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Luigi Moio eletto vicepresidente dell’Organizzazione della Vigna e del Vino

5 aprile 2019

Luigi Moio, professore ordinario di enologia all’università degli Studi di Napoli, nonché Deus es machina di Quintodecimo, è stato eletto a Parigi, vicepresidente dell’OIV¤ – International Organisation of Vine and Wine.

Ma che bella notizia per l’Italia del vino nei giorni in cui si prepara a incontrare il mondo a Vinitaly. Già presidente della commissione enologia dal luglio 2015, Luigi Moio, è da sempre un riferimento per il comparto tecnico-scientifico della filiera vitivinicola internazionale.

Moio è autore di circa 250 pubblicazioni scientifiche nei settori della chimica e tecnologia degli alimenti, con particolare riferimento allo studio dell’aroma del vino, alla percezione di composti sensorialmente attivi e alle tecnologie enologiche mirate a preservare e amplificare l’aroma varietale del vino. Suo anche uno degli ultimi best seller pubblicati da Mondadori sul vino, Il Respiro del Vino¤, pubblicato nel 2016. E’ considerato uno dei maggiori esperti italiani del settore enologico, i suoi studi e le loro applicazioni hanno contribuito in maniera decisiva alla riscoperta e alla valorizzazione di numerosi vitigni autoctoni del sud Italia. E’ noi ci pregiamo della sua amicizia!

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Le Invasioni Tartariche

26 aprile 2014

E’ abbastanza frequente ritrovare nelle bottiglie e sui tappi alcuni residui tartarici. Diciamo subito che questi cristalli non incidono sulle caratteristiche e la qualità del vino e non è certo segno di un difetto. Si tratta comunque di una presenza fastidiosa che fa a volte addirittura nascere dubbi sulla genuinità del vino. Ne parliamo?

Cristalli

La stabilizzazione tartarica dei vini è una questione con la quale si devono confrontare tutte le cantine. Se nell’uva il potassio e l’acido tartarico sono presenti in compartimenti separati, e non danno origine a fenomeni di precipitazione, a partire dal momento della pigiatura dell’uva il potassio e l’acido tartarico si trovano presenti insieme, nella stessa soluzione, dando origine a condizioni di sovrasaturazione nel mosto. La loro concentrazione non viene sostanzialmente modificata dall’attività dei lieviti e quindi durante la fermentazione e la conservazione del vino danno origine a evidenti fenomeni di precipitazione di bitartrato di potassio.

Precipitazione che tradizionalmente avviene durante la conservazione dei vini nell’inverno successivo alla vendemmia. Quando non avviene completamente in cantina, c’è da aspettarselo in un secondo tempo in bottiglia. Nel migliore dei casi si verifica la comparsa di piccoli cristalli che, specie nei vini rossi passano pure inosservati. In altri casi si possono avere abbondanti cristallizzazioni di bitartrato di potassio che possono essere invece molto evidenti, special modo nei vini bianchi.

In generale la solubilità di tutti i sali è influenzata dalla temperatura. Nel caso del bitartrato di potassio, la temperatura ha una grande influenza sulla sua solubilità: si può intervenire quindi separandolo fisicamente dalle masse col freddo. E’ questa la ragione per la quale molti decidono di conservare i vini a temperature basse sino in primavera così da facilitare la precipitazione del bitartrato di potassio ed ottenere vini stabili e sufficientemente limpidi separandoli mediante filtrazione o centrifugazione.

Altro metodo di stabilizzazione tartarica è l’elettrodialisi: seguendo il principio delle cariche elettriche permette di asportare selettivamente gli ioni responsabili delle precipitazioni tartariche, in modo indipendente dalla presenza di colloidi che limitano l’efficacia della stabilizzazione a freddo.

Ci sono poi dei coadiuvanti che si possono utilizzare per ottenere invece una stabilizzazione chimica, tra cui l’acido metatartarico. Un potente inibitore di cui bastano pochi milligrammi per litro per inibire, appunto, la cristallizzazione del 50%, mentre per azzerarla del tutto al 100 % sono in genere sufficienti dosi di poco superiori a 10 mg/l.

Su questa scia anche le mannoproteine estratte dalla parete cellulare dei lieviti possono essere considerate un buon metodo di stabilizzazione tartarica, oltre che utili per ‘smussare’ ed arrotondare certe spigolature. Le proteine infatti possono influenzare molto la velocità di precipitazione del bitartrato di potassio.

Altro lavoro si fa con il cmc (carbossimetilcellulosa) soprattutto con i bianchi in quanto con i rossi, quando il colore di questi non è stabile tende a precipitare quindi poco consigliata.

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credits: oicce, assoenologi, manuale di enologia

Manocalzati 30 novembre, “viticoltura del futuro e gestione dei legni in cantina” con Assoenologi

10 novembre 2012

Una full immersion interdisciplinare e trasversale che permetterà di approfondire diversi aspetti del lavoro dell’Enologo sia in vigna che in cantina. La giornata sarà suddivisa in due sezioni. La prima parte sarà dedicata alla viticoltura con un approfondimento delle problematiche legate allo stress idrico, tema di grande attualità tenendo in considerazione l’andamento climatico delle ultime vendemmie, concentrandosi sull’utilizzo dell’irrigazione ragionata per modulare lo stato vegetativo della pianta e quindi gestire la qualità in vigna.

Nello stessa sezione si approfondiranno gli aspetti legati agli incroci intra ed interspecifici, le nuove selezioni di portainnesti e lo stato dell’arte sul miglioramento genetico della vite, valutandone le relative possibilità agronomiche. Durante la seconda parte dell’incontro dedicata all’enologia, si esamineranno gli aspetti tecnico pratici legati ad un utilizzo razionale dei legni in cantina, cercando di fornire all’enologo gli strumenti per scegliere la tipologia di legno più adatto ad ogni singolo “progetto vino”.

Assoenologi Campania, dopo il grande successo dei precedenti incontri formativi “Dentro al Vino “ e “Vigne e Territori”, ritorna con una terza giornata di approfondimento e formazione dedicata alla viticoltura e all’enologia denominata “Viticoltura del futuro e gestione dei legni in cantina”. La prima parte della giornata sarà dedicata alla viticoltura con un approfondimento delle problematiche legate allo stress idrico e all’utilizzo dell’irrigazione ragionata per la gestione della qualità in vigna. Sarà inoltre avviato un focus sugli incroci intra ed interspecifici, sui nuovi portainnesti e sul miglioramento genetico della vite, approfondendo le relative possibilità agronomiche.

A trattare gli argomenti saranno la Dott.ssa Oriana Silvestroni, il Dott. Alberto Puggioni e il Dott. Gabriele di Gaspero. Durante la seconda parte dell’incontro dedicata all’enologia, si approfondiranno gli aspetti tecnico pratici legati ad un utilizzo razionale dei legni in cantina, cercando di fornire all’enologo gli strumenti per scegliere la tipologia di legno più adatto ad ogni singolo “progetto vino”. Relatore di questa sezione sarà l’illustre Professore Michel Moutounet. 

Così gli interventi: alle 9.00 i saluti del Presidente dell’Associazione Assoenologi Campania Roberto Di Meo e degli Sponsor, a seguire il Prof. Luigi Moio introdurrà ai lavori. 

Sessione Mattutina: Dott. Alberto Puggioni: “Gestione delle tecniche irrigue per la qualità in viticoltura ” Dott.ssa Oriana Silvestroni: “Esperienze di gestione dello stress idrico in viticoltura”. 

Sessione Pomeridiana: Gabriele di Gaspero: “Viticoltura del futuro: ibridi, incroci e miglioramento genetico” Michel Moutounet: “Dal legno al bicchiere, caratteristiche del legno di quercia in relazione al suo utilizzo in enologia”. 

La partecipazione al Convegno è gratuita per gli associati , per i non associati ha un costo di 40,00 Euro. L’ orario di inizio dei lavori e’ fissato alle ore 9:00, l’incontro termina alle 18:00 con intervallo dalle 13:00 alle 14:30. L’accredito (obbligatorio per la partecipazione al convegno) avverrà solo attraverso mail al seguente indirizzo di posta elettronica: sezione.campania@assoenologi.it entro e non oltre il giorno 17 novembre. Sarà inoltre possibile pranzare presso il Bel Sito Hotel al prezzo di 20 euro specificandolo al momento dell’accredito.

Bel sito Hotel Le due Torri
Strada Statale 7/bis – uscita Avellino est
Tel +39 0825 670001 – 0825 670268
info@belsitohotelduetorri.it

in collaborazione con

Manocalzati, Giovedì 16 giugno Vigne e Territori

12 giugno 2011

Tornano il 16 giugno prossimo a Manocalzati (Avellino) gli appuntamenti di formazione professionale dell’Assoenologi Campania, con un convegno ed una giornata formativa per conoscere meglio le caratteristiche dei suoli e dei territori campani per migliorare e caratterizzare la qualità dei vini in vigna realizzata in collaborazione con Bayer CropScience, Consorzio Di Pietro e Consorzio Simonetti. 

Vigne e Territori”: conoscere suoli e territori campani

Matteo Gatti, Luigi Moio, Duilio Porro e Fabio Terribile sono i quattro esperti che il giorno 16 Giugno – dalle 9,00 presso l’Hotel Bel Sito – condurranno la giornata di approfondimento e formazione “Vigne e Territori”. Oggetto dell’incontro saranno gli aspetti tecnico-specialistici volti ad un miglioramento della  conoscenza delle caratteristiche dei suoli e dei territori campani al fine di migliorare e caratterizzare la qualità dei vini in vigna. 

Le relazioni saranno tenute da esperti quali Luigi Moio, professore ordinario di Enologia al Dipartimento di Scienze degli Alimenti dell’Università degli Studi di Napoli Federico II, che aprirà i lavori, mentre Fabio Terribile, professore ordinario di pedologia presso l’Università degli studi di Napoli Federico II, nonché presidente del Sipe, società italiana di pedologia, nella prima parte della giornata interverrà sulle “potenzialità inespresse e le diversità dei suoli e dei territori campani”.

La ripresa pomeridiana è affidata al dott. Duilio Porro, ricercatore presso la Fondazione Edmund Mach di San Michele all’ Adige – unità sperimentazione agraria e agricoltura sostenibile – che si occuperà dell’analisi fogliare quale “strumento di viticoltura avanzata”. Concluderà la giornata il dott. Matteo Gatti, ricercatore presso l’Istituto di frutti-viticoltura dell’Università degli studi del Sacro Cuore di Piacenza con la relazione: “La potatura verde del vigneto quale strumento di tecnica colturale”. 

Per raggiungere Manocalzati (AV), percorrere la Strada Statale 7/bis (uscita Avellino est girare a destra e dopo 500 metri hotel – Tel +39 0825 670001 – 0825 670268 – info@belsitohotelduetorri.it). L’ orario di inizio dei lavori e’ fissato alle ore 9:00. L’incontro termina alle 18:00. E’ previsto un intervallo dalle 13:00 alle 14:30. La partecipazione al convegno è gratuita, mentre l’accredito è obbligatorio e da farsi mezzo mail all’indirizzo gerardovernazzaro@hotmail.com entro e non oltre il giorno 14 giugno. Chi vorrà, potrà pranzare al prezzo di 20 euro specificandolo al momento dell’accredito.

Per contatti con Assoenologi Sezione Campania
Il Presidente: Enol. Roberto Di Meo (3483889372)I
Il Segretario: Enol. Gerardo Vernazzaro (3491796114)
Ufficio Stampa
Monica Piscitelli
Tel.: 348 0063619
m.piscitelli@yahoo.com

Lievito autoctono? Ok, ma serve una definizione

9 Maggio 2011

Il lievito? solo quello autoctono! Bene, perfetto, e allora? Prendo spunto dall’ennesima chiacchierata con l’amico Gerardo Vernazzaro per aprire una nuova discussione: lievito autoctono, ok, ma che differenza c’è? Credo sia fondamentale far chiarezza, e dare al consumatore conoscenza e coscienza per non continuare a passare per una vittima di mode e di tendenze che occupano, alla fine, se non ponderate con la giusta cognizione, il tempo che trovano; dire  lievito autoctono (o indigeno) non significa necessariamente tipicità e territorio, e salubrità, come ama affermare qualcuno particolarmente accorto alle “nuove sensibilità” commerciali; così come “lievito selezionato”, non necessariamente volge al significato di omologazione e standardizzazione. Eccovi una interessante prospettiva che vale la pena leggere segnalatami dall’amico Gerry per aprirmi, ed aprirvi, ad una sana e distaccata riflessione.Ceppo vinario autoctono. Sulla base della approfondita e fattiva discussione avvenuta in occasione della riunione del gruppo di Microbiologia del vino dell’AIVV poco più di un anno fa, l’11 febbraio 2010 a Bologna, è stato possibile definire (almeno come tentativo) il termine ceppo vinario autoctono: “trattasi di (lievito o batterio lattico) un ceppo selvaggio (non commerciale) isolato in una cantina specifica (nicchia ecologica), nella quale è dominante, persistente nell’arco di una vendemmia , e ricorrente per più annate. Tale ceppo, utilizzato nella stessa cantina di isolamento è in grado di conferire al vino caratteristiche peculiari rispondenti alla tipologia del prodotto programmato”.

In questa definizione vengono quindi considerate sia implicazioni di ordine ecologico che tecnologico. Anzitutto, un punto importante che è stato chiarito durante la discussione, e che rappresenta un fattore di forte confusione nell’uso del termine autoctono, è la definizione della nicchia ecologica. Considerato che la nicchia ecologica è l’ambiente in cui avviene la selezione del ceppo autoctono e che tale termine si riferisce a ceppi fermentativi, non si può considerare come nicchia ecologica il terreno, la vigna, l’acino d’uva o il mosto appena giunto in cantina. Tutti questi elementi possono essere definiti come un serbatoio di biodiversità. La selezione avviene, invece, nella cantina, intendendo con essa l’ambiente in cui avviene la trasformazione del mosto secondo un determinato protocollo biotecnologico.

Altri elementi essenziali nella definizione di autoctono sono i concetti di dominanza, persistenza e ricorrenza. Infatti un ceppo autoctono, perché possa effettivamente influenzare le caratteristiche di un vino, deve essere in grado di guidare, anche in associazione, la fermentazione. Dato che la cantina ove avviene la trasformazione del mosto in vino è la nicchia ecologica ove si attua la selezione, questa deve procedere favorendo il ceppo più adatto allo stile o alla tecnologia impiegata; il ceppo più adatto è verosimilmente destinato a diventare quello numericamente più rappresentato, tanto da divenire dominante e, se non avvengono cambiamenti drastici nello stile o nella tecnologia, anche persistente durante diverse fasi della fermentazione in uno stesso tino o in processi fermentativi in tini diversi. Infine il termine ricorrente si riferisce alla possibilità di isolare il ceppo autoctono individuato nel corso di annate diverse (consecutive ma non solo).

Ovviamente durante la fermentazione possono essere presenti diversi ceppi di lievito, che possono essere dominanti e persistenti a seconda della fase della fermentazione che si considera (inizio, metà, fine). Per questo motivo è importante definire con precisione il momento in cui effettuare le analisi microbiologiche sul mosto. Considerata la necessità di legare il termine autoctono alle caratteristiche del prodotto finito, questa selezione andrà fatta da metà fermentazione in poi se si considerano i lieviti del genere Saccharomyces e in altri momenti della fermentazione o della vinificazione in genere se si considerano i lieviti non-Saccharomyces e i batteri lattici.

Ultimo elemento considerato è relativo alla influenza del ceppo autoctono sulle caratteristiche di qualità del vino. E’ possibile, infatti, legare il termine autoctono alle caratteristiche del prodotto finito e non al territorio di produzione. Ne deriva che l’equazione ceppo = territorio è impossibile da dimostrare. È inoltre difficile dimostrare che il miglior ceppo per la fermentazione di uno specifico mosto debba necessariamente essere un ceppo isolato da quello stesso mosto. Infatti è possibile, ed altamente probabile, che i caratteri in grado di valorizzare una produzione possano appartenere anche ad un ceppo alloctono.

Autore: Prof. Giovanni Antonio Farris, dell’Università di Sassari. Per chi volesse, può approfondire questa ed altre interessanti letture su argomenti e trattati enologici su www.infowine.com.

Chiacchiere distintive, Fortunato Sebastiano

1 marzo 2011

Ecco uno di quegli enologi che non smetteresti mai di stimare, dal profilo basso e dalle altissime prestazioni professionali. Così, da una piacevole chiacchierata, tiriamo fuori parecchi argomenti, sviscerati quanto basta tanto dal decidere di farne una intervista, lunga ma indubbiamente interessante. Fortunato Sebastiano si occupa di viticoltura ed enologia dal 1998. Dopo la maturità scientifica lascia Ariano Irpino alla volta di Roma quindi in Toscana dove si laurea alla Facoltà di Agraria dell’Università di Pisa con una tesi in viticoltura sulle possibilità espressive del vitigno Fiano, con il Prof. Giancarlo Scalabrelli come relatore. Le prime esperienze professionali lo hanno visto al lavoro dapprima in Toscana, in Sicilia, nelle Marche e poi, di ritorno, in Campania dove nel 2002 fonda il gruppo di lavoro Vignaviva.

Come nasce la tua vocazione per l’enologia e per il tuo mestiere? Decisamente da una reale passione per il vino come momento conviviale ed elemento fondamentale della nostra cultura. Negli anni ‘90 in Irpinia, la mia terra natale, si muovevano i primi passi di quello che sarebbe stato il rinascimento vitivinicolo della regione ed era facile restare affascinati dal mondo del vino; altro aspetto fondamentale della mia decisione nell’affrontare questo mestiere è stato l’amore per la natura, la continua ricerca della comprensione dei sottili meccanismi che regolano il “nostro” meraviglioso mondo vegetale. Mai ho pensato di scindere i due aspetti della produzione agricola ed enologica nel mio mestiere e per fortuna il mondo del vino, anche se alla lunga, mi sta dando ragione. Da ciò deriva la mia ferma convinzione di dover approfondire il più possibile lo studio della viticoltura per ottenere vini degni di questo nome.

Quali sono secondo te i riferimenti indispensabili per diventare un buon enologo? In parte ho già risposto precedentemente ma sottolineo che il nodo fondamentale per fare questo lavoro, per come lo intendo io, è la decisiva continuità tra il lavoro in vigna e quello di cantina. Spesso ho assistito, nel lavoro come nella comunicazione di settore a delle vere e proprie aberrazioni riguardanti la produzione del vino. Il massimo cui si possa aspirare nel produrre vino è arrivare ad avere piante sane che portino a vini di personalità e territoriali, apprezzati nelle loro particolarità varietali e soprattutto salubri. L’enologo può e deve garantire tutto questo. E poi di certo la capacità di confrontarsi e di ascoltare, evitando atteggiamenti accademici ed anzi essendo sempre pronti a rimettere in discussione un concetto, un’idea, un’intuizione. Fare questo mestiere attiene alla pratica, alla preparazione ed all’immaginazione, molto meno ai proclami mediatici. Non mi fiderei mai di un tecnico che non avesse mai fatto il cantiniere o che non sapesse “leggere” una pianta di vite. Ho imparato tanto dai miei incontri e dalle mie esperienze e questo è al servizio delle aziende che lavorano con me.

In regione, negli ultimi anni, stanno venendo fuori tanti giovani enologi motivati, e a quanto pare anche piuttosto preparati; un fenomeno passeggero o stiamo assistendo alla nascita di una vera e propria scuola campana? Credo che non sia un fenomeno passeggero ma occorre fare delle precisazioni. La scuola campana è secondo me di là da venire, visto che alcuni dei miei più brillanti colleghi hanno studiato fuori dalla nostra regione che è stata un po’ arroccata su posizioni scolastiche e “di chiusura” per diversi anni, a differenza di ciò che accadeva per esempio in Piemonte, Toscana, Veneto, dove vi è stata ferma volontà di rendere competitivo il mestiere dell’enologo o comunque del tecnico vitivinicolo. Chi in Campania è riuscito nella professione di enologo lo deve esclusivamente a grandi doti personali. Ciò è ancora più grave se si pensa che la nostra Scuola Enologica di Avellino è stata la seconda ad essere aperta in Italia nei primissimi anni del ‘900. Oggi abbiamo bisogno di un enorme passo in avanti nel lavoro di campo, di grande interesse verso la viticoltura, di aggiornare la figura dell’enologo inteso non più come esperto delle sole pratiche analitiche, di cantina o amministrative che pure, ovviamente, sono di enorme importanza. Le moderne scuole di viticoltura ed enologia possono adempiere a questi compiti ma vanno dirette con lungimiranza e strizzando l’occhio alle più attente regioni viticole del mondo. L’enologo può essere il perfetto ponte tra gli obiettivi aziendali ed il loro raggiungimento. Ci sono enormi sfide che debbono essere vinte, oltre che nel campo viticolo anche in quello enologico: lo svecchiamento di metodiche riproposte pedissequamente, la riduzione drastica dei conservanti nella matrice vinosa, l’adattamento delle pratiche enologiche ai singoli vitigni, la caratterizzazione sensoriale del nostro patrimonio viticolo, la zonazione dei territori in relazione ai risultati enologici, il raggiungimento di alti vertici qualitativi anche sulle grandi produzioni, solo per citarne alcune. Ed in questa direzione ci si sta muovendo per fortuna, sia nell’ambito dell’associazione di categoria (leggi Assoenologi) – del cui consiglio in regione ho l’onore di far parte – sia nelle singole realtà aziendali.

Detto questo ben vengano nuove leve, tutti assieme si metterà più in alto l’asticella della qualità, soprattutto perché pare superata l’era dei consulenti a distanza e c’è sicuramente spazio per le competenze “autoctone”. Sia ben chiaro, lavoro anch’io fuori dalla Campania ma spendo davvero molte energie per colmare le mie lacune rispetto ai territori in cui mi trovo ad operare. Infatti occorre conoscere profondamente un territorio per interpretarlo e rendergli onore, anche a costo di produrre vini non immediatamente allineati ai gusti di massa. La mia speranza è rimessa in questo, nella convinzione che ci sia spazio per centinaia di grandi vini molto diversi fra loro ma espressione del territorio e delle persone di cui sono figli, ivi compresa la figura dell’enologo come principale collaboratore delle aziende. Per questo ho fondato Vignaviva, per rendere fattibili questi concetti.

Chi sono stati, se ci sono stati maestri, i tuoi riferimenti in materia? Ho avuto la fortuna di lavorare e studiare con grandi colleghi. Oltre al già citato Scalabrelli che mi ha trasmesso nozioni e passione fondamentali inerenti l’ampelografia e la viticoltura, cito volentieri Giacomo Tachis, l’artefice del rinascimento enologico italiano, dei grandi vini toscani degli anni 80,  che è stato sempre gentilissimo con me sin dall’Università, un uomo di grande intelligenza ed umiltà. Ricordo con piacere i pomeriggi a casa sua in cui mi ha descritto l’importanza di questo o quel testo di chimica o viticoltura. Ed il suo archivio!! Ricordo volentieri anche Francesco Saverio Petrilli, enologo di Tenuta di Valgiano in provincia di Lucca, con cui ho avuto l’onore di confrontarmi agli inizi del mio percorso professionale quando lavoravo per un’azienda del Cilento di cui lui era consulente. Saverio è una persona speciale,  profondamente interessato alla viticoltura e per questo ha sempre avuto il mio massimo rispetto. Con  lui ho avuto modo di ragionare su molti concetti relativi al mondo del biologico e del biodinamico attraverso discussioni sempre interessantissime e pervase dalla curiosità.

Quali secondo te le principali difficoltà che incontra oggi un enologo? Beh, questa è una bella domanda davvero. Tralasciando le difficoltà che ogni lavoro porta con sé in merito all’impegno che richiede ed il fatto che si può fare questo mestiere in tanti modi diversi, dico senza dubbio: interpretare la professione alla luce della modernità guardando contemporaneamente alla vendibilità dei prodotti, alla loro presenza sul mercato. Per modernità intendo le sfide che alcuni errori di impostazione degli anni scorsi hanno prodotto: si è infatti creduto per qualche anno che fare il vino fosse un fatto di semplice metodo, una pratica facilmente ripetibile a parità di tecniche, attrezzature e metodiche. Questo atteggiamento ha prodotto a sua volta una diffidenza verso la comprensione e la gestione della vinificazione che può avere diversi risvolti negativi sulla qualità dei vini. Qui in Campania poi vanno ancora sviscerate le potenzialità dei singoli terroir, adattate le pratiche enologiche persino alle singole aziende. Spesso si dimentica, magari in buona fede, che il vino non può e non deve essere accostato a prodotti di altro tipo, a bevande “seriali”, ma neanche a prodotti che hanno la veste del risultato “casuale”. Quindi occorre tentare sempre nuove strade per capire quali possibilità ci possa offrire ognuno degli areali.

Il vino è l’unico prodotto di trasformazione agricola che sfida i decenni con integrità, a volte, col tempo, migliorando. Ciò può accadere verosimilmente per tre, quattro annate per decennio, anche a parità di lavoro ed impegno. La vera difficoltà restano le annate di media o bassa qualità viticola, dove ad entrare in gioco è la capacità del vinificatore di leggere tra le righe il potenziale inespresso e portarlo a buon fine sino alla bottiglia, non potendo sbagliare nulla. Il vino non si fa usando ricette precostituite ma nemmeno mettendo l’uva in un contenitore ed aspettando. È frutto del caso nella misura in cui l’uomo ne comprenda i risvolti, o almeno ci provi. La professionalità dell’enologo è al servizio di questa comprensione. Per spiegarmi meglio: ricordarsi che cosa sia esattamente il vino dovrebbe dare a tutti gli operatori del settore la dimensione di ciò che ci si può aspettare da un’annata piuttosto che da un’altra. Ed il vino è frutto anche dell’intuizione dell’uomo. Occorre collegarlo alla natura e contemporaneamente immaginarlo fedele ad un idea, ad un’ambizione legittima di qualità. È quello che lo rende diverso da qualsiasi altra bevanda, che spinge ad acquistare una bottiglia, per averne piacere con un buon pasto, per soddisfare una curiosità o per appropriarsi di quel piccolo viaggio nel tempo che può essere un vino.

D’altronde, al giorno d’oggi, il vino è un bene di consumo di tipo edonistico, non certo un alimento come percepito per esempio negli anni ’50 e ’60. Il tentativo, secondo me, deve essere quello di fare sempre il meglio possibile, calandosi completamente nella realtà dell’annata, tenendo fermi i punti saldi della personalità dei territori e dei vitigni accanto alla schiettezza, alla salubrità, alla digeribilità dei vini, ciò che si tradurrà – aspetto non secondario – anche in vendibilità e soddisfazione del consumatore finale.

Se dovessi illustrarmi in poche righe la tua filosofia di produzione? Quando mi approccio ad una nuova azienda cerco di capire anzitutto che tipo di persone ho davanti. Sono interessato a quelle che hanno voglia di confrontarsi, che hanno la voglia di trasferire un po’ di se stesse in quello che fanno, nel vino che immagineremo insieme. Subito dopo mi relaziono al territorio, studio le caratteristiche geomorfologiche, l’adattamento dei vitigni, la salute dei vigneti, le metodiche di gestione, le apparenti possibilità produttive. Poi, nelle aziende consolidate ed in piena produzione, cerco di capire se tutto quello che ho avvertito è leggibile nei vini prodotti, cosa che spesso non accade e di cui la proprietà è consapevole. Così iniziano una serie di ragionamenti che debbono necessariamente portarci ad un risultato aderente alle aspettative e cioè ad un vino equilibrato, armonico e complesso, nei limiti del vitigno e vigne permettendo.

In campagna, mi dedico da anni ad una gestione biologica dei vigneti, quindi nessun diserbo, prediligendo sovesci e lavorazioni del suolo mirate, potatura dolce, puntuale analisi sensoriale delle uve, rese equilibrate e attenzione maniacale all’epoca ed alla qualità della raccolta. Sono molto “laico” in cantina, avendo come punti fermi la riduzione dell’uso dell’anidride solforosa ed una certa tendenza al “minimo intervento” (che non è esattamente un “lasciar stare”, anzi). Tengo molto alla riconoscibilità “aziendale” dei vini, alla loro aderenza ad uno stile. Conduco vinificazioni con lieviti indigeni e selezionati, faccio lunghe macerazioni su vitigni bianchi e rossi ed anche normalissime vinificazioni in bianco o rosato, in relazione al risultato che vogliamo ottenere ed alle possibilità strutturali e logistiche delle aziende, alle risorse umane e commerciali. Sono convinto, ad esempio e per restare su un tema “d’attualità” di cui abbiamo parlato ultimamente, che più del lievito, sia la gestione invasiva della fermentazione alcoolica a banalizzare il risultato su molti vini  bianchi “moderni”. In definitiva, miro alla personalità dei vini attraverso la personalità degli uomini, cercando di non rovinare nulla nel frattempo.     

Segui ormai da tempo diverse aziende collocate in più aree vitivinicole; quali sono secondo te le terre maggiormente vocate qui al sud? Sicuramente l’Irpinia come terra d’elezione per bianchi eleganti da fiano e greco e, in alcune sue giaciture collinari, anche per l’aglianico da grande affinamento. Il Vulture mi ha sorpreso come anni fa fece il Cilento per le potenzialità che ha per i rossi, enormi; a volte mi strappa un po’ di invidia, da irpino quale sono. La Costa d’Amalfi con i suoi vitigni straordinari come il tintore, la ginestra, il fenile e la pepella, un terroir del tutto particolare ed in parte sconosciuto. Il Sannio Beneventano e la provincia di Caserta per il piedirosso e la falanghina ben espressa anche sui suoli vulcanici dei Campi Flegrei. La Puglia offre espressioni piuttosto eleganti, come i primitivo di Gioia, coltivati fino a 500 metri di altitudine. La Calabria con l’equilibrio di certi Cirò. In generale il sud ha solo da approfondire il proprio approccio, le basi, anche se non dappertutto, ci sono tutte.

Il vitigno che non rinunceresti mai a lavorare? Uno è troppo poco: l’aglianico ed il fiano. E vorrei lavorare ancora la barbera del Sannio, vitigno che amo particolarmente.

Quello di cui faresti veramente a meno? Il merlot.

Qual è la tua prossima sfida? Il metodo classico da fiano, greco e piedirosso, ci sto già lavorando per una importante azienda irpina (Villa Raiano, ndr). Ed un fiano del Cilento (Casebianche, ndr) rifermentato in bottiglia in maniera “integrale”, ad affinamento breve e senza sboccatura, che uscirà in primavera.

E quella che vorresti vivere in futuro? Un nebbiolo in Piemonte o in Valchiavenna, un cesanese nel Lazio, un sangiovese nel Chianti Classico.

Ti faccio tre nomi: Sannio, Cilento, Ager Falernus, terre e vini secondo me formidabili ma sempre in secondo piano; dove la Campania sta perdendo l’occasione più grande? Forse l’Ager Falernus, o il Cilento, ma in tutti e tre i territori ci sono ottimi produttori. Occorre provare a definire uno stile o più stili, una riconoscibilità, anche se sono territori molto estesi e con una eterogeneità varietale enorme.

Ricordi un vino memorabile? Tra i tantissimi mi piace ricordare il Taurasi Radici Riserva 1990 della Mastroberardino; ne parlai una volta con il dott. Antonio e lessi nel suo sguardo una piena condivisione nell’apprezzamento di quello che per me era stato un vero e proprio archetipo della tipologia, come la loro famosissima annata 1968.

Diciamo che ti chiedano di rinunciare a tutti i tuoi impegni per seguire una sola azienda: qual è il nome che non ti farebbe batter ciglio? Questa è una domanda cattivella, diciamo la Taylor’s, a Vila nova de Gaia in Portogallo; amo i Porto.

Mi dai tre vini che secondo te non mi devo perdere? Valtellina Superiore Sassella Riserva Rocce Rosse 1999 di Ar.Pe.Pe., tutti i vini dell’Etna del gruppo Vigneri di Salvo Foti, il Verdicchio San Paolo di Pievalta 2004.

E tu cosa bevi stasera? Un prosecco senza solforosa di Costadilà, del mio amico Mauro Lorenzon, alla vostra salute!

Fortunato Sebastiano è stato nominato da questo blog “Enologo dell’anno” allo scorso L’Arcante 2010 Wine Award. Questo articolo esce in contemporanea anche su www.lucianopignataro.it.

Manocalzati, imparare a riconoscere le molecole aromatiche in un corso specifico dell’Assoenologi

8 novembre 2010

 Sabato 27 novembre dalle ore 9.00 alle 18.00

Assoenologi 

presenta

“Le Molecole Aromatiche”

Corso di aggiornamento 

Considerati l’interesse e la grande partecipazione fatta registrare negli anni passati, Assoenologi ripropone in tre sedi diverse i corsi sull’analisi olfattiva e sulle molecole aromatiche, alcune delle quali di ultima generazione. Sabato 27 novembre si fa tappa anche in Campania, a Manocalzati in provincia di AvellinoQueste invece le altre sedi e le date: martedi 23 novembre 2010 a Carpi in provincia di Modena, giovedi 25 novembre a Barletta.

Il corso si concretizza secondo i seguenti orari: 9-13 e 14.30-18, dando ampio spazio alla discussione e al confronto con i relatori, tra i quali Paolo Peira e docenti della facoltà di enologia di Bordeaux come Frédéric Brochet e Dominique Roujou de Boubée.

Il costo di partecipazione per i soci Assoenologi è di 120 euro (inclusa Iva 20%) e di 140 euro (inclusa Iva 20%) per i non soci. L’iscrizione al corso dovrà essere effettuata compilando una apposita scheda scaricabile dal sito www.assenologi.it.

La suddetta  scheda di adesione va fatta  pervenire all’Assoenologi – Via Privata Vasto 3 – 20121 Milano, corredata del relativo importo, almeno 10 giorni prima della data di inizio. Il corso è a numero chiuso, le iscrizioni verranno accettate fino a esaurimento delle disponibilità. Se viceversa non si raggiungerà il numero minimo di iscritti, il corso sarà cancellato e agli iscritti verrà restituita la somma versata.

Sede del corso
Bel Sito Hotel Le due Torri
Uscita Autostrada – Avellino Est
S.S. 7 Via Appia – 83030 Manocalzati (AV)
Tel 0825 670001   Fax 0825 670268
 

 

Per maggiori informazioni
Roberto Di Meo info@dimeo.it
Presidente Assoenologi Campania
Gerardo Vernazzaro gerardovernazzaro@hotmail.com
segretario Assoenologi Campania

Chiacchiere distintive: Federica Amicone, x-factor e tanto pedalare (ma tanto per davvero)!

2 marzo 2010

Strade infinite, illuminate a giorno, neon intermittenti incandescenti, coloratissimi. Vetrine tirate a lucido quasi a non notarne le traprarenze, borse a tracollo, griffatissime, dell’ultima collezione. Prime attrici lastricate di phard e rimmel, tronisti apparecchiati per il macello e trame idiote almeno tanto quanto i 7 euro spesi per entrare a vedere tutto sto fumo per gli occhi. E’ solo un flashback dei tanti film che abbiamo ingoiato tutto d’un fiato, scenografie fatte di cartone e lustrini e pagliettes buoni giusto per un’ora e un quarto, il tempo medio di finire, lentamente, il cappello ricolmo di popcorn, la coca-cola tirata su con la cannuccia e i sogni di successo di qualcuno. E invece, c’è ancora qualcuno che sa di dover pedalare, a lungo, molto, per realizzare il suo di sogno, fatto di pura normalità, di semplice serenità, possibilmente in campagna, specie se tra le vigne. Correndo lo insegue, se l’è visto quasi scippare di mano, l’ha ripreso per i capelli, non acciuffato del tutto, ma ne riesce ancora a sentire la presenza, lo nutre, ci passa del tempo a forgiarlo, aspettando e pedalando (tanto), non una lamentela.

Federica Amicone è una giovane romana di trent’anni, enologa ed integrata con piene responsabilità nello staff AntinoriCastello della Sala (dove coadiuva il direttore in loco Massimiliano Pasquini) e a La Braccesca; Merita questo spazio perchè credo che giovani professioniste come lei abbiano qualcosa da raccontare, e non solo il proprio ruolo, se vogliamo ancora marginale ma certamente di prestigio, lavorando in una delle aziende più rinomate al mondo e con a capo Renzo Cotarella, ma l’esperienza, il duro lavoro che l’hanno portata negli ultimi 6 anni a girare praticamente l’Italia intera di azienda in azienda, di laboratorio in laboratorio, a farsi le ossa sul campo, per capire, comprendere tutte le sfumature che ogni terreno, uva, microclima può caratterizzare questa o quall’uva e questa o quell’azienda.

Giovane trentenne, loquace, romana: penso al Grande Fratello e all’Isola dei Famosi mentre tu ti strappi i capelli nel silenzio assordante di Castello della Sala; Ma che ci fai qui? Sinceramente avendo saputo che arrivavano 6 clienti professionisti da Capri mi aspettavo dei fighetti neri di lampada, visto che siamo a Febbraio, col mento alto e tutti un po così, frù frù…

Ok, l’approccio è giusto, ma come ci sei finita qui? E’ il mio lavoro, la mia passione, spero il mio futuro. Se vuoi avere un rapporto viscerale con la terra ci devi stare con i piedi ben piantati dentro, non puoi accontentarti della gita fuoriporta o del week-end in agriturismo. Ho sempre avuto un forte legame con la natura e con l’agricoltura in particolare. Ho avuto modo di conoscere i Cotarella studiando gli ultimi anni di enologia a Viterbo dove era distaccata la facoltà diVelletri. Da allora non li ho più mollati.

Subito il meglio si direbbe? Certo che sì, ma è stato solo l’inizio di un grande viaggio, grazie a loro ho potuto scoprire e conoscere realtà importanti e vivere tutte esperienze di spessore: prima Falesco dove ho mosso i primi passi, poi ho rincorso il sole per molti mesi, in Sicilia dai Rallo di Donnafugata, poi in Campania, ad Avellino dai Feudi di San Gregorio, in Puglia prima a Tormaresca e poi a Coppadoro.

Cavolo, enologa con la valigia. Di solito di un calciatore che cambia tante squadre nella sua carriera o si dice un gran bene o che è una mezza calzetta. Tu come ti vedi? Macinare chilometri per un enologo è importante, è sinonimo di scoperta e conoscenza, di confronto ed esperienza. Credo che tra vigne, cantine e laboratori di averne viste tante e di aver capito tanto, ma soprattutto di aver ancora molta strada da fare.

Quindi non ti fermi in Antinori per molto? No no, credo proprio che basti così. Lavorare con questa famiglia è il meglio che ogni giovane enologo può aspettarsi, crescere e maturare con persone come quelle che circolano tra le straordinarie tenute del Marchese Piero e famiglia è qualcosa di impagabile. Difficile intravedere il meglio oltre questo.

Prima di adesso Lazio e Umbria, poi Campania, Puglia e Sicilia: hai trascorso gli ultimi anni praticamente a rincorrere il sole . Dove e perchè ti sei trovata meglio? L’eperienza in Donnafugata è stata memorabile, davvero una bellissima realtà e dei gran vini. La Sicilia poi è una terra fantastica, indelebile nella memoria. Ho imparato molto anche dai Feudi, soprattutto a stare dietro ai tempi, visto l’ampia produzione ed il numero elevato di controlli che facevamo quotidianamente, in certi momenti veri e propri tour de force.

Federica e la famiglia, come hai conciliato tutto questo “camminare le vigne” con la famiglia, gli affetti? Indiscutibilmente ci sono delle rinunce da fare, ma in verità quando mi trovo bene dove lavoro, faccio cioè, ciò che mi piace nelle migliori condizioni, ci penso poco. Devo molto ai miei che mi hanno sempre sorretta ed incoraggiata, ed oggi al mio fidanzato con il quale condivido la passione per l’enologia.

E con il quale vorrai creare una famiglia; Come si conciliano sogni e bisogni? E’ dura lo so, ma ognuno rincorre il proprio ideale di felicità, basta mantenere i piedi ben piantati per terra. I tempi sono quelli che sono, il lavoro è tosto, ma gratificante: sento spesso voci di chi fa tutt’altro per mestiere e si lamenta della propria posizione, dello stipendio, dei sacirifici. Io penso solo a guardare avanti, a camminare la mia strada convinta che chi lavora bene prima o poi raccoglierà i frutti desiderati. Non mi spaventa certo il sacrificio; A volte sono talmente presa che non mi rendo conto nemmeno se il sole è ancora alto o è già calato, mi preoccupo solo se il lavoro l’ho terminato bene o no! Poi magari verrano momenti in cui le priorità saranno altre, vedremo.

Ultime chiacchiere: Antinori possiede anche Prunotto, del Piemonte non me ne hai proprio parlato eppure per molti è il centro del mondo enoico italiano; E poi, mi dici il tuo vino preferito? A nord di Firenze inizia a fare troppo freddo, credo non faccia per me, però non si sa mai. In merito ai vini, escludendo il marchio Antinori che proprone grandissimi prodotti, come ho detto, vedo nelle mie corde la Sicilia: Chiarandà del Merlo tra i bianchi, Milleunanotte for ever, ne berrei a vagonate, come lo Champagne!

Spesso si è abituati a ricercare “attori” di prim’ordine per le interviste, è giusto invece di tanto in tanto dare voce a chi come Federica Amicone sta lavorando duramente per accreditarsi alla corte di una delle aziende del vino più importanti al mondo dopo aver maturato già diversi anni in giro per vigne e cantine di tutta Italia o quasi. Ci ha accolto a Castello della Sala con grande garbo e disponibilità, ci ha accompagnato per due giorni, sino a La Braccesca in Montepulciano, con grande professionalità e senso di appartenenza. Leggendo questo post arrossirà senz’altro, io invece, augurandogli in bocca al lupo, spero che non gli costi il confino nelle langhe piemontesi!

Castellammare di Stabia, Seminario didattico sul riconoscimento sensoriale dei difetti del vino

9 febbraio 2010

Tra gli appuntamenti da non perdere in calendario, il prossimo venerdì 19 Febbraio, presso il prestigioso Crowne Plaza di Castellammare di Stabia (NA), c’è questo interessantissimo seminario di studio sull’analisi sensoriale dei difetti del vino. Io ci sarò!

L’evento è un format di Vinidea, società leader dell’alta formazione nel settore viticolo ed enologico, creato in collaborazione con l’istituto Intelli’Œno, ed hanno affidato il prestigioso incarico di responsabile della docenza per il ciclo formativo sul riconoscimento sensoriale dei difetti del vino al winemaker “autoctono” Vincenzo Mercurio, che personalmente conosco da tempo e che ho già avuto modo di incontrare ravvicinatamente  e raccontarvi attraverso la mia ultima incursione a casa della famiglia Brini in quel di Masseria Felicia, una delle aziende campane che lui segue come consulente.

Credo si tratti di un corso di formazione di altissimo interesse ed utilità, per tutti gli operatori del settore vitivinicolo ma anche per chi si avvicina per la prima volta al mondo del vino.

La società Intelli’Œno, con sede vicino a Valence (Francia), è stata fondata nel 2003 da Christophe Gerland, ed è specializzata nel trasferire informazioni dalla ricerca viti-enologica agli enologi e produttori. Intelli’Œno possiede inoltre una particolare competenza nel campo della microbiologia enologica (www.intellioeno.com). La scelta di Vincenzo Mercurio, si deve anche alle pregresse esperienze universitarie maturate con il Prof. Luigi Moio in chimica e tecnologia degli aromi e all’ esperienza francese sullo studio degli aromi del vino. Il corso, inaugurato a Cosenza a fine novembre 2009, ha carattere modulare: un primo modulo è rivolto agli eno – appassionati in generale, sommeliers, maitres, ristoratori, enotecari etc, l’altro, più tecnico, è diretto specificamente ai professionisti: enologi, tecnici di cantina e laboratorio, agronomi, produttori, etc. Scopo del primo modulo è formare i partecipanti sul riconoscimento dei principali difetti sensoriali dei vini, dall’uva al vino in bottiglia, attraverso la degustazione di numerosi vini contaminati artificialmente con i composti responsabili dei difetti descritti. Per ogni difetto, si indicano l’origine, l’effetto sensoriale, i meccanismi di comparsa e l’evoluzione, con cenni alle tecniche di prevenzione o di eliminazione delle deviazioni organolettiche provocate. Il tutto si traduce in pratica con la degustazione dei vini contaminati con le molecole responsabili dell’alterazione, per identificare e memorizzare gli effetti sensoriali del difetto identificato.

Appuntamento quindi a Castellammare di Stabia, venerdì 19 Febbraio, e su queste pagine, spero in tempo reale, pubblicherò il report della full immersion che mi aspetta.