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Il Sommelier nella storia, da protagonista

17 gennaio 2010

La parola sommelier, nessuno si scandalizzi, proviene dal termine francese saumelier (dall’etimo latino sagmarium) ovvero “conduttore di bestie da soma”, evolutosi poi nel significato moderno di “cantiniere, cameriere d’albergo o ristorante, per la scelta e il servizio dei vini”.

In realtà la storia ci lascia traccia del fatto che i cugini d’oltralpe mutuarono quest’ultima denominazione solo nell’ottocento dall’italiano somigliere, citato per la prima volta negli editti del Duca di Savoia almeno cent’anni prima. Questi istituivano la figura del Somigliere di Bocca e di Corte, un vero e proprio pubblico ufficiale destinato a ricercare e valutare i vini, che poi sigillava con il timbro dell’anello imponendo le insegne ducali, nonché a determinare la corretta maniera nel servirli con protocolli rigidissimi.

Quello del sommelier è però un ruolo molto più antico. Nell’antica Grecia esisteva un Simposiarca, in alcune traslitterazioni chiamato anche Coppiere Arcante, che dirigeva il Symposion, ovvero il momento finale del banchetto, quando gli uomini si riunivano per bere e discorrere di politica, arte e filosofia. Ancor prima, in Mesopotamia ero lo Shagu, ma è con l’Impero Romano che si ha una affermazione importante di tale figura che ritroviamo con il nome di Arbiter Bibendi o Pocillator, persona fidata che aveva il compito di preparare, poco prima dell’inizio del convivio, la miscela di acqua e vino ideale per deliziare i palati dei convenuti (all’epoca il vino, un vero e proprio succo d’uva sciropposo, veniva diluito). Venne poi il Buttigliere rinascimentale, che aveva un ruolo di assoluto primo piano nelle corti italiane, sacerdote di un rigido cerimoniale e responsabile della salubrità delle bevande.

Oggi l’arte del sommelier, tra le varie associazioni di categoria, è regolata dall’ Associazione Italiana Sommeliers (Ais), fondata nel 1965 e riconosciuta con decreto del Presidente della Repubblica nel 1973 e che vede tra i suoi iscritti oltre 30.000 membri di cui gran parte operatori professionisti impeganti quotidianamente nella comunicazione di qualità del vino. Leggi lo statuto dell’Ais.

“Bianco o rosso?”. E’ una domanda che oggi trova sempre meno riscontri, perchè quasi tutti i ristoranti hanno intuito il cambiamento in atto e si sono dotati di una carta dei vini, dove compare una selezione di bottiglie, spesso pregiate, sulla quale l’avventore di turno, incerto, ha bisogno di essere guidato. È in questo momento che interviene il sommelier, capace di seguire il cliente, intuire le sue preferenze e condurlo ad una scelta ideale soprattutto in riferimento alle pietanze che questi avrà scelto dal menu.

Dimenticatevi l’immagine del maître compassato o del cameriere che à la volée stappa una bottiglia di Taurasi, il sommelier, negli ultimi anni sempre più giovane e brillante, saprà conquistarvi con la suarte professionale e con la sua proverbiale comunicazione.

Questa è la mia terra, vivila con il cuore in mano

12 dicembre 2009

Si possono sprecare parole di elogi, rivangare una storia millenaria che comunque ritorna da se ogni qualvolta si mette mano alla ricerca delle origini, citare persone, luoghi, nomi che vanno ad incarnare una storia, un paesaggio, una identità che pur nelle mille diversità conducono sempre ad un unico concetto ormai chiaro a tutti: Campania Felix!

Terra mitica per i greci, giardino imperiale per i Romani, per i regnanti delle due Sicilie poi, ci hanno trapassato il cuore in tanti e feriti i peggiori, ma l’anima, la vocazione rimangono pure ed originali. Io, noi amiamo i vini della Campania, questo è tutto. Ma è solo l’inizio…

Il fuoco, vedo il Vesuvio¤ con la sua forza immensa, con la falanghina e la coda di volpe (qui caprettone) che hanno innaffiato terre atlantiche quanto a levante, ridato vita ed humus a portafogli aridi come le anime che ci marciavano sotto, profumi di una terra del fuoco che ha finalmente ritrovato la sua dignità e che corre, entusiasta, verso il suo riscatto. Olivella, sciascinoso, catalanesca, discendono il Monte Somma come lava e lacrime¤ sino ai bicchieri di ognuno.

Pietra lavica e fuoco che nei Campi Flegrei nutrono per ‘e palummo¤ e falanghina¤, iodate dal mare del golfo, inasprite dalle terre di tufo, dalle sabbie degli Astroni¤, le acque dell’Averno come discesa agli inferi per poveri diavoli che giammai ebbero di che nutrirsi; Ischia, Capri, mete verdi ed azzurre sempre prostrate ai palati più fini e leggeri, biancolella, ventrosa ed uva rassa a inebriare ricchi e viziosi di un gioco infinito, magari piantati in asso da sirene senza più voce ne canti da regalare, a Sorrento come a Furore¤, a Ravello o a Tramonti¤: tintore, pepella, ginestra, san nicola, fresche bevute e sapidi rospi, ebbri da panorami mozzafiato e da tinte rosse, fosche di primo mattina.

Il mare, azzurro, cristallino, brillante come diamanti, il Cilento ed i sassi, la pietra liscia di spiagge incantate, incontaminate proprio ai piedi di montagne irte ed adombrate, frescure che esaltano vini di eccellente spiccata aromaticità, il fiano su tutti, e rossi corpulenti, polposi, minerali, rei di accecare il palato e conquistare lo stomaco; piccoli vigneti, agricoltori che cercano se stessi e colgono in flagranza di reato la propria anima¤, la propria origine, scappati via nella città e rifuggiti da questa per ritrovarsi ambiziosi di riscoprirsi appartenenti alla campagna. L’aglianico rifugio di destini controversi.

La terra, aspra e generosa, ferita in maniera indelebile e capace di ricostruirsi un futuro più solido, più forte della malasorte, più ambiziosa di generazioni semplici e conservatrici. Ecco l’Irpinia, la terra di mezzo, spartiacque di culture ed esaltazione di colture, l’aglianico¤, il fiano di Avellino¤ ed il greco di Tufo¤ come massima espressione enologica della nostra regione. Una convulsa evoluzione che ha stravolto le menti e gli equilibri italici, vini prestati al desìo altrui divenuti finalmente protagonisti di se stessi, della propria origine, testimoni¤ della propria terra¤ che pian piano stanno ritrovando e marcando come unicità e rarità: è Taurasi la porta del successo!

La creta che diviene fango, prende forma tra le mani, diventa specchio della propria anima, finalmente il Sannio-Beneventano balla da solo. Polmone inesauribile a rimpolpare vinacci da niente, vinodotto inesauribile che ha scosso le coscienze e motivato princìpi di autenticità¤. Sant’Agata de’Goti, Castelvenere, Guardia Sanframondi, terre spogliate come le loro vigne dalle foglie in autunno, coraggiosamente oggi rivendicano una identità superiore: il piedirosso, l’aglianico, ma anche la falanghina ed il greco, la barbera e l’agostinella, un circolo vizioso che circuisce e vizia chi non si ferma al palo, chi riesce a vedere oltre e a toccare con mano. Piaceri ineluttabili al caldo di un camino accesso a fescine.

Il vecchio e il nuovo, il passato che avanza nel futuro che è già prossimo, che è già oggi. Il Falerno¤ come vocazione antica, primitivo rosso campano tanto amato dai romani che incapaci di reggerne la possenza lo sventravano con nefandezze delle più dolci pur di mentire a se stessi. L’Ager Falernus¤ come terra eletta che riscopre oggi una vocazione per troppo tempo assopita e banalizzata, il Massico¤ che vive una nouvelle vogue entusiata di esserci e di scomettere su se stesso.

Da qui a Roccamonfina¤, vigneti sperimentali e gran cru campani, ricerca ed innovazione che regalano grandi vini e simpatiche interpretazioni, l’aglianico maritato al piedirosso, la falanghina vestita con il sauvignon, uno strappo, quest’ultimo, alla tradizione da non confondere con la tradizione stessa, una fiche buttata lì sul tavolo verde che vale la giocata ma non deve essere la partita, non abbiamo bisogno di mezzucci per abbreviare il tragitto, solo un po’ più di palle per guadare il fiume. Attributi che non sono mancati a chi¤ ha reinventato poco più in là una viticultura scomparsa, a chi, per esempio riscoprendo il pallagrello¤ bianco e nero ed il casavecchia¤ non ha abbassato le braghe agli storpi e biechi burocrati del no e ci continua a regalare emozioni liquide pure attraverso vini esemplari e ricchi di fascino.

A costoro e a tutti quelli che amano la vigna, piccola¤ o grande¤ che sia, io dico grazie. A tutti quelli che di fronte a questi vini si troveranno ribadisco: “questa è la mia e la vostra terra, vivetela con il cuore in mano!”

© L’Arcante – riproduzione riservata


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