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Il Signore del vino campano nel mondo

29 gennaio 2014

Sono sempre in grande difficoltà quando mi tocca postare una notizia come questa, tant’è che spesso preferisco non farlo. Stanotte però è venuto mancare il dott. Antonio Mastroberardino, forse il personaggio più illustre che la viticoltura campana potesse contare agli occhi del mondo. Le radici di un po’ tutti noi. Alla famiglia tutta le mie e le nostre più sentite condoglianze. R.I.P.

Montemarano, il territorio, un po’ di storia, un vino: l’aglianico Gioviano 2008 de Il Cancelliere

12 marzo 2012

Il territorio è di antica vocazione, dopo Taurasi, e subito prima di Paternopoli, il vigneto ad aglianico più grande d’Irpinia: 161 ettari iscritti all’albo suddivisi tra 116 conduttori, con vigne prevalentemente esposte a nord, con terreni compositi – sostanzialmente argillosi ma ricchi di scheletro e lapilli vulcanici – ed altimetrie che variano dai 400 agli 800 metri, praticamente come fare un salto dal paradiso direttamente all’inferno.  

Un gran peccato aver cominciato a goderne i frutti così tardi. I miei primi ricordi vanno alla prima metà degli anni novanta, quando la parola “Montemarano” cominciai a leggerla su qualcuna delle vecchie bottiglie di Taurasi dei Mastroberardino, che poi, molto poi, imparai non essere una consuetudine ma vera e preziosa rarità per i vini dell’epoca; solo che a quel tempo certe bottiglie, capitate lì sicuramente per caso, quando non finivano scolorite e impolverate sulle mensole del bar della Pizzeria Serapide dove prestavo le mie prime esperienze tra cucina e sala, di sicuro sarebbero andate allungate al meglio con la Coca-cola. Venti, forse ventidue anni fa, altri tempi.

Non più tardi di cinque/sei anni dopo cominciai a capire dove realmente si trovasse Montemarano. Lavoravo adesso a La Fattoria del Campiglione, sempre a Pozzuoli – una gran cantina tra le mani e bella gente a cui dare da bere -, di tanto in tanto mi capitava di ascoltare alcuni clienti confabulare tra loro su quanto si stava bene, e pagava poco, al Gastronomo, un certo ristorante tipico proprio di quelle zone. Il Gastronomo, a Montemarano dicevano. “Ci devi andare Angelo, ci devi andare mi ripetevano, per te che ami il vino poi…”. “Fanno una cucina sana, di territorio, semplice, e c’è in cucina un giovanotto niente male che fa dei primi buonissimi”. Chissà mi domandavo io, ci capiterò prima o poi (vedi qui).

Tant’è, tornando a noi, e al vino, i ricordi si fanno certamente più loquaci con le primissime bottiglie maneggiate di Salvatore Molettieri: l’aglianico base – ve lo ricordate quanto erano sorprendenti le prime uscite? -, ma anche i Taurasi, il ’94, ’96, e poi a seguire quelli che hanno segnato definitivamente il passo, il ’99, ’00 e ’01 su tutti; stiamo parlando più o meno di una dozzina d’anni fa. Eh si, Molettieri, indubbiamente è toccato a lui fare da apripista, Montemarano l’ha fatto conoscere alla critica, cominciato ad imporlo come un indirizzo nuovo e diverso da quel di Atripalda, Sorbo Serpico o contrada Sala a Taurasi, giusto per citarne qualcuno di quelli più conosciuti all’epoca.

Poi, come spesso accade, negli ultimi dieci anni sono arrivati tanti altri, così anche i Romano, con una storia agricola solida che rimanda addirittura alla fine dell’800, ma che vede solo nel 2005 il compimento vitivinicolo definitivo, con i primi imbottigliamenti per conto proprio; nasce allora infatti Il Cancelliere, prendendo spunto dal soprannome di Soccorso Romano e in ricordo di suo nonno, come lui riconosciuto tale “o’ cancelliere”.

Il Gioviano è il loro primo vino, da sempre considerato un gran bel vino, dal rapporto prezzo-qualità ineccepibile, di quelli che difficilmente dimentichi di aver bevuto; e questo duemilaotto, probabilmente il migliore di sempre, quasi a voler far paio con lo splendido Taurasi Nero Né (leggi anche qui) della stessa annata, che arriverà però sul mercato solo il prossimo inverno, si mostra in tutto il suo splendore degustativo, dal primo all’ultimo sorso, esaltando tra  l’altro un millesimo all’epoca preso con le molle ma ogni giorno più apprezzato di quanto se ne pensasse appena raccolto.

Ma a dare un valore aggiunto a tutto sono proprio loro, i Romano, che splendide persone! E che meravigliosa persona è Soccorso: parlarci, starci dietro nei ricordi è uno spasso, verace, fiero, ironico e ruspante, proprio come te lo aspetti; lui preferisce occuparsi della vigna, sette splendidi ettari di aglianico che girano tutto intorno casa, e quasi non ne vuole sapere cosa accade in cantina, dove tra l’altro Antonio di Gruttola pare metterci più l’anima che le mani, limitandosi ad osservare ciò che accade piuttosto che ad intervenire.

Il segreto? Uve sanissime, solo lieviti naturali, macerazioni per almeno una ventina di giorni, legni, piccoli e grandi generalmente già usati, talvolta anche di terzo passaggio. E pensate che sino ad un paio d’anni fa qui si lavorava ancora col torchio, sostituito solo di recente con una più moderna e funzionale pressa pneumatica di ultima generazione. Il colore di questo duemilaotto è un bel rubino carico, nerastro, eppure vivo e luminoso; il naso è un susseguirsi, piacevolissimo, di riconoscimenti di frutti neri, spezie, balsami, tabacco, cuoio, terra. In bocca è secco, avvolgente, caldo, succoso, ha discreta acidità ma ancor più un tannino di spessore, eppure ben fuso, disteso, tutt’uno col corpo del vino. Insomma, un grande rosso quotidiano, decisamente imperdibile.

Questo articolo esce anche su www.lucianopignataro.it.

Atripalda, Taurasi Ris. Radici ’04 Mastroberardino

30 novembre 2011

E’ l’archetipo che diviene stereotipo, positivo, quindi un esempio da seguire. Il termine archetipo viene usato, generalmente, per indicare una forma preesistente e primitiva, in questo caso di un vitigno, di un vino, della sua rappresentazione più tipica di un territorio.

Il Taurasi Riserva Radici 2004 esprime del millesimo, nella forma e nella sostanza, l’ideale più nobile di Taurasi in circolazione: finissimo il colore rubino, sottili e di una eleganza unica le note olfattive che richiamano di tutto e di più, e nobilissimo il tannino, turgida la freschezza, immensa la bevibilità. Un modello ineccepibile, eppure spesso sottovalutato, quando non del tutto ignorato appannaggio del nuovo che avanza, di quelle centinaia e più interpretazioni susseguitesi negli ultimi vent’anni in terra d’aglianico, seppur nella totale assenza di un “linguaggio” comprensibile che potesse raccontare “veramente” il territorio da cui nasce, e non, più semplicemente, il manico che ne andava forgiando le forme o, quando peggio, la futile domanda che ne designava il sorso.

La paura, forse, è sempre stata quella di ritrovarsi a seguire uno stereotipo, un cliché partorito da un’unica visione prospettica, quella dei Mastroberardino appunto, i primi e gli unici a conservare una memoria storica inattaccabile in un territorio pur capace di esprimere, negli anni, nuovi “talenti”, alcuni imperdibili, taluni anche visionari, ma anche decine e decine di opportunisti; così il rischio di aderire ad una visione semplificata, largamente condivisa, per un territorio invece capace di esprimere sicuramente più facce di una stessa medaglia è divenuta paura, quindi rigetto. Sbagliando. E il pur nobile principio da cui muoveva questa vivacità interpretativa del Taurasi non ha però nel tempo saputo del tutto salvaguardare i suoi valori più alti tra cui l’autenticità. Non a caso ancor oggi Antonio Mastroberardino non smette di ripetere ai suoi collaboratori, ad ogni panel di degustazione aziendale, una frase che risulta a dir poco emblematica: “qui, nulla si crea!”.

Si tratta forse di un concetto astratto, se vogliamo estremamente neutrale e semplicistico, asettico quasi, ma nel tempo, questo stereotipo si è fatto esempio, un caso rappresentativo che serve ad illustrare in tutto e per tutto una regola non scritta che diviene modello da imitare, l’archetipo appunto, del Taurasi. Quello imperdibile!

La Campania che vogliamo, Piero Mastroberardino a L’Olivo per una serata speciale al Capri Palace

1 Maggio 2011

Venerdì 13 Maggio dalle 19.30, nella suggestiva cornice del Capri Palace Hotel&Spa di Anacapri, “Mastroberardino incontra L’Olivo”.

Appuntamento esclusivo imperdibile per fare quattro chiacchiere con il professor Piero Mastroberardino, erede della storica tradizione vitivinicola campana, che ci guiderà attraverso gli oltre 130 anni di storia di vite della sua famiglia col vino in Italia e nel mondo.

L’evento avrà inizio come consuetudine con un happening di benvenuto nella cantina Dolce Vite, continuerà poi in terrazza a L’Olivo dove verrà servita una cena gourmet preparata a quattro mani da Andrea Migliaccio, executive chef del Capri Palace, e Francesco Spagnuolo, chef del Ristorante Morabianca del Radici Resort di Mirabella Eclano. Un incontro di talenti, profumi e sapori per inaugurare questo nuovo percorso enogastronomico che vedrà avvicendarsi in questa stagione aziende del calibro di Biondi Santi, Bellavista, Donnafugata, e Villa Matilde. Qui il programma completo con le date e gli chef ospiti.

In degustazione per questo appuntamento:

  • in cantina, come benvenuto, il Greco di Tufo Novaserra 2010 e l’Aglianico RediMore 2009.
  • A L’Olivo, durante la cena, in abbinamento ai piatti, il Fiano di Avellino More Maiorum 2008, Taurasi Radici 2006, Taurasi Naturalis Historia 2005, Taurasi Riserva Centotrenta 1999 ed Aglianico passito Anthéres 2009.
Per informazioni dettagliate e prenotazioni:
Capri Palace Hotel & Spa
Ristorante L’OLivo
Via Capodimonte, 14
80071 Anacapri – Isola di Capri – ITALIA
Phone: (+39)081 978 0225
Fax: (+39) 081 978 0593
www.capripalace.com
olivo@capripalace.com

Lapio via Atripalda, More Maiorum 2007

21 gennaio 2010

Il Fiano di Avellino come Montrachet? Perchè no! Naturalmente siamo ancora lontani dall’idea di esigere una classificazione della tipologia come dire – alla borgognona – seguendo un po’ ciò che i francesi hanno intuito ed espresso già oltre cento anni fa, creando terroir straordinari come Montrachet, con tante piccole facce di uno Chardonnay di inarrivabile qualità, distinguendone i cru di Puligny da Chassagne, quelle di Batard dallo stesso comune omonimo, ma sempre più spesso ci capita di pensare e di parlare di questo vino non più come genericamente “di Avellino” ma ricercandone anche gli areali di produzione a conferma di una diversità tangibile e di una particolare e maggiore vocazione: a seconda che ci si ritrovi dinanzi ad una bottiglia proveniente da Pratola Serra piuttosto che da Montefalcione o da Montefrèdane, Cesinali, Summonte e via discorrendo sino a Làpio, tutte terre d’elezione per il Fiano. L’ultima in particolare – dove nasce appunto il More Maiorum della famiglia Mastroberardino e dove il vitigno appare baciato, più che dal sole dalla madre terra che gli conferisce una mineralità capace di forgiare un vino bianco votato a sfidare il tempo senza eguali in Campania e forse in Italia.

Il colore è di un bel giallo paglierino cristallino e si presenta nel bicchiere con una buona consistenza. Il primo naso è intenso e persistente su note fruttate eleganti e fini, dapprima mela verde, note agrumate, poi banana, continuando a stupire su di una complessità eccelsa ed abbastanza profonda chiudendo su leggere sensazioni vanigliate e nocciolate. In bocca è secco, abbastanza caldo e particolarmente fresco chiudendo dopo una lunga e piacevole persistenza con un sapore decisamente mandorlato. Carattere da vendere da consegnare tra poche settimane a quel mercato finalmente ritornato sui suoi passi con una ritrovata esigenza di acidità e mineralità a discapito di bianchi “tuttifrutti” dalle rotondità burrose stucchevoli tanto serbevoli quanto anomini e scipiti. Da bere fresco tra i 12 e 14 gradi in calici generosi nell’esaltare l’ampiezza olfattiva espressa, da abbinare a piatti importanti, mi viene in mente la sorprendente interpretazione delle Alici marinate con ricotta, melanzane e caponatina in salsa di prezzemolo di Oliver Glowig dell’Olivo del Capri Palace.

Mastroberardino, la storia siamo noi

25 novembre 2009

Lo stato d’animo è quello giusto, partecipano a questo panel alcuni Sommelier e Chef della Campania che va, tanto per rubare uno slogan all’amica Monica Piscitelli tanto foneticamente affascinante quanto di geniale primogenitura, tutti accomunati dalla grande professionalità e disponibilità nel comunicare il territorio che scorre in ogni calice che viene servito ai propri avventori. Con me, tra gli altri, ci sono Gianni Piezzo di Torre del Saracino, Tonino Faratro de La Caravella di Amalfi, Rocco Iannone di Pappacarbone e molti altri operatori della ristorazione di qualità campana sparsa qua e là tra le province di Napoli e Salerno.

Il Panel è tanto impegnativo quanto affascinante, un percorso attraverso le varie anime dei Taurasi della storica azienda irpina sempre più volti ad identificarsi e rappresentare profili territoriali (terroirs, per dirla in un termine a me caro e sublime) unici e riconoscibili di annata in annata. Dario Pennino, neo amministratore delegato della Mastroberardino S.p.a. ci introduce alacremente alla storia dell’azienda di Atriplalda chiosando poi con una frase che apre ad una riflessione tanto scontata quanto sorprendentemente disarmante: “tutti dicono che Mastroberardino sia la storia in Irpinia, va bene, ci fa piacere, ma noi questa storia ce la vogliamo continuare a conquistare; Mi piace pensare alla nostra azienda come il marchio Levi’s, non ti poni mai il problema se è di moda o meno, sai che ti calza bene e quindi ne hai sempre almeno uno nel tuo guardaroba che quando non sai cosa mettere, vai lì, lo tiri fuori e sai di aver risolto. Ecco, noi siamo così, siamo qui da centotrenta anni, fuori dalle mode, dentro le vostre cantine, e puntiamo ad essere sempre più costantemente all’altezza della vostra situazione…”.

La verticale:

Taurasi Riserva Radici 1997 Rimane una mia convinzione, non lo so, ma l’annata ’97 per il Riserva Radici segna un confine superato il quale questo Taurasi ha virato verso una godibilità del frutto più immediata e di “moderna” concezione, che seppur maggiormente appagante per profumi e gusto di un avventore in cerca di immediatezza ha lasciato indietro quei ricordi sublimi di un aglianico forzatamente austero e ruvido, certamente più antico ma sempre all’altezza di piatti rustici, sinceri come la tradizione enogastronomica campana, quella Irpina in testa, propone con naturalezza e semplicità disarmanti. Di colore aranciato, mediamente consistente e trasparente si pone con una naso mediamente intenso su note terziarie di tostato, chiodi di garofano. In bocca è secco, caldo di buon corpo con una beva scorrevole e legata ad una spiccata freschezza ancora tangibile. Pronto da bere, su cacciagione arrosto, penso per esempio al cinghiale con papaccelle.

Taurasi Riserva Centotrenta 1999 Non avevo ancora avuto modo di berlo, presentato lo scorso anno per consacrare alla storia i 130 anni del marchio Mastroberardino, tra i primi ad essere esportato in tutto il mondo, in sud America in particolar modo sin dalla seconda metà dell’800 come testimonia l’iscrizione alla camera di commercio di Roma (sede della società di spedizione) datata 1878. Il vino è di un bel colore rubino con sfumature granata, consistente ed abbastanza trasparente. Il primo naso è vivace su note aromatiche intense ed abbastanza persistenti di fiori secchi, spezie fini, poi ceralacca, smalto. In bocca è asciutto, austero con un frutto davvero invitante, intenso e persistente e con una spiccata profondità. Un Taurasi tra il vecchio ed il nuovo, perfetto su di un cosciotto d’agnello glassato, ma capace di tenere testa anche a formaggi stagionati e di carattere.

Taurasi Riserva Radici 2003 Presentatoci come anteprima dato che non è ancora commercializzato, questo vino nasce dai vigneti che l’azienda conduce in quel di Montemarano, area tra le più vocate per la denominazione di origine controllata e garantita Taurasi e sempre di difficile intepretazione; Si pensi che qui capita non di rado che la vendemmia venga protratta sino a metà novembre, spesso con le prime nevicate in continuo agguato. Il colore è molto affascinante, rosso rubino, piccole sfumature granata di buona vivacità, consistente. Il primo naso è molto invitante, prugna e marasca mature, poi note tostate ed intense avvolte in una aromaticità molto gradevole di polvere di cacao e caffè. In bocca è secco, caldo, la morbidezza è ancora un miraggio lontano, anima sincera di un aglianico che speriamo ci possa accompagnare per molti anni a venire, un vino di carattere da accostare a piatti ricchi, una bella tagliata di “marchigiana” appena scottata ed in stagione accompagnata con una manciata di porcini appena rosolati.

Taurasi Historia Naturalis 2004 Storia tribolata quella del Historia Naturalis, vino nato alcuni anni orsono per dare spunto ad uno studio di ricerca accurato sul matrimonio aglianico-piedirosso sempre molto a cuore a Piero ed all’azienda tutta ma che in realtà non ha mai sortito gli effetti sperati se non quello di valorizzare un nome molto evocatico oggi tutto a vantaggio di un nuovo Taurasi prodotto esclusivamente dalle uve di vecchie vigne quarantennali in Mirabella Eclano, Cru di particolare elezione per l’aglianico di Taurasi di recente acquisizione dove sorge il Radici Resort, la nuova struttura votata all’ospitalità di casa Mastroberardino. Il colore di questo vino è assai affascinante, rubino con riflessi violacei, di bella vivacità. Il primo naso è un effluvio di sentori fruttati nitidi e freschi di piccoli frutti rossi, mirtillo e mora su tutti accompagnati da una gradevolissima sensazione tostata. Il gusto è secco, caldo, con una piacevole tannicità che sorregge una beva caratterizzata dal ritorno di sensazioni classiche dell’aglianico come un finale di bocca balsamico e speziato. Un rosso di carattere, che piace e piacerà a chi si avvicina all’aglianico di Taurasi per la prima volta e a chi ricerca in questo nobile vino una maggiore concentrazione di frutto. Su cosciotto d’agnello agli aromi con patate al forno. 

Taurasi  Radici 1968 Piero Mastroberardino e Dario Pennino decidono di sorprenderci regalandoci questa emozione unica e poco replicabile a chiusura di questo bellissimo percorso di degustazione. Si aprono alcune bottiglie di Taurasi Radici 1968, all’epoca ancora doc e l’unico dei vini del sud a poter essere ammesso ai confronti con i già blasonati Barolo e Brunello di Montalcino. Nasce proprio da qui l’intuizione di conservarne qualcuna di queste bottiglie in un millesimo molto apprezzato da alcuni vignaioli langaroli di fama amici di Antonio Mastroberardino che lo invitarono a stipare qualche cassa di questo vino nelle proprie cantine, e così fu. Settecentoventi lire, questo il prezzo all’epoca necessario per poter godere di questo nettare, a vederlo oggi in questo bicchiere, sotto il mio naso, penso a quanti negli ultimi anni fanno il prezzo dei loro vini pensando esclusivamente a quanto li vende il proprio vicino o alla necessità di rientrare del proprio investimento nel più breve termine possibile fregandosene di “fare cantina”. Pazzi, incoscienti del valore della condivisione e del fascino del tempo, innamorati solo del proprio portafogli o al massimo della propria silouette riflessa allo specchio. Ma veniamo al dunque, le bottiglie vengono stappate almeno un’ora prima del servizio, attentamente gestite dallo staff e versate senza residuo alcuno nei calici di ognuno.

Il colore è bellissimo, rosso granata con nuances arancio sull’unghia del bicchiere, cristallino e limpido. Il primo naso è sorprendente, ci si aspettano sensazione vetuste e poco eleganti ed invece è una esaltazione stilistica di eleganza e finezza: pout-pourri di fiori e frutta secca, corteccia, carrube linearmente accompagnati  da note balsamiche fini ed abbastanza persistenti. In bocca è secco, abbastanza caldo, assolutamente preservato da una freschezza sorprendente e tangibile ancora oggi, un vino magistrale, minerale, decisamente una esperienza degustativa che rimarrà ben impressa nella mia memoria: ho finalmente un parametro di longevità tangibile dell’aglianico che mira alla finezza ed all’eleganza come solo pochi grandi Pinot Noir borgognoni possono esprimere; E’ vero, è dura aspettare 40 anni e più, ma qualcosa dovrà pur rimanere alle generazioni future oltre che le nostre scorie e le nostre sciagurate scelte politiche!