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Montemarano, Taurasi Nero Né ’08 Il Cancelliere

13 novembre 2012

A volergli bene a Soccorso Romano ci metti davvero poco, basta uno sguardo tutt’intorno la casa lì a Montemarano e farsi un’idea di quanto lavoro, quanta fatica ci mette là in vigna.

Il suo lavoro però, dice, si ferma lì, sulla soglia della piccola e minuta cantina proprio sotto la casa, ricavata da un vecchio cellaio sistemato alla meglio per contenere, per quanto è possibile, tutti i piccoli e grandi carati in legno. Un po’ più in là, poco dopo il cortile, c’è invece l’area di vinificazione, a ridosso di un’altro piccolo capanno rimesso completamente a nuovo qualche tempo fa. “Da qui in poi… – ripete, indicandomi genericamente la nuora -, ci mettono le mani loro…” che invero vuol dire Antonio di Gruttola, i figli e quindi proprio lei, Rita Pizza, infaticabile donna di casa, nuora di Soccorso ma ormai cantiniera tout court nell’azienda di famiglia. 

Lui non ne vuole sapere di metterci le mani tra i tini, le vasche e le botti. Il suo lavoro è in mezzo alla terra, portare la vigna e i suoi frutti al compimento del suo ciclo biologico intervenendo quel poco o nulla che serve, o come solo lui sa; per avere una pianta stressata il giusto, grappoli sanissimi e un frutto integro, sino a quando è necessario per una perfetta maturazione fenolica. Da quelle piante, da quell’uva, dalle cassette che lui stesso non manca di montare in spalla sino in cantina, c’è – sempre – il meglio che si potesse ottenere quell’anno. “Poi sono tutti fatti loro…” chiosa orgoglioso.E di un vino del genere si può solo essere orgogliosi. Questo Taurasi 2008 è il manifesto di un intero areale, quello di Montemarano, di straordinaria vocazione. Nero Né in tutto e per tutto. Il colore è vivissimo, puro inchiostro nero, con accentuate nuances viola sull’unghia del bicchiere del vino. Il naso è subito un portento, è necessario però lasciarlo respirare, si porta dietro ancora una nota fumé/dolce di un legno ancora non del tutto digerito; ma gli bastano pochi minuti nel bicchiere, ancor meno se ci si preoccupa di caraffarlo per tempo.

E’ un aglianico di straordinaria intensità, con un felicissimo slancio fruttato, buccioso, tabaccoso, che si arricchisce di sfumature di liquirizia, cioccolato, pepe nero in grani. In bocca è polposo, croccante, senti il frutto ammantare le gengive, tingere il palato, mentre i tannini lavorano ai fianchi e risolvono il sorso: fresco, pulito, che sa di amarena e mirtilli appena morsicati. Non vorrei esagerare, ma ci tengo proprio a farlo: un piccolo grande capolavoro, non solo per il mio cuore!   

Montemarano, Taurasi Riserva Nero Né 2005

12 agosto 2011

Per quanto potessi scriverne bene di questo splendido vino nulla potrebbe essere più evocativo – e sinteticamente rappresentativo delle emozioni provate bevendolo – delle parole di Nadia Romano, a cui ho chiesto di raccontarmi l’origine dell’idea, del progetto, della nascita de Il Cancelliere e del Riserva Nero Né 2005 oggetto di questa recensione.

Mi dice: << …era fine ottobre, nell’aria c’era il sogno de Il Cancelliere; c’era pioggia e ancora pioggia, ma tanta pioggia, e ancora un po’ di uva da vendere; il lavoro di un anno che andava in fumo. Mia madre disse: “facciamo un po’ di vino per noi, usiamo la botte di castagno come ogni anno”. Arrivò per fortuna una giornata di sole, e ci affrettammo a vendemmiare. Il giorno dopo, manco a dirlo, ancora pioggia. Abbandonammo quindi l’idea di vendemmiare la vigna di Nero Né. In cantina, mentre fermentava il nostro vino arrivò Antonio di Gruttola, accompagnato da mio fratello che credo l’avesse incontrato solo poche ore prima e per caso presso un’altra cantina. Parlammo. >>

“Arrivarono successivamente belle giornate di sole e si vendemmiò finalmente anche la vigna di Nero Né, ma non c’erano botti disponibili. Un vicino di casa ci prestò un serbatoio, così riuscimmo a mettere assieme quel che oggi è nelle poche bottiglie a disposizione. Iniziò la fermentazione e così, naturalmente, tutto il percorso consigliatoci da Antonio. Dopo due anni arrivò il momento di imbottigliare il Nero Né, ma – inutile dirlo – non avevamo le attrezzature.”

“Così Pasqualino Di Prisco ci prestò imbottigliatrice e tappatore. In un angolo c’erano due barrique vuote, rigenerate, comprate da un artigiano di Caposele, si decise di riempirle e stiparle ancora, senza rifletterci troppo. Ecco, così è nata la nostra riserva 2005, e il vino fatto per noi divenne Gioviano 2005.”

A questo punto, sinceramente, non so nemmeno quanto sia necessario aggiungervi altro. Invero, avevo scritto qualcosa di una qualche utilità sull’analisi organolettica di questo affascinante aglianico, che trovo disarmante per quanto integro, dritto, profondo, diretto e, non di meno, proiettato a testa bassa negli anni a venire. Ma credetemi, pochi vini sono capaci di essere materia viva come questo, in grado quindi di ben raccontarsi anche da soli!

Questa recensione esce anche su www.lucianopignataro.it.

Ariano Irpino, Paski 2009 Cantina Giardino

29 marzo 2011

Il varietale è senz’altro tra quelli da sempre meno considerati di altri in regione, se non a “mezzo servizio”, come uva da taglio, per allungare, o meglio smorzare il brodo, come si suol dire. Eppure non mancano esempi di grande slancio, di cui non si può non tenerne conto per avere un’idea più precisa di cosa stiamo parlando.

Penso ad esempio alle bellissime interpretazioni di Raffaele Troisi di Vadiaperti consegnate agli annali, o a quelle per me indimenticabili di Ocone, le prime bevute che ricordi da sommelier a cavallo tra il ’99 ed il 2001. Furono tra l’altro proprio Antonio Troisi in Irpinia e Domenico Ocone in provincia di Benevento, ad inizio degli anni novanta, a ridare voce e dignità a questo antichissimo vitigno utilizzato sino ad allora perlopiù per tagliare i bianchi in quel tempo più alla moda, il fiano ed il greco, così da smorzarne da subito le spiccate acidità; qualcheduno forse ne avrà contezza più di me, ma a quel tempo si usciva con le nuove annate già a metà dicembre, giusto per non perdere il treno delle folli spese natalizie.

Le motivazioni di un suo rilancio sono state poi suffragate negli anni dal continuo aumento dei prezzi delle altre uve bianche, la falanghina, piuttosto che il fiano e il greco, hanno praticamente monopolizzato i consumi di questi ultimi anni, ed un vino come la coda di volpe, che si esprime tra l’altro con una tipicità così arguta, non ha mancato di fare proseliti e costruirsi la sua bella coltre di fedeli appassionati; per dirne una, un po’ come capita oggi per chi va preferendo il Pallagrello bianco ai soliti noti fiano di Avellino e greco di Tufo.

La mia esperienza di appassionato mi ha consegnato negli ultimi dieci-dodici anni diversi assaggi parecchio gratificanti di vini da coda di volpe; ricordo per esempio, oltre ai suddetti, le primissime uscite di Paolo Cotroneo, Fattoria La Rivolta, davvero notevoli: concentrazioni certamente estreme, quasi materiche, a cui eravamo molto poco abituati per i bianchi, ma indubbiamente di notevole impatto emotivo. Quasi da contraltare, dallo stesso areale, già andava affermandosi, sin dalla sua prima annata nel ’95, la finissima versione di Cantina del Taburno, quell’Amineo inventato da Angelo Pizzi tanto esile quanto sempre estremamente godibile, dal primo all’ultimo sorso. E ritornando all’Irpinia, mi è sempre piaciuto, con Vadiaperti e Di Meo, le mie preferenze assolute dall’areale, il Bianco di Bellona della giovane irpino-belga Milena Pepe.

Anche per questa sua vocazione non-vocazione alla versatilità più estrema è davvero sorprendente il lavoro di Antonio di Gruttola con questa coda di volpe Paski 2009, bevuta e ribevuta a più riprese lo scorso 20 Marzo ai banchi d’assaggio di Parlano i Vignaioli. Un vino prodotto da qualche anno – in principio solo in damigiana e ad uso e consumo familiare (!) – e a quanto pare sempre un po’ in ombra rispetto agli altri bianchi di Cantina Giardino, che detto fuori dai denti, in questa occasione mi hanno convinto ancor meno di quanto abbiano fatto in passato al primo assaggio; il fiano Gaia ed il greco T’ara rà 2009 presenti in degustazione, sono in evidente ritardo, ma non potrebbe essere altrimenti visto che proprio questi due, a dispetto di tanti altri vini, sono da attendere a lungo, e quindi in questa fase l’impressione ricevuta è certamente labile; ne convengo quindi che sarebbe decisamente prematuro esprimere giudizi, porteremo pazienza.

Altro giro, altre emozioni invece per questo Paski 2009, un sussulto d’orgoglio che ci consegna un vino sopra le righe ma assai rassicurante, per la naturale vocazione e per l’integrità espressiva che ne rende fruibile una piena e sana godibilità da subito. Mi racconta Daniela De Gruttola che nasce da una attenta diraspatura manuale, che appena dopo la pigiatura passa subito in botte di acacia e castagno dove vi rimane per quattro giorni in macerazione sulle bucce; successivamente, per circa tre mesi, in fermentazione sulle fecce grossolane; poi, dopo il travaso, l’unico ed il solo a cui è soggetto in questa fase, rimane ancora un anno sulle fecce fini senza mai essere mosso, nemmeno rabboccato, con l’intento di conferirgli, in contemporanea, una doppia evoluzione in fase di affinamento, ossidativa e riduttiva. Il colore paglierino è intenso ma non più della media dei vini così prodotti. Il naso è subito variopinto, buccioso, inizialmente crudo, ma basta lasciargli raggiungere la giusta temperatura, ed un tantino di ossigenazione in più, che si riescono a cogliere note ancor più verticali, in continuo divenire, un timbro fenolico insolito per il varietale ma davvero avvincente. La sua ricchezza trova ulteriore conferma al palato, incisivo ma risoluto, di estrema bevibilità. La solforosa totale è minore di 20 mg/l ed è stata aggiunta solo all’imbottigliamento. Il nome è un omaggio all’autore del quadro rappresentato in etichetta.

Questo articolo esce in contemporanea anche su www.lucianopignataro.it.

Chiacchiere distintive, Antonio di Gruttola

16 marzo 2011

“I vini di Antonio fanno impazzire i bianchisti macerati a lungo, ma secondo me lo stacco più interessante rispetto agli altri enologi è proprio sui rossi. Il motivo è semplice: quando bevi i suoi bianchi avverti la ricerca anche concettuale dell’estremo, mentre nei suoi rossi la diversità appare essenzialemente semplice e diretta, naturale insomma”. (L. Pignataro)

Nessuna presentazione potrebbe essere più esaustiva del concetto che ha Antonio di Gruttola di fare vino, di quel suo modo di approcciarsi ad un mondo che continua a disvelare di se mille e più sfaccettature e chiavi di lettura, qui impresse da un ideale fuori dal tempo, una naturalità ricercata ed espressa senza se e senza ma. (A.D.)

Nel preparare questa intervista mi era d’obbligo non cadere in domande troppo convenzionali perché a pensarci bene, il tuo approccio al mestiere è alquanto non convenzionale; ci spieghi cosa significa, in cosa consiste la tua filosofia di produzione? Devo fare una piccola premessa. Dopo gli studi ho lavorato per alcune industrie del settore vinicolo ed ho capito che ero nel posto sbagliato. Nella vita bisogna seguire il proprio istinto ed essere un po’ folli e quando ho deciso di abbandonare quel tipo di lavoro l’ho fatto in maniera radicale. Ho voluto e voglio seguire solo aziende a cui interessa seriamente fare i vini in modo artigianale-naturale e purtroppo al sud sono poche le persone che credono in questo approccio.

Il suolo, che per troppo tempo è stato considerato insignificante e per questo maltrattato e lasciato morire, rappresenta invece il punto di forza, l’inizio di tutto, per qualsiasi coltura. Ed io sono il tipo di persona che ama sentire il sapore dei prodotti che ci dà Madre Natura. E quando un suolo è vivo, allora la vite sta meglio e tutti gli interventi che avvengono nel vigneto sono legati al mantenimento di questo equilibrio. Senza lottare con la Natura ma assecondandola rispettandola.

In cantina non esistono protocolli di vinificazione ma solo annate diverse, forse anche questo va contro le logiche dell’enologia moderna, in realtà niente di così trasgressivo, io non sono uno di quelli che firma i vini, questo mi sa tanto di industria, sicuramente per Cantina Giardino decido io tutto, però chi mi sceglie come consulente sa che potrà ritrovarsi nel proprio vino.    

Biologico, Biodinamico, Vini Naturali: senza dover fare per l’ennesima volta l’ennesima precisazione, ci dai però il tuo punto vista in merito? Io sono nettamente per i vini naturali senza certificazioni, ho molti amici produttori che pur avendo le certificazioni non le utilizzano, ho clienti che sono biologici certificati, alcuni fanno biodinamica ma non è questo che è importante, è il valore etico che portano con sé i produttori che seguono queste strade. Non c’è diversità se si rispettano i suoli, le viti, le persone, se in cantina non si manipolano i vini per ragioni commerciali.

Quali sono secondo te le principali difficoltà, ammesso che ve ne siano, che incontrano questi concetti con le moderne tecniche enologiche? Non si incontrano, di conseguenza nessuna difficoltà.

In una recente pubblicazione, il prof. Attilio Scienza, un luminare per quanto attenente alla viticoltura, ha affermato, pur lodandone alcuni aspetti, che le pratiche naturali e la biodinamica in particolare, rimangono “agricoltura da presepe”, cioè fine a se stessa e privata di qualsiasi possibilità di sperimentazione e ricerca; secondo te ha torto o ha ragione? Non ne ho idea, non sapevo che il professor Scienza avesse lodato alcuni aspetti della biodinamica, so solo che i prodotti che vengono da questo tipo di agricoltura sono più buoni, più sani, digeribili, gustosi, invitanti.

C’è stato un tempo in cui la Campania era vissuta come terra di conquista per consulenti enologi, anche di fama internazionale; un fenomeno bruscamente ridimensionatosi negli ultimi anni: merito del genius loci o un limite della nostra cultura conservatrice che li ha allontanati? Veramente i consulenti enologi di fama internazionale li vedo ancora presenti. Il numero di aziende negli ultimi anni è aumentato in maniera esponenziale, dunque si sono formate sul territorio molte figure professionali in questo settore.

Chi sono stati, se ci sono stati maestri, i tuoi riferimenti in materia? I miei maestri sono e continuano ad essere, tutte quelle persone con cui ho degli scambi interessanti, soprattutto di bottiglie! Ho amici produttori in tutto il mondo che vado a trovare, che mi vengono a trovare, con cui mi confronto e con cui ci si scambia liberamente informazioni.

Veniamo a Cantina Giardino, cosa rappresenta per te? Cantina Giardino rappresenta per me la scelta più folle ed importante della mia vita, dove grazie a mia moglie e ai miei migliori amici ho potuto dare libero sfogo ad ogni sperimentazione di vinificazione che mi è passato per la testa. Non è stata una scelta commerciale, è un fantastico laboratorio enoculturale, che ha consentito ai nostri viticoltori di sentirsi parte di una squadra e di continuare a vivere di questo mestiere senza estirpare le loro radici, ha dato l’opportunità a noi soci di continuare a sentirci dei ragazzi ed infine, secondo me, ha dato una bella scossa al mondo dell’enologia campana.

I tuoi vini indubbiamente sorprendono, più di una volta conquistano, talvolta dividono; perché? I miei vini devo dire che mi hanno sorpreso, soprattutto sulla distanza. Intanto posso consigliare di non avere fretta quando li si ha nel bicchiere, in modo da permettere loro di esprimersi, un vino naturale cambia è dinamico è vivo. Poi posso aggiungere che quando si assaggiano vini come questi non si possono utilizzare i propri parametri di riferimento formativi, a meno chè non ci si sia formati solo con i vini senza aggiunte. Considera che molti dei nostri vini sono anche senza solforosa aggiunta e forse pochi sanno che questa cosa ne aumenta la piacevolezza e la digeribilità in quanto presentano meno spigoli e limitazioni.

Fiano, Greco, Aglianico, Coda di Volpe nera (di cui conservo ancora qualche bottiglia di duemilaquattro!), dove pensi sia più facile e dove più difficile esprimere appieno il così detto terroir? In nessuno è difficile eprimere il terroir se si lavora come ho spiegato. Il fatto che tu abbia qualche bottiglia di Volpe Rosa 2004 la dice lunga secondo me; conservare un rosato 2004, 12 % vol, senza protezione di solforosa, o è da pazzi oppure è da persone consapevoli anche della longevità dei vini naturali.

Qual è secondo te il limite più evidente della viticoltura Campana? L’utilizzo della chimica in vigneto e non avere la capacità di guardare oltre considerando il nostro patrimonio ampelografico rispetto alle altre regioni.

Quello della critica enologica? La critica enologica è cresciuta molto in Campania, ci sono persone molto competenti che non si dimenticano delle piccole realtà.

L’aglianico, quello irpino in particolar modo, è considerato tra i più interessanti vitigni italiani eppure esprime vini a cui sembra sempre mancare qualcosa per consacrarli definitivamente, che conquisti definitivamente il consumatore, l’appassionato, perchè? Manca la storia, non quella dell’aglianico d’Irpinia ma quella delle bottiglie. Infatti nell’ultima anteprima Taurasi 2007 hanno fatto una retrospettiva con il 2001 reperendo poco più di 10 campioni. Senza la storia rimane interessante ma non ci sono le prove materiali per consacrarlo al grande pubblico. Io sono tra quei fortunati che hanno assaggiato qualche Aglianico d’Irpinia di più di 30 anni e posso dire che è un vitigno che può competere con molti mostri sacri.

Togliendoti dall’imbarazzo di dire “…quello di Cantina Giardino”, qual è secondo te un modello cui fare riferimento oggi? Non mi metti in imbarazzo perché Cantina Giardino una pecca l’ha sempre avuta, non ha vigneti di proprietà. Il mio nuovo progetto è un’azienda agricola che è nata nel 2010 a Montemarano in contrada Chianzano, con piante di oltre cento anni, su una collina dove si produce uva da sempre, con un sistema ben isolato e tutto a raggiera tradizionale avellinese come piace a me, dove nascerà una cantina in bioedilizia e dove potrò nuovamente dare sfogo alla mia follia. Ecco, spero che in futuro possa diventare questo un modello di riferimento.

Ricordi invece un vino per te memorabile, che magari avresti voluto firmare tu? Io non firmo, comunque sono due i vini che mi sono piaciuti davvero molto. Il primo è stato il Barbacarlo 1972 di Lino Maga il cui tappo è praticamente uscito da solo grazie alla spinta della carbonica e il secondo è stato il Rkasiteli di una vecchietta di 94 anni , in Georgia, nella regione del Kakheti ai confini con la Cecenia, che mi è stato servito dopo l’apertura di un’anfora di 4000 litri interrata in cantina.

Tre vini che invece secondo te non devono mancare nella esperienza di un appassionato? Riesling Domaine Gérad Shueller, il Barbacarlo di Lino Maga, il Barolo di Bartolo Mascarello; Drogone, Cantina Giardino (ah, sono quattro, ma mancava una cantina del sud e comunque potrei fare un elenco molto più consistente, l’appassionato deve bere!).

Domenica prossima, a Bacoli, ritorna “Parlano i Vignaioli” giunto alla seconda edizione; ci puoi anticipare qualcosa? Ci sono produttori molto interessanti, spero che il pubblico sia numeroso, mancava nel Sud una manifestazione di questo tipo e da anni ne parlavamo. L’educazione ha bisogno di un giusto ritmo. Ogni anticipazione, come ogni ritardo, porta a delle alterazioni. Il Sud in questo momento storico è pronto ad ascoltare e capire le scelte di questi vignaioli e a mettere in dubbio chi produce con metodi convenzionali.

Quest’anno abbiamo una presenza molto importante che è Giovanni Bietti, il quale ha scritto e sta scrivendo dei Manuali sul bere sano intitolati “Vini Naturali d’Italia”, recentemente i manuali di Bietti sono stati premiati a Parigi come “Best Wine Guide in the World”. Antonio Fiore, il critico maccheronico, ci ha confermato la sua presenza e cosa di cui siamo molto fieri più di trenta tra i migliori chef e sommeliers della Campania parteciperanno alla tavola rotonda del lunedì, in questa settimana uscirà un comunicato stampa dettagliato su questo momento.

Un’altra parte interessante di Parlano i Vignaioli sono i laboratori, ai quali bisogna iscriversi, quest’anno ne faremo cinque nella giornata di domenica 20 marzo, il programma è sul sito www.parlanoivignaioli.it; il lunedì sera sei locali di Napoli e provincia hanno accettato di ospitare alcune delle cantine presenti a Parlano i Vignaioli: Abraxas, Capo Blu, Dal Tarantino, Da Fefè, Veritas e La Stanza del Gusto. Vorrei fare un ringraziamento al Comune di Bacoli per la grande ospitalità che ci sta dimostrando; e grazie a te per avermi concesso questo spazio.

Questo articolo esce in contemporanea anche su www.lucianopignataro.it.

Bacoli, il 20 e 21 Marzo ritorna Parlano i Vignaioli

4 marzo 2011

Hanno detto “No!” alla chimica in vigna e in cantina e “Sì!” alla natura, per presentare agli appassionati e al pubblico i vini artigianali provenienti da una viticoltura naturale, biologica e biodinamica: prodotti rispettosi del territorio e dell’ambiente. Ritorna dopo il successo della scorsa edizione tenutasi ad Ercolano, Parlano i Vignaioli.

domenica 20 e lunedì 21 marzo 2011

Presso la sala dell’Ostrichina e nella vicina Casina Vanvitelliana sul lago Fusaro, a Bacoli, in provincia di Napoli; un programma piuttosto articolato che vedrà per due giorni, con numerose novità, laboratori di degustazione su temi cruciali del mondo dei vini naturali ed un ampio dibattito con l’obiettivo di far conoscere e comprendere gli sforzi delle aziende agricole alla continua ricerca di soluzioni che garantiscano alimenti di eccellenza in equilibrio con la natura.

In particolare Domenica 20 marzo dalle ore 10.00 alle 20.00, ci sarà un banco d’assaggio rivolto ai professionisti del settore,  agli enofili e semplici curiosi. Lunedì 21 marzo invece dalle ore 11.00 alle 18.00 coinvolgendo principalmente un pubblico di specialisti. Insomma, due giorni dedicati a una sana enogastronomia. Ingresso a 10 euro.


Questi tutti i laboratori di degustazione di domenica 20 marzo:

Dalle 11.00 alle 12.00 “Pensieri biodinamici” – conduce Fabio Cimmino:

  • Pigato Rucantù 2007, Tenuta Selvadolce (Liguria);
  • Dolcetto di Ovada 2007, Casa Wallace (Piemonte);
  • Biofiasco 2009, Orsi Vigneto San Vito (Emilia-Romagna);
  • Verdugo Primo 2007, Masiero (Veneto);

Dalle 13.00 alle 14.00 “Vini e formaggi: un incontro naturale”conducono Ugo Baldassarre e Rotolo Gregorio: Querciole 2007, Ca’ de Noci (Emilia-Romanga) con il Gregoriano Valpolicella Classico 2007, Villa Bellini (Veneto) con la ricotta scorzanera, Sciacchetrà 2006, Walter de Batté (Liguria) con il caciocavallo barrique.

Dalle 14.30 alle 15.30 “Naturalmente rosa”conducono Paolo De Cristofaro e Lello Del Franco:

  • Metodo Ancestrale 2010, Colombaia (Toscana);
  • Tintore 2009, Monte di Grazia (Campania);
  • Volpe Rosa 2009, Cantina Giardino (Campania);

 
Dalle 16.00 alle 17.00 “Le lunghe macerazioni” conducono Pino Savoia e Nicoletta Gargiulo:

  • Pecoranera 2003, Tenuta Grillo (Piemonte);
  • Bonarda La Picciona 2003, Lusenti (Emilia-Romagna);
  • Taurasi 2003, Contrade di Taurasi (Campania);
  • Amphora 2007, Cristiano Guttarolo (Puglia);

Dalle 18.00 alle 19.00 ” Solfiti? No grazie!” conduce Giovanni Bietti:

  • Drogone 2006, Cantina Giardino (Campania);
  • Senza Zolfo 2009, Antica Enotria (Puglia);
  • Barbera d’Asti Lia Vì 2010, Carussin (Piemonte);
  • Romangia 2007, Tenute Dettori (Sardegna);

Tutti i laboratori di degustazione sono gratuiti ma è obbligatoria l’iscrizione inviando una mail alla collega Michela Guadagno.

Lunedì inoltre si svolgerà una tavola rotonda centrata sul rapporto tra cucina di qualità e vini naturali, poiché le carte dei vini composte con questi prodotti cominciano a essere presenti anche nei migliori ristoranti italiani. Hanno già dato la loro adesione al dibattito alcuni chef di alto livello nonché autorevoli esperti dell’argomento.

La conferenza avrà il compito di affrontare il tema di una scelta rispettosa del consumatore, ecologica, etica e qualitativa, che mette al bando l’utilizzo di prodotti chimici di sintesi nel vino e negli altri alimenti. Si discuterà di approcci differenti a una materia che sta conoscendo una fase di grande attenzione mediatica e culturale.

Per qualsiasi nformazione:
www.parlanoivignaioli.it
Cantina Giardino Tel. 0825 87 30 84
Daniela De Gruttola Cell. 333 59 41 700
info@cantinagiardino.com
Pino Savoia Cell. 333 66 71 512
pino.savoia@hotmail.it
Giusy Romano Cell. 334 87 04 499
 
Ufficio Stampa:
samuel.cogliati@ekfaino.com

Ariano Irpino, caccia alla Volpe… Rosa

6 gennaio 2010

Alla domanda cosa rende un uomo libero, io rispondo sempre, i suoi sogni! Una frase fatta? Non mi interessa risultare scontato e nemmeno conoscere chi l’abbia detta prima, so solo che suona bene, è da effetto ma soprattutto rende subito l’idea della personalità di chi ci crede.

Da bambino nutrivo sempre un certo rancore quando mi facevano giocare in porta, ma lo facevo sempre con grande impegno sognando di imitare, nonostante tifassi Napoli for ever, l’uomo ragno Zenga, tanto che nel tempo, i risultati obbligarono i miei amici a chiedermi di fare prima il difensore, poi l’attaccante sino a quando fui io a decidere, se avessero voluto schierarmi tra le loro fila, di fare il regista e dettare i tempi di gioco. Come calciatore non sono andato tanto lontano, tuttavia ho sempre pensato di non dare tutto per scontato e fare ogni cosa nella mia vita con impegno e dedizione profonda.

Così con i vini di Cantina Giardino, ai quali non posso certo dire di essermi avvicinato con grande entusiasmo. E’ vero, c’era di che raccontare: vini naturali, che sull’onda del fenomeno (mai poi tanto fenomeno) biodinamico per un tempo sembravano poter sconvolgere ogni cosa in materia di vino. C’era e c’è insistente, il grande progetto culturale, qualcuno ci aggiunge a ragion del merito, filosofico, che vede impegnati a vari livelli l’enologo Antonio di Gruttola che ho avuto il piacere di conoscere ad un bellissimo laboratorio proprio sui vini naturali che ci inventammo nel 2007 con l’Ais Napoli a Bacoli, poi Daniela e Davide De Gruttola e non ultimi Pasquale Giardino ed Antonio Corsano, ma in alcuni vini poi nel bicchiere, a dirla tutta, di ciccia ne intravedevo davvero poca, soprattutto in quei primi Fiano Gaia e Greco Adam, mentre a destarmi entusiasmo furono da subito i due Aglianico, il Nude ed il Drogone, davvero gradevole il frutto del primo, impressionante a tutto tondo il secondo.

In generale quindi, la mia idea era di vini certamente espressione profonda di una voluttà territoriale possibile, ma difficili, soprattutto appena superata la comprensione intellettuale prima dell’approccio gusto-olfattivo. Vini evoluti e a tratti forzati, contrariamente alla naturale lentezza che invocavano; in sintesi, soprattutto i bianchi, li ritenevo vini che più che complessi li recepivo come complicati, ermetici, soprattutto in virtù delle aspettative varietali in materia di fiano e greco.

Curioso invece e a tratti sensazionale questa coda di volpe rossa, vitigno praticamente scomparso se non tra i giardini davanti casa dei contadini avellinesi più attempati, dove resistono vigne anche di oltre 60 anni che l’azienda con sapiente e maniacale cernita segue e ne ritira le uve, vinificandole con una breve criomacerazione e una successiva fermentazione su lieviti endogeni. Risultato? Circa 400 bottiglie prodotte a sottolineare – se ce ne fosse stato bisogno – l’anacronistico non-buisness e, non ultimo, un gradevolissimo rosato di grande empatia.

Esaltante riprovare il Volpe Rosa 2004 a distanza di due anni dall’ultima bevuta ed ancora più esaltante ritrovare un vino, dopo cinque anni ancora più integro ed affascinante di prima. Colore rame vivacissimo con piccole sfumature aranciate, cristallino. Il primo naso è un effluvio di sensazioni floreali passite, garofano, poi di agrumi canditi, buccia di mandarino, pera williams. Poi ancora china rossa, e sottile nota caramellata, dolce e profonda. In bocca è secco, ha conservato una trama fitta di acidità con un finale di bocca davvero gradevole e corroborante. Un vino davvero interessante, piacevole, infinito, che al cospetto di un Rosato di Ama 2007 di Castello di Ama ed un blasonato Rosato Tenuta Greppo 2005 Biondi Santi li ha messi tutti e due in fila con un sol colpo… di coda naturalmente!!

© L’Arcante – riproduzione riservata


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