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9 luglio 2020
Non è possibile raccontare questo vino senza averlo vissuto sino in fondo, non solo sino all’ultimo coinvolgente sorso nel bicchiere, le due ultime dita nella bottiglia, bensì ritornando alla sua nascita, ripercorrendo questi anni.

Bisognerebbe quindi cominciare da là, tornando indietro nel tempo, a quell’anno, provare per quanto possibile a riavvolgere il nastro della nostra vita e ricordarlo quel tempo, quei mesi, certi giorni, alcuni momenti in particolare.
E’ stato un anno importante il duemilanove, segnato da cambiamenti epocali, per la storia del mondo e in qualche maniera, a piccoli sorsi, per chi scrive: a gennaio Barack Obama giurava da 44º Presidente degli Stati Uniti, davanti a più di due milioni di persone che avevano letteralmente invaso Washington DC per assistere al giuramento del primo Presidente americano di colore; il 6 Aprile invece l’Italia è sottoshock: alle 3:32 una scossa di terremoto di magnitudo 6.3 fa tremare la Provincia dell’Aquila (e non solo) causando vittime, feriti, sfollati e il crollo di molti edifici. Una tragedia immane che ha risvegliato in molti italiani paure e traumi mai spariti del tutto, ma anche orgoglio e dignità.
Qualche settimana più tardi, una scossa più o meno della stessa intensità scuoterà invece la mia vita professionale, provavo a rimettermi profondamente in discussione approdando a Capri (Leggi Qui). Ad ogni modo, fatte ovvie le giuste proporzioni, fu quello un anno particolarmente intenso!
Proprio a novembre di quell’anno, a fine stagione, torno a Masseria Felicia, a Carano, in località S. Terenzano, una piccola frazione di Sessa Aurunca, il primo comune per estensione della provincia di Caserta (e della Campania) per ritrovare Maria Felicia e i suoi splendidi Falerno del Massico. Una casa dei primi del novecento che il nonno rilevò nel dopoguerra, vi era stato per tanti anni colono ed unico conduttore dei terreni, così il papà di Maria Felicia, Alessandro Brini, si convinse che era venuto il tempo di riscattare la storia di quegli anni e consegnarla nelle mani della giovane figlia; il susseguirsi delle stagioni, con i suoi ritmi, ha poi tracciato lentamente il solco famigliare sino ai giorni nostri.
Maria Felicia fa sostanzialmente un solo vino, il Falerno del Massico, che assume varie anime nella rincorsa alla natura di questo territorio straordinario, Bianco perchè tratteggiato con i colori della Falanghina, Rosso quando animato dall’Aglianico e dal Piedirosso, nella versione giovane (e sfrontato) col nome Ariapetrina, mentre diviene irreprensibile e immortale con l’Etichetta Bronzo¤. Oltre questi qua, nulla di stravagante, poche, pochissime bottiglie di altro ma giusto per dare libero sfogo ad uno studio approfondito sul potenziale delle tre varietà impiantate in azienda, un esercizio tecnico sul tema autoctono che conduce talvolta a utili micro vinificazioni, colmate dalla passione, per esempio del Piedirosso in purezza, anche qui capace di ritagliarsi, di tanto in tanto, il suo piccolo ruolo da solista.
Eccola invece la forza evocativa di questo Ariapetrina duemilanove, lo scugnizzo di casa per Maria Felicia; il rosso giovane e sfrontato che a sentirlo oggi, a distanza di quasi 11 anni, pare proprio non temerlo il tempo, le stagioni, i suoi ritmi, ci arriva così nel bicchiere maturo ma sicuro di sé, della sua storia, della sua stoffa, del suo talento capace di attraversare le insidie degli anni migliorandosi. Non è mera celebrazione, tutto sembra scorrere chiaramente in ogni bicchiere, riempiendo i calici di frutta e sensazioni odorose delle più ampie ed eteree, con sorsi asciutti e caldi, con ancora tanta piacevole freschezza gustativa, tratto distintivo di tutti i vini di Masseria Felicia, con quella spalla acido-tannico utile per abbracciare abbinamenti con molti piatti della nostra cucina tradizionale regionale, con la certezza di ritrovare ad ogni sorso almeno un pezzo di noi stessi, di averla vissuta proprio tutta la nostra storia di questi anni, ma che bello rivederla!
Leggi anche Falerno del Massico Etichetta Bronzo 2013 Qui.
Leggi anche Piccola Guida ragionata al Falerno del Massico Qui.
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22 Maggio 2020
Dal 16 Giugno proseguono gli appuntamenti #sommelierathome con ASPI, con 3 interessantissimi incontri sulla Campania, i suoi territori e i suoi vitigni, con alcuni tra i più apprezzati protagonisti del vino e il nostro Angelo Di Costanzo.

Durante gli incontri verrà degustato un vino che rappresenta le tipicità del vitigno o del territorio oggetto della lezione, con l’intervento in diretta anche del produttore. L’iscrizione da diritto a:
– 3 incontri sulla Campania
– 3 bottiglie comodamente a casa tua
– Streaming con il sommelier Angelo Di Costanzo e 3 produttori
– Attestato di partecipazione al termine del minicorso
– Uno speciale gadget ASPI per ogni partecipante

16 Giugno – ore 20.30 – I Campi Flegrei, dove nascono i vini del vulcano. Alla scoperta di una delle aree viticole più suggestive della provincia di Napoli, dove nascono vini particolarmente autentici prodotti su sabbie vulcaniche e da vigne a piede franco, in un contesto di grande valore storico e culturale. Degustazione di Falanghina Campi Flegrei Settevulcani con il produttore Salvatore Martusciello.

23 Giugno – ore 20.30 – Falerno del Massico, duemila anni di storia sulla bocca di tutti. Il grande vino della provincia di Caserta, che può essere senz’altro annoverato come il primo vino doc della storia. Un viaggio immersi in un territorio unico e particolare, dalle tante anime. Degustazione di Falerno del Massico Ariapetrina di Masseria Felicia con la produttrice Maria Felicia Brini.

30 giugno – ore 20.30 – Il Greco di Tufo, il grande bianco dell’Irpinia. Caratteristiche di un territorio straordinario, situato nel cuore dell’Irpinia e di un vino prodotto in soli 8 comuni del circondario di Tufo da cui la docg prende il nome, un vino moderno e proiettato nel futuro. Degustazione del Greco di Tufo Cutizzi di Feudi di San Gregorio con il produttore Antonio Capaldo.
Non perdete questa occasione di avere un sommelier ed un produttore a casa vostra, fate domande, soddisfate le vostre curiosità affidandovi ai professionisti per il migliore approccio al vasto e meraviglioso mondo della Sommellerie italiana.
Iscrivendovi a questo percorso alla scoperta dei territori e dei vini della Campania riceverete comodamente a casa le tre bottiglie che degusterete insieme, in diretta, con il sommelier e il produttore. Questo percorso ha un costo di 85€ (75€ per i soci ASPI in regola con la quota annuale) e iscriversi é molto semplice, basta mandare una mail a info@aspi.it. Ad iscrizione confermata, vi verrà fornito il link da cui potrete seguire la diretta con l’app Zoom.
Non perdete questo speciale approfondimento sulla Campania e continuate a seguire ASPI – l’Associazione della Sommellerie Professionale Italiana, sono in arrivo altri interessanti appuntamenti con gli hashtag #sommelierathome #aspi #sommelier #formazioneonline.
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Tag:antonio capaldo, aspi, aspicampania, campania, campi flegrei, falerno del massico, feudi di san gregorio, formazione, formazioneonline, greco di tufo, maria felicia brini, masseria felicia, professione, salvatore martusciello, Salvatore Martusciello Wines, sommelier, sommelierathome
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17 luglio 2019
Con collaborazione musicale (identificata anche con il termine inglese featuring), si indica nell’industria musicale la collaborazione di un artista in una canzone solitamente eseguita da altri. Tale collaborazione può essere più o meno estesa e riguardare il solo ritornello o porzioni più ampie del brano.

Prendendo spunto da alcuni riuscitissimi, tra gli ultimi ricordiamo l’accoppiata Rovazzi-Morandi che ha riscosso davvero un grande successo, che bello sarebbe raccontare di vino mettendo assieme due o più anime di un territorio pur caratterizzate tra loro da identità e storie diverse.
Di recente, qualcosa del genere nel vino accade ad esempio con Generazione Vulture, in Basilicata, ed il messaggio ci pare estremamente positivo per il futuro non solo dei vini di quella regione ma anche e soprattutto per i vini del sud. Ci sono state, e ci sono ancora in giro, diverse iniziative e prestigiose collaborazioni di vini fatti ”insieme”, ma iniziative corali come queste, dove ognuno conserva sì la propria unicità ma mette a disposizione degli altri e del suo territorio la propria storia e l’esperienza, riescono secondo noi a veicolare meglio il messaggio che non vuole e non deve essere esclusivamente di carattere commerciale ma bensì di promozione vera di tutto un areale nel suo insieme.
Che bello sarebbe, ad esempio, che anche in certi luoghi qui in Campania, in particolare in certe denominazioni spesso caratterizzate da piccole produzioni si potesse fare la stessa cosa. Solo così, forse, cresce meglio un territorio.
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5 aprile 2019
Siamo a stati a Campania Stories, l’evento che puntualmente ormai ogni anno accompagna il debutto dell’ultima annata e molte delle nuove uscite dei bianchi e dei rossi campani e, con essi, prova a prendere per mano giornalisti ed appassionati provenienti da tutto il mondo portandoli in giro per le cinque province della regione alla scoperta di terre, vigne e persone.

Pur senza addentrarci troppo in classifiche e didascalie, proviamo però a raccontare la nostra sugli assaggi che, tra i moltissimi buoni, ci hanno impressionato di più. A dirla tutta, di alcuni ve ne abbiamo già scritto nei mesi scorsi – trovate il link seguendo questo simbolo ¤ in evidenza, ndr -, di altri scriveremo magari più in là, frattanto proviamo a fissare bene in mente, con una o due parole, nomi, cognomi e provenienze.
Anzitutto due righe sulla vendemmia 2018. Qui in Campania è stata caratterizzata da condizioni climatiche abbastanza complesse. L’inverno ci ha consegnato il freddo solo verso febbraio-marzo con precipitazioni e temperature rigide tanto che la primavera è stata prevalentemente fresca fino ad aprile inoltrato, con un po’ di ritardo nel germogliamento rispetto alle medie stagionali. Non sono mancate tensioni e preoccupazioni per la peronospora, come i danni causati da ben due violente grandinate che hanno colpito in particolare il Sannio e la valle del Sabato. Infine l’estate, calda e siccitosa fino ad agosto, con i mesi di settembre e ottobre che si sono rivelati miti, al netto di alcuni rovesci temporaleschi. Insomma, è stata un’annata particolare e difficile da leggere, come sempre al di là della quantità, solo chi ha saputo gestire con attenzione e coraggio il vigneto e con ”mestiere” ed esperienza le vinificazioni si è portato a casa un buon risultato.
Per i bianchi duemiladiciotto l’annata può ritenersi buona anche se non al livello delle migliori degli ultimi anni. I vini assaggiati, in questo momento, sono chiaramente ancora ”crudi” e per questo contratti e in parte pungenti, ma non sono mancati assaggi interessanti, profili slanciati e pieni di freschezza, cui s’aggiungono, con evidente distacco, altri particolarmente interessanti del duemiladiciassette e duemilasedici che abbiamo trovato, via via susseguirsi nelle batterie, davvero coinvolgenti. Questi che seguono i vini che, a nostro modesto parere, almeno a questo giro, meritano una menzione speciale:
*** Asprinio d’Aversa Spumante Brut Terramasca 2017 – Drengot, piacevole, una scoperta.
*** Asprinio d’Aversa Spumante Brut Trentapioli 2017 – Salvatore Martusciello, un altare all’alberata!
*** Falanghina del Sannio Svelato 2018 – Terre Stregate, seducente!
*** Falanghina del Sannio Serrocielo 2018 – Feudi di San Gregorio, carico di promesse.
*** Fiano di Avellino Colli di Lapio 2018 – Romano Clelia¤, sottile e stuzzicante.
*** Fiano di Avellino 2017 – Tenuta Sarno 1860, avvenente.
***/* Paestum Fiano Cumalé 2018 – Casebianche, intenso e affumicato.
***/* Lacryma Christi del Vesuvio bianco Superiore Vigna Lapillo 2017 – Sorrentino¤, preciso.
***/* Falanghina Campi Flegrei Settevulcani 2017 – Salvatore Martusciello¤, fedelissimo!
***/* Falerno del Massico bianco Anthologia 2017 – Masseria Felicia, inusuale.
**** Costa d’Amalfi Furore bianco Fiorduva 2017 – Marisa Cuomo, imperioso!
**** Fiano di Avellino 2017 – Rocca del Principe¤, impressionante!
**** Fiano di Avellino Pietramara 2017 – I Favati, il gioco dei sensi.
***/* Greco di Tufo 2017 – Di Meo, in divenire.
***/* Greco di Tufo Pietra Rosa 2017 – Di Prisco, certezza.
***/* Greco di Tufo Vigna Cicogna 2017 – Benito Ferrara¤, rassicurante.
***/* Greco di Tufo Terrantica 2017 – I Favati¤, in crescita.
**** Falanghina Campi Flegrei 2016 – Contrada Salandra, chiaramente definito.
In merito ai vini rossi, è sempre più il momento del Piedirosso, dai Campi Flegrei al Vesuvio è un fiorire di belle bottiglie e felici rappresentazioni; poi l’Aglianico, come sempre protagonista in Irpinia, dove auspichiamo una maggiore insistenza su versioni ”giovani” e ”alleggerite”, proprio da qui alcune belle scoperte e grandi conferme, così come in terra di Falerno, in Costiera e in Cilento dove taluni buonissimi vini s’aggiungono alle perle di sempre già prodotte da queste parti.
**** Campi Flegrei Piedirosso Agnanum 2017 – Raffaele Moccia¤, disarmante.
**** Irpinia Campi Taurasini Ion 2016 – Stefania Barbot, sorprendente!
**** Campania rosso Terra di Lavoro 2016 – Galardi, il rifugio sicuro.
***/* Campi Flegrei Piedirosso 2015 – Contrada Salandra¤, convincente.
**** Campi Flegrei Piedirosso Riserva Tenuta Camaldoli 2015¤ – Cantine Astroni, una pistola fumante.
****/* Paestum Aglianico Omaggio a Gillo Dorfles¤ 2015 – San Salvatore, appagante.
***/* Lacryma Christi del Vesuvio rosso Don Vincenzo 2014 – Casa Setaro, notevole.
**** Lacryma Christi del Vesuvio rosso Gelsonero 2014¤ – Villa Dora, accattivante.
****/* Taurasi Riserva Puro Sangue 2014 – Luigi Tecce, materia viva.
**** Taurasi Riserva Piano di Montevergine 2013¤ – Feudi di San Gregorio, una benedizione.
**** Taurasi 2013 – Contrade di Taurasi¤, l’altra benedizione.
***/* Costa d’Amalfi Tramonti Rosso A’ Scippata 2013 – Apicella, sfrontato.
**** Falerno del Massico rosso Etichetta Bronzo 2013¤ – Masseria Felicia, una stilettata!
**** Taurasi 2009 – Perillo¤, inconfondibile.
Come sempre solo il tempo ci dirà se ci abbiamo visto lungo, frattanto non ci resta che godere di queste prime impressioni e farne tesoro per le prossime bevute!
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***** Eccellente **** Ottimo *** Buono ** Sufficiente
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22 gennaio 2019
Come per i ”Comfort Foods” ovvero quei cibi a cui ricorriamo talvolta per soddisfare un bisogno emotivo alla ricerca di sapori consolatori, stimolanti e spesso nostalgici, così vi sono i ”Comfort Wines”, vale a dire bottiglie sicure, di solito appaganti, vini che continuano ad essere tra i più venduti sul mercato e consumati in Osterie, Wine Bar, Ristoranti e ultimamente finanche in Pizzerie, con grande successo soprattutto al calice.

Ne abbiamo già scritto qui, sono generalmente considerati economici e percepiti come semplici, immediati, che non richiedono particolari attenzioni oppure conoscenze specifiche in materia di degustazione per essere spiegati e apprezzati sin dal primo sorso. Vi sono, tra questi, alcuni vini che lentamente, anno dopo anno, sono letteralmente entrati a far parte della vita quotidiana di appassionati e non.
Due esempi a noi molto cari sono il Rubrato di Feudi di San Gregorio e il Fidelis di Cantina del Taburno, entrati con pieno merito nella quotidianità dell’appassionato che oggi fa la spesa al supermercato, domani magari va ospite a pranzo a casa di amici, al sabato sera gli tocca scegliere il vino al Wine Bar oppure al Ristorante. Due nomi che vanno ben oltre la rappresentazione dell’azienda stessa che li produce, qualcuno lo ricorderà ma non di rado sono stati percepiti addirittura come una denominazione a se stante mentre per molti, possiamo dirlo senza temere smentita, continuano ad essere un investimento sicuro, moneta sonante per far girare velocemente la cantina.
Il Rubrato viene prodotto ininterrottamente dal 1994, un Best Seller che ha pochi eguali in Campania dove continua a registrare i numeri più importanti tanto sul mercato Ho.Re.Ca quanto su quello della Grande Distribuzione Organizzata, oggi ribattezzata ”Canale Moderno”. Un rosso da uve Aglianico sempre all’avanguardia, dal colore vivace, franco ed espressivo al naso come al palato, dal sorso preciso e immediato come questo duemiladiciassette, un classico passpartout per entrare nelle corde di chi volge i primi passi con il vino, l’abbinamento cibo-vino o mostra le prime attenzioni ai varietali tradizionali dell’entroterra campano rifuggendo però dalle astringenze classiche dell’Aglianico.

Alla stessa maniera dobbiamo dire del Fidelis di Cantina del Taburno, altro campione di vendite che ci accompagna praticamente da sempre. Se ne imbottigliano mediamente circa 150.000 bottiglie l’anno, anche qui Aglianico ma di provenienza dell’areale del Taburno; il vino base fa fermentazione malolattica in botti grandi da 50 e 100hl e quindi viene lasciato affinare in barriques generalmente di secondo e terzo passaggio. Venduto in larga parte in GDO non manca però quasi mai nelle migliori carte dei vini di Ristoranti e locali che hanno a cuore una scelta mirata di vini da proporre soprattutto al bicchiere.
Siamo rimasti piacevolmente soddisfatti da questo duemilaquindici, un rosso dal colore rubino e dai profumi gradevolissimi di piccoli frutti neri, dal naso ampio che ricorda toni scuri di grafite e sottobosco, finanche di tabacco. Il sorso è asciutto e profondo, il lungo percorso di affinamento lo alleggerisce dalle austerità caratteristiche dell’aglianico di queste terre beneventane consegnandogli però buon equilibrio e tipicità, unite a vivacità gustativa e piacevole persistenza.
Leggi anche Comfort Wines, most unwanted Qui.
Leggi anche Quattro grandi classici italiani da non perdere mai di vista Qui.
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22 ottobre 2015

di Daniele Priori¤
Poca Italia si accorge di Benevento. Città alluvionata, in questo inizio autunno, dove l’esondazione dei due fiumi, il Sabato e il Calore, non fa nemmeno notizia o ne fa poca. Ripiegata, un po’ nascosta nel suo ruolo di città comprimaria, per niente metropolitana, tra le pieghe e le gerarchie delle notizie. Non se ne parla quanto si parlò di Firenze coi suoi letterati. Non quanto Genova coi suoi cantautori che sui frequenti nubifragi hanno scritto anche canzoni.
L’Italia attorno a Benevento invece dorme. Come le cime appenniniche che la cingono in una valle. Che sembrano una donna in sonno e così i beneventani l’hanno chiamata: la Dormiente. Italia profonda, Benevento, nel cuore della Campania. O meglio: nel cuore del Sannio. Vissuta da gente dura, come il dialetto scavato tra le montagne e il clima continentale che non ti accoglie come il vernacolo bagnato di mare e poesia che c’è a Napoli o a Salerno.
La bellezza, l’archeologia, l’arte, la storia ci sono ma nessuno si cura di metterle in luce. Come ci sono quei due fiumi di cui nessuno si è più avveduto dal 1949, quando esondarono drammaticamente, provocando morti, appena pochi anni dopo la tragedia della seconda guerra mondiale e dei devastanti bombardamenti subiti, per i quali ebbe la medaglia d’oro al valore civile nel 1961. Erano quelli, persino nell’Italia profonda del Sannio, gli anni del miracolo, vero o presunto, che a Benevento e dintorni fruttarono poltrone a ministri, sottosegretari e ancora oggi a eurodeputati.
Nella vicina Telese, città famosa per le terme e per una festa di un partito rimasto in vita solo a Ceppaloni, c’è anche un lago nel quale passeggiano amabilmente famiglie di zoccole nel degrado più assoluto. Qui nel Sannio li chiamano così. Sono topi belli grossi, pantegane, che non somigliano affatto alle donnine lascive e discinte. Benevento, nome che oggi somiglia così tanto a benvenuto ma un tempo – come un po’ tutti studiammo al liceo – era Maleventum, appellativo che, già di primo acchito, non prometteva nulla di buono. La città che dopo la dominazione longobarda si ritrovò – tra mito medievale e una successiva realtà di folle caccia – infestata di streghe, molto presunte ma perseguitate davvero dai cristiani coevi e successivi, come è noto assai meno illuminati degli ultimi pagani.
Benevento città di giovani che se ne vanno, senza riuscire a spiegare al mondo il luogo dove sono nati. Studiano, crescono, lavorano da precari lontano da casa, per non tornarci se non, senza troppa voglia, un mese d’estate. Benevento come i migranti, che sono anche qui, e imparano l’italiano pieno di verbi al passato remoto che si usano qui, più che sufficienti a raccontare come da queste parti non ci sia poi tanto da fare e che dunque, anche loro, se ne vorrebbero andare via. Benevento come due ragazze che si sono innamorate tra i fiori di una serra e il latte di un golosissimo caseificio. Che cariche di sogni, verdi piante, torroncini di San Marco e mozzarelle di bufala, di tanto in tanto raggiungono Roma, così vicina e così lontana, per una notte d’amore in motel chiamato Libertà.
Il loro amore, un po’ come il corso inesorabile dei fiumi Sabato e Calore, scorre, fino a creare alluvioni inevitabili senza le dovute cure. Ma qui, l’abbiamo capito passando tra la città e la bella pietrosa provincia in cui vide i natali Padre Pio, si preferisce di gran lunga non ricordare, non pensare, non prevedere, quasi non si voglia disturbare un equilibrio apparentemente incantato e fuori dal tempo. Come per non svegliare il sonno incosciente e senza sogni della Benevento dormiente.
Si fa finta di niente per non creare inutilmente scuorno, si dice così qui. Almeno fino al prossimo cataclisma, quando a svegliarsi sarà ancora la natura. Che sia poi un fiume o un terremoto sociale poco importa. Quello che conta e conterà, purtroppo, sarà ancora una volta il sonno, in questo caso, però, del resto d’Italia, oltre Benevento, che per colpe da dare tutte alla catalessi dei sanniti, non riesce a far condividere, nemmeno sulle pagine Facebook, le tragedie del Sannio, di Benevento, della sua provincia, percepite dalla maggioranza lontanissime, quasi più di uno tsunami indonesiano. Perché troppa Italia non è mai arrivata da queste parti e mai ci arriverà. Non tanto per la profondità della valle nella quale giace Benevento ma perché nessuno, continuando a dormire, si è preoccupato di mettere neppure i segnali sufficienti sulle strade.
Credits: SannioPress
Blog fondato da Billy Nuzzolillo nel 1999
Diretto da Giancristiano Desiderio
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16 ottobre 2015
Con il cuore siamo tutti lì, per questo teniamo a rilanciare l’appello lanciato dal presidente del Consorzio Tutela Vini Sannio con la richiesta di aiuto per le aziende vitivinicole colpite dal maltempo in tutta la provincia di Benevento.

Rivolgiamo un appello al Governo, alla Protezione civile, al Prefetto, ai Comuni e altri Enti territoriali, ai Vigili del fuoco, al Genio militare e altre forze armate, alle forze dell’ordine, e a volontari per un aiuto al ripristino delle condizioni di normalità dei vigneti e delle strutture produttive delle aziende vitivinicole della provincia di Benevento, affinché possano riprendere le attività in questo particolare momento del ciclo produttivo della vendemmia e della vinificazione.
Abbiamo bisogno di aiuti immediati e di operazioni per il ripristino delle condizioni di normalità delle aziende vitivinicole della provincia di Benevento, in modo da evitare un ulteriore aggravamento dei danni subiti a causa di questa emergenza, provocata dalle forti piogge che si sono abbattute sul territorio della nostra provincia in questi ultimi giorni. Nella giornata del 14 ottobre 2015 si è verificato, nella nostra provincia, un catastrofico evento meteorico, dalle ore 22.15 del 14 ottobre alle ore 06.15 del 15 ottobre sono caduti 137 mm di pioggia, pari alla quantità di pioggia che si registra in circa un mese.

L’analisi delle stazioni meteoriche indicano, per il Sannio, una particolarità concentrata soprattutto nella fascia che va da Dugenta a Ariano Irpino, con epicentro Benevento. In particolare nel bacino che comprende il fiume Calore, il Tammaro, l’Ufita, il Miscano, il Sabato e il Serretelle, con tutti i loro tributari minori, in 8 ore è caduta una quantità di acqua di circa 60,512 milioni di mc, sviluppando una portata di circa 2101,00 mc/sec, nella sezione idraulica di Telese e Amorosi.
Un fenomeno perfettamente localizzato e intenso, e che ha causato inondazione di vigneti e di strutture di trasformazione delle uve e conservazione dei vini. Pertanto abbiamo bisogno di un intervento immediato affinché possa essere ristabilito il funzionamento, in particolare delle strutture di trasformazione, che in questo delicato momento post vendemmiale potrebbero subire ulteriori danni irreparabili. Nella speranza di un pronto accoglimento del presente appello, invio i più distinti saluti a nome degli oltre diecimila operatori della filiera vitivinicola beneventana.
Il presidente
Libero Rillo
foto: repubblica.it
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30 novembre 2012
Aversa, Carinaro, Casal di Principe, Casaluce, Casapesenna, Cesa, Frignano, Gricignano di Aversa, Lusciano, Orta di Atella, Parete, San Cipriano d’Aversa, San Marcellino, Sant’Arpino, Succivo, Teverola, Trentola – Ducenta, Villa di Briano, Villa Literno in provincia di Caserta e Giugliano, Qualiano e Sant’Antimo in provincia di Napoli. Sono i 22 comuni dove è possibile fare l’Asprinio d’Aversa, doc istituita nel luglio ’93 per disciplinare la produzione di un bianco fermo e due tipologie di vino spumante, un metodo Martinotti (charmat lungo) e un Metodo Classico. In etichetta, quando le uve provengono esclusivamente da viti maritate, è ammessa la dicitura “alberata” o “da vigneti ad alberata”.

E’ un territorio anche brullo, sospeso, spesso dimenticato l’Agro Aversano. Ma vivo e fiero. Autentico. Proprio come le alberate, un metodo colturale incredibile, fuori dal tempo, dove le viti di asprinio si arrampicano sino a 10/15 metri di altezza “maritate” a pioppi secolari e, sospese nell’aria, imponenti barriere verdi, piene di grappoli raccolti in vendemmia dalle mani di pochi abili contadini senza età grazie all’aiuto di altissime scale. Dominano il paesaggio, unico nel suo genere.

E’ una vocazione antica, una tradizione ultramillenaria, una eredità importante, ingombrante, pesante, di fatto complicatissima da gestire, da portare avanti, anche per questo destinata prima o poi inesorabilmente a finire; e molteplici le concause: anzitutto, questo sistema di allevamento, per quanto suggestivo, è improponibile nella moderna gestione economica del vigneto. La sola vendemmia infatti costa di media almeno tre volte tanto una “normale” raccolta. Poi c’è l’abilità degli “uomini ragno” nella raccolta delle uve, merce rara: contadini esperti, i soli capaci di armeggiare con le altissime scale costruite a misura d’uomo per arrampicarsi agilmente lungo gli altissimi filari per cogliere i grappoli sparsi in lungo e in largo sulle “pareti”. Un lavoro particolare, immane, che naturalmente continua anche nella potatura, nel “ricamo” dell’alberata, un processo di rilegatura dei tralci complesso quanto inestricabile. Incredibile!

Vi sono varie versioni sull’origine dell’alberata. Di certo c’è l’intuizione degli Etruschi di “maritare” la vite rampicante a dei tutori, in questo caso “vivi” trattandosi di alberi, di pioppi. Poi varie note storiche più o meno di colore: da sempre sono questi territori interessati da una miriade di coltivazioni, tra le quali la canapa che, raggiungendo altezze variabili, creava condizioni assai sfavorevoli ad un allevamento basso della vite. Il notevole frazionamento delle conduzioni stesse, con l’asprinio, per molti anni coltivato solo per il fabbisogno familiare che sarebbe resistito proprio grazie alle alberate, sviluppatosi quindi in altezza per non sottrarre terreno ad altre colture stagionali. Colture differenti che nel tempo si avvicendavano nei fondi e che andavano magari difese dall’incipiente vento forte che qui arriva dalla vicina costa, lontana appena 15 chilometri.

Tant’è che negli ultimi anni l’alberata, soprattutto in considerazione degli elevati costi di conduzione, sta lentamente segnando il passo a favore di impianti a spalliera alti non più di 1 metro e 80 che, come vedremo, sembrano rappresentare una valida alternativa. Del vitigno si sa che è di notevole vigoria e assicura sempre produzioni molto abbondanti, in entrambi i casi, anche in condizioni particolarmente stressanti, del resto resiste bene anche a malattie della vite piuttosto decisive come la peronospora e l’oidio.

E il vino? Beh, generalmente se ne ottiene un bianco dal colore verdolino e dal profumo tenue, che sa di fiori gialli, di mela, note agrumate. Ma è in bocca che conquista l’appassionato, caratterizzato da un’elevata acidità fissa, dovuta dagli elevati livelli di acido malico che ne fa un’ottima base per la produzione di spumante di qualità: ha un sapore decisamente secco, asprigno appunto, fresco e caratterizzato da una certa profondità degustativa quando lavorato con sapiente attenzione in cantina. Ma poi si sa, una sceneggiatura di valore ha sempre bisogno di interpreti altrettanto bravi e rispettosi…
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12 giugno 2012
Qualche settimana fa ho rilasciato questa intervista al sito “Cellar Tours” che si occupa, tra le altre cose, di organizzare tours esclusivi in tutto il mondo per i grandi appassionati del vino. Se vi va dategli una occhiata…

The youngest of 7 brothers, Angelo was born in Pozzuoli in 1975, he attended hotel school and, after working in several local restaurants, he became a certified AIS sommelier in 2001.
In 2008 he was awarded “Best Sommelier in Campania” (leggi qui) and “Silver Pin – Charme Sommelier of Italy”. From 2002 to 2009, he run a great wine shop in Pozzuoli, L’Arcante, which is also the name of his fantastic food and wine blog, L´Arcante.
Sipping a glass of Falanghina dei Campi Flegrei Cruna De Lago 2007*, we began our chat… continua a leggerla su cellartours.com 🙂
*la foto dell’ultima bottiglia di Cruna DeLago dei Di Meo è di Sara Marte (che linko) ripresa dal blog di Luciano Pignataro.
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7 novembre 2011
L’azienda non ha certo bisogno di presentazioni. Il nome di per se è altisonante quanto basta, talvolta pure ingombrante; in quegli anni poi, mi riferisco ai primi anni ‘90 – che ve lo dico a fare! –, al cameriere bastava solo sussurrare Mastroberardino (ovvero mastro bernandino, ndr) per provocargli quel “non so ché” di suggestione: “vedo che il signore ne capisce, eh?.

Il vino, questo millesimo, non ha nessuno o quasi con cui confrontarsi, così per i tanti anni indietro e qualcun’altro ancora dopo; nessun termine di paragone, nessuna trama da seguire, nessuna rappresentazione identitaria da sfoggiare che non fosse una precisa idea di vino destinata a camminare le strade del mondo. E chi scriveva di vino all’epoca, ancora giusto quattro gatti, non sentiva nessuna necessità di preoccuparsi che fosse o no prodotto in quantità “industriale”, e men che meno se arrivasse da una viticoltura naturale, bioqualchecosa o altro del genere: era un Taurasi di Mastroberardino, e quel nome (non del vino sia chiaro – “Taurasi dove?” -, ma dell’azienda!) bastava da solo perché fosse una garanzia.
Un nome già unico, già storia quindi, e continuamente proiettato a scriverla la nuova storia vitivinicola campana: pochi sanno per esempio che fu proprio Mastroberardino, intorno ai primi anni ’70, ad introdurre in Italia l’impiego di colture selezionate di batteri malolattici. E in quegli stessi anni poi, più che la convinzione dell’utilizzo di solo legno grande, rovere di Slavonia e castagno per la precisione (la barrique arriverà solo qualche anno più tardi, negli anni ’90), poté l’introduzione in cantina del freddo per controllare le temperature nel corso delle fermentazioni; uno scatto in avanti per l’epoca impagabile, una conquista assoluta per l’enologia. Curioso pensare invece come oggi tutto ciò suoni quasi come una condanna per chi ama ostinatamente ribadire di fare tutto in maniera naturale e a temperatura ambiente!

L’ottantasei segna un momento importante per l’azienda di Atripalda, l’inizio del progetto “Radici”, risultato di una ricerca lunga e accurata riguardante esposizioni, composizione chimico-fisica e giacitura di tutti i terreni coltivati direttamente dalla proprietà, con l’aumento importante della densità di piante/ha e l’introduzione massiccia di impianti moderni “a spalliera” che andavano sostituendo il tradizionale, suggestivo ma vetusto sistema a raggiera avellinese, tipico soprattutto dell’areale taurasino. Ciò consentiva ai “Mastro” di riuscire a gestire meglio il nuovo parco vigne, le differenze sostanziali dovute sia alle caratteristiche pedoclimatiche che all’incidenza dell’annata, così da poter intervenire più efficacemente sulla filiera di trasformazione, dalla vinificazione all’invecchiamento; una zonazione ante litteram si direbbe.
Un assaggio per certi versi controverso, ma decisamente interessante. Un Taurasi dal colore granato con spiccata tendenza all’aranciato sull’unghia, che conserva però una buona compattezza. Il primo naso è “sporco”, quasi allontana e nonostante le due ore abbondanti concessegli viene da pensare che abbia poco o nulla ancora da offrire. Invece alla distanza viene fuori, sicuramente troppa l’attesa per chi volesse goderne una sera a cena grazie all’amico di turno (a meno che questi non abbia avuto cura di stapparlo in mattinata!), però ne vale veramente la pena. Il giorno dopo infatti il quadro olfattivo pur se scomposto ritorna particolarmente interessante: intriso di terra, humus e torba; del frutto in quanto tale nulla più o quasi, giusto qualche nota spiritosa, un tono caramellizzato, e solo parvenze di note tostate e accenni speziati. Dove però colpisce è al palato: intenso, copioso, dritto; c’è ancora tanta materia, spogliata (ma non del tutto) di quel nerbo a cui fedelmente ci si rifà quando si vuole parlare di Taurasi vecchia maniera, ma sottile, fugace, appagante. Il sorso è pulito, scivola via sulle papille gustative che è una bellezza, disincantato, setoso quasi, in perfetto stato di conservazione. Chissà a quell’epoca cosa ne pensavano gli amerrecani di questo vino?
Questa recensione esce oggi anche su www.lucianopignataro.it.
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16 ottobre 2011
Il dubbio è palese. In effetti della Banca del Vino non è che se ne faccia più questo gran parlare. Mah… chissà perché? Io a Pollenzo ci sono stato in settimana, di passaggio prima di andare a cena dai fratelli Alciati, da “Guido”. E non è che tirasse proprio una bella aria…

Intendiamoci, il luogo è magnifico, lo scenario a dir poco suggestivo, i locali sotterranei dell’Agenzia che la ospita, ben arredati, pur se evidentemente scarni. Ma a fare un giro per le sale, al di là dell’apprezzabilissimo lavoro della guida – davvero brava e preparata –, è chiaro sin da subito che qualcosa qui non quadra; se ci si ferma al primo o al secondo caveau (più o meno tra il primo e il secondo corridoio) salta agli occhi come il territorio venga ancora egregiamente privilegiato: i nomi ci sono, forse non proprio con tutte le annate, ma il panorama è quantomeno autorevole e ben rappresentato. Basta però varcare “il confine regionale” per intuire come le lancette dell’orologio qui si siano da tempo fermate, a più di qualche anno fa, probabilmente già appena dopo la campagna promozionale (credo del 2004, ndr) che ne lanciava il progetto nato qualche anno prima da un’intuizione di Carlo Petrini¤.

A qualcuno infatti apparirà come “corredo” prezioso, ma quelle “due dita” di polvere che stazionano sulle casse qui conservate, vanno lette più come un indice di perenne immobilismo che come un suggestivo effetto scenico. E le annate, poche e piuttosto vecchie, non fanno altro che confermare la mancata fiducia riposta invece con un certo entusiasmo inizialmente. Basta fare poi un giro nella sezione dedicata al sud Italia o alla Campania per rendersi conto quanto il tempo qui si sia letteralmente dissolto in quelle prime (autorevoli) adesioni; quanto a memoria liquida quindi, è evidente che va disperdendosi inesorabilmente. Lo stesso loro sito¤ tra l’altro, conferma in pieno quanto percepito, e cioè che le aziende già da tempo non rinnovano più la loro adesione al progetto dell’istituto.

Senza entrare troppo nel merito – o se volete, argomentiamo pure – del “funzionamento” della Banca del Vino¤, che in verità non mi è parso nemmeno particolarmente complicato, viene da chiedersi cosa cavolo sia successo, in così poco tempo, ad un progetto che pure appare rivoluzionario come pochi e “nobile” come tante altre iniziative messe in campo negli ultimi trent’anni da Slow Food: chi è che non ci ha creduto fino in fondo? L’istituto, i finanziatori, i produttori o, come spesso accade in Italia, nessuno dei tre nonostante la buona idea?
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Tag:agenzia di pollenzo, alciati, banca del vino, barbaresco, barolo, campania, fondazione slow food, guido da costigliole, langhe, pollenzo, slow food, università del gusto
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24 agosto 2011
Null’altro che una breve segnalazione di un “qualcosa” da bere, decisamente interessante, da ricercare tra una scarpinata e l’altra per chi si trovasse ancora in vacanza in quel meraviglioso luogo che è il Cilento; questo scorcio di fine agosto poi è perfetto per godere al meglio delle mete più belle di questo pezzo di Campania, sicuramente tra le più suggestive che la nostra “terra felix” sa offrire ai suoi avventori, continuamente sospese tra il cielo azzurro delle vicine colline – che in certi luoghi del parco si fanno vera e propria montagna – e il mare infinitamente blu delle coste incontaminate.

Si chiama La Matta, è praticamente uno spumante naturale, a dosaggio zero prodotto da uve fiano, l’ultimo vino nato in casa di Betty e Pasquale Mitrano, per mano – quel poco che è servito mettercele, a quanto pare – di Fortunato Sebastiano, enologo visionario e al tempo stesso mosso sempre da grande concretezza. Da quanto mi ha spiegato Pasquale, l’uva, il processo produttivo, seguono quella linea biodinamica e naturale ormai fortemente consolidata a Casebianche; il che significa: grande lavoro in vigna, cernita pressoché maniacale, soprattutto per cogliere al meglio solo quei grappoli con acini al loro massimo tenore di acidità, e che la presa di spuma, dopo la prima fermentazione classica per fare il vino base, avviene attraverso una lenta rifermentazione naturale e spontanea, e non attraverso l’addizione di anidride carbonica, zuccheri o additivi vari come si è soliti attuare.

Curioso anche il packaging, piuttosto scarno (e insolito) rispetto a quanto siamo abituati: le bottiglie, di vetro chiaro (!) fanno trasparire tutto il contenuto, compreso il deposito, che non manca di intorbidire il vino non appena scosso, e che esprime però tutta l’essenza di un progetto che più “integrale” non si potrebbe definire; bottiglie tra l’altro vengono tappate con un insolito tappo a corona anziché il più classico sughero ingabbiato “a fungo”, con ancora il bidule. Occhio quindi a maneggiarle con cura alla stappatura, soprattutto per evitare “botti e lanci” sconvenienti.
Il vino offre indubbiamente spunti molto interessanti, soprattutto nell’ottica di sviluppare un progetto di “bollicine alternative” e non semplicemente fini a se stesse, un po’ come accade ultimamente nell’area del prosecco, dove alcuni piccoli (e bravi) produttori hanno riscoperto, e quindi rilanciato, il cosiddetto “prosecco col fondo”, dando vita tra l’altro – soprattutto sul web – anche ad un forte movimento opinionista sull’argomento, dal valore storico e culturale abbastanza sentito in loco, ma che appariva quanto mai sopito negli ultimi anni. Così anche il La Matta 2010 mostra tutti i segnali organolettici più classici di un prodotto artigianale – e col fondo -, dal colore paglierino pallido/torbido al naso sicuramente poco incline a sentori fini ed eleganti, ma non per questo trascurabili.
Tuttavia gioca moltissimo il fattore emozionale, quello anzitutto di stare bevendo un prodotto che più naturale non si può, vivace quanto basta – non ci si può certo fossilizzare nel parlare di spuma, perlage e altro dinanzi a certi vini – e dal sapore davvero unico, che conserva tutta l’austerità della vendemmia precoce e la maturità del vino che va rincorrendo, bilancino alla mano, il suo equilibrio tra frutto e componenti dure: oltremodo secco, ancora a tratti citrino, regala però una gran soddisfazione di beva, tra l’altro con un tenore alcolico, 11 gradi e mezzo, piuttosto moderato. Magari non ci perderete la testa, ma ne conserverete senz’altro un piacevole ricordo!
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30 Maggio 2011
L’estate è alle porte. Converrebbe, come del resto avviene da sempre in Francia, accantonare per qualche tempo i grandi rossi – due/tre mesi, non di più – e pensare di dare più ampio respiro, oltre ai soliti noti ed insoliti bianchi, ai vini rosati (o rosé, che fa più chic!). A cercarne bene ultimamente se ne trovano di molto interessanti. In Campania così come altrove in Italia.
Vi propongo quindi, in due uscite, una breve selezione maturata discorrendo delle bottiglie che più mi hanno conquistato in questo primo scorcio di stagione. Quest’anno, come nei programmi, ho continuato a dare ancora più spazio al bere rosa nei miei precetti, assaggiando e provandone parecchi, proponendoli oltretutto in carta anche con una nuova posizione, nelle primissime pagine, cosicché da renderli tutti subito individuabili da parte dell’avventore appassionato alla tipologia; giuro che prima o poi la mia carta dei vini ve la presento, frattanto però eccovi tra le etichette prescelte, quelle che ritengo più interessanti e meritevoli della vostra attenzione.
Aglianico del Taburno Rosato Le Mongolfiere a San Bruno 2010 Fattoria La Rivolta. Pensi al Taburno e la mente corre subito ad aglianico opulenti e indelebili; cominciamo col dire invece che questo rosato rappresenta ancora un colpo a segno per la splendida azienda di Paolo Cotroneo, riesce a coniugare forza evocativa e freschezza da vendere; prodotto da sole uve aglianico, del Taburno appunto, è vibrante ed efficace dal primo naso all’ultimo goccio calato nel bicchiere. Interessante anche in virtù del fatto che si propone non solo sul breve ma anche capace di reggere discretamente il tempo, anche un paio d’anni; buono da bere anche su piatti importanti. Il nome rievoca un episodio realmente accaduto a Torrecuso nel giorno di S. Bruno che vide piombare in Fattoria, in contrada La Rivolta, praticamente sbucate dal nulla, due mongolfiere planate dal cielo per toccare con mano – si disse – le splendide colline ammirate dall’alto.
Campania Rosato Pedirosa 2010 La Sibilla. Eh sì, mi piace vincere facile; del resto quando si gioca in casa le probabilità di portare a casa il risultato sono sempre più alte. Piedirosso dei Campi Flegrei vinificato sapientemente in bianco con una brevissima macerazione del mosto sulle bucce, sicuramente uno dei più riconoscibili in riferimento al varietale; offre un naso rispettoso dei cardini classici del vitigno e della tipologia, inizialmente soave poi man mano più ampio e complesso: floreale passito, fruttato dolce e minerale, quasi sulfureo; la beva è carezzevole, giustamente secca, breve ma efficace. Da spendere sulla più gustosa delle zuppe di pesce del golfo. A trovarne naturalmente (di zuppa di pesce buona, intendo)!
Lacryma Christi del Vesuvio Rosato Vigna Lapillo 2009 Sorrentino. Benny Sorrentino non accetta compromessi, cosicché i suoi vini, quelli impressi nel fuoco dei lapilli vulcanici del monte Somma e nell’hinterland vesuviano, riposano almeno sei mesi prima di uscire sul mercato. Questo rosato duemilanove ha un colore piuttosto insolito per la tipologia, ricco e compatto, il vino è intriso di note di frutta rossa polposa e sbuffi di macchia mediterranea, si concede con un sorso intenso, ricco, minerale, che infonde al palato freschezza e consistenza. Ottimo lavoro direi, e gran bella beva; nasce da un marriage di piedirosso con una piccola percentuale di aglianico, lo consiglio di sovente sui carpacci di pesce o sul risotto agli agrumi, ma si può tranquillamente pensare di berlo anche con le carni, purché non stracotte o troppo sugose.
Paestum Aglianico Rosato Vetere 2010 San Salvatore. Poco o altro da aggiungere alla recensione già passata su queste pagine qualche settimana fa, se non l’efficace controprova avuta da allora dai numerosi clienti a cui l’ho proposto che hanno molto apprezzato soprattutto l’impostazione frutto/carattere voluta da Peppino Pagano e, naturalmente sottintesa, da Riccardo Cotarella. Aglianico di gran levatura allevato nei dintorni di Cannito, in pieno Cilento; anche in questo caso un vino polivalente, da non pensare di bere solo sul pesce, pur raccomandandone l’uso su quello grigliato.
Roseto del Volturno 2010 Terre del Principe. Pallagrello e casavecchia, non poteva essere altrimenti in casa di Manuela Piancastelli e Peppe Mancini, abituati come sono – e come ormai ci aspettiamo che facciano – a fare le cose per bene e nei modi e nei tempi giusti. Ritorno volentieri a raccontare di loro, in verità l’avrei potuto anche fare prima, conservo infatti diversi appunti su una mini verticale di Vigna Piancastelli, ma aspetto di limarne qua e là alcuni concetti, ne scriverò quindi a tempo debito. Adesso spazio a questo delizioso vino uscito per la prima volta l’anno scorso e riproposto in gran forma con il 2010. Il colore è forse il più bello tra quelli presentati in questa batteria: ricco, luminoso, invitante. Il naso è un po’ sfuggente ma non manca certo sui fondamentali sentori floreali e fruttati; non facile da cogliere a freddo ma molto interessante la sottile linea speziata che si insinua non appena si alza di qualche grado la temperatura di servizio; ma, sia chiaro, pensateci solo per gioco: questo vino, come tutti gli altri raccomandati qui, beveteli belli freschi, l’estate è alle porte e vestire di rosa il vostro bicchiere sta a significare anche mettere per un po’ da parte le fisime dei sbevazzatori col termometro!
Una o due annotazioni in chiusura. E’ chiaro che la Campania può cimentarsi con buona capacità sulla tipologia, a patto però che non corra nella direzione sbagliata. Leggi banalizzazione ed omologazione. Per fare un buon vino rosato bisogna partire da un progetto serio e meticoloso, che guardi nel tempo ad una prospettiva certa e non solo al momento commerciale favorevole; quindi anzitutto uve sane e atte a tale scopo, poi tutto il resto che non sto nemmeno a sottilineare. Oltre ai vini segnalati in questo post vi sono altri che meriterebbero di essere raccontati ma ai quali era opportuno mettere avanti chi non avesse ancora avuto spazio su questo blog. Bene per esempio anche il Rosato di Tenuta San Francesco, e restando in tema tintore, pure quello di Alfonso Arpino di Monte di Grazia seppur ancora troppo scomposto nella fase gustativa: it needs time!
Qui il drink pink made in Italy.
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13 gennaio 2011
Dopo quasi due anni di assenza, ritorna in calendario un evento interamente dedicato al più importante dei rossi irpini. Si chiama Taurasi Vendemmia 2007, ed è la rassegna ideata dall’agenzia di comunicazione integrata Miriade & Partners per raccogliere l’eredità di Anteprima Taurasi, curata dal medesimo gruppo di lavoro, sviluppandola in forma totalmente privata ed autonoma, senza alcuna sovvenzione pubblica.
TAURASI VENDEMMIA 2007
da venerdì 21 a domenica 23 Gennaio 2011
Enoteca Regionale dei Vini d’Irpinia – Castello Marchionale di Taurasi (AV)
La manifestazione, che si avvale della partnership tecnica dell’Ais Campania – Delegazione di Avellino, si svolgerà da venerdì 21 a domenica 23 gennaio 2011 presso il Castello Marchionale di Taurasi, sede dell’Enoteca Regionale dei Vini d’Irpinia, e avrà come tema centrale la presentazione delle nuove annate di Taurasi e Taurasi Riserva. Sarà l’evento che inaugurerà di fatto la lunga stagione delle principali rassegne en primeur, dal Veneto alla Sicilia, passando per le principali denominazioni toscane.
Come annunciato dal titolo, la presentazione si focalizza in modo specifico sulla vendemmia 2007, annata che si preannuncia particolarmente interessante per qualità media e punte di eccellenza. Le aziende partecipanti (la lista sarà ufficializzata venerdì 14 gennaio) potranno proporre in degustazione anche i loro Taurasi Riserva nonché cru e selezioni di altre annate che si avvalgono di affinamenti prolungati, senza trascurare la possibilità di assaggiare i primi campioni di Irpinia Campi Taurasini Doc, Irpinia Aglianico Doc e Campania Aglianico Igt della vendemmia 2009.
Taurasi Vendemmia 2007 è una rassegna a numero chiuso, riservata al pubblico di giornalisti ed operatori, e sarà possibile parteciparvi esclusivamente su invito, previa prenotazione e fino ad esaurimento posti. A differenza di precedenti iniziative, infatti, non vi saranno banchi d’assaggio aperti al pubblico e gli operatori accreditati avranno a disposizione una postazione dove assaggiare seduti e con calma i vini in degustazione, con il servizio assicurato dall’Associazione Italiana Sommelier – Delegazione di Avellino.
A tal fine saranno programmate due ampie sessioni di assaggio: i giornalisti nazionali ed internazionali accreditati avranno a disposizione tutta la giornata di sabato 22 gennaio, mentre la giornata di domenica 23 gennaio sarà riservata al pubblico di ristoratori, enotecari, operatori, media locali e membri delle principali associazioni enogastronomiche, con un sistema di prenotazioni e servizio articolato in tre fasce orarie, dalle 11:00 alle 13:00, dalle 17:00 alle 19:00 e dalle 19:00 alle 21:00.
Il quadro sarà completato da due momenti di approfondimento tecnico e territoriale. Nel pomeriggio di venerdì 21 è previsto il focus sulla vendemmia 2007, seguito da una retrospettiva sull’annata 2001 riservata alla stampa. Nel pomeriggio di sabato 22, invece, si terrà l’incontro fra giornalisti e produttori, durante il quale si discuteranno le prime impressioni emerse durante la giornata di assaggio riservata alla stampa di settore.
Questo il programma della manifestazione:
Venerdì 21 gennaio 2011 – Ore 10:00/16:00 Arrivo in Irpinia dei giornalisti invitati. Ore 16:00 Focus sulla Vendemmia 2007. A seguire Taurasi, dieci anni dopo: retrospettiva sull’annata 2001 con degustazione riservata ai giornalisti invitati
Sabato 22 gennaio 2011 – Ore 10:00/17:00, sessione di assaggio riservata alla stampa specializzata con degustazione delle nuove annate di Taurasi e Taurasi Riserva Docg, Irpinia Campi Taurasini Doc, Irpinia Aglianico Doc e Campania Aglianico Igt. Ore 18:00 Incontro tra giornalisti e produttori: le prime impressioni sull’annata 2007
Domenica 23 gennaio 2011 – Ore 11:00/13:00 – 17:00/21:00, sessione di assaggio riservata agli operatori, esclusivamente su invito e a numero chiuso, articolata in fasce orarie.
Per informazioni relative all’evento
Miriade & Partners
Segreteria Organizzativa:
Cell. 392 9866587
segreteria@taurasi2007.it
Ufficio Stampa: Diana Cataldo
Cell. 320 4332561
stampa@taurasi2007.it
www.taurasi2007.it
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1 gennaio 2011
Rieccoci! Si riparte alla grande in questo 2011 con subito tanti appuntamenti a cui dedicare particolare attenzione, ma prima di tutto, senza voler essere troppo pallosi, eccovi un piccolo classico con il quale desideriamo sottolineare alcuni riferimenti che ci fanno pensare in positivo per quest’anno appena arrivato. Non è una classifica, solo il piacere – sincero – di ringraziare alcune persone per quello che fanno e sono capaci di trasmettere e dunque una sottolineatura a persone, cose, eventi, fatti che non ci sono risultati indifferenti. Così è se vi pare. Buon anno a tutti!

Rosanna Petrozziello. Moglie, mamma, sommelier, vignaiola di finissime intuizioni sotto l’egida di suo marito Piersabino Favati nonchè – da qualche tempo sempre più ferrata – abile tecnico di cantina grazie agli insegnamenti del suo consulente Vincenzo Mercurio. Potrei anche fermarmi qui, perchè di certe persone basta dire anche meno, per lasciarne carpire il valore umano e morale, ed il suo brillante futuro in questo più o meno meraviglioso mondo del vino. Ci tengo però ad aggiungere solo un ulteriore considerazione, rifacendomi ad una delle più leggere ma al tempo stesso efficaci battute di Totò: in un mondo costellato di mille e più primedonne “tutte pittate*” che sgomitano per ottenere un primo piano, ebbene, come chiosava il più nobile dei comici napoletani ne Il Turco Napoletano, “in questo negozio, fra tanti fichi secchi, un po di poesia non guasta mai”, e Rosanna, con il suo solare splendore, forgiato da sani e saldi principi di un tempo che fu, non guasta davvero no, e guai a chi se ne dimentica! (*) pittate, truccate
Gerardo Vernazzaro, mai senza Emanuela Russo però. E sì, perchè Gerardo è un tipo giusto, che sa il fatto suo, cresciuto come me nella cruda periferia napoletana ma che ha saputo leggere e vivere il presente senza mai rinunciare al suo futuro, ai suoi sogni, pur nella loro reale dimensione, senza cioè voli pindarici. Gerardo fa vino, e seguirlo nel suo lavoro, correre cioè tra le vigne, camminare con lui tra le vasche e rincorrere i suoi ideali nelle bottiglie è, credetemi, uno spasso; Perchè più del valore della fatica, del sacrificio della costruzione, condividere una bevuta con lui significa riuscire a cogliere di un vino”l’essenza” che vuole manifestare, più del territorio che si arroga la presunzione di rappresentare, il suo ideale. E mai compagno di bevute mi fu più gradito!
Teletubbies, sono off topic, lo so, ma aspetto da sei mesi di inserirli in qualche modo in un mio post; Senza di loro non so proprio come farei. Dei quattro, chi mi fa scompisciare è Dipsy, con il suo cappello sempre alla moda ed i suoi balli originalissimi, anche se, per amor del vero, sono quasi costretto a tifare sempre per Po e Laa-Laa, Letizia poi di quest’ultima è follemente invaghita. E che dire poi di Tinky Winky, il più grande (e grosso) della ciurma che se ne va in giro sempre con una borsa rossa (della serie ci fa o ci è?). Tutti protagonisti di storie incredibili alla luce di un sempre splendente Sole-bambina, un po come le mie giornate da quando sono diventato padre, altro che sommelier…
Carmine Mazza. In un tempo in cui Napoli e la sua provincia esprime tutto quello di cui mai ci si potrebbe innamorare ogni tanto salta fuori qualcosa di buono. Il Poeta Vesuviano non è solo un ristorante, prendiamolo come un avamposto di modernariato culinario nella popolosa e popolata provincia napoletana. Torre del Greco non è poi così lontana e andare da Carmine, nella foto con la deliziosa compagna Amalia, val bene il viaggio; Perchè Carmine ha voglia di fare e lo si vede in ognuno dei suoi piatti, ha talento da coltivare e motivazioni da preservare, insomma, il poeta va ascoltato!
La Francia. Credo di aver letto tutto il possibile sulla vitienologia francese e di non essermi mai fatto mancare il tempo per approfondire e cercare di capire: un mondo infinito, altro che bordò e burgogn! La cosa più curiosa è che più ci entri nei dettagli del vigneto Francia e più ne ami, ti appassionano, le mille sfumature più che le poche, solide architetture di un paese del vino straordinariamente ricco di cultura enoica. Così l’approccio dello scorso giugno al sogno borgognone diviene solo l’appetizer di una sì forte motivazione di cominciare quel viaggio fantastico che non si pone mete bensì obiettivi: vivere le terre di Francia.
Pasquale Torrente. Mi dicono che una volta capitato a Cetara si rischia di rimanerci secco, di cetarite o giù di lì. Aggiungono però che trattasi di un male buono, che si insinua dapprima nella mente ma che non perde tempo di rapirti l’anima. Cetara è un borgo marinaro tra i più suggestivi della costiera, vissuto da gente che praticamente si conosce tutta, tra questi c’è Pasquale. Di lui ho incontrato prima la sua fama, di persona per bene appassionata del buono e lento della vita nonchè gran cultore di amicizia. Poi il suo lavoro, di chef e patron dello storico ristorante “Al Convento” e quindi la sua persona: schietta, sincera, onesta, disponibile, trasparente. Un signore, si direbbe. Quanti come lui? Ne conosco solo alcuni altri, e comunque meno bravi con la sciabola!
Angelo Gaja gira che ti rigira te lo trovi sempre davanti, ma anche no. E’ indubbio che sia un personaggio tra i più ambìti della nomenclatura enologica italiana, tra i pochi, pochissimi a cui va indiscutibilmente concesso il merito di aver creato un aspettativa sempre crescente sui suoi vini. Vuoi per passione, vuoi per critica, i vini di messer Barbaresco – checchè se ne dica – sono sempre un riferimento certo della vitienologia italiana, un caposaldo che sai di avere e di potertelo giocare – con tutti – a tuo piacimento. A lui, come forse a nessun altro, è concesso di apparire e sparire dalla scena a suo piacimento, lui come nessun altro ha maturato, soprattutto negli ultimi anni, quella sottile capacità di essere massmediologo senza esserlo, a volte senza nemmeno proferire parola, lasciando semplicemente parlare i fatti. Altre volte, quando proprio gli girano, ci ha abituato invece a sonore prese di posizioni, più o meno condivisibili, proprio come i suoi vini. Un riferimento Angelo Gaja, meno male che c’è!
Annalisa Barbagli. Il suo vecchio profilo sul sito del Gambero Rosso, per il quale ha collaborato sino a poco meno di un paio d’anni fa, la descriveva come “una persona pratica che vive l’impegno della casa (la spesa, il bucato, le pulizie, il cucinare ecc.) come un tutt’uno da fare all’insegna della massima professionalità”. Ed in verità dalle sue pubblicazioni si è sempre respirato quel non so che di vero che molti tentano – invano – di replicare costantemente nelle ultime uscite culinarie. Negli ultimi tempi non si riesce nemmeno più a contarli i vani tentativi di imitazione, ma chi come noi è cresciuto con La cucina di casa e si è ritrovato in quelle mille e più ricette che ha quasi tutte “vissute”, non v’è tubo catodico che tenga: che se le cuociano e mangino pure tra loro, il mio manuale di cucina è differente!
In ultimo, i miei primi dieci anni di Ais. E sì, son passati dieci anni; Era il 2001 quando mi sono avvicinato all’associazione italiana sommelier, per vocazione e non ripiego; Per molti dei miei amici/colleghi del tempo, quella rimane una “classe di ferro”, per altri addirittura mai più ripetuta. A me basta pensare di aver percorso, anche con alcuni di questi, un bel pezzo di strada professionale, appassionati e mai piegati all’arroganza di chi, nel tempo, ha preferito mettere avanti la scadenza mensile della sua prossima rata del mutuo alle ragioni, umane e morali, di un associazione che fortunatamente rimane un riferimento assoluto per la qualificazione e l’affermazione professionale dei comunicatori del vino, in Italia come nel resto del mondo. L’anno appena messo alle spalle ci ha consegnato una bella ventata di rinnovamento e tanti, tantissimi buoni propositi, a livello nazionale ma anche regionale qui in Campania: staremo a vedere cosa succederà, anche perchè, di cose da cambiare pare che ce ne fossero, chi vivrà vedrà!
Così la mia Arca l’anno scorso. (A. D.)
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9 dicembre 2010
Come tutti i premi che contano (o che vorrebbero contare qualcosa, ndr) anche L’A.W.A.® ha le sue nominations, e per avvalorare la tesi che ci vuole profondamente impegnati nel recitare per bene la parte dei leoni in quest’ultimo scorcio di duemiladieci, eccovi riportate, categoria per categoria, tutte le nominations dei vini, delle aziende e delle persone ammesse alla finalissima del nostro award. Infine, una precisazione sui vini: tutti quelli presenti nella lista sono stati naturalmente assaggiati e qualcuno di questi anche più di una volta (ne trovate riprova nelle recensioni presenti su questo blog); Solo alcuni, per una serie di motivi, non hanno goduto di questa vetrina, ma ciò rappresenta solo un dettaglio marginale, che riteniamo comunque opportuno evidenziare, per evitare che si possa pensare di premiare un vino addirittura mai bevuto recensito!

LE NOMINATIONS
- Miglior vino bianco
- Vermentino di Gallura Le Conche 2009 Pedra Majore – Sardegna
- Fiano di Avellino Pietramara Etichetta Bianca 2009 I Favati – Campania
- Trebbiano d’Abruzzo 2003 Edoardo Valentini – Abruzzo
- Miglior vino rosato
- Lacryma Christi del Vesuvio Vigna Lapillo 2008 Sorrentino – Campania
- Campania Rosato Monte di Grazia 2009 Monte di Grazia – Campania
- Montepulciano d’Abruzzo Cerasuolo Pietrosa 2009 Dora Sarchese – Abruzzo
- Miglior vino rosso
- Valpolicella Sup. Monte Lodoletta 2004 Romano Dal Forno – Veneto
- Brunello di Montalcino Bramante 2005 Podere San Lorenzo – Toscana
- Vallagarina Marzemino Poiema 2007 Eugenio Rosi – Trentino
- Miglior vino dolce
- A. A. Gewurztraminer Terminum 2001 Cantina di Termeno – Alto Adige-SudTirol
- Roccamonfina igt Eleusi 2006 Villa Matilde – Campania
- Moscato di Saracena 2008 Cantine Viola – Calabria
- Miglior vino spumante
- Franciacorta Cuvée Prestige rosè s.a. Ca’ del Bosco – Lombardia
- Trento Riserva del Fondatore Giulio Ferrari 2000 F.lli Lunelli – Trentino
- Prosecco di Valdobbiadene Sup. Cartizze Vigna Rivetta Villa Sandi – Veneto
- Miglior vino straniero
- Condrieu Les Terrasses de l’Empire 2007 Dom. Georges Vernay – Rodano sett.le, Francia
- Pomerol 2005 Chateau La Conseillante – Bordeaux, Francia
- Gevrey Chambertin Vielle Vignes ’08 Dom. Philippe Charlopin-Parizot – Borgogna, Francia
- L’azienda/Produttore dell’anno
- Pian dell’Orino – Montalcino, Toscana
- Cantine Lonardo – Taurasi, Campania
- Gianfranco Fino – Manduria, Puglia
- L’enologo dell’anno
- Hans Terzer – San Michele Appiano, Alto Adige-SudTirol
- Sebastiano Fortunato – Consulente, Campania
- Jan Hendrik Erbach – Pian dell’Orino, Toscana
Qui il regolamento completo de L’Arcante Wine Award®.
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Tag:abruzzo, angelo di costanzo, azienda dell'anno, blog, campania, challenge, classifiche, diario di un sommelier, enologo dell'anno, l'arcante, l'arcante wine awards, puglia, tocana, vini italiani, vino dell'anno
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1 dicembre 2010
L’Arcante Wine Award®, ovvero cosa ci è piaciuto di più di quello che ci è capitato a tiro durante l’anno. Aziende, persone, vini.
Art. 1– L’Arcante – diario enogastronomico di un sommelier, indice “L’Arcante Wine Award®” con l’intenzione di riconoscere ogni anno un vivo ringraziamento alle aziende che attraverso il proprio operato, di coltura, difesa e valorizzazione della vitienologia di appartenenza ci consentono di raccontare le emozioni che riusciamo a carpire attraverso i loro vini.
Art. 2 – L’Arcante Wine Award® si propone di valorizzare e favorire la conoscenza del vino, scegliendo ed indicando quelli di elevata qualità che possano al tempo stesso conseguire riscontro ed apprezzamento dell’appassionato di turno; si propone naturalmente anche di stimolare i viticoltori e i produttori al costante miglioramento della qualità dei prodotti proposti.
Art. 3 – L’Arcante Wine Award® è rivolto a tutte le aziende che durante tutto un anno riusciamo a visitare o che ci passano per mano nel bicchiere. Non sono previsti invii di campionature da parte delle aziende concorrenti, nè panel di assaggio a vari livelli e preparazione dei degustatori. Sono naturalmente ammessi alla valutazione tutti i vini assaggiati e prodotti indistintamente sia da viticoltori vinificatori in proprio (anche quelli sfigati!), cantine sociali, aziende commerciali e persino, immancabili, quelle industriali.
Art. 4 L’Arcante Wine Awards® è aperto a tutti i vini assaggiati e da sempre prodotti, di tutte le annate attualmente in commercio senza distinzione di classificazione, colore o provenienza geografica.
Art. 5 Il Comitato Organizzatore, per evitare pressioni esterne, si identifica in tutto e per tutto, al momento, nella struttura editoriale del blog promotore dell’iniziativa, pur riservandosi di comunicare il nome di ciascuno dei componenti quando necessario o espressamente richiesto.
Art. 6 – I produttori che intendono partecipare a L’Arcante Wine Award® non hanno di che aspettarsi, non sarà certo il nostro award a far vendere di più, e di questo ne siamo certi o quasi (non si sa mai!). Non v’è pertanto nessuna domanda di partecipazione da compilare, nessun modulo da scaricare, nessun bonifico bancario da effettuare (!), nessuna bottiglia (come accennato all’Art. 3) da inviare a tal proposito. Sono ammesse, solo in seguito ad una prima valutazione positiva, comunicazioni in merito ad alcune informazioni tecnico-produttive che però sarà nostra cura richiedere e/o verificare in loco.
Art. 7 – Si precisa, ad onor di trasparenza, che non sempre i campioni di vino esaminati sono soggetti all’anonimato. Non sempre ci è possibile, non sempre lo vogliamo. Pertanto nulla a pretendere!
Art. 9 – La valutazione dei campioni, come da deontologia professionale, segue un’attenta metodica di valutazione sensoriale che si rifà naturalmente agli approfonditi studi di formazione e ad anni e anni di esperienza professionale. Tali attitudini, si precisa, non sono certo indifferenti dall’impatto emozionale che – una tantum – può offrire un vino; pertanto, ai fini della valutazione finale, la soggettività non è da trascurare tra gli indici di valutazione finali.
Art. 10 – A salvaguardia del prestigio delle aziende partecipanti, il Comitato Organizzatore non renderà mai noti i risultati delle degustazioni né il punteggio assegnato ai singoli campioni, nemmeno quando, è bene precisarlo, si avanzeranno osservazioni sul merito.
Art. 10 bis – Queste le categorie partecipanti ogni anno a L’Arcante Wine Award®: Miglior vino bianco, Miglior vino Rosato, Miglior vino rosso, Miglior vino dolce, Miglior vino spumante, Miglior vino straniero, L’azienda/Produttore dell’anno, L’enologo dell’anno. Si indice altresì anche un Premio Speciale L’Arcante Wine Award® per la persona del vino dell’anno, che con la sua opera fattiva ha contribuito o contribuisce a dar lustro al mondo del vino.
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Tag:angelo di costanzo, awards, blog, campania, campi flegrei, concorso, enologia, enologo, francia, L'A.W.A, l'arcante wine award®, l'arcante wine awards®, persona dell'anno, premio vino dell'anno, vino bianco, vino dell'anno, vino dolce, vino rosso, vino spumnate
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29 novembre 2010
Riceviamo e volentieri pubblichiamo dalla segreteria regionale di Assoenologi Campania il riscontro del successo della bella iniziativa messa su con l’impegno del presidente Roberto Di Meo, della segreteria e dell’associazione tutta. Bene, bravi, bis! (A. D.)

I 75 iscritti che hanno partecipato attivamente al “corso di aggiornamento sulle molecole aromatiche” organizzato sabato 27 novembre a Manocalzati (AV) presso il Bel Sito Hotel Le Due Torri, sono stati la testimonianza della nuova e pragmatica veste assunta in Campania dall’Assoenologi. La voglia di confronto e di crescita professionale sono solo alcune delle caratteristiche e dei valori che più contraddistinguono gli attuali operatori del comparto vitivinicolo campano.
Al corso, hanno preso parte enologi, enotecnici, produttori ed altre figure professionali operanti nel settore, i due relatori Paolo Peira e Dominique Roujou de Boubeé hanno affrontato ed approfondito con metodologia esperienziale e coinvolgimento dialettico le proprietà aromatiche dei vini, la concreta possibilità di interagire attivamente attraverso l’olfazione diretta di 25 molecole odorose sia in termini di descrizione olfattiva che di concentrazione, oltre che la possibilità di esaltare aromi pregiati attraverso interventi in vigna nonché in vinificazione o la riduzione o eliminazione di aromi associati a difetti, quindi sono state fornite numerosissimi ed utili spunti tecnici sia di carattere viticolo che enologico, finalizzati al miglioramento qualitativo delle uve e quindi dei vini.
L’Associazione è fermamente convinta che la crescita della Campania vitivinicola sia direttamente proporzionale alla crescita professionale di tutti gli attori della filiera: viticoltori, enologi e produttori, e proprio per questo motivo, che Assoenologi Campania sta organizzando per l’anno 2011 diverse iniziative e corsi specifici per contribuire alla crescita di tutto il comparto vitivinicolo.
Per contatti o maggiori informazioni
Roberto Di Meo info@dimeo.it
Presidente Assoenologi Campania
Gerardo Vernazzaro gerardovernazzaro@hotmail.com
segretario Assoenologi Campania
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Tag:assoenologi, assoenologi campania, campania, comparto vitivinicolo, corso sulle molecole aromatiche, gerardo vernazzaro, manocalzati, roberto di meo
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23 novembre 2010

Ingredienti per per 4 persone:
- 400 gr linguine di Gragnano
- 1,2 kg di zucchine
- 100 gr Bebè di Sorrento*
- 50 gr burro
- 2 dl panna fresca
- 80 gr parmigiano (grattugiato)
- 2 rossi d’uovo
- sale e pepe nero (macinato fresco di mulinell) q. b.
- basilico
- pangrattato
- burro per lo stampo
Il giorno prima tagliare: 1/3 delle zucchine a julienne e metterle ad asciugare su un canovaccio dopo averle scolate in un colapasta; 1/3 a dadini; 1/3 a rondelle (far essiccare anche queste). Friggere le zucchine a dadini e tenerle da parte, friggere le zucchine a rondelle e tenerle da parte. Imburrare una teglia di 28 cm e spolverizzare con il pangrattato, disporre sul fondo e sul lato le zucchine fritte a rondelle; Il tegame così pronto si può riporre in frigo mentre si prepara il timballo.
In un tegame appassire con il burro le zucchine a julienne, trasferirle in una bowl capiente e far raffreddare, aggiungere poi: le zucchine a dadini fritte, le zucchine a rondelle se avanzano, la panna il parmigiano, il basilico, i tuorli leggermente sbattuti , il Bebè di Sorrento tagliato a julienne, il pepe ed aggiustare di sale. Unire poi le linguine cotte a metà (raffreddate) e rigirare in modo da condire il tutto in maniera uniforme. Montare quindi il timballo e completare con del pane grattugiato e fiocchetti di burro. Infornare nel forno preriscaldato a 180° per 50 minuti.
* Il Bebè di Sorrento è un formaggio a pasta filata, semi-cotta, dalla stagionatura di soli pochi giorni. Ottimo da mangiare assoluto ma che ben si presta a preparazioni del genere.
La ricetta, come tantissime altre della nostra cucina regionale, beneficia non poco dell’ingrediente segreto che non deve mai mancare a chi si pone di fronte ai fornelli, cioè l’amore, per il cucinare e per i propri avventori! Questa ricetta, devo dire magistralmente eseguita poche sere fa da Gilda Guida Martusciello, viene pubblicata successivamente alla messa a punto in collaborazione con la sua maestra di cucina Carmela Caputo (www.cucinamica.it). (A. D.)
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14 novembre 2010
Ieri, appena un anno fa – era il 13 novembre 2009 – passava on line il primo post del diario enogastronomico di un sommelier. In verità le prove tecniche di messa in rete andavano avanti già da un paio di settimane, ma per chi come noi col computer vive più o meno lo stesso rapporto che si ricorda dell’uomo con la scoperta del fuoco, i tempi spesi riteniamo essere stati più che minimi.

Inutile ripercorrere ancora una volta la nostra storia, fare sfoggio delle migliori e più illuminanti motivazioni che ci hanno spinto a sdoganare il 2.0, è tutto scritto e sotto gli occhi di tutti su queste pagine, a portata di clic, come si direbbe. Una cosa però la vogliamo scrivere, sentiamo anzitutto l’esigenza di ringraziare tutti coloro che liberamente ispirati si iscrivono quotidianamente alla newsletter di questo blog, tanti, tantissimi per le nostre aspettative come tante sono le persone che ogni giorno fanno registrare almeno un passaggio su queste pagine. Ma più dei numeri siamo orgogliosi dei nomi, della qualità degli utenti che frequentano L’Arcante; molti sono colleghi sommeliers, spesso in cerca di un riscontro alle proprie esperienze più che di comunicati o uffici stampa tutti uguali, con i quali oltretutto, fuori dalle righe del blog, riusciamo anche a parlare di tanti altri argomenti che attraversano trasversalmente il mondo enogastronomico e che spesso possono risultare off topic da trattare in rete ma certamente utili come esperienza di vita. Altri sono cronisti del web, in cerca magari di cosa succede dalle nostre parti, qualche altri stimatissimi giornalisti che ringrazio per l’onorevole sostegno, tantissimi invece gli appassionati, a quanto pare gli utenti più attenti ed esigenti. A tutti quanti un grazie di cuore grosso così, veramente!
Detto questo, senza entrare troppo nel merito filosofico, e al netto di un linguaggio tanto sofisticato quanto fine e se stesso, a qualcuno sempre molto caro, è d’obbligo ribadire che questo è un semplice diario enogastronomico, cioè un contenitore di idee, progetti, esperienze, vissuti con passione ed emozione ed appartenenti a persone vere, in questo caso al sottoscritto e per quanto Letizia lo consenta, alla compagna di viaggio (e moglie) di sempre Lilly Avallone. Non si ambisce a fare giornalismo, non ci interessa, lo lasciamo fare ben volentieri ad altri certamente più capaci e soprattutto qualificati; non desideriamo nemmeno essere sul pezzo, come si suol dire, quasi per natura infatti alla sempre più frequente ostentazione della presenza opponiamo il sottile dispiacere di non poter esserci.
Una cosa però è certa, ci teniamo a dire la nostra, a raccontare le nostre esperienze, siano esse professionali che umane, a condividere quindi la nostra passione con chi il mondo del vino lo vive con amore e lo beve per piacere, anche per lavoro, ma giammai per mero interesse economico.
Angelo Di Costanzo & Lilly Avallone
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19 ottobre 2010
Galà del vino campano
Seminari tematici sulle cinque province
Grande banco di assaggio con 43 etichette e 34 produttori campani
Domenica 31 ottobre alle ore 16 incontro-presentazione dell’evento, poi l’apertura del grande banco d’assaggio con 43 etichette in degustazione per 34 aziende. Dalle ore 18.30 ogni ora un salotto tecnico con brevi seminari tematici per fare il punto sulle cinque province campane.
Un filo rosso di qualità che ha pochi eguali in altre zone d’Italia, come sottolinea Eleonora Guerini, curatrice della Guida insieme a Marco Sabellico e a Gianni Fabrizio: Per quanto sia innegabile che in tutto il sud, da diversi anni, sia in atto nel mondo del vino una vera e propria rivoluzione culturale, e di conseguenza qualitativa, è da sottolineare come la Campania svetti per la capacità di raggiungere livelli di eccellenza assoluta. Questo credo dipenda fortemente dalla presenza di terroir di valore, che solo una mentalità legata alla quantità aveva tenuto sopiti. Ora, grazie anche a produttori seri, capaci e appassionati, le potenzialità iniziano a esprimersi compiutamente e danno voce a caratteri decisi e inimitabili, forti di vitigni, che da sempre albergano in regione, unici e di grande fascino. Il Fiano diventa sempre più appuntito, il Greco ha virilità più snella, gli Aglianico non guardano più all’eccesso come a un fine da perseguire. C’è ancora molta strada da fare ma le possibilità sono evidenti, come dimostrano alcuni fari enologici, esempi perfetti cui far riferimento.
Parallelamente al banco d’assaggio verrà predisposto un salotto tecnico che ospiterà ogni ora brevi seminari tematici, con il coinvolgimento dei produttori. Sono programmati quattro incontri, uno ogni ora dalle 18:30 alle 21:30, e in ciascun appuntamento i principali collaboratori di Gambero Rosso faranno il punto della situazione su quanto emerso, fra punti di forza e di debolezza, nelle cinque province campane. In ogni incontro, inoltre, saranno proposti in degustazione guidata tutti i due bicchieri colorati di Vini d’Italia 2011, raggruppati secondo i seguenti spunti:
Ore 18:30
- Il punto della situazione in provincia di Caserta
- In degustazione
- “Gli esordienti: le etichette per la prima volta in finale Gambero Rosso”
Ore 19:30
- Il punto della situazione in provincia di Napoli e Salerno
- In degustazione
- “Gli under 15: i due bicchieri colorati sotto i 15 euro in enoteca”
Ore 20:30
- Il punto della situazione in provincia di Benevento
- In degustazione
- “Peccati di gioventù: i finalisti con prospettive di felice evoluzione nel tempo”
Ore 21:30
- Il punto della situazione in provincia di Avellino
- In degustazione
- “I veterani, classici dell’eccellenza campana”
La partecipazione ai seminari tematici è libera e gratuita, previa prenotazione, fino ad esaurimento posti. Per le prenotazioni rivolgersi alla Segreteria Organizzativa di Miriade & Partners (Tel. 392/9866587 – email: info@galavinocampano.it)
Ecco i 43 vini in rappresentanza di 34 aziende in degustazione presso il grande banco d’assaggio aperto al pubblico di appassionati, giornalisti ed operatori, predisposto a partire dai vini valutati con due bicchieri colorati e Tre Bicchieri sulla guida Vini d’Italia 2011 di Gambero Rosso.
Amarano di Montemarano (Avellino) con il Taurasi Principe Lagonessa ’06, Boccella di Castelfranci (Avellino) con il Taurasi Sant’Eustachio ’06, Cantina dei Monaci di Santa Paolina (Avellino) con il Greco di Tufo ’09, Cantine dell’Angelo di Tufo (Avellino) con il Greco di Tufo ’09, Colli di Lapio di Lapio (Avellino) con il Fiano di Avellino ’09, Contrade di Taurasi di Taurasi (Avellino) con il Taurasi Riserva ’05, Di Prisco di Fontanarosa (Avellino) con il Greco di Tufo ’09 e il Taurasi ’06, Ferrara Benito di Tufo (Avellino) con il Greco di Tufo ’09 e il Greco di Tufo Vigna Cicogna ’09, Feudi di San Gregorio di Sorbo Serpico (Avellino) con il Fiano di Avellino Pietracalda ’09, il Greco di Tufo Cutizzi ’09 e l’Aglianico del Vulture ’07, Galardi di Sessa Aurunca (Caserta) con il Terra di Lavoro ’08, Grotta del Sole di Quarto (Napoli) con il Campi Flegrei Piedirosso Montegauro Riserva ’07, Guastaferro di Taurasi (Avellino) con il Taurasi Primum Riserva ’06, I Favati di Cesinali (Avellino) con il Greco di Tufo Terrantica Etichetta Bianca ’09, Il Cancelliere di Montemarano (Avellino) con il Taurasi Nero Né Riserva ’05, La Rivolta di Torrecuso (Benevento) con l’Aglianico del Taburno Terra di Rivolta Riserva ’07, Marisa Cuomo di Ravello (Salerno) con il Costa d’Amalfi Ravello Bianco ’09 e il Costa d’Amalfi Furore Bianco Fiorduva ’09, Masseria Felicia di Sessa Aurunca (Caserta) con il Falerno del Massico Rosso Etichetta Bronzo ’07, Mastroberardino di Atripalda (Avellino) con il Taurasi Radici ’06 e il Taurasi Radici Riserva ’04, Molettieri Salvatore di Montemarano (Avellino) con il Taurasi Vigna Cinque Querce Riserva ’05, Montevetrano di San Cipriano Picentino (Salerno) con il Montevetrano ’08, Nanni Copè di Vitulazio (Caserta) con il Sabbie di Sopra il Bosco ’08, Perillo di Castelfranci (Avellino) con il Taurasi ’05, Picariello Ciro di Summonte (Avellino) con il Fiano di Avellino ’08, Pietracupa di Montefredane (Avellino) con il Fiano di Avellino ’09, il Greco di Tufo ’09 e il Cupo ’08, Rocca del Principe di Lapio (Avellino) con il Fiano di Avellino ’09, San Francesco di Tramonti (Salerno) con il Costa d’Amalfi Bianco Pereva ’09, Sanpaolo di Torrioni (Avellino) con il Fiano di Avellino Montefredane ’09, Terre del Principe di Castel Campagnano (Caserta) con il Casavecchia Centomoggia ’08, Urciuolo di Forino (Avellino) con il Taurasi ’06, Vadiaperti di Montefredane (Avellino) con il Fiano di Avellino Aipierti ’08 e il Greco di Tufo Tornante ’09, Villa Diamante di Montefredane (Avellino) con il Fiano di Avellino Vigna della Congregazione ’08, Villa Matilde di Cellole (Caserta) con il Falerno del Massico Bianco Caracci ’08, Villa Raiano di San Michele di Serino (Avellino) con il Fiano di Avellino Ventidue ’09 e Volpara di Sessa Aurunca (Caserta) con il Falerno del Massico Rosso Ri Sassi ’07.
Appuntamento quindi, a tutti gli amici del Diario Enogastronomico di un Sommelier, domenica 31 ottobre alla Città del gusto di Napoli, Via Coroglio 104/57. Noi ci saremo!
Maggiorni info
Ufficio Stampa: 320/4332561
stampa@galavinocampano.it
www.galavinocampano.it
Città del gusto Napoli
Via Coroglio 104/57 – Napoli (Zona Bagnoli)
Telefono: 081/198 08 900-902
Fax 081/ 198 08 911
Sito Internet: www.cittadelgusto.it
Email: napoli@cittadelgusto.it
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27 settembre 2010

L’annata 2003 è passata alla storia per l’incredibile andamento meteorologico, per un caldo torrido, fuori da ogni previsione che ha imperversato senza tregua sino a raggiungere, in alcuni frangenti della stagione, temperature assurde, condizione questa favorita anche dalla miserabile scarsità delle precipitazioni registrate. Tantè che i dati analitici pre-vendemmiali subito fecero, all’epoca, enorme scalpore, facendo sorridere molti, soprattutto coloro che ogni anno per compiacere un mercato sempre più smanioso di curve e rotondità erano costretti a “ravvedere” mosti poco concentrati ricorrendo a macchine infernali o quantomeno ad assumere a tempo determinato un enologo-prestigiatore; Per molti altri invece, il millesimo ha semplicemente consegnato agli annali almanacchi, vini surmaturi e privi di nerbo, e dove invece non cotti, marmellatosi, decisamente privi di carattere, destinati più semplicemente ad una vita piuttosto breve.
Il più grande piacere che può offrire una bottiglia di vino, oltre alla facile libidine dell’ebbrezza, è la scoperta, ancora più grande e deliziosa se inattesa ma soprattutto quando viene a conferma dell’idea che l’eccezione alla regola è un valore, semmai ne avessimo ancora dubbio, da non sottovalutare mai, anche di fronte a pregiudiziali così nitide, nel vino in particolar modo. Così è capitato a tiro, in una bevuta tra Amici di Bevute – rigorosamente alla cieca – un assaggio piuttosto atipico, in una batteria di una dozzina di campioni che volevano parlarci di aglianico e che invece ci hanno costretti a riflettere che forse sarebbe ora di rivedere certi precetti ovvero di rifarsi la bocca con il più classico dei blend campani, l’aglianico maritato al sempiterno misconosciuto piedirosso, interpretato in maniera eccelsa proprio dal Camarato di Villa Matilde.
Per gli amanti dei dati tecnici, il Camarato nasce nelle tenute di S. Castrese a Sessa Aurunca in provincia di Caserta, non lontano dalla cantina storica della famiglia Avallone a Cellole, sulla litoranea statale Domiziana. Qui i suoli sono di origine vulcanica con una buona dotazione di fosforo e potassio, i primi impianti sono stati fatti nel 1970, la loro collocazione altimetrica non supera i 150 mt. slm ed i ceppi sono stati piantati con non meno 4500 viti per ettaro, per l’epoca un gran passo avanti per il territorio. L’allevamento è a guyot e generalmente non si va oltre le sei gemme per pianta; Il mosto ottenuto viene lasciato in fermentazione con sue vinacce per circa 25 giorni, dopo la malolattica, il vino passa in legno, affina in barriques di rovere di Allier per almeno 12 mesi e successivamente in bottiglia per ancora due anni circa.
Il 2003 nel bicchiere, un vino per i posteri, dal colore granato appena aranciato sull’unghia, cristallino e vivo. Il naso è sottile e ficcante, il tempo ha concesso al piedirosso di venire fuori alla grande con tutta la sua eleganza, tutta la sua lineare, composta fragranza floreale passita, con in più un finale, lieve, dall’impronta terrosa, di cuoio e spezie fini ad infondere complessità e tipicità. In bocca è sorprendentemente sottile, l’ingresso è asciutto, pacatamente equilibrato, il primo sorso scivola via che è un amore, i successivi non hanno nemmeno bisogno di essere pensati. Un vino decisamente godibile, probabilmente per niente vicino alle annate precedenti e future e nemmeno alle aspettative di questo millesimo, ma capace, come detto, di smuovere la coscienza, quantomeno la nostra, e far parlare, parlare, parlare, e riflettere!
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24 settembre 2010
L’estate è alle spalle, la vendemmia da qualche parte è appena cominciata, altrove se ne parlerà più in la, così l’autunno – preannunciato piuttosto rigido – rimane dietro l’angolo e così gli Amici di Bevute decidono di incontrarsi una sera a cena: per fare il punto della situazione, per discutere sul da fare e non ultimo a parlar… d’amore.

Eh si, perchè ognuna delle nostre storie, idee, fisime, passioni sono indissolubilmente legate all’amore, quello viscerale per la propria terra, quello ideale per il proprio progetto di lavoro, quello indissolubile per la propria donna (o l’uomo) che ti è compagna nella vita. Abbiamo trascorso una serata meravigliosa, coccolati da una infaticabile Emanuela, nutriti da François (e dalle galline del cratere degli Astroni, ndr) e magistralmente edotti da Gerardo in una lezione di enologia, tra le vasche, a mezzanotte e rotti: cose da bollino rosso insomma.
Ne abbiamo bevute delle belle e pure qualcuna meno affascinante, bottiglie che hanno già, a loro modo, fatto storia ed altre che l’avrebbero voluta fare ma all’altezza non sono, altre ancora, ahimè, miserabilmente consacrate all’altare di un dio che non arriverà mai a benedirle. Comunque, una bella serata, tra amici produttori, enologi, professori di marketing, sommeliers, l’idea di base è sempre quella di offrirsi, capire, confrontare, imparare, ma la riflessione importante, rimasta nell’aria come l’odore pregnante di vinaccia in vendemmia, è stata quella sopraggiunta giusto in mezzo tra il Camarato 2003 di Villa Matilde ed il Tenuta Argentiera 2004 – più o meno al quarto/quinto campione – e cioè che alla fine di tutto un grande vino per affermarsi tale, rimanere impresso nella bocca come nella mente, può nascere solo da chi, cosciente delle proprie idee e mezzi, sa cosa significa profondamente amare e rispettare la propria terra!
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21 settembre 2010
Concludiamo con questo post (forse), il viaggio nelle cinque province campane alla ricerca della vendemmia 2010 perfetta! Abbiamo dato, durante tutta una settimana, la parola a chi il vino lo fa, agli enologi, a coloro cioè che vivono costantemente, durante tutto il ciclo biologico annuale della vite, le ragioni dell’essere di una vigna, dal ciclo vegetativo a quello riproduttivo, e di una azienda, dalla raccolta dell’uva dalla pianta a quello che sarà, con ogni probabilità, vino autentico e piena soddisfazione dei nostri lieti calici. Noi de L’Arcante, ce l’abbiamo messa tutta, di certo non si potrà dire che non ve l’avevamo detto raccontato: Benvenuta (generosa) vendemmia 2010!

Francesco Martusciello Jr, enologo a Grotta del Sole e Foglie di Amaltea, il nuovo gioiello di famiglia in terra flegrea, ci da una seconda chiave di lettura sui Campi Flegrei. La vendemmia in Campania è piuttosto in ritardo, per cui anche dalle nostre parti soffriamo di questa problematica legata al fatto che la stagione invernale si è protratta sino alla prima settimana dello scorso giugno, con un’altalena meteorologica che ha rallentato moltissimo la maturazione. Le uve per contro si presentano tutte sanissime, abbiamo in effetti registrato solo pochi problemi fitosanitari; Le rese per ettaro relative alla falanghina sono più alte rispetto allo scorso anno di circa un 7-8 %, ma comunque nella media dell’ultimo triennio. Per quanto concerne il piedirosso, le rese sono certamente più basse rispetto alla media degli ultimi due anni poichè le piante nella fase di pre-allegagione sono state esposte ad un periodo di forti piogge e vento, durato un paio di settimane, che ha influenzato sensibilmente la fioritura; Per cui ha allegato meno, in particolare nelle aree più alte (c.a. 230-250 mt slm), e comunque, per il momento le uve presentano buone acidità e una discreta concentrazione con un rapporto polpa/buccia decisamente a favore della buccia: se le prossime settimane saranno, come mi auguro, ricche di sole si può prevedere una qualità dei nostri mosti ottima-eccellente. In più c’è da considerare un aumento in ricchezza aromatica, considerando le buone escursioni termiche che si stanno registrando, spesso superiore agli 8-9°c.
Così Antonio Pesce, enologo consulente per diverse aziende campane tra le quali Casa Setaro sul Vesuvio, Quarium in Irpinia e Contrada Salandra nei Campi Flegrei. Bene, in generale la vendemmia, come già ampiamente trattato sarà certamente posticipata, la situazione è più o meno come qualche anno fa, quando si vendemmiava a fine settembre, o meglio ancora ad ottobre inoltrato. Tutto ciò è dovuto al freddo, alle forti piogge e al ritardo della ripresa vegetativa della pianta; Le vigne nelle quali si è lavorato bene, sia dal punto di vista sanitario che produttivo, sicuramente risponderanno alla grande; Le uve che ho analizzato fino a stamattina (20 settembre, ndr) rispondono alla perfezione per il rapporto fra zuccheri, pH ed acidità. In conclusione credo che i vini bianchi beneficeranno di una particolare ricchezza aromatica, i rossi inevitabilmente con una struttura importante. Molto probabilmente le “mie” vendemmie cominceranno nei Campi Flegrei il 27 settembre, prima con la falanghina e poi, qualche settimana dopo, con il piedirosso; Sul Vesuvio, dove tutto procede nel migliore dei modi, credo di arrivare sino alla prima settimana di ottobre, in Irpinia se ne parla sicuramente dopo il 10 ottobre, dapprima con il Greco, poi il Fiano e solo dopo il 4-5 di novembre con l’aglianico di Taurasi.

A Vincenzo Mercurio, tra i più attivi winemaker campani e grande interprete della vitienologia regionale, abbiamo chiesto invece di relazionarci – visto il suo gran da fare in Campania sulla tipologia – su uno dei trend in maggiore crescita negli ultimi anni: lo spumante da vitigno autoctono.
Si parte con il Giacarando, lo spumante rosè da uve aglianico di Cantine San Paolo di Atripalda: abbiamo vendemmiato il 20 settembre, uve sanissime, dalle prime rilevazioni abbiamo una gradazione alcolica più bassa rispetto allo scorso anno, siamo sugli 8 gradi. La falanghina dei Campi Flegrei per il Malazè, lo spumante di Cantine Babbo di Pozzuoli, l’abbiamo vendemmiata, vincendo la superstizione, lo scorso venerdì 17 settembre: abbiamo in cantina un’ottima materia prima, con un’acidità record pari a 8, 5 di pH. Il colore dei mosti è particolarmente brillante e fa presagire, tra l’altro, ad una buona longevità. A Torrecuso invece, nelle vigne di Paolo Cotroneo a Fattoria la Rivolta, il Greco sarà raccolto tra qualche giorno, contiamo di iniziare il 27 settembre, l’acidità è più elevata dello scorso anno, le uve sono anche qui sanissime e ci aspettiamo, grazie alle forti escursioni termiche degli ultimi giorni, una maggiore concentrazione di note aromatiche rispetto all’anno scorso.
In Irpinia, da I Favati, il Cabrì spumante da uve fiano di avellino si vendemmia questo fine settimana. Le uve sono molto ricche e proprio per questo abbiammo deciso di dare vita anche ad un secondo vino spumante, questa volta un extra dry “etichetta bianca” con uno stile decisamente diverso dal primo. In ultima analisi, oltre che affermare con certezza che siamo di fronte ad un’ottima annata per gli spumanti, rimaniamo un po preoccupati per i rossi: abbiamo ancora una buccia sottile, con i rischi annessi e siamo forse troppo in ritardo in quanto a maturazione, perciò decisamente attaccati alla speranza a che le condizioni climatiche delle prossime settimane riescano a fare la differenza. Per i vini bianchi invece è decisamente una bella annata, ho avuto modo di registrare dati analitici di acidità record e spiccate mineralità, il che ci fa ben sperare anche in virtù di un mercato bianchista che si sta dimostrando sempre più avvezzo a tendenze stravaganti e più vicino ad interpretazioni autentiche, territoriali, che fanno finalmente preferire vini freschi e minerali a vini surmaturi e burrosi!
Qui le impressioni dei vignerons Antonio Papa e Tony Rossetti che ci presentano il millesimo nella terra dell’Ager Falernus.
Qui il polso della provincia di Caserta, Gennaro Reale su le Terre del Volturno e Roccamonfina.
Qui la vendemmia 2010 nei Campi Flegrei illustrata da Gerardo Vernazzaro.
Qui la vendemmia 2010 in Cilento, Irpinia e provincia di Benevento analizzata da Fortunato Sebastiano e Massimo Di Renzo.
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16 settembre 2010

di Gennaro Reale, enologo di Fattoria Selvanova a Castel Campagnano, Masseria Starnali a Roccamonfina nonchè collaboratore in Vigna Viva.
L’annata 2010 si è manifestata un poco strana all’inizio ma poi pian piano sta venendo fuori molto bene. La maturazione delle uve si è lentamente evidenziata in maniera molto eterogenea, l’aglianico in particolare è emblematico per come si differenzia da areale in areale, si pensi per esempio che in Cilento credo che non si arriverà nemmeno alla fine del mese (settembre, ndr) mentre in Irpinia come è già noto si arriverà, in alcuni casi, sino a novembre inoltrato. Detto ciò, mi sento di affermare con certezza che per i bianchi sarà una gran bella annata, in alcune zone l’andamento fresco ha permesso una maturazione lenta ma particolarmente regolare, ed i ritardi, ove registrati, hanno permesso o stanno permettendo alle uve di giovarsi di importanti escursioni termiche tra giorno e notte che insistono tra l’altro già da qualche settimana.
Le Colline Caiatine e le Terre del Volturno, provincia di Caserta. I terreni qui sono ricchi di argilla con una buona dotazione calcarea ed organica (usiamo nutrire i suoli esclusivamente con gli scarti delle potature ed il letame bovino, il cosiddetto compost). Sono terreni molto resistenti alla siccità, ma nelle ultime tre annate – soprattutto ’07 e ’08 – abbiamo avuto notevole stress idrico che ha fatto andare in disidratazione soprattutto le piante più giovani mentre quest’anno l’andamento stagionale più fresco e piovoso ha permesso ai terreni di fare scorta d’acqua in abbondanza e quindi di essere rigogliosi ed equilibrati anche nel periodo più caldo agostano. Confido quindi in un grande pallagrello bianco, guardando al passato, mai sono riuscito a vendemmiare dopo il 15 settembre, per via dell’accumulo eccessivo di zuccheri ed il conseguente crollo dell’acidità, ma quest’anno invece il quadro analitico è equilibratissimo, e la maturità aromatica piuttosto spinta promettono un pallagrello bianco da ricordare negli annali, estremamente ricco e complesso: solo a vederne i mosti sono già contentissimo. Anche il pallagrello nero promette ottimi risultati, ma per il momento è opportuno rimanere alla finestra, sarà utile aspettare ancora qualche settimana per avere una perfetta maturità fenolica prima di raccoglierlo dalla pianta! L’aglianico sta benissimo, le poche spaccature dell’acino che c’erano si sono rimarginate rapidamente e queste belle giornate permettono ai grappoli la giusta areazione, importantissima per questa varietà tanto sensibile quanto prelibata.

Roccamonfina, provincia di Caserta: Masseria Starnali, di cui mi occupo, ha circa 30 ettari tutti a conduzione biologica di cui 6 vitati, in una delle zone più suggestive della denominazione, non a caso confinanti con Fontana Galardi, a circa 500 m slm e proprio alle pendici del vulcano spento di Roccamonfina. Qui i terreni sono sciolti con affioramenti di roccia vulcanica e lapilli, denotando comunque una discreta percentuale di argilla. Sono terreni che soffrono molto le annate siccitose e che hanno invece goduto particolarmente di questa 2010 rivelatasi sufficientemente piovosa, quindi offrendoci vigne dalle pareti fogliari verdeggianti e frutti sanissimi. La vocazione è a falanghina ed aglianico, con una piccola parte anche di piedirosso. I tempi di maturazione sono più o meno simili a quelli Irpini, quindi è abbastanza presto per azzardare previsioni, credo si arriverà ad iniziare intorno al 20 settembre ottobre per la falanghina e fine ottobre-inizio novembre per aglianico e piedirosso. Anche qui mi aspetto una gran materia prima e non nego di aspettarmi delle belle sorprese!
In definitiva, guardando più in generale il quadro regionale, penso che sarà proprio un’ottima annata, in particolar modo sui vini bianchi e soprattutto per chi ha lavorato con buon senso ed equilibrio in vigneto. Aspettiamo i vini a conferma di tanto entusiasmo…
Qui la vendemmia 2010 nei Campi Flegrei illustrata da Gerardo Vernazzaro.
Qui la vendemmia 2010 in Cilento, Irpinia e provincia di Benevento analizzata da Fortunato Sebastiano e Massimo Di Renzo.
Qui le impressioni dei vignerons Antonio Papa e Tony Rossetti che ci presentano il millesimo nella terra dell’Ager Falernus.
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14 settembre 2010

Benvenuta (generosa) vendemmia 2010! Nelle scorse settimane, in previsione della vendemmia che andava già iniziando in alcune regioni d’Italia, si sono subito levate voci gaudenti di piena soddisfazione in virtù dell’imminente sorpasso, numeri alla mano, nei confronti dei cugini francesi, che avrebbe confermato la produzione vitivinicola italiana come primo riferimento assoluto in Europa, grazie ad una vendemmia abbondante, talmente ricca che porterà nelle cantine italiane (già stracolme, ndr) uve sane ed in quantità più che soddisfacente. Giusto il tempo però di lanciare alcune riflessioni e tutto l’entusiasmo iniziale è andato subito a farsi benedire, lasciando spazio ad accesi dibattiti, speculazioni mediatiche nonchè polemiche sterili e quintalate di buoni auspici per riordinare un sistema che a quanto pare non riesce proprio a vedere ad un palmo dal naso il buco nero che si è aperto all’orizzonte, continuando ad annaspare, ed in maniera pedissequa, a sovrastimare un mercato in continua svalutazione, perchè in Italia di uva e di vino se ne producono fin troppo!
Così, in attesa del lungo inverno alle porte che ci accompagnerà in in giro per l’Italia e ancora in Francia a scoprire e capire cosa poi è arrivato nelle bottiglie (promettiamo che ne leggerete delle belle!) abbiamo chiesto ad alcuni enologi, stimatissimi amici, di darci delle dritte o più semplicemente illustrarci il loro punto di vista sul campo, in primo luogo in terra campana, certamente primario interesse di questo blog e qua e là in giro per l’Italia. Ecco le prime testimonianze che ci sono arrivate.
Fortunato Sebastiano, enologo, con Vigna Viva segue diverse aziende sparse nelle cinque province campane; La sua è una testimonianza molto utile che ci da il polso di diverse microaree regionali; Questo il suo racconto: “è importante premettere che tutte le vigne di cui scrivo sono condotte in regime biologico. In provincia di Salerno (Picentini e Cilento) si prefigura una grande annata, con uve Fiano straordinarie, raccolte a fine agosto, di grande equilibrio acidico; L’aglianico promette benissimo, le escursioni termiche e gli abbassamenti di temperatura di fine primavera hanno rallentato le maturazioni ma qui questo non è un problema. In provincia di Benevento, areale di Sant’Agata dei Goti, dove opero, è stata per l’aglianico un’annata difficile, la peronospora è stata particolarmente invadente; La Falanghina invece molto buona, il Greco ed il Piedirosso idem, ci attendiamo vini molto interessanti. Qui alcune zone umide hanno risentito delle temperature medie troppo basse, inchiodandosi e trovando un pò di difficoltà di allegagione, la cosiddetta maturità eterogenea. Ad Avellino, negli areali di Montefusco, Santa Paolina, Castelfranci, Lapio, Montefredane, San Michele di Serino, il Greco è risultato molto equilibrato e dalle acidità perfette che mi fa pensare ad un’annata “tipica e varietale”, peccato per la grandine di fine luglio a Santa Paolina che ha un po ridimensionato le prospettive. L’Aglianico è in grande forma, ci aspettiamo grandi cose anche perchè per le zone più alte si arriverà presumibilmente sino a metà novembre per la raccolta; il Fiano risulta di grande spessore a Lapio, e anche nelle esposizioni più calde si avranno uve di buona spalla acida, a Montefredane si prevede una vendemmia nella media ma proprio qui si è registrata peronospora larvata diffusa, con le problematiche che ne conseguono. Infine a San Michele di Serino non ho dubbi sul fatto che si otterranno uve di grande qualità come base spumante”.

Massimo Di Renzo, enologo in Mastroberardino, senza dubbio tra le aziende di riferimento per tutta la regione; Ecco le indicazioni di Massimo: “Le mie riflessioni sulla vendemmia sono basate soprattutto su dati rilevati e costatazioni nelle province di Avellino e Benevento. L’inverno freddo e piovoso ha ritardato un po’ l’inizio della fase vegetativa, riportandola ai tempi classici delle suddette zone, sfatando gli anticipi a cui si è stati costretti negli anni precedenti. La primavera e l’estate sono state caratterizzate da precipitazioni superiori alle medie stagionali. In linea generale oltretutto non è stata un’estate molto calda e le escursioni termiche sono cominciate già forti nel mese di agosto, e ciò si traduce in un rallentamento nella progressione della maturazione, esaltando ricchezza aromatica e freschezza nelle uve. Siamo in ritardo sull’epoca di raccolta di circa 15 giorni, possiamo dunque confermare quanto accennato in precedenza e cioè che si ha un ritorno alle vendemmie tradizionali di ottobre avanzato e novembre, il che, ove possibile, esalterà fortemente il valore del territorio sulla qualità delle uve che arriveranno in cantina. Più degli altri anni la conduzione del vigneto è stata difficile ma prevedo ottimi risultati per chi ha lavorato bene in vigna, chi ha saputo guardare con lungimiranza ad una materia prima di qualità e non necessariamente di quantità. Detto questo però, con un mese circa ancora avanti, è naturale che saranno decisive le condizioni meteo dei prossimi giorni per definire il profilo definito dell’annata, pertanto incrociamo le dita e buona vendemmia a tutti!”
Grazie mille a Fortunato e Massimo, come sempre precisi e di facile lettura, a breve ci occuperemo anche dell’areale vesuviano (Lacryma Christi, ndr) e dei Campi Flegrei; Continuiamo, imperterriti, a scoprire e capire il vino e le sue origini, e così ci pare più facile, non trovate?
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16 agosto 2010

Lo ammetto, inizio ad accettare di buon grado l’idea delle bottiglie di vino con la chiusura tappo a vite. Credo siano stati fatti buoni passi avanti, innanzitutto sull’utilizzo dei materiali, soprattutto in riferimento alle plastiche utilizzate internamente al tappo come sigillante, da qualcuno, in passato, additate come nocive se non addirittura cancerogene e poi anche, sebbene ancora poco, da un punto di vista comunicativo e divulgativo. Per la verità, per quanto ci riguarda, in Italia il dibattito sulla utilità o efficacia di questa soluzione, nata perlopiù per sopperire alle difficoltà causate dal prezzo dei sugheri in costante ascesa, non si è mai acceso del tutto, dovuto soprattutto al fattore culturale, più che altro così filo mittel-europeo quanto vera e propria sincope del nuovo mondo, distante quasi anni luce dal romanticismo latino, italiano e francese in primis, che vuole, aggiungo forse giustamente, le bottiglie di vino bollate e consegnate al tempo esclusivamente con il tappo di prezioso sughero.
Ecco, pur essendo io un romantico, me ne sono fatto una ragione, professionale innanzitutto e nel tempo ho imparato a rivalutare il tappo a vite sino a pensare che prima o poi ne diverrò un convinto sostenitore, quasi un fan; A ciò aggiungo che rilancio molto volentieri l’invito, a chiunque ne fosse strenuo ostruzionista, a rivedere sin da subito la propria posizione e poichè non sarebbe così male di pensare di utilizzarlo con maggiore frequenza, e mi riferisco in particolar modo a quelle aziende che dedicano stabilmente una “linea di prodotti” per esempio alla banchettistica o più semplicemente propongono sul mercato vini dal consumo più o meno veloce (bianchi e rossi d’annata, rosati). Tra i pro, tra i tanti, uno lampante proprio per gli addetti ai lavori, quello cioè di non dover aprire (metti un evento di gala) cento-centocinquanta bottiglie e – come mi auguro capiti di sovente – provarne l’integrità da tricloroanisolo una ad una. Qualcuno ha pensato bene di attenuare lo stress per il sommelier di turno con i tappi sintetici, bene, bravo, ma rimangono pur sempre da aprire, cavatappi alla mano, cento-centocinquanta bottiglie di cui sopra. Vuoi mettere con uno Stelvin, svita e… vai!
© L’Arcante – riproduzione riservata
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5 agosto 2010
Ovvero, ho sempre amato scrivere, sbevazzare, ca(r)pire.

Ma ve lo immaginate un sommelier che parla di andamento vendemmiale, propensioni evolutive in bottiglia e recensisce, tra i primi, vini appena agli esordi divenuti nel tempo veri e propri “must” della nomenclatura purista campana? Bene, per gli increduli, ecco cosa accadde, oggi (più o meno), quattro anni fa sul sito dell’amico Luciano Pignataro, tra i primi a consegnare ai lettori del web le mie elucubrazioni etiliche. Qualche anno prima già passavano di tanto in tanto sulle pagine del Gambero Rosso curate da Daniele Cernilli alcune “appassionate” recensioni di un “giovanotto flegreo tanto prolisso quanto fecondo” (di schede tecniche, ndr); Ma qui era n’altra cosa, i passi erano pesanti, sospinti dalla curiosità del confronto ed indubbiamente piuttosto entusiasmanti…
“La prossima stagione delle guide che inizierà da qui a breve (in verità, qualcuno è già sulla scena) sembra promettere grandi auspici alla viticoltura campana e del Sud in generale. In passato ci si è spesso lamentati del poco coraggio mostrato da alcune testate nazionali nel premiare giovani emergenti (altre volte aziende affermate ma poco inclini a giudizi programmati) ma ad oggi le premesse per gratificazioni di ampio respiro fanno percepire che ne vedremo delle belle. […] In linea generale sono rimasto molto ben impressionato dalla capacità di alcuni di superare una complicata annata ‘05 che comunque fa registrare buonissimi risultati per talune etichette date troppo anticipatamente per disperse.
Capitolo Primo. Il Fiano di Avellino nelle espressioni di Benito Ferrara (!), di Marsella e di Mastroberardino mostra come terroir, competenza e conoscenza del vitigno possano comunque rispettare la autenticità del vino senza snaturarlo a causa di una annata difficile, e sottolineo che parlasi di tre aziende che non sono sicuramente sullo stesso piano per struttura aziendale e volumi d’affari; Buono ancora il Colli di Lapio ‘05 ed una piacevole scoperta il Fiano di Manimurci, profondo ma ancora poco equilibrato. […]
Capitolo Secondo. Aspettative molto più convincenti dal Greco di Tufo che sembra proprio uscire meglio da questa annata che soprattutto nell’interno ha causato non pochi problemi. Sempre affascinato dal Vigna Cicogna di Benito Ferrara, che trovo a tutt’oggi il miglior Greco assaggiato, sono rimasto colpito dal ”G” di Roberto Di Meo, molto complesso nei profumi e persistente nel sapore asciutto ed austero. Ottimo come sempre il Greco di Macchialupa, la materia prima è di ottimo livello, inviterei però Giuseppe Ferrara ed Angelo Valentino ad osare nel proporci anche una versione più affinata, i numeri gli consentirebbero di non avere fretta di uscire, ma si sa come vanno certe cose. […]
Capitolo terzo, dedicato alla Falanghina, che sembra tra i vitigni bianchi campani quello uscito meno peggio dalla vendemmia 2005. Buone le versioni dell’area beneventana dalla più semplice proposta dalla Cantina del Taburno che continua ad essere un riferimento validissimo ad espressioni più “consistenti” di aziende come Aia dei Colombi, Fattoria La Rivolta e Nifo Sarrapochiello. Buona e tradizionale la Falanghina dei Mustilli e di Ocone; Sembrano ormai rispettare una esigenza di “globalizzazione” invece le Falanghine di Mastroberardino, Feudi San Gregorio e Villa Raiano, a dire il vero davvero buone, pulite, ruffiane ma personalmente troppo vicine a tanti altri “vini banana” presenti sul mercato. In Costiera sembra vivere un periodo magico Marisa Cuomo, che non stupice più soltanto per un superbo Fiorduva ma anche il Fuore bianco ‘05 ed il Ravello ‘05 risultano di grande complessità e pulizia oltre che di profondità, insomma Falanghina e Biancolella alla massima espressione. [..]

Sembrano presentarsi con molti buoni numeri invece i prodotti dei Campi Flegrei, vini molto corretti spesso anche nel prezzo abbastanza centrato, che si esprimono pur nella semplicità con schiettezza e personalità. Luigi Di Meo continua il suo personale percorso di crescita, consegna al mercato una Falanghina ‘05 consistente, complessa e minerale e continua in piccole dosi a proporre un cru – Il Cruna DeLago – che uscirà prossimamente, di buon valore sperimentale. Ottime le versioni di Le Vigne di Parthenope, fresca e profumata di pesca e di Cantine Astroni, quest’ultima davvero dall’ottimo rapporto prezzo-qualità. Costante la qualità della Falanghina della famiglia Martusciello quest’anno rivoluzionata anche nell’immagine, buone le interpretazioni di Michele Farro (fresca e serbevole) e di Raffaele Moccia, la Falanghina Agnanum di quest’ultimo è davvero un gran prodotto, longevo ed armonico nel tempo, il 2005 è ancora in vasca mentre si sta appena proponendo sul mercato la versione 2004.
Pensieri e parole certamente spesi bene. Chi volesse trova Qui l’articolo completo originale “Guide – i bianchi campani sulla scena” pubblicato l’8 Luglio 2006.
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29 luglio 2010

Pozzuoli 16 novembre 2009, nasce L’Arcante – diario enogastronomico di un sommelier. Abbiamo esordito più o meno così, raccontandovi di Peppe Mancini e Manuela Piancastelli e della bella favola del Pallagrello. In verità già da qualche giorno lavoravamo su una nuova idea di comunicazione ed alcune belle esperienze ci esortavano a camminare, decisi, questa strada: per imparare, costruire, confrontarsi, crescere.
Erano quelli giorni pesanti, mistici direi, di profonda gioia con il cuore impavido per la novella notizia e di pressione debordante con la mente rarefatta da scelte improrogabili; noi abbiamo deciso di guardare avanti, svoltare l’angolo, alla ricerca di una via percorribile, e di queste pagine farne la cronaca, di nuove esperienze professionali ed umane capaci di segnare il tempo, il nostro tempo, che passiamo a lavorare e vivere alcune delle nostre passioni quotidiane: il vino, il cibo, gli amici, il confronto professionale.
Le ragioni di questo post potrebbero far passare l’argomento come il più banale delle autocelebrazioni ma i numeri meritano sempre una certa considerazione, su tutti le più o meno 200 visite al giorno e le oltre 4500 pagine lette ogni mese, una costante che ci riempie di grandi stimoli; chi ci ama ci segue, chi no pure, ma questo conta relativamente; ci piace parecchio invece che chi ci conosce continua ad esortarci, mentre chi scopre queste pagine per la prima volta ne fa lettura quasi quotidiana.
A tutti diciamo grazie, di vero cuore, perchè avere qualcosa da dire è importante, ma essere ascoltati letti è proprio una bella soddisfazione: le lunghe notti del dopo-lavoro dedicate a buttare giù parole più o meno comprensibili e tracce percorribili hanno per fortuna un senso compiuto.
Orbene, ovunque voi andiate alla ricerca del mare più cristallino e delle spiaggie più fini, che il sole possa accompagnare ogni vostro giorno di agognata vacanza. A Chi sceglierà la terrazza sulla valle più verde di montagna, auguriamo che l’aria tutt’intorno sia della più pura possibile mentre per chi invece rimane in città, che lo stress, almeno ad agosto, abbandoni la vostra quotidianità. A tutti Buone vacanze, e per tutti, buon vino! E che sia dei migliori della nostra amata Campania Felix!
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13 luglio 2010
“Guardi avrei proprio voglia di lasciarmi consigliare da lei un bel vino campano, qualcosa che mi possa far cambiare idea ed opinione a riguardo: deve sapere che lì, su al nord, non è che si beva benissimo, ci sono certi soloni, tutti matti per lo sciardonnè, ma per me che amo il sud rimane comunque piuttosto difficile trovare dei vini della vostra regione che mi entusiasmino in modo particolare, ma è possibile che avete solo Cantine Sociali..?”

Carlo Bernini (nome puramente di fantasia, ndr) si è dimostrato un ospite molto gradito. Avvocato in Cassazione, spalle larghe, almeno quanto il bacino e sessant’anni nemmeno a vedergli la carta d’identità, viso tondo tendente al paffuto, dagli occhi azzurri, semi chiusi; persona però distinta, appena un po sfacciata, curiosa, insomma uno di quei clienti che pagheresti per avere alla tua tavola, e non solo per le belle bottiglie che ti lascia decidere di aprire, e nemmeno per la lauta mancia che ti offrirà alla fine per ringraziarti, stavolta con gli occhi ben aperti, azzurri, lucidi, soddisfatti per avergli riservato una piacevole serata: la tua soddisfazione, la grande soddisfazione l’avrai ottenuta invece da quelle poche parole, tra le mille venute fuori durante la cena, che ha saputo far entrare, esprienza alla mano, con le sue osservazioni, con le sue puntualizzazioni, con i suoi aneddoti, nella tua mente, prepotentemente, parole che mai dimenticherai!
L’avvocato Bernini ne ha viste tante in vita sua, e ne ha districate troppe per fidarsi ciecamente: “mi sono occupato di frodi alimentari e di vino per circa un ventennio, e credimi mio bel sommelier, la purezza delle tue parole, il tuo racconto mi affascinano, ma non mi convincono, ho bisogno di più”. Avvocato mi lasci dire, che brutta opinione che s’è fatto del vino, lasciamo stare le mie chiacchiere, facciamo che a parlare sia il bicchiere, io le faccio bere due-tre cosette, lei, alla fine, mi deciderà cosa val la pena pagare e cosa no, ci stà? “Intraprendente…”.
Così dopo una ouverture leggiadra a base di Biancatenera di Tramonti (Monte di Grazia bianco ’09) confido che sia il Cruna DeLago di Luigi e Restitua Di Meo a scalfire la mistica pervasione del vino nostrano agli occhi dei transumanti avventori dell’alta langa. “Un vino delizioso, ti dà l’impressione di volerti piacere per forza ma non è ruffiano, non ammicca in maniera insolente, dico bene?” Dice bene, essere se stesso è un suo tratto caratteriale. Il vitigno di cui è composto, la Falanghina dei Campi Flegrei ha la capacità di conquistare i palati senza sciolinare false pretese, offre vini sinceramente franchi, austeri e sottili al naso, asciutti e minerali, profondi al palato. Il vino che ne viene fuori è di solito vivo come la storia millenaria imprigionata nelle centinaia di enclavi di monumenti che ne costellano il territorio tutto, da Pozzuoli a Bacoli, ed il Cruna DeLago è una delle sue massime interpretazioni: giallo splendente, intriso di profumi di glicine e pino mediterraneo, quello delle coste di Agnano, austero proprio come l’anima dei suoi vignaioli, legati alla propria terra più che a se stessi, un nettare asciutto e minerale come le falde ardenti del vulcano Solfatara, salmastro non per evoluzione ma per finissima vocazione.
Ecco avvocato, mi sono tenuto defilato, niente nomoni, non le ho nemmeno raccontato della crescita inimmaginabile, il successo del Fiano di Avellino e del Greco di Tufo, e le ho servito il Fiorduva solo perchè così come richiesto dal dotto’ Impresacchi: ma mi dica, le sono piaciuti i vini? “Angelo, ho molto apprezzato, vorrei tanto conoscere di questo Alfonso Arpino, come si fa ad allevare vigne di cent’anni? E poi i Campi Flegrei, pensare alla Falanghina con questa profondità così mediterranea non mi era mai capitato prima, oggi ho scoperto due bei vini!
E’ solo l’inizio mio caro Avvocato, questa è la mia terra e non ha confini!
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