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Manocalzati 30 novembre, “viticoltura del futuro e gestione dei legni in cantina” con Assoenologi

10 novembre 2012

Una full immersion interdisciplinare e trasversale che permetterà di approfondire diversi aspetti del lavoro dell’Enologo sia in vigna che in cantina. La giornata sarà suddivisa in due sezioni. La prima parte sarà dedicata alla viticoltura con un approfondimento delle problematiche legate allo stress idrico, tema di grande attualità tenendo in considerazione l’andamento climatico delle ultime vendemmie, concentrandosi sull’utilizzo dell’irrigazione ragionata per modulare lo stato vegetativo della pianta e quindi gestire la qualità in vigna.

Nello stessa sezione si approfondiranno gli aspetti legati agli incroci intra ed interspecifici, le nuove selezioni di portainnesti e lo stato dell’arte sul miglioramento genetico della vite, valutandone le relative possibilità agronomiche. Durante la seconda parte dell’incontro dedicata all’enologia, si esamineranno gli aspetti tecnico pratici legati ad un utilizzo razionale dei legni in cantina, cercando di fornire all’enologo gli strumenti per scegliere la tipologia di legno più adatto ad ogni singolo “progetto vino”.

Assoenologi Campania, dopo il grande successo dei precedenti incontri formativi “Dentro al Vino “ e “Vigne e Territori”, ritorna con una terza giornata di approfondimento e formazione dedicata alla viticoltura e all’enologia denominata “Viticoltura del futuro e gestione dei legni in cantina”. La prima parte della giornata sarà dedicata alla viticoltura con un approfondimento delle problematiche legate allo stress idrico e all’utilizzo dell’irrigazione ragionata per la gestione della qualità in vigna. Sarà inoltre avviato un focus sugli incroci intra ed interspecifici, sui nuovi portainnesti e sul miglioramento genetico della vite, approfondendo le relative possibilità agronomiche.

A trattare gli argomenti saranno la Dott.ssa Oriana Silvestroni, il Dott. Alberto Puggioni e il Dott. Gabriele di Gaspero. Durante la seconda parte dell’incontro dedicata all’enologia, si approfondiranno gli aspetti tecnico pratici legati ad un utilizzo razionale dei legni in cantina, cercando di fornire all’enologo gli strumenti per scegliere la tipologia di legno più adatto ad ogni singolo “progetto vino”. Relatore di questa sezione sarà l’illustre Professore Michel Moutounet. 

Così gli interventi: alle 9.00 i saluti del Presidente dell’Associazione Assoenologi Campania Roberto Di Meo e degli Sponsor, a seguire il Prof. Luigi Moio introdurrà ai lavori. 

Sessione Mattutina: Dott. Alberto Puggioni: “Gestione delle tecniche irrigue per la qualità in viticoltura ” Dott.ssa Oriana Silvestroni: “Esperienze di gestione dello stress idrico in viticoltura”. 

Sessione Pomeridiana: Gabriele di Gaspero: “Viticoltura del futuro: ibridi, incroci e miglioramento genetico” Michel Moutounet: “Dal legno al bicchiere, caratteristiche del legno di quercia in relazione al suo utilizzo in enologia”. 

La partecipazione al Convegno è gratuita per gli associati , per i non associati ha un costo di 40,00 Euro. L’ orario di inizio dei lavori e’ fissato alle ore 9:00, l’incontro termina alle 18:00 con intervallo dalle 13:00 alle 14:30. L’accredito (obbligatorio per la partecipazione al convegno) avverrà solo attraverso mail al seguente indirizzo di posta elettronica: sezione.campania@assoenologi.it entro e non oltre il giorno 17 novembre. Sarà inoltre possibile pranzare presso il Bel Sito Hotel al prezzo di 20 euro specificandolo al momento dell’accredito.

Bel sito Hotel Le due Torri
Strada Statale 7/bis – uscita Avellino est
Tel +39 0825 670001 – 0825 670268
info@belsitohotelduetorri.it

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Viaggio in Sud Africa, questa è la storia

4 giugno 2012

L’amico Gerardo Vernazzaro, compagno di tante bevute oltre che bravo enologo a Cantine Astroni – e curatore di una rubrica su questo blog -, è stato in Sud Africa per capire cosa succede da quelle parti. Questa è la storia…

Con una tradizione storica di circa 350 anni, in Sud Africa si produceva vino molto prima che in California o in Australia e, tra l’altro, il paese è oggi l’ottavo produttore di vino del mondo. Nonostante il paese mostri un lieve ritardo rispetto agli altri produttori vinicoli del mondo, principalmente dovuto agli avvenimenti politici dello scorso secolo, il Sud Africa si propone al mondo con interessanti vini bianchi e rossi e le premesse per un rapido e importante sviluppo enologico di qualità fanno ben sperare per la produzione futura.

La produzione vinicola è ancora fortemente caratterizzata dalle cooperative, tuttavia si sta registrando, a partire dalla metà degli anni ‘80, un crescente numero di nuovi produttori vinicoli che puntano essenzialmente sui vini di qualità. La zona dove principalmente si produce gran parte del vino è il Capo di Buona Speranza, nella parte più a sud, vicino a Città del Capo.

La storia dell’enologia ha inizio verso la metà del 1600 ad opera di quello che è da tutti considerato come il padre della vitivinicoltura sudafricana: Jan van Riebeeck. Nell’intento di realizzare un punto di ristoro e di sosta per le navi della Compagnia delle Indie Olandesi in rotta verso i paesi dell’estremo oriente, questo giovane chirurgo olandese, che non aveva nessuna nozione né di viticoltura né di pratiche enologiche, intuì tuttavia la necessità di fare trovare vino e distillati agli equipaggi in sosta a Capo di Buona Speranza che avrebbero senz’altro gradito.

Fece quindi arrivare dalla Francia – non è certa l’esatta zona di origine ma con molta probabilità si trattava di chenin blanc e moscato d’Alessandria – alcune viti da piantare e, finalmente, dopo diversi tentativi andati male a causa di incendi appiccati ai vigneti da parte delle popolazioni locali che si aggiunsero agli assalti dei famelici passeri ghiotti di chicchi d’uva, nel 1659 si registra la prima produzione di vino in Sud Africa. Nel diario di Jan van Riebeeck, nella data del 2 febbraio 1659, si trova scritto: «oggi, sia lodato il Signore, per la prima volta abbiamo fatto vino con le uve del Capo».

L’esultanza era certamente comprensibile, tuttavia un cronista dell’epoca ricorda che il vino era incredibilmente astringente, buono solamente per “irritare l’intestino”; non da ultimo, il vino spedito in Olanda veniva spesso rifiutato e rimandato al mittente. Nonostante lo scarso favore e, a quanto pare, i poco incoraggianti risultati dei primi esperimenti, la strada per l’enologia sudafricana era stata tracciata.

Di li a poco, accaddero due avvenimenti significativi che diedero particolare impulso all’enologia locale: il nuovo governatore Simon van der Stel, che arrivò in Sud Africa nel 1679, contrariato dalla forte acidità dei vini locali, decise di fondare nel 1685 la più prestigiosa cantina di tutta la storia del paese: Constantia, la cui fama negli anni arrivò persino a primeggiare con certi vini francesi dell’epoca e con i già celebrati Tokaji ungheresi. Mentre un altro avvenimento che contribuì al miglioramento della qualità del vino in Sud Africa fu l’arrivo, successivamente alla fondazione della cantina Constantia, di circa 200 rifugiati protestanti ugonotti francesi, in fuga dalle persecuzioni religiose dopo la revoca dell’Editto di Nantes, che portarono con loro l’esperienza, senz’altro provvidenziale, delle pratiche enologiche francesi.

I vini di Constantia rappresentarono un caso piuttosto singolare, in quanto erano gli unici del cosiddetto “Nuovo Mondo” a primeggiare, se non a superare, i vini prodotti in Europa e per molti anni preferito dalle Corti Reali d’Europa; lo stesso Napoleone infatti, in esilio all’isola di Sant’Elena, ordinava i vini di Constantia per alleviare il suo tormentoso destino. Erano vini dolci e prodotti nelle versioni rosso e bianco, quest’ultimo più pregiato e ricercato e prodotto perlopiù con Muscat à petit grains a cui veniva probabilmente aggiunto il moscato d’Alessandria e il pontac, un’uva a bacca rossa le cui origini non sono molto certe.

Il declino cominciò dopo l’occupazione delle truppe britanniche, in seguito alle guerre napoleoniche, oltre alla generale debacle di tutto il comparto vinicolo a partire dal 1861. E a rendere ancor più difficoltosa la decadente condizione, come in altri paesi produttori di vino dell’epoca, nel 1886 fece la sua comparsa la temibile fillossera che devastò progressivamente i vigneti del paese. Gli effetti post fillossera si fecero sentire per circa 20 anni e all’inizio del ‘900 i produttori locali ripresero a piantare vigneti, prevalentemente con uva cinsaut (o cinsault), cercando di ridare slancio all’enologia del paese che di fatto, per contro, diede luogo ad una sovrapproduzione che portò nuovamente ad una crisi economica dell’industria enologica del paese. Questa crisi finanziaria portò nel 1918 alla fondazione di una cooperativa di produttori sudafricani, la KWV – Koöperatiewe Wijnbouwers Vereeniging van Zuid Africa (Associazione Cooperativa dei Viticoltori del Sud Africa). 

Lo scopo di questa cooperativa era di fissare dei limiti di produzione, con lo scopo di evitare sovrapproduzioni, e di conseguenza i prezzi minimi del vino. Divenne in breve tempo un potente organismo e nessun vino poteva essere prodotto, venduto o importato in Sud Africa se non per mezzo del KWV. Nonostante questa cooperativa sia ancora attiva e controlli circa il 25% delle esportazioni dei distillati e del vino sudafricano, oggi ha perso molto del suo dominio e attualmente è ristrutturata come un gruppo di compagnie private. Nonostante si debba riconoscere il merito di questa organizzazione per avere contribuito alla stabilizzazione dei prezzi così come alla regolamentazione della produzione vinicola, KWV ha anche lasciato poco spazio alla creatività e all’iniziativa personale dei produttori, determinando, di fatto, un ritardo nelle tecnologie e nella qualità dei vini, che invece negli altri paesi stava procedendo in modo spedito e determinante. Il cambiamento in favore della qualità è iniziato verso la metà degli anni ’80, quando si è assistito ad un cambiamento radicale dell’industria enologica in favore dei piccoli produttori rispetto a quello che era invece la norma fino a quei tempi, cioè le cooperative. 

Le zone di produzione: il centro della produzione vinicola è circoscritto nel cosiddetto “Capo”, nella parte più a sud del paese, in prossimità di Città del Capo e del Capo di Buona Speranza. Le regioni di principale interesse sono certamente Paarl e Stellenbosch, dove si produce anche la maggiore quantità di vino del paese. Qui si producono sia vini bianchi che vini rossi e, non da ultimo, vini fortificati e metodo classico (Cap Classique). Il clima è favorito dalla vicinanza con i due oceani, Atlantico e Indiano, condizioni che consentono la produzione di vini di qualità e, non a caso, i migliori vini del Sud Africa provengono proprio da queste zone. 

La zona di produzione più antica rimane Constantia, nel distretto di Capo di Buona Speranza; un luogo che beneficia sia di un clima fresco sia della vicinanza dell’oceano Atlantico. La zona è famosa per il suo celebre vino dolce, ma si producono anche vini fermi da uve chardonnay e sauvignon blanc, oltre a vini rossi da cabernet sauvignon, cabernet franc e merlot. A circa 45 chilometri ad est di Città del Capo, si trova un’altra celebre zona vinicola del paese, Stellenbosch, prestigiosa città universitaria. Tradizionalmente viene considerata fra le più antiche zone di produzione del paese, dopo Constantia, oltre che fra le più importanti, sia per produzione che per qualità. Il clima di questa zona è piuttosto temperato dalle correnti provenienti dall’oceano Atlantico e le uve coltivate sono il cabernet sauvignon, il merlot, il syrah e il pinotage (pinot nero x cinsault). In questa zona si producono inoltre anche buoni vini fortificati nello stile “Porto” e vini bianchi prodotti con uve chardonnay e sauvignon blanc. Ancora più a nord di Stellenbosch, c’è Paarl. 

Qui oltre a vini bianchi e rossi, ci sono ottime espressioni anche di vini liquorosi, spumanti e brandy. In particolare i vini fortificati sono prodotti con le stesse tecniche con cui si producono i celebri Jerez in Spagna, e spesso la loro qualità viene considerata al loro pari. Le uve prevalentemente coltivate nella zona sono lo chenin blanc, lo chardonnay, il sauvignon blanc, il cabernet sauvignon e il merlot. Un’area molto rinomata di questa regione è Franschoek, originale insediamento degli ugonotti francesi, dove si producono interessanti vini di qualità, in particolare con uve sémillon. Altre zone di interesse sono Hermanus, a sud di Città del Capo, dove si producono interessanti pinot nero e chardonnay, Durbanville, ad ovest di Paarl, dove si producono in prevalenza vini bianchi. Altre zone sono Worcester, Klein Karoo, Mossel Bay, Elgin e Walker Bay.

Qui, sul wineblog di Luciano Pignataro, il bel racconto del viaggio.

Un ricordo di Gennaro Martusciello, e un sorso di Falanghina Coste di Cuma 2010 Grotta del Sole

27 febbraio 2012

Avevo un nodo in gola, e come non potevo: dispiaciuto, commosso, rattristito per la scomparsa di una persona così cara e stimata. Avevo però necessità di rifletterci un po’ su, capire se fosse realmente importante ch’io scrivessi due righe, un pensiero. Così quasi senza pensarci mi son ritrovato a bere nuovamente questo splendido bianco flegreo.

Bene ha fatto qui Luciano Pignataro a riprenderne, in poche chiare righe, la specchiata figura umana e professionale; aggiungo che con la scomparsa di Gennaro Martusciello si chiude dalle nostri parti davvero un’epoca: quella dei pionieri, di coloro i quali avevano come riferimento del mestiere praticamente solo se stessi, il più delle volte costretti, loro malgrado, solo a sognarlo ciò che avrebbero veramente desiderato fare in cantina, dei loro vini; più semplicemente, era necessario fare ciò che andava fatto e nel miglior modo possibile, senza troppi grilli per la testa.

Eh sì, perché quando più o meno vent’anni fa, fuori dai confini regionali, a malapena si era affacciato il greco di Tufo di Mastroberardino, qualche volta il Taurasi, a Quarto si cominciava a ragionare anche sulla falanghina e il piedirosso dei Campi Flegrei: “poveri, ma belli” venivano chiamati (e forse lo sono tutt’ora). Senza contare i primi, incontenibili successi commerciali del rilanciato Gragnano della Penisola Sorrentina o dell’Asprinio d’Aversa fermo e spumante. L’avrete letto centinaia di volte, qui come altrove, un leit motiv pedissequo, quasi stancante, che però pare non bastare mai: “la famiglia Martusciello, che tanto ha contribuito al rilancio vitivinicolo regionale e alla valorizzazione dei vitigni autoctoni campani”. Certo, nei fatti però, non a chiacchiere. E senza dover rincorrere etichette evocative, battaglie bioqualchecosa, sintomatologie naturali. E Gennaro Martusciello in tutto questo, e in molto altro, ha avuto un ruolo cruciale, fondamentale.

Una persona, prima che enologo, stimatissima dall’ambiente; e pur non potendo andare oltre, non ho l’età per maggiori elogi personali – c’ho parlato troppe poche volte, molto di più coi suoi vini -, ho sempre avuto la sensazione come fosse un uomo in tutto e per tutto calato ostinatamente nella sua dimensione: un grande talento, finissimo tecnico e profondo conoscitore della materia, imbrigliato però da una realtà produttiva difficilissima e complicata, misconosciuta, sin da subito dura, talvolta talmente cruda che solo la malattia che l’affliggeva riusciva ad essere più desolante. Un uomo vulcanico don Gennaro, come la sua terra, costretto nella morsa di un malessere che l’ha accompagnato praticamente tutta la vita, segnandolo profondamente nel fisico ma non nell’intelletto, nell’invidiabile talento professionale; un uomo del sud che proprio come la sua terra ha dovuto faticare il doppio, anzi il triplo per emergere, affermarsi. Sì, perché Gennaro Martusciello un riferimento lo è diventato lo stesso, lui con tutta l’azienda di famiglia Grotta del Sole; un esempio per tanti, seguito, emulato, contrastato addirittura, ma un riferimento assoluto, per giovani e vecchie leve di enologi, ma anche di produttori, e non solo in Campania.

E così che saggiando questo Coste di Cuma 2010, oltre a saltarmi al naso bellissimi toni primaverili, con ricordi di macchia mediterranea e poi un sapore asciutto e lungamente sapido, mi ritornano perentorie le parole di Salvatore Martusciello che, lo scorso dicembre, quando mi ha dato questa bottiglia per sapere cosa ne pensassi mi fa: “siamo convinti che sia l’inizio di una nuova epoca in Grotta del Sole, questo duemiladieci del Coste pare condensare tanti degli sforzi che abbiamo fatto sulla falanghina dei Campi Flegrei negli ultimi vent’anni”. E bicchiere alla mano ne sono convinto anch’io, con poco o nulla da aggiungere se non che mi piace, con questa convinzione, pensare a quanto potesse essere felice zio Gennaro di sapere finalmente compiuto un percorso così duro lungo quasi vent’anni, grazie al quale, oltre a lui e ai suoi fratelli, nei vini dei Campi Flegrei hanno imparato a crederci in tanti, e a saggiarli, con attenzione e rispetto, in molti di più.

Questo articolo esce anche su www.lucianopignataro.it.

Manocalzati, Giovedì 16 giugno Vigne e Territori

12 giugno 2011

Tornano il 16 giugno prossimo a Manocalzati (Avellino) gli appuntamenti di formazione professionale dell’Assoenologi Campania, con un convegno ed una giornata formativa per conoscere meglio le caratteristiche dei suoli e dei territori campani per migliorare e caratterizzare la qualità dei vini in vigna realizzata in collaborazione con Bayer CropScience, Consorzio Di Pietro e Consorzio Simonetti. 

Vigne e Territori”: conoscere suoli e territori campani

Matteo Gatti, Luigi Moio, Duilio Porro e Fabio Terribile sono i quattro esperti che il giorno 16 Giugno – dalle 9,00 presso l’Hotel Bel Sito – condurranno la giornata di approfondimento e formazione “Vigne e Territori”. Oggetto dell’incontro saranno gli aspetti tecnico-specialistici volti ad un miglioramento della  conoscenza delle caratteristiche dei suoli e dei territori campani al fine di migliorare e caratterizzare la qualità dei vini in vigna. 

Le relazioni saranno tenute da esperti quali Luigi Moio, professore ordinario di Enologia al Dipartimento di Scienze degli Alimenti dell’Università degli Studi di Napoli Federico II, che aprirà i lavori, mentre Fabio Terribile, professore ordinario di pedologia presso l’Università degli studi di Napoli Federico II, nonché presidente del Sipe, società italiana di pedologia, nella prima parte della giornata interverrà sulle “potenzialità inespresse e le diversità dei suoli e dei territori campani”.

La ripresa pomeridiana è affidata al dott. Duilio Porro, ricercatore presso la Fondazione Edmund Mach di San Michele all’ Adige – unità sperimentazione agraria e agricoltura sostenibile – che si occuperà dell’analisi fogliare quale “strumento di viticoltura avanzata”. Concluderà la giornata il dott. Matteo Gatti, ricercatore presso l’Istituto di frutti-viticoltura dell’Università degli studi del Sacro Cuore di Piacenza con la relazione: “La potatura verde del vigneto quale strumento di tecnica colturale”. 

Per raggiungere Manocalzati (AV), percorrere la Strada Statale 7/bis (uscita Avellino est girare a destra e dopo 500 metri hotel – Tel +39 0825 670001 – 0825 670268 – info@belsitohotelduetorri.it). L’ orario di inizio dei lavori e’ fissato alle ore 9:00. L’incontro termina alle 18:00. E’ previsto un intervallo dalle 13:00 alle 14:30. La partecipazione al convegno è gratuita, mentre l’accredito è obbligatorio e da farsi mezzo mail all’indirizzo gerardovernazzaro@hotmail.com entro e non oltre il giorno 14 giugno. Chi vorrà, potrà pranzare al prezzo di 20 euro specificandolo al momento dell’accredito.

Per contatti con Assoenologi Sezione Campania
Il Presidente: Enol. Roberto Di Meo (3483889372)I
Il Segretario: Enol. Gerardo Vernazzaro (3491796114)
Ufficio Stampa
Monica Piscitelli
Tel.: 348 0063619
m.piscitelli@yahoo.com

Chiacchiere distintive, Gerardo Vernazzaro

5 Maggio 2011

Una laurea in Viticoltura ed Enologia in tasca, conseguita a Udine nel 2001, poi alcune esperienze formative pregnanti prima di ritornare a casa: su tutte, una presso l’azienda agricola Leonildo Pieropan a Soave, l’altra, indimenticata, in Argentina, presso l’azienda Luigi Bosca di Mendoza; Gerardo Vernazzaro, amico di bevute memorabili, oltre ad essere un tecnico di elevatissimo talento prima che di conoscenze, è una gran bella persona, di quelle capaci di risolverti una giornata con una battuta folgorante. E’, tra l’altro, segretario regionale dell’Assoenologi Campania. Cura, di tanto in tanto su questo blog, una delle rubriche che dedichiamo alla viticoltura di qualità.

Allora Gerardo, le lunghe chiacchierate tra “amici di bevute” trovano finalmente una via di confronto più ampia; partiamo dalle origini, l’inizio di tutto: perché uno “scugnizzo” della periferia napoletana decide di fare il tuo mestiere? Non ho mai pensato di diventare enologo fino a quando nell’ estate del ’97, durante una vacanza a Ibiza, mi ritrovai a tirare le somme della mia vita vissuta sino a quel momento. Avevo appena finito le superiori, fresco di qualifica di perito informatico (mio malgrado) e con ben poche prospettive se non quella di vedermi, dopo anni di precariato, mal pagato, seduto per ore dietro a una scrivania; proprio non mi garbava. Ripensai così a quando da bambino giravo in cantina, dai miei zii, per sbarcare il lunario durante la pausa estiva e per mettere da parte qualche lira per i miei sfizi; Così da cantiniere qual ero – e per la verità dopo un po’ non mi andava nemmeno più di tirar tubi, lavar serbatoi e riempir damigiane – decisi che ne dovevo saper di più, così corsi ad iscrivermi a enologia e viticoltura, consigliato dall’amico, oggi collega, Maurizio De Simone che mi indirizzò a Udine; lì, in quegli anni, la formazione era specifica e di buon livello. Preferire Udine col tempo si è dimostrata la scelta giusta, in quegli anni la passione è maturata e cresciuta in maniera esponenziale, e ciò grazie anche alla quotidianità che vivevo in Friuli, dove al posto del caffè si beve vino sin dal mattino. Qui ho colto quale fosse la mia strada.

Il fattore che mi ha fatto innamorare del mio mestiere e’ stata la concretezza, cioè la possibilità di mettere subito in pratica gli insegnamenti scolastici; al primo anno di studi già mi ero attrezzato con un piccolo laboratorio ed alla fine del secondo (1999-2000) ho gestito interamente la mia prima vendemmia: 6000 quintali di uva, con il quaderno degli appunti ed il “Ribereau Gayon”, la bibbia degli enologi; alla fine ero soddisfatto, ma oggi quando ripenso a quei vini rabbrividisco!

Meno male averti conosciuto molto dopo allora! Quindi gli studi, la laurea, le prime esperienze: ma cosa ti rimane di quegli anni? Mi rimangono le amicizie vere, in quanto mi sento e mi vedo frequentemente con tanti amici e colleghi dell’Università con i quali ho trascorso anni bellissimi, divertenti e costruttivi; tra l’altro, ricordo come fosse grande la soddisfazione di aver sovvertito ogni pronostico inizialmente a mio sfavore: “Eccolo qui, il napoletano fancazzista, che non studia, non lavora, mi sentivo dire…”; ed invece dopo appena 6 mesi gli stessi erano costretti persino a chiedermi gli appunti!

Poi il ritorno a casa, in famiglia, a smanettare in cantina; ma fuori dal lavoro? Aver studiato fuori mi e’ servito tanto, mi ha fatto vedere con occhi diversi la mia citta’ e la mia famiglia, con maggior apertura, spirito critico e lucidità. Sai, quando vivi a Napoli è come essere coinvolti in una rissa senza alcuna colpa, solo avendo la fortuna di guardare il tutto da fuori decidi se entrarci o meno.

Non posso negare un certo disagio nel ristabilirmi a Napoli, ho sofferto il riadattamento, il ritorno alla quotidiana frenesia, al caos; in più sopraggiungeva un fattore nuovo, direi inaspettato: la “solitudine professionale”; cioè la mancanza di persone con le quali poter condividere la mia passione per il vino, e non solo nel farlo, ma anche nello scoprire, confrontarsi; all’inizio è stata davvero dura! Poi per fortuna le cose sono cambiate, nella mia vita oltre ad Emanuela sono entrati nuovi amici e colleghi con i quali poter parlare e finalmente condividere tante cose e passioni, non solo il lavoro: Ivan Pavia, Antonio Pesce, Massimo Di Renzo, Fabio Gennarelli, Fortunato Sebastiano, Gennaro Reale, Michele d’ Argenio, Francesco Martusciello Jr e tanti altri; per me stare insieme, condividere è una necessità irrinunciabile, ho un continuo bisogno di confrontarmi.

E’ stato così anche in famiglia? Mi spiego: la storia, le tradizioni, valori così radicati, sono sicuramente pregnanti, riferimenti assoluti, ma talvolta si corre il pericolo di scontrarsi con convinzioni ataviche, stereotipi difficili da superare. O no? La famiglia e’ un valore fondamentale e la storia e le tradizioni sono altrettanto importanti; in verità ogni volta che ho proposto dei cambiamenti, anche radicali, come certe innovazioni, la mia famiglia era già all’ opera nel realizzarli; hanno capito, e i fatti hanno sempre anticipato le chiacchiere.

Piuttosto era far comprendere all’esterno i cambiamenti in corso; il fatto di appartenere ad una famiglia del vino a Napoli con una storia così forte, per taluni appariva un limite invalicabile, e quando proponevo il mio lavoro, i miei vini, c’era sempre qualcuno che diceva “ah si, Varchetta, quelli del vino sfuso!”, senza nemmeno assaggiare i vini. Una pre-percezione negativa che ha reso il “gioco” più duro di come lo immaginassi, diciamo un condannato a priori. Ma dopo dieci anni di duro lavoro e tanti investimenti, per fortuna di scettici ne son rimasti pochi, anche perché crediamo di aver operato sempre in maniera trasparente: che la mia famiglia vendesse vino sfuso (cosa che tra l’altro continuiamo a fare) era logico oltre che normale; abbiamo oltre un secolo di storia nel vino, e come si sa, quello imbottigliato è presente (ed apprezzato) sul mercato, campano in particolar modo, da poco più di 20-25 anni. C’e’ stata una evoluzione repentina che abbiamo attraversata tutta, dai fusti di legno in castagno a quelli di ciliegio, al cemento, per poi passare al vetroresina e quindi all’acciaio, per finire, negli ultimi vent’anni appunto, col vetro. Cambiamenti epocali, da commercianti di uve e vini a vinificatori, e nell’ultimo decennio vignaioli a pieno titolo, con investimenti importanti e mirati ad una viticoltura sostenibile ma di precisione, specializzata in produzioni di qualità, e soprattutto orientata al recupero e alla valorizzazione di luoghi impensabili dall’immaginario collettivo. Ecco la risposta che attendevi, la storia e la tradizione per me oggi non sono affatto ostacoli ma punti di forza su cui costruire il futuro!

Ecco, veniamo ai tuoi di ideali, dal lavoro in vigna alla cantina, qual è il tuo approccio? Il buon senso anzitutto. E il basso impatto. Agli inizi, fresco di studi, mi sentivo super, con le mie conoscenze in enologia pensavo di poter fare tutto, sempre ed in ogni annata. Dunque, poco più che ventenne pensavo che nulla era impossibile, e che in cantina si potesse fare davvero il bello e il cattivo tempo.

Da quando ho iniziato a mettere le mani realmente in pasta, a vinificare l’uva sul cratere degli Astroni, ma anche altre uve di qualità provenienti da diversi areali campani, ho capito che c’era una grande differenza in termini di lavoro in cantina e sui vini finiti. Fare il vino in vigna è d’altronde persino più conveniente. Oggi, dopo le mie prime 12 vendemmie, ritengo sia fondamentale conoscere bene il terreno, attraverso analisi del suolo, per intervenire ove mai fosse necessario in modo scientifico, ma anche e soprattutto analisi fogliari, per capire gli assorbimenti dei macro e microelementi presenti nel vigneto; lavorare di fino sulla dotazione azotata delle uve per diminuire gli interventi di nutrizione al lievito, sia esso indigeno o selezionato, in fermentazione alcolica. Per buon senso intendo anche sviluppare quella conoscenza e sensibilità in vigna per poter limitare al minimo tutti gli interventi invasivi sulla pianta, quindi sull’ uva, e di conseguenza sul suolo: se malauguratamente uno prende la tosse non deve mica ricorrere alla chemio…

Non mi ritengo un interventista quindi, ma se l’ annata non e’ buona, quindi come si dice, ostile, non mi va di perdere il raccolto; quello che è certo è che da quell’uva non faremo un gran vino, ed in quanto tale va proposto in maniera coerente al mercato. Credo infine che attualmente produrre vini dal basso impatto sia divenuto quasi un dovere per un produttore; bisogna limitare l’uso di fitofarmaci invasivi, che oltretutto il più delle volte possono compromettere la fermentazione e rilasciare residui certamente non genuini al vino, limitare l’uso di additivi chimici, ridurre l’uso della solforosa, ma non solo per un discorso etico, come lo vogliono far passare in molti, ma piuttosto per la salubrità del vino e da ultimo perché un vino stabile e buono, con un contenuto basso di solforosa si lascia bere con più faciltà, e quindi, presumibilmente, se ne dovrebbe vendere di più.

Quali sono invece i tuoi riferimenti, chi ti ha ispirato di più? Come stimolo professionale il mio professore Roberto Zironi, e non di meno il grande Gennaro Martusciello, per tutti “O’ duttore”: due persone da cui ho tratto grande ispirazione. Ricordo ancora il primo giorno di Università, quando il Prof. Zironi mi chiese da dove venivo ed io gli risposi “dalla Campania, da Napoli…”; lui mi disse, “lì da voi avete un grande enologo, Gennaro Martusciello, lo conosci?” E poi ancora, rivolgendosi stavolta alla classe tutta: “sapete, questo tecnico campano ai convegni mette in seria difficoltà tutti noi relatori con domande intelligenti e quasi sempre spiazzanti”. Fu molto bello ascoltare tali lodi per una persona che ho imparato poi negli anni a conoscere ed apprezzare sempre di più. Infine, la persona forse più importante, mio zio Vincenzo, che è stato, e lo è tutt’ora, un riferimento assoluto per la mia vita prima che per il mio lavoro.

Si dice, sempre più frequentemente, che è proprio nel passato il futuro della viticoltura moderna; una frase di comodo o c’è del vero? Sicuramente basta leggere il De agri cultura di Marco Porzio Catone, il De re rustica di Columella, o qualsiasi scritto di Plinio il Vecchio,Varrone per capire che in 2000 anni le buone pratiche agricole sono veramente cambiate poco: i sovesci, le concimazioni organiche con letame stagionato, le rotazioni in campagna, le buone regole per impiantare un vigneto, la vocazione dei terreni e tanto ancora; nulla o quasi è stato inventato oggi.

E l’enologia, la scienza che studia il vino e la sua produzione, come si pone dinanzi a queste prospettive? Il vino deve essere prima buono e sano, poi se biologico, biodinamico, raro, vero, ecc. ancora meglio.

Qui ti voglio: biologico, raro, vero, naturale, biodinamico, convenzionale, tecnologico; giusto perché qualcuno non pensasse che invece basti dire rosso, bianco o rosato. Ma cos’è tutta questa confusione? Partiamo dall’assunto che il vino biologico non esiste, ma solo il vino prodotto da uve da agricoltura biologica; del resto ad oggi non esiste ancora un disciplinare per la produzione di vino bio, e spesso succede che in cantina si fa di tutto e di più, e ancor più spesso si trovano in commercio vini detti impropriamente bio che hanno però, per esempio, dosi di solforosa altissime; non v’è coerenza. Per me il biologico non si può fare ovunque, e soprattutto non si può fare sempre, a patto di essere disposti a perdere anche tutta la produzione; certo è che non lo possono fare tutti, ci vuole grande sensibilità, conoscenza del territorio e delle vigne; anzi, di ogni singola vite

Sulla possibilità di vinificare senza solforosa o comunque ridurre l’utilizzo della stessa, come detto è una strada obbligata per tutti i produttori contemporanei; ritengo tuttavia che ci siano varietali più predisposti di altri a questo approccio e quindi bisogna stare sempre attenti a ciò che si comunica e ciò che si è capaci di garantire; ad esempio, per rimanere in regione, io stesso ho provato a vinificare il Greco di Tufo senza solforosa, e sono certo che si può fare, come l’Asprinio, come il Tintore di Tramonti e l’Aglianico di Taurasi. Tutte queste uve però possiedono acidità altissime e ph molto bassi, quindi a ph3 vi è nel mosto un’azione antisettica e antibatterica naturale, pertanto possiamo rinunciare tranquillamente alla So2; addirittura per i due bianchi citati è, se vogliamo, raccomandabile; perché senza So2 non c’è protezione dall’ossigeno e quindi avviene un ossidazione immediata di tutta la frazione fenolica instabile, già partendo dal mosto, così da ridurre anche l’utilizzo di chiarificanti. Per il Tintore poi non utilizzare So2 è auspicabile, altrimenti con tenori alcolici così sostenuti ed il ph a 2.9-3, con buone probabilità la fermentazione malolattica può non avvenire .

A proposito di Tintore, e di Alfonso Arpino cosa mi racconti? Alfonso è un grande! L’ incontro con lui è avvenuto nel 2004, venne ad Astroni con Anna sua moglie, mi portarono una bottiglia del loro rosso 2003, uno spettacolo, un colore mai visto prima, rimasi talmente affascinato dal vino nella sua interezza che lo ricordo ancora come fosse ieri; Alfonso mi disse che cercava un enologo giovane, ma io gli dissi che non potevo seguirlo, non avrei trovato tempo da dedicargli, e lui, impassibile, mi disse: “Vieni a vedere le mie vigne, poi decidi…”. Quando arrivai a Tramonti e vidi le sue vigne rimasi impietrito, non avevo mai pensato prima di allora che potessero esistere viti così antiche, credimi la commozione mi pervase, accettai. Di ritorno verso Napoli pensavo all’onore di vinificare uve da viti secolari, a quanti uomini avessero vendemmiato quelle uve, a quante vendemmie, a quante storie. E adesso anch’io ne entravo a far parte. Mi sentii e mi sento un privilegiato. Alfonso ed Anna poi sono persone eccezionali e mi hanno dato tanto in questi anni, oltre che buoni consigli, mi hanno trasferito l’amore per la terra, loro sì che sono Slow! Oggi a Monte di Grazia l’enologo e il cantiniere è Alfonso, io mi limito a dare qualche consiglio ma poi è lui che fa quello che vuole e ritiene opportuno; questo secondo me è un buon rapporto tra tecnico e produttore, cioè tra il tecnico che si limita a dare consigli e proporre al produttore diverse strade, ma alla fine è il produttore a scegliere quale percorrere. Il vino così è figlio del territorio e del produttore e non dell’enologo!

Approfitto di questo spazio per chiarire un altro concetto, spesso sento dire “non vogliamo il vino dell’enologo!”. Mi verrebbe da dire “e che vuoi il vino del salumiere?”. Il vino è scienza, e lo fa l’enologo, o quantomeno l’enologo moderno, che deve saper leggere un terroir e ben interpretarlo, senza mai stravolgere la sua vocazione, ma comunque producendo vini puliti, fini, ed ove possibile eleganti e soprattutto digeribili. L’equazione vino dell’enologo=vino costruito o peggio ancora vino chimico non mi piace proprio.

L’enologia degli anni 70-80 quella era sì chimica, dissociata dalla viticoltura; quella moderna è biotecnologica (microbiologia, biochimica) e sempre più saldamente legata alla viticoltura; l’enologo moderno si affaccia sempre di più alla viticoltura e all’agronomia e, purtroppo, in giro c’e’ troppa gente che confonde il chimico con il biochimico e la chimica con la microbiologia. Quante persone parlano in modo molto superficiale di enzimi, lieviti, solforosa, brettanomyces e altro senza sapere cosa siano realmente? Tante, troppe!

Quindi anche la comunicazione ha le sue responsabilità. Dal tuo punto di vista di consumatore prima che di tecnico, tra l’altro particolarmente appassionato – ne sono testimone – dove si sbaglia? Non so dove si sbagli, la comunicazione ha giocoforza il suo ruolo, ma ti posso dire dove sbagliano i produttori e i tecnici: bevono poco e spesso solo i loro vini, e questo è un grande limite; per formare nella propria mente una idea di vino più ampia, completa, come spesso asserisce anche il prof. Luigi Moio: “il vino nasce prima da un’idea che prende forma nella nostra mente…”. Un altro tabù è l’aggiornamento tecnico e lo scambio di conoscenze, ma su queste problematiche ci stiamo lavorando anche noi come Assoenologi Campania assieme al nostro presidente Roberto Di Meo.

Una cosa sulla comunicazione, in generale, te la posso dire; sono stato diverse volte in Cina e lì ho capito quanto sto per affermare: quando usciamo fuori dai nostri confini, e abbiamo la presunzione che tutti ci conoscono, non per i vini, ma di certo per le nostre bellezze: Napoli, Ischia, Sorrento, Capri, sbagliamo! E di grosso. Questi non sanno nemmeno dov’è posizionata l’Italia sul mappamondo, figuriamoci tutto il resto; qualcuno conosce Roma, alcuni Milano per la moda o per il calcio. Incredibile! Noi purtroppo continuiamo a presentarci in questi luoghi con una proposta troppo frammentata e spesso la “diversità” più che un valore aggiunto rischia costantemente di divenire un punto debole della nostra offerta, perché mal comunicati. Da questo punto di vista in Italia non è mai stato costruito nulla di solido e valido su cui puntare veramente per noi aziende, c’è troppo campanilismo, per non parlare poi nella dimensione regionale. Una catastrofe!

L’esempio continua ad essere la Francia, hanno saputo inculcare nelle menti dei consumatori mondiali che i migliori vini (ma anche i formaggi per esempio) sono solo francesi, e non sud, nord, centro o isole; tutti. Poi, se uno vuole bere grandi rossi di struttura beve i bordolesi, se ricerca finezza beve Borgogna, se bollicine Champagne e così via. Noi italiani invece continuiamo a flagellarci, un esempio lampante è stato lo scandalo del Brunello; ricordo quell’anno al Vinitaly, in molti tra i produttori di altre regioni se la ridevano, “gli sta proprio bene ai Toscani, così imparano!”, senza pensare che il fango colpiva un vino patrimonio della storia d’Italia e che sotto accusa non era certo solo la Toscana, ma tutto il “sistema vino” nostrano.

Ma veniamo a noi, ci parli un po’ di Cantine Astroni, come nasce e dove vuole andare, quale direzione ha deciso di seguire? Cantine Astroni nasce dalla volontà di valorizzare la proprietà sul costone del cratere degli Astroni, ma anche come percorso obbligato per l’evoluzione vitivinicola della mia famiglia; non abbiamo un punto di arrivo, ma di certo una direzione, quella di preservare quanto più possibile il bello rimasto nel nostro areale e di puntare nel tempo ad eccellenze che conservino un’anima tutta partenopea.

Parte delle vigne sovrastano appunto il Parco Monumentale degli Astroni, un luogo suggestivo ed evocativo di storie straordinarie; chi si affaccia da lì non può non rimanerne rapito; qual invito ti senti di fare a chi vive con non poca frustrazione l’assedio della metropoli? Come il grande Eduardo ogni tanto ci tocca pensare pure a noi “Fujitevenne!”, ma non è cosi decisivo; a chi non passa per la testa di scappare da Napoli in questo momento?Agli assediati consiglio di visitare e conoscere meglio la nostra città, di cogliere ed apprezzare le sue bellezze nonostante tutto e soprattutto di ritornare a studiare un po’ della nostra storia per capire chi ha calpestato la nostra terra prima di noi e perché stiamo come stiamo; oggi si vive quel che qualcuno ha inteso come “immobilismo frenetico”, ma che cela un bello ineguagliabile sepolto non dalla spazzatura ma dalla troppa ignoranza, la madre di tanti mali che affligge la nostra città, e dall’ arroganza; due aspetti pregnanti della nostra società civile d’oggi, ed ahimé della nostra politica.

Hai scelto, pur potendo cercare altre vie, di vivere e lavorare nella tua terra; ci sarà mai il riscatto per questa Napoli “siccome immobile”? Dice Aldo Masullo: “La nostra Napoli è una città sempre in bilico, sempre a un passo dalla resurrezione ma anche a un passo dal precipizio, in un continuo alternarsi dei suoi mutevoli stati d’ animo di esaltazione e depressione, città piena di dualismi e di forti contrasti estremi”. Bene, io mi sento spesso come la mia città. E non credo di essere l’unico. Mi piacerebbe un giorno ascoltare un Tg bianco, dove per almeno 10 minuti vengano trasmesse solo notizie positive, perché sono sicuro che c’é tanta gente nella nostra città che si impegna nel sociale, che fa cose belle e soprattutto buone! In fin dei conti sì, sono ottimista, credo che ci sarà un riscatto per Napoli, ma il processo sarà lentissimo; la cosa più preoccupante secondo me è che purtroppo stiamo assistendo nel frattempo ad una “napoletanizzazione” di tutto lo stivale, ed ahimé nel senso più negativo del termine, con sceneggiate, commedie e teatrini il cui finale è ancora tutto da scrivere!

Bene. E secondo te, la terra, la vite, il vino, hanno ancora un valore per questa città e la sua provincia? Oggi più che mai, la terra, la vite e il vino hanno gran valore per questa città e per la sua provincia, sono la roccaforte delle tradizioni e la risposta alla cementificazione e al brutto, serve tanta specializzazione e le poche vigne rimaste secondo me devono divenire dei veri e propri giardini, le vigne metropolitane forse hanno più valore delle altre perché sono delle oasi nel deserto di cemento, avamposti da salvaguardare e tutelare!

Chiudiamola così: ti invito a pranzo domani, prima però dimmi cosa porti da bere? Angelus ’93. Basta poco, chéccevo’!

Questo articolo esce anche su www.lucianopignataro.it

Avellino, “Dentro al vino” con l’Assoenologi

4 febbraio 2011

Per i non addetti ai lavori questo evento potrebbe risultare uno dei tanti a cui guardare con curiosità per imparare a leggere il vino con maggiore attitudine. Per i specialisti di settore altro non è che un momento di crescita fondamentale, imperdibile direi. Io – che ho il piacere di frequentare alcuni dei più bravi enologi campani e che conosco quanto grande impegno hanno profuso nell’organizzare questo evento Massimo Di Renzo e Gerardo Vernazzaro (con Roberto Di Meo alla regia), vi dico:”cavolo, una cosa così in Campania, e quando si è fatto mai? Grandi!” 

Giovedì 10 Febbraio 2011, ore 9.00

Denis Dubourdieu, Roberto Ferrarini, Dominique Leboeuf, Luigi Moio e Roberto Zironi sono i cinque grandi nomi dell’enologia internazionale che il prossimo 10 febbraio condurranno la giornata di approfondimento e formazione “Dentro al vino” promossa dalla sezione campana di Assoenologi, l’associazione che riunisce enologi ed enotecnici italiani in collaborazione con Enartis, Laffort, Oliver Ogar e Vason. Oggetto dell’incontro saranno gli aspetti tecnicospecialistici per il miglioramento di vini Bianchi e Spumanti. I lavori si svolgeranno presso l’Hotel de la Ville di Avellino dalle 9.00 alle 17.30. Luigi Moio, professore ordinario di enologia al dipartimento di scienze degli alimenti dell’Università degli Studi di Napoli Federico II, aprirà i lavori con un intervento sugli “Aromi varietali delle principali varietà a bacca bianca campane “. Roberto Ferrarini, professore ordinario di enologia presso l’Università di Verona, interverrà sulla “Crioestrazione selettiva e produzione di vini bianchi mediante lunga macerazione”, mentre Denis Dubourdieu, considerato uno dei “top specialist” nella vinificazione e nell’affinamento dei vini bianchi, professore di enologia all’Università di Bordeaux e direttore de l’Institut des Sciences de la Vigne et du Vin à Villenave d’Ornon (Gironde), si occuperà delle “tecniche di affinamento per i vini bianchi per aumentarne la longevità e stabilizzare la frazione aromatica.”

La ripresa pomeridiana è affidata all’intervento di Roberto Zironi, Professore Ordinario di Industrie Agrarie presso la l’Università degli Studi di Udine, che si occuperà di “come eliminare o ridurre l’ impiego della solforosa in vinificazione”. Concluderà la giornata Dominique Leboeuf, direttore della Station Oenotechnique de Champagne con la relazione sul tema “I fattori di riuscita della presa di spuma”. Riassumendo, ecco il programma degli interventi:

  • – Luigi Moio: “Aromi varietali delle principali varietà a bacca bianca campane”;
  • – Roberto Ferrarini: “Crioestrazione selettiva e produzione di vini bianchi mediante lunga macerazione”;
  • – Denis Dubourdieu: “Tecniche di affinamento per i vini bianchi per aumentarne la longevità e stabilizzare la frazione aromatica”;
  • – Dominique Leboeuf: “I fattori di riuscita della presa di spuma”;
  • – Roberto Zironi: “Come eliminare o ridurre l’ impiego della solforosa in vinificazione”.

Si ricorda che la partecipazione al convegno è gratuita mentre è necessario l’accredito alla mail della locale sezione assoenologi: sezione.campania@assoenologi.it.

L’ orario di inizio lavori è fissato per le ore 9.00, l’incontro termina alle 18.00 con intervallo dalle 13.00 alle 14.00. Per chi lo vorrà sarà possibile pranzare al prezzo di 20 euro specificandolo al momento dell’accredito.

Giovedì 10 Febbraio, ore 9.00
Hotel de la Ville
Via Palatucci, 20
83100 Avellino
Tel +39 0825 780911
www.hdv.av.it
 
Contatti stampa:
Dipunto studio
Tel. 081 681505

Manocalzati, tutti i numeri del corso sulle molecole aromatiche dell’Assoenologi Campania

29 novembre 2010

Riceviamo e volentieri pubblichiamo dalla segreteria regionale di Assoenologi Campania il riscontro del successo della bella iniziativa messa su con l’impegno del presidente Roberto Di Meo, della segreteria e dell’associazione tutta. Bene, bravi, bis! (A. D.)

I 75 iscritti che hanno partecipato attivamente al “corso di aggiornamento sulle molecole aromatiche” organizzato sabato 27 novembre a Manocalzati (AV) presso il Bel Sito Hotel Le Due Torri, sono stati la testimonianza della nuova e pragmatica veste assunta in Campania dall’Assoenologi. La voglia di confronto e di crescita professionale sono solo alcune delle caratteristiche e dei valori che più contraddistinguono gli attuali operatori del comparto vitivinicolo campano.

Al corso, hanno preso parte enologi, enotecnici, produttori ed altre figure professionali operanti nel settore, i due relatori Paolo Peira e Dominique Roujou de Boubeé hanno affrontato ed approfondito con metodologia esperienziale e coinvolgimento dialettico le proprietà aromatiche dei vini, la concreta possibilità di interagire attivamente attraverso l’olfazione diretta di 25 molecole odorose sia in termini di descrizione olfattiva che di concentrazione, oltre che la possibilità di esaltare aromi pregiati attraverso interventi in vigna nonché in vinificazione o la riduzione o eliminazione di aromi associati a difetti, quindi sono state fornite numerosissimi ed utili spunti tecnici sia di carattere viticolo che enologico, finalizzati al miglioramento qualitativo delle uve e quindi dei vini.

L’Associazione è fermamente convinta che la crescita della Campania vitivinicola sia direttamente proporzionale alla crescita professionale di tutti gli attori della filiera: viticoltori, enologi e produttori, e proprio per questo motivo, che  Assoenologi Campania sta organizzando per l’anno 2011 diverse iniziative e corsi specifici per contribuire alla crescita di tutto il comparto vitivinicolo.

Per contatti o maggiori informazioni
Roberto Di Meo info@dimeo.it
Presidente Assoenologi Campania
Gerardo Vernazzaro gerardovernazzaro@hotmail.com
segretario Assoenologi Campania

Manocalzati, imparare a riconoscere le molecole aromatiche in un corso specifico dell’Assoenologi

8 novembre 2010

 Sabato 27 novembre dalle ore 9.00 alle 18.00

Assoenologi 

presenta

“Le Molecole Aromatiche”

Corso di aggiornamento 

Considerati l’interesse e la grande partecipazione fatta registrare negli anni passati, Assoenologi ripropone in tre sedi diverse i corsi sull’analisi olfattiva e sulle molecole aromatiche, alcune delle quali di ultima generazione. Sabato 27 novembre si fa tappa anche in Campania, a Manocalzati in provincia di AvellinoQueste invece le altre sedi e le date: martedi 23 novembre 2010 a Carpi in provincia di Modena, giovedi 25 novembre a Barletta.

Il corso si concretizza secondo i seguenti orari: 9-13 e 14.30-18, dando ampio spazio alla discussione e al confronto con i relatori, tra i quali Paolo Peira e docenti della facoltà di enologia di Bordeaux come Frédéric Brochet e Dominique Roujou de Boubée.

Il costo di partecipazione per i soci Assoenologi è di 120 euro (inclusa Iva 20%) e di 140 euro (inclusa Iva 20%) per i non soci. L’iscrizione al corso dovrà essere effettuata compilando una apposita scheda scaricabile dal sito www.assenologi.it.

La suddetta  scheda di adesione va fatta  pervenire all’Assoenologi – Via Privata Vasto 3 – 20121 Milano, corredata del relativo importo, almeno 10 giorni prima della data di inizio. Il corso è a numero chiuso, le iscrizioni verranno accettate fino a esaurimento delle disponibilità. Se viceversa non si raggiungerà il numero minimo di iscritti, il corso sarà cancellato e agli iscritti verrà restituita la somma versata.

Sede del corso
Bel Sito Hotel Le due Torri
Uscita Autostrada – Avellino Est
S.S. 7 Via Appia – 83030 Manocalzati (AV)
Tel 0825 670001   Fax 0825 670268
 

 

Per maggiori informazioni
Roberto Di Meo info@dimeo.it
Presidente Assoenologi Campania
Gerardo Vernazzaro gerardovernazzaro@hotmail.com
segretario Assoenologi Campania

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