i costi, soprattutto i Taurasi, il Fatica Contadina, il Campore Riserva e, per l’appunto, il Pago dei Fusi, uscito la prima volta nel 2003 con l’intento di dare lustro alle vigne di proprietà in Pietradeifusi. Un 2006 dal colore rubino intenso, quasi ombroso, con un naso che è tutto un rincorrersi di fiori passiti e frutti rossi, ciliegia matura, susina, poi nuances tostate, ma anche spezie dolci e tabacco bagnato. Il sorso è gratificante, ricco di materia, asciutto ed appena tannico. Proprio quel vino spesso utile a chi si avvicina per la prima volta al Taurasi.

Il Cupo 2010 di Pietracupa è un grande vino!

3 aprile 2013

Sembra facile lasciarsi andare a facili entusiasmi dinanzi a certe bottiglie, costruirci sopra magari architetture letterarie senza precedenti, talvolta anche impetuose, assai istintive, emozionanti, suggestive.

Campania Fiano 2010 Cupo Pietracupa - foto A. Di Costanzo

Con il Cupo 2010 è ancorché semplice sebbene pienamente ispirato, e continua ad esserlo in maniera perentoria ogniqualvolta mi ci avvicino, da un anno a questa parte, per coglierne le sfumature.

L’ho messo sin da subito tra i miei migliori assaggi dell’anno passato, anzi, il miglior bianco in assoluto passatomi per mano nel 2012¤. Un azzardo forse un anno fa, per un vino se vogliamo in fase embrionale, solo parzialmente espresso, eppure già assolutamente emozionante, teso e vitale con una propulsione gustativa incredibilmente dinamica.

Ha grande stoffa questo fiano di Sabino, sulla carta un igt Campania, per scelta non certo per le origini che stanno sempre là tra quei 3 ettari e mezzo a Montefredane, luogo d’elezione del fiano di Avellino di cui Pietracupa continua ad essere tra i più degni e sicuri interpreti in circolazione. Il duemiladieci¤ si sa, ha consegnato un millesimo di grande prospettiva, vini di notevole consistenza, pregevole tessitura e questo riassaggio conferma con quanto entusiasmo ci si possa aspettare, riuscendone a conservare qualcuna di queste bottiglie, un bianco fuori dal tempo ma a pieno titolo nella storiografia del varietale.

Taurasi Vendemmia 2009| Le mie degustazioni

13 marzo 2013

Con ogni probabilità la 2009 è di quelle vendemmie cui bisognerà attendere almeno due/tre anni ancora prima di capire a pieno quale possa essere una sua reale prospettiva nel tempo. Non mi sorprenderebbe nemmeno, alla luce degli assaggi fatti e quanto scritto poi qui¤, che sia tra quelle annate cui servirà, a torto o a ragione, metterci un bell’asterisco ‘in attesa di revisione’.

Carta geografica del Taurasi docg - foto L'ArcanteFrattanto, queste che seguono, sono le mie personali considerazioni sugli assaggi fatti là a Serino. Tutti i vini di varia provenienza¤ sono stati serviti ‘alla cieca’ – anche quando è stato necessario riassaggiarli – dai sommelier dell’Ais Avellino, cui va il mio personale ringraziamento per qualità del lavoro svolto. Così la mia valutazione:

***** Eccellente **** Ottimo  *** Buono ** Suffic. * Mediocre

Appena 16 i Taurasi 2009 in degustazione, e solo uno ‘da botte’. In entrambi i casi, se non sbaglio, credo sia il numero più basso di etichette mai presenti all’anteprima; affiancate però da un fortunato corollario di secondi vini a denominazione di ricaduta come l’Irpinia Aglianico e l’Irpinia Campi Taurasini ed arricchita da una formidabile sessione di rilettura dei 2008, 2007, 2006.

***/* Taurasi Principe Lagonessa 2009 Amarano, Montemarano – Versante Sud/Alta Valle. E’ Montemarano, con Mirabella Eclano, dati climatici e meteorologici alla mano, che scandisce l’andamento sinusoidale della vendemmia 2009. Proprio a Montemarano si è registrato tra l’altro l’indice più alto di piovosità stagionale con anche diverse problematiche prima e durante la raccolta. Da Montemarano però, strano a dirsi, forse il migliore assaggio tra quelli in batteria. Viene dai 7 ettari in Contrada Torre di Amarano, della famiglia Romano, è il Principe Lagonessa¤. Colore rubino quasi porpora, molto invitante, con un ventaglio olfattivo variegato e abbastanza verticale: frutta rossa matura ma anche segnali iodati, terragni e nuances di caffé e cioccolato. Sorso meno vigoroso del solito ma ben avviato, ha tannini di buona fittezza e notevole lunghezza. L’aspettiamo però più avanti, con un legno più digerito.

***/* Taurasi Radici 2009 Mastroberardino¤, Atripalda – Assemblaggio. Viene in parte dalle vigne storiche di proprietà in Montemarano e in parte da quelle del nuovo suggestivo insediamento a Mirabella Eclano. Colore rubino porpora di rara luminosità. Ha naso franco e dolce, assai invitante, con rimandi ciliegiosi ma anche di mora, con note balsamiche appena sussurrate. Solido il richiamo di frutto al palato, che pare aggraziato e lineare, senza spigolature. Sorso di buonissima fattura, sostenuto da tannini sottili e medio corpo. Tra i migliori assaggi di questa tornata.

***/* Taurasi Mater Domini 2009 Rocca del Principe, Lapio – Assemblaggio. L’azienda di Ercole Zarrella si fa notare negli ultimi anni anzitutto per lo splendido fiano di Avellino¤ di Lapio, ma a quanto pare le intenzioni sono tra le più serie anche con l’aglianico. Buono, nonostante un’annata non proprio sorridente questo duemilanove. Dalla cernita dei 6 ettari di vigna di proprietà per metà a Paternopoli e metà a Taurasi. Colore rubino un poco cupo, naso di pregevole fattura tutto centrato su marasca e viola passita, appena accennate le sfumature speziate. Sorso inizialmente un po’ sospeso, secco e sapido, alla lunga rivela buona fittezza e morbidezza; non graffia ma regala un sorso assai piacevole.

*** Taurasi 2009 Feudi di San Gregorio, Sorbo Serpico – Assemblaggio. Ho ancora sotto al naso e continuo a masticare il Riserva Piano di Montevergine 2008 quando mi decido a riassaggiare, ancora alla cieca, il campione n.18, il 2009 dei Feudi. Inutile stare a spiegare il divario tra i due, ma la chiave di lettura rimane univoca: c’è uno slancio notevole rispetto anche al recente passato nelle ultime uscite degli aglianico, quale che sia il suo posizionamento di mercato, dalla cantina di Sorbo Serpico. Bello il timbro cromatico violaceo, di buona vivacità; naso gioviale, invitante, ciliegioso, con accenni appena speziati. Sorso asciutto, di buona progressione, non particolarmente profondo ma chiaramente ben messo. Da bere.

*** Taurasi 2009 Villa Raiano, San Michele di Serino – Versante Sud/Alta Valle. Dalle vigne in Castelfranci una buona lettura alleggerita e di pronta beva del principe dei rossi italiani. Messa così, analisi dell’annata alla mano, va più che bene, anzi, quasi un lusso. Colore rubino con velate trasparenze, dal naso invitante, sottile, piuttosto varietale e persuasivo: sa di viola, amarena, con accenni tostati ed un timido richiamo di grafite. Sorso pacato, di buona fittezza, dal finale piacevolmente sapido. Da mettere già nei bicchieri.

*** Taurasi 2009 Urciuolo, Forino – Versante Sud/Alta Valle. Questo aglianico viene dai 6 ettari di proprietà divisi tra Contrada Terrone a Montemarano e Contrada Candriano di Castelfranci, vigne di età media tra gli 8-12 anni. Buono il colore rubino fitto ed invitante, corredo aromatico fruttato ed essenzialmente officinale, con allunghi di tabacco e cioccolato. Di buona taglia anche il sorso, polposo, ben tessuto. Ancora un tantino invadente il legno. Opportuno riassaggiarlo tra qualche mese per coglierne a pieno la buona sostanza.

*** Taurasi 2009 Poliphemo Tecce, Paternopoli – Versante Sud/Alta Valle. E’ notoria l’impronta che Tecce tenta di dare ai suoi vini, un’idea forse anche unica da queste parti di pensare l’aglianico. Rimane tuttavia l’ennesima esperienza del vino più difficile da ‘leggere’ all’anteprima tra tutti i 64 campioni in degustazione. Stranamente però, anche il più ‘facile’ da riconoscere alla cieca; non sono bastate infatti tre bottiglie per svelarne a pieno tutte le sfumature. Ossidato il primo assaggio, il secondo appena al limite ma tremendamente segnato da una volatile fuori controllo, alla terza bottiglia punto e a capo. Ce lo siamo potuto godere a pieno solo al banco d’assaggio (durante la pausa pranzo) dove la bottiglia, aperta tra l’altro à la volée ha svelato tutta la buona tessitura e il buon frutto in primo piano; ciononostante però in divenire, da aspettare.

*** Taurasi 2009 Di Prisco, Fontanarosa – Assemblaggio. Meno incisivo del solito il primo assaggio dell’anno del Taurasi che verrà di Pasqualino Di Prisco, convincente però molto più di altri in batteria. Dalle vigne in Fontanarosa e conferimenti da Castelfranci un rosso di colore rubino con buona vivacità. Naso chiaramente un po’ timido, come sovrapposto perciò inespresso ma comunque di buon auspicio: è anzitutto floreale e fruttato di susina e amarena, balsamico in divenire, chiudendo quasi iodato. Sorso di buona grana, secco e di discreta lunghezza. Sapido.

*** Taurasi Opera Mia 2009 Tenuta Cavalier Pepe, Sant’Angelo all’Esca – Valle Centrale/Riva destra del Calore. L’azienda di Milena Pepe conta 40 e più ettari di vigne di cui ben 20 piantati ad aglianico. Nonostante un’annata così così l’enologa di origini belghe ha ben saputo dove e come intervenire portando in bottiglia comunque un buon risultato. Colore rubino di buona integrità con appena accenni di maturità, sgranato sull’unghia del vino nel bicchiere. Naso però molto interessante, accattivante, sa di ciliegia, è balsamico con anche spunti empireumatici. Sorso caldo, avvolgente, di buon nerbo. Mai così ‘leggibile’ all’anteprima il vino della bravissima Milena nonostante fosse ancora una volta un campione da botte.

*** Taurasi 2009 Pietracupa, Montefredane – Quadrante Nord/Riva Sinistra del fiume calore. Conosciuta dai più per i suoi meravigliosi bianchi vibranti e fuori dal tempo Pietracupa continua con una certa buona costanza anche un discreto lavoro sull’aglianico. Da circa un ettaro a Torre Le Nocelle, Sabino Loffredo prova a venir fuori da un millesimo abbastanza controverso, con non pochi chiaroscuri. Non mancano un bel colore rubino e un naso assai mediterraneo, maturo ma elegante, dolce, a tratti quasi confettato. Al palato è pacato, forse un poco troppo ‘caldo’ nonostante si distingua soprattutto per il nerbo chiaramente minerale.

**/* Taurasi Passione 2009 Masseria Murata, Mercogliano – Versante Sud/Alta Valle. Tra le ultime nate in zona, 2005, con uve provenienti da Montemarano, propone una versione forse un po’ comune negli ultimi anni come Taurasi ma di certo non scontata. Vino che ha bisogno anzitutto di un poco di tempo per digerire un legno in questa fase un tantino invadente soprattutto in bocca. Rimane però di buona trama il colore, rubino vivace ed il naso dal timbro efficace, piuttosto invitante: floreale, fruttato, appena dolce e speziato. Manca forse di un po’ di spessore.

**/* Taurasi 2009 Bambinuto, Santa Paolina – Versante Sud/Alta Valle. Il 2009 ci ha consegnato buonissimi Greco di Tufo e da queste parti ne sanno qualcosina visto che il Picoli¤, il bianco di punta di Marilena Aufiero non è passato certamente inosservato alla critica. Così come la voglia di continuare a cimentarsi anche con l’aglianico. Proviene da conferimenti in Montemarano e Castelfranci, ha colore rubino di rara luminosità ed un naso essenzialmente varietale, centrato sul frutto, ma troppo soverchiato dal legno in questo momento. Ne risente il sorso, oggi poco leggibile. Tra qualche mese forse più godibile.

**/* Taurasi 2009 Donnachiara, Montefalcione – Quadrante Nord/Riva Sinistra del fiume calore. Da segnalare un primo passaggio nel bicchiere poco felice, con una chiara predominanza di note ‘ossidative’. Il riassaggio ha invece rimescolato le carte, convinto un po’ di più, rimettendo in primo piano polpa e discreta tessitura. Colore rubino poco trasparente, con accenni subito balsamici, poi di prugna, amarena, tabacco, terra bagnata. Conta riassaggiarlo.

** Taurasi Alta Valle 2009 Colli di Castelfranci¤, Castelfranci – Versante Sud/Alta Valle. Al solito colore piuttosto ricco e vivace, quasi imperturbabile dalle trasparenze. Naso timido, lungamente atteso, anche qui con qualche problema iniziale di volatile troppo alta e lieve predominanza di stucchevoli note di rovere. Sorso caldo, anche intransigente, di grana ruvida, dalla chiusura però un poco amara. Assolutamente da aspettare.

** Taurasi Santa Vara 2009 La Molara, Luogosano – Valle Centrale/Riva destra del Calore. Altro passaggio poco convincente, cui aggiungo una mia personale evidente sorpresa data l’ammirazione per tante passate uscite di Taurasi Santa Vara¤. Ne ho colto un naso un po’ fuori traccia, molto avanti, surmaturo quasi, timidamente terragno ma che non spiega però quali altri sensazioni inseguire. In bocca si offre sgraziato, con un ritorno anche piacevolmente tabaccoso se non fosse per il finale fin troppo amaro. Da ritornarci su al più presto.

** Taurasi Albertus 2009 Di Marzo, Tufo – Versante Ovest/Le Terre del Fiano. Da Lapio, da vigne di 25 anni, una visione abbastanza ‘leggiadra’ della tipologia. Il colore pare infatti un po’ spoglio, quasi aranciato sull’unghia del vino nel bicchiere, col naso giocato inizialmente su sentori di piccoli frutti rossi maturi e da un floreale quasi vellutato. Sorso diluito, poco incisivo, difficile coglierne l’anima in questo momento.

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Qui Taurasi Vendemmia 2008¤.

Qui Taurasi Vendemmia 2007¤.

 Qui Anteprima Taurasi 2005¤.

Taurasi Vendemmia 2013| Una critica autorevole

12 marzo 2013

Non si dica che la manifestazione non sia guardata con sempre maggiore attenzione da parte dei giornalisti del vino di un certo spessore. Mi è parso, anzi, piuttosto ispirato il parterre di questa edizione 2013 di Taurasi Vendemmia¤, cui ho avuto ancora una volta il piacere di prendere parte. Ispirato e pure di un certo respiro ‘internazionale’ quest’anno.

Alla sempre nutrita schiera di giornalisti e blogger italiani si è unito quest’anno anche Daniele Cernilli¤, senza dubbio tra i palati più fini in circolazione. Come sempre molto appassionato invece Carlo Macchi¤, come del resto Gigi Brozzoni del Seminario Veronelli, Monica Coluccia¤ di Bibenda e tanti altri ancora particolarmente accorti nel seguire da vicino le vicende dell’aglianico, dell’Irpinia e della Campania tutta.

A guardare poi attentamente in giro, davvero suggestivi gli accrediti ai giornalisti stranieri. Mi confermano che c’erano, nell’ordine: Benjamin Weinberg¤ di In Vino Veritas – Usa, Tom Maresca¤ di Decanter – Usa, Tom Hyland¤ di The World of Fine Wine, Sommelier Journal e Decanter – Usa, Anders Levander di Livets Goda dalla Svezia, Kuba Janicki¤ dalla Polonia, Wolfgang Schedelberger di Gast.at dall’Austria e Walter Speller¤ per Jancis Robinson blog.

Embè, non so se ne abbiano contezza i produttori, e più in generale il territorio, di quanto sia una rara opportunità una così qualificata finestra sul mondo. Io però una parolina di entusiasmo per chi ci sta mettendo la faccia e tanto duro lavoro di comunicazione in tutto questo la spenderei a prescindere. Forza e complimenti ragazzi, avanti così!

Castelfranci, Taurasi Riserva Alta Valle 2007

5 marzo 2013

Anche per il Taurasi l’annata 2007 è ben nota a tutti per essere stata tra le ultime più calde, eppure sembra consegnarci, soprattutto in aree così chiaramente caratterizzate da un microclima particolare, vini abbastanza equilibrati, con un frutto ben espresso, sempre in primo piano, se vogliamo quindi immediatamente leggibili ma anche dalle buonissime prospettive evolutive.

Taurasi Riserva Alta Valle 2007 Colli di Castelfranci - foto A. Di Costanzo

Colli di Castelfranci¤ è una solida realtà nel panorama irpino, con un vigneto di proprietà di circa 25 ettari di cui ben 20 piantati ad aglianico; siamo sul versante Sud della denominazione, nell’areale forse più particolare della docg con vigne che proprio tra Castelfranci, Montemarano e la vicina Paternopoli vanno sfiorando tranquillamente i 650 metri sopra il livello del mare, con condizioni climatiche, come accennato, assai particolari, quasi da viticoltura di montagna.

Dell’azienda è presto detto: è giovane, dinamica, molto aggressiva sul mercato. La pulizia e la franchezza espressiva dei loro bianchi, a me piace molto ad esempio anche come lavorano il fiano di Avellino, fa il paio con rossi talvolta ruvidi, arcigni ma pur sempre di ragguardevole fruibilità degustativa, tra l’altro tutte le volte riconoscibilissimi e proposti con un rapporto qualità-prezzo molto fortunato. Non a caso proprio il loro Taurasi “base” rimane tra i più interessanti di quelli a buon mercato.

Di notevole levatura è anche questo Riserva Alta Valle 2007, dal naso ricco di fascino e dalle spalle belle larghe per sopportare, secondo me con una certa tranquillità, tanti anni a venire. Il timbro è quasi violaceo, fitto e profondo. Dai primi sentori di prugna, poi marasca e ribes nero si va quasi subito su note più intransigenti di tabacco bagnato, caffé in polvere e liquerizia. Il sorso è ricco di sostanza, poderoso e lungo, con un ritorno assai costante sul frutto; il tannino poi, ruvido e graffiante com’è sembra quasi masticarlo nonostante il controcanto dei 15 gradi in alcol. Va bevuto con attenzione questo Taurasi, forse anche con moderazione, magari ben accompagnato in tavola, ma senza dubbio va bevuto, e con grande piacere.

© L’Arcante – riproduzione riservata

Quintodecimo, a casa di Laura e Luigi

23 febbraio 2013

I passaggi¤ a Quintodecimo non sono mai ripetitivi, mi portano bene e danno ogni volta quella scossa necessaria per cogliere al meglio quelle nuove prospettive necessarie in un mondo sempre troppo avvitato su se stesso. Il piacere di stare assieme, le storie, la musica, quella dell’anima, alla fine ci salvano tutti!

Luigi Moio, Quintodecimo - foto A. Di Costanzo

Ne lascio qualche traccia non per pavoneggiarmi dell’amicizia di Laura e Luigi, persone per bene, disponibili ed intelligenti quanto basta per fare di ogni attento visitatore il migliore degli ospiti possibili, ma per anticipare a quegli stessi appassionati che vorranno andarci prossimamente, una o due cose abbastanza rilevanti con in più un paio di novità da non mancare.

La prima cosa è che l’azienda è sempre più bella, pure quando la vigna è spoglia, con la cantina, ordinatissima e suggestiva, praticamente vuota! Nel senso che a parte le vasche e i legni con le nuove annate in affinamento e le riserve di Taurasi in elevazione, niente, non v’è traccia di bottiglie se non quelle di prossima uscita in Marzo; e l’archivio storico naturalmente, che però, da quanto confessato da Laura, bene farebbe Moio a tenersele sottochiave. In tempo di crisi, direi che non è poco.

Quintodecimo, passaggio in cantina - foto A. Di Costanzo

La seconda constatazione – che poi sono due – sta nell’aver colto, durante gli assaggi dei cru 2011 in bottiglia e 2012 in affinamento tra vasche e legno, un “alleggerimento” sostanziale del sorso a favore però di una profondità gustativa di notevole rilevanza, così, d’emblé, assai più immediatamente incisiva al primo assaggio che nelle precedenti uscite. Un vero schiaffo!

Ne sono testimonianza, nella loro chiara diversità, la falanghina Via del Campo duemilaundici che sembra avere già tutti i numeri a posto per sparigliare le carte in tavola: luminosa, verticale, ineccepibile e l’Exultet 2012, la cui parte in affinamento in legno sembra chiaramente “urlare” di finire in bottiglia sin d’ora così com’è. Non a torto (nostro).

E’ chiaro che questi ultimi 5 anni sono serviti al Professore per avere piena contezza di quanto dicessero le sue idee e le scelte portate avanti con ragionevole fermezza; che, per coglierne sommariamente una vaga idea basterebbe riassaggiare il sorprendente Exultet 2006¤, il primo, per comprendere a pieno quanto il fiano, ma lo stesso aglianico¤ o il greco, la falanghina nelle mani di Moio avranno tanto da dire soprattutto nei prossimi anni a venire. Una roba da non credersi, un vino in grande forma, sbocciato imperiosamente ed in piena voluttà espressiva.

Fiano di Avellino Exultet 2006 Quintodecimo - foto A. Di Costanzo

Dicevo poi delle novità: una è l’arrivo ormai imminente del secondo cru di Taurasi Riserva, il Grande Cerzito¤ 2009 in uscita si pensa il prossimo novembre 2013, di cui però, come sugli altri rossi, scriverò dettagliatamente a breve; l’altra è l’acquisto di tre ettari e mezzo di vigna a greco nel cuore di Tufo, l’anima più antica forse della denominazione che sarà del Giallo d’Arles¤, quel campione di cui da un paio d’anni faccio davvero fatica a stare senza. Cru era, da una sola vigna di Santa Paolina, cru rimarrà, ma ora, finalmente, di proprietà. Che dopo l’impianto di qualche anno fa proprio a Mirabella Eclano di falanghina (il 2011 già reca in etichetta l’Irpinia doc) ed il consolidamento della conduzione in Lapio con la vigna che da vita all’Exultet, sembra chiudersi il cerchio magico dei domaines di Quintodecimo.

Poi vabbè, ci sarebbe da dire di quel Metamorphosis, ma questa è un’altra bella storia non ancora da svelare.

Venticano, Taurasi Riserva Campoceraso 2001

31 Maggio 2011

Bisogna augurare al Taurasi di non avere mai successo, per non avere fretta di rincorrere il mercato e rifuggire quel giusto tempo di maturazione di cui ha maledettamente bisogno. Il successo commerciale, com’è noto, porta all’estremo tentativo di ripeterlo pedissequamente, riproponendosi frettolosamente – a volte ciechi – dinanzi alle solite aspettative, non di fronte all’attimo fuggente. I tempi del resto sono quelli che sono.

D’altro canto il consumatore meno appassionato si aspetta che anche certi vini, certe tipologie, sappiano offrire di se sempre qualcosa di familiare, una ripetitività che tra l’altro nessuno dice di inseguire ma che in fin dei conti piace a molti, troppi, quasi tutti; poi c’è chi pretende anche che si presentino delle novità, purché non troppo distanti dalla consuetudine, efficaci ma non necessariamente plasmate su sostanziali diversità. Basta la facciata, il primo naso magari; così l’enologo, esperto o furbetto, vedete voi, può inserire qualcosa di suo, di nuovo, discretamente diverso, capace magari di richiamare comunque la tradizione. In fin dei conti, non è il gioco della convenzione e dell’innovazione, della familiarità e della novità la ricetta perfetta per avere successo?

Struzziero, i suoi Taurasi, che conoscevo abbastanza pur non così in profondità, sembrano piombati in Irpinia da un altro pianeta, eppure ne rappresentano da sempre l’essenza; proprio loro sono stati infatti tra i primi, assieme a Di Marzo e Mastroberardino, ad “esportare il territorio” fuori dai confini locali, addirittura oltreoceano; Eppure rimangono così lontani – Giovanni, Mario, i loro vini stessi – da quanto appena paventato; distanti anni luce da tutta quella chirurgia estetica a cui molti sono ricorsi negli ultimi anni per stare dietro al mercato: un affanno incredibile; talvolta esortati, è bene rammentarlo, anche da chi, cosciente o meno, autodefinitosi finissimo scouter (evidentemente di primo pelo) pare capace di cogliere nuovi profeti ovunque, anche laddove altri ne avevano colto egregi vignaioli bravi il giusto per guadagnarsi la copertina in un’annata fortunata.

E come dimenticare l’assoluta incapacità di comunicarli certi valori; ricordo come fosse ieri le parole di un noto enologo di una nota cantina taurasina che in quel del Castello Marchionale, durante una delle ultime anteprime andate in scena, tirò fuori dal cilindro – mentre parlava ad un parterre di giornalisti, operatori ed appassionati alcuni dei quali provenienti da tutta Italia – una frase che più o meno recitava così: “abbiamo bisogno di una mano, il nostro aglianico soffre il mercato, non incontra il gusto moderno del vino, vorremmo capire come fare, abbiamo le cantine piene”. Poco più in là, giusto un paio di file indietro a me, mi parve di cogliere un sibilo fulmineo, netto: “ma che è pazzo questo?”. Insomma, un disastro!

Comunque, grande vino questo vino, immediatamente fatto mio! L’ho subito accolto come il migliore della batteria, sin dal primo assaggio passatomi dai bravi sommelier del gruppo Ais di Napoli a cui era affidato il compito di governare la storica sessione di degustazione andata in scena lo scorso 22 maggio a Castel dell’Ovo durante l’ultimo Vitigno Italia.

Migliore non perché emergesse per qualche particolare sopra gli altri, che a dire il vero tranne il ’77 – per la verità soltanto al naso – erano perfettamente integri e godibili; semplicemente, in maniera evidente, pare incarnare, a mio modesto parere, quel modello più vicino al riferimento tradizionale che in molti, tra gli appassionati, gli addetti ai lavori, promuovono del Taurasi. Il colore è di uno splendido aranciato maturo e vivace, abbastanza trasparente; il primo naso è subito invitante ed inebriante di aromi finissimi di frutta secca, corteccia, spezie e note balsamiche, sottili e dolcissime: carrubo, china, pepe bianco e liquerizia. In bocca neppure il tempo di una esitazione: secco, austero, intenso e persistente; tannino in grande spolvero ed equilibrio, non certo un campione di morbidezza, guai a pensarlo dinanzi a certe bottiglie, ma perfettamente bilanciato e pacato con un finale appena lievemente amarognolo. Davvero un gran bel bere, sull’immediato e, senza indugio alcuno, in prospettiva.

Questa recensione esce in contemporanea su www.lucianopignataro.it.

Napoli, storica verticale di Taurasi Struzziero: un lungo viaggio nel tempo a caccia di emozioni…

23 Maggio 2011

Ecco una di quelle occasioni di confronto e crescita professionale che mai mi sarei perso di vivere; le ultime settimane di lavoro sono state particolarmente impegnative, dure, volendone sottolineare lo stress fisico, ma una verticale storica come quella messa su dall’amico Luciano Pignataro, che rincorre, indietro nel tempo, dal 2004 al 1977, oltre trent’anni di Taurasi, era un appuntamento da non mancare.

Sull’azienda ci sono poche altre parole da spendere se non la promessa, da parte mia, di continuarla a seguire con maggiore attenzione; chi volesse saperne di più, può dare un’occhiata quiqui   per avere contezza dell’entusiasmo che si palesa dalle note di degustazione che seguono. Bene ribadire forse che Struzziero, dopo solo Di Marzo e Mastroberardino, è la terza azienda per storicità in Irpinia, e che, come solo la concorrente azienda di Atripalda può fare, è ancora capace di offrire tangibilità liquida di annate di Taurasi così lontane nel tempo. Alla sessione di degustazione, coordinata in maniera egregia dal gruppo servizi dell’Ais Napoli, hanno partecipato, con il sottoscritto, Antonio Paolini, storica firma del Messaggero di Roma e grandissimo conoscitore di vini, Alberto Capasso, docente Slow Food, Mario Struzziero, enologo e proprietario dell’azienda di Venticano e naturalmente, in grande forma, Luciano Pignataro.

Taurasi Riserva Campoceraso 2004 (campione da botte) Si offre con grandi aspettative, per molti l’annata è di quelle da ricordare, tra le migliori che si ricordino nell’areale in epoca moderna; qualcuno addirittura la indica come riferimento assoluto, l’inizio del nuovo corso di una denominazione che non si può dire certo avulsa dall’enorme confusione interpretativa venutasi a creare soprattutto nell’ultimo decennio a causa – non a caso – dell’acuirsi della crisi delle vendite; a dire il vero ci aggiungerei anche quel peccato di vanità (leggi improvvisazione) che taluni proprio non si sono fatti mancare. Un bel rubino a vedersi, concentrato e vivace; il primo naso risente ancora della lunga, lunghissima sosta in legno – siamo ad oggi ai sette anni – ma esprime, in maniera quasi disarmante, una integrità e compostezza di eccellente fattura. Sentori fitti e fini di frutta matura carpiti subito appena svolte le nuances tostate, addolciti da spunti alcolici evidenti ma non ingombranti; lentamente poi emergono sentori balsamici e note che sanno di terra: l’imprinting, si direbbe, dei Taurasi di Struzziero; poi il tempo avrà modo di ricomporre a modo il puzzle. Beva asciutta, vigorosa, di ottima persistenza. Finale di sostanza, appena sopra le righe i tannini, in evidenza, crespi ma di pregiata finitura.

Taurasi Riserva Campoceraso 2001 L’ho subito accolto come il migliore della batteria, sin dal primo assaggio passatomi dai bravi sommelier del gruppo Ais di Napoli a cui era affidato il compito di governare la storica sessione di degustazione. Migliore non perché una spanna sopra gli altri, che tranne il ’77 – e per la verità soltanto al naso – erano perfettamente, aggiungo oltre ogni mia aspettativa, integri e godibili; semplicemente, in maniera evidente, quello più vicino, a mio modesto parere, a quel modello di riferimento “tradizionale” che in molti ricercano nel Taurasi. Colore di uno splendido aranciato maturo e vivace, abbastanza trasparente, il primo naso è subito invitante ed inebriante di aromi finissimi di frutta secca, corteccia, spezie e note balsamiche sottili e dolcissime: carrubo, china, pepe bianco e liquerizia. In bocca neppure il tempo di pensarci un attimo, secco, austero, intenso e persistente; tannino in grande spolvero ed equilibrio, non certo un campione di morbidezza, guai a pensarlo dinanzi a certe bottiglie, ma perfettamente bilanciato e pacato nel finale lievemente amaro. Davvero un gran bel bere, sull’immediato ed in prospettiva. 

Taurasi Riserva Campoceraso 1997 Dell’annata si tessono lodi da sempre, per qualcuno addirittura “l’annata del secolo scorso”; personalmente è la prima che ricordi, vissuta, come “grande”. Un riferimento su tutti, che ha ovviamente poco a che spartire con l’aglianico, il Solaia ’97 di Antinori, bevuto in compagnia di splendidi amici, una sera a Santa Cristina, appena dopo aver ricevuto la nomina di “vino dell’anno” da Wine Spectator. Ma torniamo a noi, ovvero al Taurasi di Mario Struzziero. Il colore offre una splendida verve aranciata, trasparente quanto basta per esaltarne le sfumature sull’unghia. Naso inizialmente empireumatico, sporco, ma con la giusta attenzione non si fa certo fatica a riprendere le note lasciate nei calici precedenti; qui ancora sentori evidenti di frutta secca e spezie; poi terra, humus, in lento e finissimo divenire. Palato asciutto, oltremodo austero: l’alcol, come i precedenti sui tredici gradi e mezzo, pare sparito dal contesto ma in effetti qui da padrona la fa l’acidità – viva, espressiva, caratterizzante – ed il tannino, finissimo e infinitamente elegante. Un capolavoro per chi non ha paura delle durezze del Taurasi, per me, che paura non ho, rimane comunque una incollatura sotto alla duemilauno, e non solo per il naso inizialmente scomposto.

Taurasi Riserva 1990 Annata calda, la prima vissuta in prima persona da Mario in cantina; e a distanza di un ventennio ancora in piena evidenza nel bicchiere. Il colore rimane di un aranciato vivo e compiuto, seppur lievemente opaco rispetto ai precedenti, abbastanza trasparente. Il naso è subito dolce, le note di frutta secca e corteccia qui emergono come macerate, liquorose, di finissimo spessore ma un tantino più scontate rispetto ai precedenti ventagli olfattivi. Di tanto in tanto una sbuffata cioccolatosa e ancora di liquirizia. In bocca è secco ed abbastanza caldo, qui l’alcol – come tradizione a quel tempo raggiunge di poco i dodici gradi e mezzo – pare dominare eccessivamente il sorso, che rimane sì di buona persistenza ma esce meno incisivo dei precedenti, più corto, sicuramente meno emozionante pur non essendo affatto scontato. In perfetto stato di conservazione ma probabilmente nella sua fase di compiuta espressività.

Taurasi 1977 L’avessimo beccata tutti quell’unica (credo) bottiglia in quasi perfetto stato di forma saggiata al momento della “verifica tappo”, ne staremmo a parlare in altri termini; ma ahimé così non è stato, e probabilmente non poteva essere altrimenti; a quei tempi, in quegli anni dico, gli obiettivi erano essenzialmente altri e non certo votati alla speranza di ritrovarsi dopo oltre trent’anni a discutere di Taurasi così vecchi. Avendo la capacità di berlo dimenticandone subito il naso intriso di dolci note marsalate, se ne potrebbe trarre un quadro gustativo di tutto rispetto: secco, oltremodo asciutto, in perfetto stato di grazia e compostezza, con un tannino dissolto ma con un nerbo ancora non del tutto sopito. Un bel bere si direbbe, ma null’altro. Al netto, naturalmente, dell’unicità e dell’indimenticabile esperienza.

Qui invece da non perdere il report della brava collega sommelier (e giornalista)  Monica Piscitelli pubblicato in contemporanea su www.lucianopignataro.it. Altre interessanti impressioni le trovate qui su Percorsi Di Vino, il blog di Andrea Petrini.

Montefalcione, Vino della Stella 2009 Joaquin

23 aprile 2010

Chisto è pazzo! Inutile nasconderlo, è stato il primo pensiero che mi ha assalito quando l’ho conosciuto, a Capri, un mattinata estiva di giugno quando mi è venuto a trovare al Capri Palace per lasciarmi un saluto.

Era sull’isola azzurra con il suo enologo Sergio Romano per “visionare” alcuni vigneti dai quali trarre spunto per un nuovo progetto, molto ambizioso (oggi di prossima uscita, del quale però ne parlerò tra qualche settimana) per dare nuova linfa ad una viticoltura isolana un tantino assopita negli ultimi decenni. In effetti a guardar bene le idee messe in campo negli ultimi quattro anni da Raffaele nel suo personalissimo arcipelago Joaquin, l’ambizione, e in taluni casi la sfrontatezza, sembrano essere l’essenza vitale che riesce a tenere ancora labile la sottile linea che passa velocemente tra l’estrema ratio costruttiva del Pagano vigneron alla totale impulsività, ecco la pazzia, dell’artista creativo che rincorre l’opera perfetta e non esita a cercarla.

Raffaele è un vulcano in piena eruzione, e come un vulcano difficilmente accetta ostacoli insormontabili, le sue sono intuizioni folgoranti e idee talvolta estreme ma pur sempre espressioni di un ideale proprio, vero, autentico; Prendete ad esempio la vinificazione in bianco dell’aglianico, qualcuno ha fatto proclami, anche fuori regione, del proprio azzardo, ma in effetti di aglianico in certi vini vi era una bassissima percentuale, giusto quella per far gridare alla geniale primogenitura. “L’unico bianco con base 100% aglianico (di Taurasi!) è I Viaggi 2006 di Joaquin, perché io non credo alle mezze misure, ma, se vi sono, alle reali opportunità”. Non vi basta? Pensate allora all’utilizzo dei legni per la fermentazione e/o l’affinamento dei vini bianchi: in genere cavalcando l’onda di “tutti pazzi per il rovere” ne abbiamo visti di tutti i colori, a volte scempi inauditi, il Pagano s’impone di usare l’acacia, perché? “Perché è più prezioso, cede poco o niente al vino e pertanto il mosto che ci finisce dentro deve averne di carattere per uscirne glorificato”; non ha tutti i torti, il legno, come spesso ripete anche Luigi Moio, è un mezzo, non il fine, ma da questo malinteso di fondo in molti per troppo tempo hanno pensato alla barrique non come strumento di valorizzazione ma come artefice di caratterizzazione, un errore tra i tanti, che hanno fatto passare per buoni certi concetti stereotipati e vecchi già prima di nascere.

Il Vino della Stella 2009 è un Fiano di Avellino (in questi giorni in commissione d’esame della docg in attesa di approvazione), nasce dalle vigne in Montefalcione, sul versante che affaccia su Lapio (nello specifico, in linea d’aria, proprio di fronte alle vigne giardino di Clelia Romano), vendemmiato, per essere precisi, il 27 di Ottobre 2009 da un appezzamento di circa un ettaro e mezzo che ha dato solo 6620 chilogrammi di uve fresche, vinificate esclusivamente in acciaio (in serbatoi costruiti su richiesta in formato 1 a 1, vale a dire con superficie di contatto delle bucce quanta più ampia possibile) e dalle quali si sono ottenuti circa 4700 litri di vino, più o meno 6200 bottiglie circa.

E’ un vino intrigante, veste di giallo paglierino tenue ma di ottima vivacità, il naso ha bisogno di tempo, per cui lo lasciamo scorrere nel bicchiere e ad ogni sniffata ci accorgiamo della leggera virata, dall’erbaceo iniziale al floreale e fruttato conseguente, spiccate le note verdi che ricordano l’erba falciata, ma appena dopo un po’ ancora più affascinanti i profumi di melone bianco e fiore di tiglio che richiamano l’idea di un vino in continuo divenire. In bocca è secco, l’ingresso è fresco ed abbastanza caldo, cerco conferma della sua struttura alcolica e ne ho certezza, sopra i tredici e mezzo, eppure gradevolissimo. Adesso la temperatura è più alta e le note olfattive entrano in una orbita più fragrante rimarcandone piacevoli sensazioni dolci e morbide.

E’ certamente un azzardo delinearne adesso un profilo organolettico ineccepibile, lungi da me, ma credo sia un vino di buona stoffa, e tra qualche tempo sarà capace di esprimere un equilibrio ed una piacevolezza da vero campione, e senza dover aspettare due-tre anni dalla vendemia: ecco, ci sono! Forse questo fiano di Avellino non possiederà una prospettiva verticale assoluta ma dona certamente di sé già una immagine diversa dalle rincorse alle mineralità alsaziane o dalle sfaccettature tropicali di certi fiano cotti dal sole: ma certo, la terza via, possibile che esista una terza via che si divincoli dalle acidità marcate o svolti drasticamente dalle morbide curve dell’obesità californiana? 


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