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Montemarano, Taurasi Nero Né ’08 Il Cancelliere

13 novembre 2012

A volergli bene a Soccorso Romano ci metti davvero poco, basta uno sguardo tutt’intorno la casa lì a Montemarano e farsi un’idea di quanto lavoro, quanta fatica ci mette là in vigna.

Il suo lavoro però, dice, si ferma lì, sulla soglia della piccola e minuta cantina proprio sotto la casa, ricavata da un vecchio cellaio sistemato alla meglio per contenere, per quanto è possibile, tutti i piccoli e grandi carati in legno. Un po’ più in là, poco dopo il cortile, c’è invece l’area di vinificazione, a ridosso di un’altro piccolo capanno rimesso completamente a nuovo qualche tempo fa. “Da qui in poi… – ripete, indicandomi genericamente la nuora -, ci mettono le mani loro…” che invero vuol dire Antonio di Gruttola, i figli e quindi proprio lei, Rita Pizza, infaticabile donna di casa, nuora di Soccorso ma ormai cantiniera tout court nell’azienda di famiglia. 

Lui non ne vuole sapere di metterci le mani tra i tini, le vasche e le botti. Il suo lavoro è in mezzo alla terra, portare la vigna e i suoi frutti al compimento del suo ciclo biologico intervenendo quel poco o nulla che serve, o come solo lui sa; per avere una pianta stressata il giusto, grappoli sanissimi e un frutto integro, sino a quando è necessario per una perfetta maturazione fenolica. Da quelle piante, da quell’uva, dalle cassette che lui stesso non manca di montare in spalla sino in cantina, c’è – sempre – il meglio che si potesse ottenere quell’anno. “Poi sono tutti fatti loro…” chiosa orgoglioso.E di un vino del genere si può solo essere orgogliosi. Questo Taurasi 2008 è il manifesto di un intero areale, quello di Montemarano, di straordinaria vocazione. Nero Né in tutto e per tutto. Il colore è vivissimo, puro inchiostro nero, con accentuate nuances viola sull’unghia del bicchiere del vino. Il naso è subito un portento, è necessario però lasciarlo respirare, si porta dietro ancora una nota fumé/dolce di un legno ancora non del tutto digerito; ma gli bastano pochi minuti nel bicchiere, ancor meno se ci si preoccupa di caraffarlo per tempo.

E’ un aglianico di straordinaria intensità, con un felicissimo slancio fruttato, buccioso, tabaccoso, che si arricchisce di sfumature di liquirizia, cioccolato, pepe nero in grani. In bocca è polposo, croccante, senti il frutto ammantare le gengive, tingere il palato, mentre i tannini lavorano ai fianchi e risolvono il sorso: fresco, pulito, che sa di amarena e mirtilli appena morsicati. Non vorrei esagerare, ma ci tengo proprio a farlo: un piccolo grande capolavoro, non solo per il mio cuore!   

Montemarano, il territorio, un po’ di storia, un vino: l’aglianico Gioviano 2008 de Il Cancelliere

12 marzo 2012

Il territorio è di antica vocazione, dopo Taurasi, e subito prima di Paternopoli, il vigneto ad aglianico più grande d’Irpinia: 161 ettari iscritti all’albo suddivisi tra 116 conduttori, con vigne prevalentemente esposte a nord, con terreni compositi – sostanzialmente argillosi ma ricchi di scheletro e lapilli vulcanici – ed altimetrie che variano dai 400 agli 800 metri, praticamente come fare un salto dal paradiso direttamente all’inferno.  

Un gran peccato aver cominciato a goderne i frutti così tardi. I miei primi ricordi vanno alla prima metà degli anni novanta, quando la parola “Montemarano” cominciai a leggerla su qualcuna delle vecchie bottiglie di Taurasi dei Mastroberardino, che poi, molto poi, imparai non essere una consuetudine ma vera e preziosa rarità per i vini dell’epoca; solo che a quel tempo certe bottiglie, capitate lì sicuramente per caso, quando non finivano scolorite e impolverate sulle mensole del bar della Pizzeria Serapide dove prestavo le mie prime esperienze tra cucina e sala, di sicuro sarebbero andate allungate al meglio con la Coca-cola. Venti, forse ventidue anni fa, altri tempi.

Non più tardi di cinque/sei anni dopo cominciai a capire dove realmente si trovasse Montemarano. Lavoravo adesso a La Fattoria del Campiglione, sempre a Pozzuoli – una gran cantina tra le mani e bella gente a cui dare da bere -, di tanto in tanto mi capitava di ascoltare alcuni clienti confabulare tra loro su quanto si stava bene, e pagava poco, al Gastronomo, un certo ristorante tipico proprio di quelle zone. Il Gastronomo, a Montemarano dicevano. “Ci devi andare Angelo, ci devi andare mi ripetevano, per te che ami il vino poi…”. “Fanno una cucina sana, di territorio, semplice, e c’è in cucina un giovanotto niente male che fa dei primi buonissimi”. Chissà mi domandavo io, ci capiterò prima o poi (vedi qui).

Tant’è, tornando a noi, e al vino, i ricordi si fanno certamente più loquaci con le primissime bottiglie maneggiate di Salvatore Molettieri: l’aglianico base – ve lo ricordate quanto erano sorprendenti le prime uscite? -, ma anche i Taurasi, il ’94, ’96, e poi a seguire quelli che hanno segnato definitivamente il passo, il ’99, ’00 e ’01 su tutti; stiamo parlando più o meno di una dozzina d’anni fa. Eh si, Molettieri, indubbiamente è toccato a lui fare da apripista, Montemarano l’ha fatto conoscere alla critica, cominciato ad imporlo come un indirizzo nuovo e diverso da quel di Atripalda, Sorbo Serpico o contrada Sala a Taurasi, giusto per citarne qualcuno di quelli più conosciuti all’epoca.

Poi, come spesso accade, negli ultimi dieci anni sono arrivati tanti altri, così anche i Romano, con una storia agricola solida che rimanda addirittura alla fine dell’800, ma che vede solo nel 2005 il compimento vitivinicolo definitivo, con i primi imbottigliamenti per conto proprio; nasce allora infatti Il Cancelliere, prendendo spunto dal soprannome di Soccorso Romano e in ricordo di suo nonno, come lui riconosciuto tale “o’ cancelliere”.

Il Gioviano è il loro primo vino, da sempre considerato un gran bel vino, dal rapporto prezzo-qualità ineccepibile, di quelli che difficilmente dimentichi di aver bevuto; e questo duemilaotto, probabilmente il migliore di sempre, quasi a voler far paio con lo splendido Taurasi Nero Né (leggi anche qui) della stessa annata, che arriverà però sul mercato solo il prossimo inverno, si mostra in tutto il suo splendore degustativo, dal primo all’ultimo sorso, esaltando tra  l’altro un millesimo all’epoca preso con le molle ma ogni giorno più apprezzato di quanto se ne pensasse appena raccolto.

Ma a dare un valore aggiunto a tutto sono proprio loro, i Romano, che splendide persone! E che meravigliosa persona è Soccorso: parlarci, starci dietro nei ricordi è uno spasso, verace, fiero, ironico e ruspante, proprio come te lo aspetti; lui preferisce occuparsi della vigna, sette splendidi ettari di aglianico che girano tutto intorno casa, e quasi non ne vuole sapere cosa accade in cantina, dove tra l’altro Antonio di Gruttola pare metterci più l’anima che le mani, limitandosi ad osservare ciò che accade piuttosto che ad intervenire.

Il segreto? Uve sanissime, solo lieviti naturali, macerazioni per almeno una ventina di giorni, legni, piccoli e grandi generalmente già usati, talvolta anche di terzo passaggio. E pensate che sino ad un paio d’anni fa qui si lavorava ancora col torchio, sostituito solo di recente con una più moderna e funzionale pressa pneumatica di ultima generazione. Il colore di questo duemilaotto è un bel rubino carico, nerastro, eppure vivo e luminoso; il naso è un susseguirsi, piacevolissimo, di riconoscimenti di frutti neri, spezie, balsami, tabacco, cuoio, terra. In bocca è secco, avvolgente, caldo, succoso, ha discreta acidità ma ancor più un tannino di spessore, eppure ben fuso, disteso, tutt’uno col corpo del vino. Insomma, un grande rosso quotidiano, decisamente imperdibile.

Questo articolo esce anche su www.lucianopignataro.it.

Gambellara, Pico 2008 La Biancara

14 novembre 2011

Passaggio breve, ma interessante, su una etichetta da tempo messa lì in agenda. Un vino di quelli “naturali”, ma non uno qualunque. Scettico, ma su cosa? Ma sì, perché sono ancora e sempre più convinto che un vino debba sapermi conquistare anche con la sua finezza, non certo stereotipata, omologata come si dice, ma a suo modo palese. Però talvolta può non essere così decisivo.

Angiolino Maule è uno dei fondatori di VinNatur, l’associazione che riunisce vignaioli da tutto il mondo che intendono difendere l’integrità – così la storia, la cultura, l’arte – del proprio territorio traendo ispirazione anzitutto da una profonda etica ambientale. Dalla Campania per esempio vi aderiscono aziende come Il Cancelliere e Cantina Giardino, giusto per citarne due. Produrre vino naturale significa per questi vignaioli, agire nel pieno rispetto del territorio, della vite e dei cicli naturali, limitando attraverso la sperimentazione, l’utilizzo di agenti invasivi e tossici di natura chimica e tecnologica in genere, dapprima in vigna e successivamente in cantina.

La Biancara è la sua creatura, 12 ettari nei dintorni di Gambellara, nel vicentino, di cui 9 di proprietà, più 3 in affitto. Vigne perlopiù a garganega, il vitigno più diffuso nell’areale, quello storico, con il quale vengono prodotti tre vini bianchi secchi (il Pico è uno di questi) e uno passito, il tradizionale Recioto. Poi due rossi a base merlot. In verità sarebbe in sperimentazione anche un Vin Santo, tentativo, condiviso, di recuperare una delle più antiche vocazioni del disciplinare locale. Berremo.

Il Pico 2008 è prodotto da sole uve garganega, da vigne collocate tra le località Faldeo, Monte di Mezzo e Taibane, luoghi situati tutti in alta collina e in aree di chiara origine vulcanica. E’ un bianco fermentato per circa due giorni in tino aperto, con tutte le bucce e a temperatura ambiente. Successivamente finisce la fermentazione in botte grande da 1500 litri dove ci rimane anche per tutto il periodo di affinamento, sulle fecce fini, più o meno dodici mesi, prima di passare in bottiglia; senza trattamenti, ne filtrazioni e con zero solfiti aggiunti.

Vino dal colore decisamente caratteristico, pare oro, tendente all’antico, non proprio limpido – non potrebbe essere altrimenti – e di buona consistenza. Il naso è molto interessante, e va oltre, molto oltre la pungente intensità bucciosa tipica di vini del genere; vengono fuori col tempo note olfattive molto invitanti, talune spiazzanti ma assai piacevoli: frutta e agrumi canditi che si fanno sentori speziati, pera matura e cedro, quindi zenzero caramellato. A tratti quasi ferroso. Il sorso è asciutto, intenso e di ottima persistenza, un bel bere, assai saporito, infonde al palato pienezza gustativa, piacevole rotondità prima di chiudere con un certo guizzo ricco di freschezza e persistente mineralità.

Montemarano, Taurasi Riserva Nero Né 2005

12 agosto 2011

Per quanto potessi scriverne bene di questo splendido vino nulla potrebbe essere più evocativo – e sinteticamente rappresentativo delle emozioni provate bevendolo – delle parole di Nadia Romano, a cui ho chiesto di raccontarmi l’origine dell’idea, del progetto, della nascita de Il Cancelliere e del Riserva Nero Né 2005 oggetto di questa recensione.

Mi dice: << …era fine ottobre, nell’aria c’era il sogno de Il Cancelliere; c’era pioggia e ancora pioggia, ma tanta pioggia, e ancora un po’ di uva da vendere; il lavoro di un anno che andava in fumo. Mia madre disse: “facciamo un po’ di vino per noi, usiamo la botte di castagno come ogni anno”. Arrivò per fortuna una giornata di sole, e ci affrettammo a vendemmiare. Il giorno dopo, manco a dirlo, ancora pioggia. Abbandonammo quindi l’idea di vendemmiare la vigna di Nero Né. In cantina, mentre fermentava il nostro vino arrivò Antonio di Gruttola, accompagnato da mio fratello che credo l’avesse incontrato solo poche ore prima e per caso presso un’altra cantina. Parlammo. >>

“Arrivarono successivamente belle giornate di sole e si vendemmiò finalmente anche la vigna di Nero Né, ma non c’erano botti disponibili. Un vicino di casa ci prestò un serbatoio, così riuscimmo a mettere assieme quel che oggi è nelle poche bottiglie a disposizione. Iniziò la fermentazione e così, naturalmente, tutto il percorso consigliatoci da Antonio. Dopo due anni arrivò il momento di imbottigliare il Nero Né, ma – inutile dirlo – non avevamo le attrezzature.”

“Così Pasqualino Di Prisco ci prestò imbottigliatrice e tappatore. In un angolo c’erano due barrique vuote, rigenerate, comprate da un artigiano di Caposele, si decise di riempirle e stiparle ancora, senza rifletterci troppo. Ecco, così è nata la nostra riserva 2005, e il vino fatto per noi divenne Gioviano 2005.”

A questo punto, sinceramente, non so nemmeno quanto sia necessario aggiungervi altro. Invero, avevo scritto qualcosa di una qualche utilità sull’analisi organolettica di questo affascinante aglianico, che trovo disarmante per quanto integro, dritto, profondo, diretto e, non di meno, proiettato a testa bassa negli anni a venire. Ma credetemi, pochi vini sono capaci di essere materia viva come questo, in grado quindi di ben raccontarsi anche da soli!

Questa recensione esce anche su www.lucianopignataro.it.

Taurasi Vendemmia 2007|Le mie degustazioni

26 gennaio 2011

E’ il fiore all’occhiello dell’enologia campana, partorito – al netto delle stupide ingerenze della natura umana – da una delle terre viticole più belle d’Italia e d’Europa: parliamo di Taurasi. L’occasione è un appuntamento di cui si sentiva sinceramente la mancanza e del quale – proprio non me ne capacito, giuro – non ci si rende conto, in sede istituzionale intendo, quanta importanza abbia ai fini della comunicazione; pertanto, in prima istanza è doveroso, necessario ringraziare chi si è tanto adoperato affinché di aglianico, e di Taurasi, se ne sia tornato a parlare con termini di paragone comuni e non più in assoluta solitudine monocratica. Quindi, un “bravo, bravissimi!” agli amici della Miriade&Partners¤ che hanno rispolverato – in piena autonomia finanziaria – il sano format di “Anteprima Taurasi”, e a chi, tra cui l’impagabile Paolo De Cristofaro, ha fatto da inarrivabile Cicerone.

Tralasciandovi dettagli su dati tecnici e/o relativi all’andamento climatico (che potete però consultare qui) mi rimane da anticiparvi solo che si è trattato, del millesimo duemilasette, di un’annata tesa ad una disarmante caratterizzazione: calda, asciutta ed anticipata, seppur con le mille sfaccettature figlie anzitutto delle difformi caratterizzazioni microclimatiche nonché delle dissimili interpretazioni stilistiche; è bene ricordare che parlare di Taurasi significa raccontare di un territorio – quello iscritto alla docg intendo – di circa 993 ettari di cui più della metà, appena 415 ettari, destinati alla produzione di Taurasi propriamente detto. In sintesi questi gli assaggi più interessanti della sessione di degustazione, avvenuta sabato 22 gennaio scorso al Castello Marchionale di Taurasi. Tutti i vini sono stati egregiamente gestiti nel servizio dalla locale delegazione Ais di Avellino e serviti in assoluta anonimia ed alla giusta temperatura.

****/* Taurasi 2007 Colle di San Domenico. In assoluto, assieme al Contrade di Taurasi di Lonardo – seppur su linee emozionali diametralmente opposte – il miglior assaggio della sessione. Dal colore ricco e concentrato, rubino netto e carico di splendore. Naso importante, possente, variopinto di sfumature di frutta in confettura – mai la visciola fu così facile e piacevole da cogliere – note iodate, speziate: un ventaglio olfattivo non particolarmente intenso ma ampio, fine ed elegante. In bocca è d’impatto, voluttuoso, entra orizzontale e si distende in maniera costante ed ampia. Un vino essenziale, tecnicamente ineccepibile, figlio di un millesimo complesso e complicato, manifesto di come in annate del genere siano le aziende senza lacci a cavarsela meglio.

****/* Taurasi Contrade di Taurasi 2007. Il Colore è cupo, quasi impenetrabile, il primo naso rivolto a note subito terziarie: cuoio, terra bagnata, sentori animali. Il frutto fa fatica a venire fuori se non dopo una lenta ed inesorabile ossigenazione. Riassaggiato dopo almeno un ora ricalca linearmente il timbro, un vino non immediato ma di gran carattere ed in bocca conferma tutta la sua austerità: secco, piuttosto caldo, propriamente risoluto, non invadente ma evidente il finale alcolico non senza una lieve nota amarognola.

**** Taurasi Vigna Andrea 2007 Colli di Lapio. Altro bell’assaggio, non da capogiro ma ricco di sfumature intriganti. Di colore rubino, mediamente concentrato tendente al granato. Primo naso intenso, verticale, costruito su note eteree, inchiostro. Lentamente sopraggiungono odori di corteccia, sintesi di spezie fini, infine liquerizia. Palato piuttosto caldo, avvolgente, dal tannino poco pronunciato.

**** Taurasi 2007 Pietracupa. L’aglianico di Sabino continua a misurarsi alla grande, il millesimo non proprio avvincente gli consegna materia prima forgiata con ottime intuizioni. Il colore è rubino carico, quasi impenetrabile, cristallino. Il primo naso è lieve, non particolarmente intenso ma giocato su ottima complessità, fine e bilanciate su piacevoli fragranze fruttate e sottili note speziate. Sapore asciutto, corposo e di buona sapidità, inesorabilmente pronto da bere.

**** Taurasi 2007 Antico Castello. La sorpresa della batteria, pari solo all’assaggio del Taurasi di Antica Hirpinia, seppure questi si dimostri appena una spanna sotto.  Un azienda da tenere d’occhio, a questo punto anche sotto il profilo aglianicista; bello il colore, rubino vivo. Naso essenziale, molto gradevole l’approccio olfattivo, frutto in primo piano, leggiadro ma fragrante, composto. Palato decisamente pronto, senza asperità alcuna, da bere e godere adesso, il finale di bocca è teso e speciale di ciliegia sottospirito.

***/* Taurasi 2007 Urciuolo. Non ho ancor ben compreso lo stile minimalista del Taurasi dei fratelli Urciuolo, ritrovo infatti nelle degustazioni alla cieca degli ultimi, buoni vini ma perennemente sospesi tra l’eccellenza e l’essenziale. Anche qui un vino dal colore rubino con sfumature lievemente aranciate, il primo naso volge immediatamente a note terziarie, caratterizzate cioè da un frutto risoluto e giocato quindi su note essenzialmente fugaci, eteree e scomposte, di terra, di sfumature speziate. In bocca è secco, abbastanza intenso seppur non propriamente persistente. Un poco amaro il finale di bocca.

***/* Taurasi 2007 Antica Hirpinia. Una piacevole notizia questo assaggio, ovvero un forte messaggio di incoraggiamento dalla storica cantina taurasina, preda degli ultimi anni dell’immancabile cerchiobottismo locale. Colore rubino appena teso al granato, comunque non particolarmente carico. Primo naso di note spiritose ma subito coperto da sensazioni più eteree; con un poco di tempo, al riassaggio, note di confettura di prugna. In bocca è piacevole, particolarmente rotondo, senza asperità; piacevole ma non entusiasmante il retrogusto tostato.

***/* Taurasi 2007 Donnachiara. Colore rubino/granato molto bello a vedersi, concentrato. Naso abbastanza complesso, frutto in primo piano affiancato da note tostate e speziate, di buona verve. Palato anch’esso di spessore, ricco, glicerico, dalle spalle larghe, forse solo una tantino monocorde. Un vino da bere, dalla prospettiva abbastanza ridotta ma del quale godere adesso. Figlio dell’annata.

***/* Taurasi Sant’Eustachio 2007 Boccella. Bello colore rubino vivace, primo naso essenzialmente gradevole e dolce. Frutti neri croccanti, polposi, incipit lievemente speziato. Al palato asciutto ed intenso, non lunghissimo ma molto piacevole. Legno ben dosato, frutto ben bilanciato, finale minerale e di discreta sapidità. Quando il manico preserva l’artigianalità.

***/* Taurasi Radici 2007 Mastroberardino. Da riassaggiare tra qualche tempo, un approccio troppo al di sotto delle aspettative, o forse una bottiglia poco fortunata. Colore rubino di buona vivacità e trasparenza, primo naso spiritoso ma chiuso e lontano dal divenire, al primo come al secondo assaggio, così da risultare non ampissimo; In bocca gode decisamente di altra personalità, pare rifuggire le complicazioni di un millesimo steso al sole e non ammicca a sentori scontati. Palato quindi gradevole, asciutto, con l’alcol ben fuso alle componenti acido-tanniche.

***/* Taurasi 2007 Feudi di San Gregorio. Colore rubino mediamente concentrato, molto vivace. Naso molto piacevole, non scontato, pur senza palpiti, a tratti idrocarburico. Poi note fruttate intense e concentrate di frutti neri in confettura, mirtillo su tutti. Palato ricco, concentrato, polposo, glicerico, materia prima piuttosto interessante seppur manchi di spunti acidi capaci di bilanciarne un equilibrio decisamente volto alla morbidezza.

***/* Taurasi 2007 Bambinuto. Bello il colore rubino tenue, cristallino. Primo naso addirittura vinoso, poi  ciliegia, comunque pronunciato sul varietale e non coperto eccessivamente dal legno o dal lungo affinamento. Palato asciutto, abbastanza intenso, di buona profondità. Da riassaggiare tra qualche tempo per ricercarne l’evidente eleganza del ventaglio olfattivo, sobrio ma palese.

*** Taurasi 2007 Terre Irpine. Colore rubino, qui concentrato, cristallino. Naso marcato da interessanti note terziarie seppur non finissime, il frutto infatti soffre decisamente una persistenza caratterizzate da note smaltate, idrocarburiche, sino a rimanerne vittima. In bocca è secco e piuttosto caldo, non credo abbia grossi margini di miglioramento.

*** Taurasi Poliphemo 2007 Luigi Tecce. Colore rubino di bella vivacità, abbastanza concentrato. Il primo naso è lieve su note di fiori secchi e frutta spiritosa, niente di più. Il palato è integro, austero ma non offre assolutamente spazio a picchi emozionali, risulta in verità un poco greve, non è eccessivo definirlo addirittura corto. In bocca offre una buona bevibilità, ruvida ma senza particolare carattere. Se si è trattato di cattiva interpretazione del millesimo o solo di un silente momento di forma, il tempo ce ne darà conto, frattanto è bene continuare a bere altro.

*** Taurasi 2007 Villa Raiano. Colore rubino con piccole sfumature rosso granato, naso tenue, senza sfoggio di particolare intensità ma elegante e lineare su note di frutta e fumature minerali. Dopo una lunga ossigenazione, al secondo riassaggio, una nota quasi sanguigna ne caratterizza l’olfatto. Palato fine, abbastanza intenso con una lieve eccedenza dell’alcol, molto ben dosato il legno.

*** Taurasi 2007 Di Prisco. Un tantino sottotono e devo aggiungere, una volta svelate le bottiglie, molto inaspettatamente; bello il colore rubino, cristallino, lo spettro olfattivo offre ben poco oltre un legno nuovo, sopra il frutto, solo aspettandolo per tempo un ne viene fuori un sottofondo di liquerizia. In bocca è secco, il tannino è evidentemente pronunciato, seppur nobile. Da aspettare e rivalutare, decisamente.

Tra gli ultimi assaggi, per la sequenza non certo per la bontà, da segnalare tra i campioni di botte, lo Spalatrone di Cantine Russo, dal naso piuttosto elegante e dal sapore ben bilanciato ed il Taurasi Nero Né de Il Cancelliere, di Romano Soccorso; azienda in grande crescita nonché sempre più identificativa dello splendido territorio di Montemarano; un vino – al netto dei pregiudizi sull’annata – finalmente non caratterizzato da quella possenza tanto voluttuosa quanto spesso troppo al di sopra della sopportabilità gastrica. Interessante anche l’assaggio di Cortecorbo seppur in evidente ritardo di equilibrio, soprattutto gustativo, rispetto agli altri competitors.

Legenda: ***** Eccellente, **** Ottimo,  *** Buono, ** Sufficiente, * Mediocre

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Così Anteprima Taurasi 2005¤.


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