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Il vino della gioia, lo diciamo a chiare Lettere!

4 giugno 2020

Furono probabilmente i greci, sempre loro, a piantare per primi la vite sulle pendici dei Monti Lattari, in Penisola Sorrentina, in provincia di Napoli e ad insegnare ”come si fa” agli Oschi, gli antichi abitanti di queste zone interne impervie e brulle ma fertilissime per via delle eruzioni vulcaniche.

Poi ci hanno pensato i Romani a darne slancio, grandi estimatori del vino prodotto da queste parti sui Lattari, allora parte integrante dell’Ager Stabianus, dove nelle numerose ville rustiche riportate alla luce la coltivazione della vite era la principale attività. Il vino di queste terre è sempre stato ricercato per la sua immediatezza e bontà, gradito per la freschezza gustativa, assai apprezzato per la bevibilità, così quando a metà del ‘900 i commercianti napoletani e in particolar modo i Massari gragnanesi impeganti nella “trafica del vino*“, ovvero l’acquisto del vino novello portato poi a Napoli nelle botti su grandi carri, cominciarono a farne vanto commerciale il successo fu incredibile e popolare, una fortuna che a fase alterne possiamo dire continua tutt’oggi.  

Pochi possono vantare una conoscenza di questo territorio, dei siti, delle uve, dei vignaioli come la famiglia di Salvatore Martusciello, da oltre trent’anni impegnata nella coltivazione, produzione e commercializzazione di vini dei Campi Flegrei, dell’Agro aversano e di qui, provenienti da questo splendido areale della Penisola Sorrentina dove hanno certamente contribuito in maniera decisiva alla riscoperta, la salvaguardia e la valorizzazione di un patrimonio vitivinicolo così unico, un impegno che oggi Salvatore continua a portare avanti con maggiore determinazione e grande devozione con la moglie Gilda.

L’area geografica vocata alla produzione del vino doc Penisola Sorrentina si estende in una zona circoscritta dell’Appennino Campano lungo le pendici dei Monti Lattari, partendo da Castellammare di Stabia e tutto intorno sino a Punta Campanella, abbracciando praticamente tutta l’area della costa Sorrentina e il suo ”interno” in provincia di Napoli, attraversando diversi comuni come Gragnano¤ – città conosciuta in tutto il mondo per la pasta ma anche patria del famoso vino frizzante celebrato da Totò in ”Miseria e Nobiltà” -, Pimonte e, per la sottozona Lettere, i territori dei comuni di Lettere, Casola di Napoli e, in parte, il territorio di Sant’Antonio Abate, un’area dove vengono coltivate principalmente Aglianico, Piedirosso, Sciascinoso (Olivella) ed altre numerose varietà locali a bacca rossa e bianca che entrano a pieno titolo nella produzione dei vini di queste zone.

Il Lettere Ottouve duemidiciannove di Salvatore Martusciello è davvero un inno alla gioia a tavola, con quel colore porpora e la sua spuma violacea così stuzzicanti, con un ventaglio di profumi deliziosi ed invitanti di piccoli frutti rossi e neri carnosi, la piacevolissima freschezza del sorso come manifesto della convivialità, una vivacità gustativa intensa e tratteggiata in punta di rosso a grandi caratteri, per restare ben impressa ma solo per il tempo necessario, capace di donare ad ogni sorso un raggio di sole, una sferzata di gusto, la piena soddisfazione!

*Leggi di più sulla ”trafica del vino” Qui.

© L’Arcante – riproduzione riservata

Boscotrecase, giovane e di belle speranze il Lacryma Christi rosso 2015 di Cantine Matrone

19 Maggio 2016

Una piccolissima produzione di un bianco ed un rosso dal Vesuvio che si farebbe bene nel seguire con attenzione nel prossimo futuro.

 Lacryma Christi del Vesuvio rosso 2015 Territorio De' Matroni - foto L'Arcante

Nel cuore del Parco Nazionale del Vesuvio¤ i cugini Andrea e Francesco Matrone¤ hanno ripreso a coltivare la vigna del “Territorio de’ Matroni”¤. Poco più di due ettari per cinquemila bottiglie in tutto, un Lacryma bianco e un Lacryma rosso. 

Il bianco 2015 ha una buona forgia, è cristallino, tenue e fine al naso, forse un poco impreciso sul finire di bocca che pare insistere sulla mandorla amara. Ha però una buona profondità e corpo. Da uve caprettone, falanghina, greco e altre varietà vesuviane. Val bene aspettarlo magari in annate meno generose.

Più di una segnalazione merita invece il Lacryma Christi rosso 2015, perlopiù piedirosso con un saldo di aglianico e sciascinoso. Appena stappato, l’approccio soffre un po’ il legno (tonneau), lo cogli al primo naso e ai primi sorsi ma alla distanza viene fuori invece un bel rosso invitante e sbarazzino, dal naso intenso, ricco di frutto e rimandi balsamici. Il sorso è goloso, polputo, fresco e sapido, avvolgente e significativo. Una piacevole scoperta, giovane e di belle speranze!

L’Arcante raccomanda di servire questa tipologia di vini con Fresh¤, il nuovo seau a glace di Nando Salemme.

© L’Arcante – riproduzione riservata

Ottouve, il Gragnano di Salvatore Martusciello

17 gennaio 2015

Ottouve 2014 - foto A. Di Costanzo

Ho voluto far passare un po’ di giorni prima di scriverne, berne magari a più riprese, a distanza di tempo per avere piena contezza di quanto afferma Salvatore quando al telefono mi racconta del suo Ottouve e di questa nuova veste da ‘solista’.

E’ sempre facile scrivere di un vino della famiglia Martusciello, la cultura, la storia, la tradizione non s’inventano da un giorno all’altro, non basta rifarsi ai Greci o ai Romani e a Plinio – una nenia ormai quasi insopportabile, ndr -, qui hanno basi solide, vita vissuta e tante vendemmie alle spalle, con poche sbavature, quasi mai un passaggio a vuoto e forse anche per questo troppo spesso chi scrive e racconta di vino è distratto da altri.

Quest’anno poi è quasi un passaggio obbligato visto che della vendemmia 2014 potremmo bere solo questo splendido Gragnano che Salvatore ha voluto fortemente quasi a non voler perdere il filo con la tradizione, quel cordone ombelicale che negli ultimi 30 anni li ha tenuti sempre lì in prima linea a difendere identità territoriali altrimenti abbandonate a se stesse.

Sul tema, pochi possono vantare la conoscenza del territorio gragnanese, dei siti, delle uve, dei vignaioli come la famiglia Martusciello, così nel bicchiere ci sta tutto rimanere ancora una volta sorpresi e piacevolmente rapiti da un vino che più schietto ed immediato non si può. Francesco Jr ne ha fatto proprio un bella interpretazione, tra i più buoni di sempre.

Il colore porpora è un inno alla felicità, il ventaglio di piccoli frutti rossi e carnosi un invito alla dolcezza, la piacevolissima freschezza del sorso un manifesto alla gioia e alla convivialita’. In attesa di un raggio di sole e di buone nuove dai Campi Flegrei, da Gragnano una bella notizia!

© L’Arcante – riproduzione riservata

Coming soon| Campania Stories a Telese Terme, più in qua Taurasi Vendemmia 2013 a Serino

15 febbraio 2013

Sembra tutto pronto per “Campania Stories”, la nuova rassegna messa in campo da Miriade&Partners per promuovere il meglio della produzione enoica campana nelle province di Caserta, Benevento, Salerno e Napoli; l’evento, previsto nel Sannio per il 6 e il 7 Marzo, anticiperà di qualche giorno il sempre attesissimo “Taurasi Vendemmia”, alla sua decima edizione che andrà invece in scena a Serino (Av) l’8 e 9 Marzo prossimi, dedicato come sempre al principe dei rossi irpini. Dal 6 al 10 Marzo quindi, dedicate un po’ del vostro tempo alla nostra storia!

Logo Taurasi Vendemmia 2013 - courtesy Miriade&Partners

Per tutte le informazioni del caso
MIRIADE & PARTNERS SRL
Diana Cataldo – tel. 329.9606793
Massimo Iannaccone – tel. 392.9866587
mail: segreteria@miriadeweb.it
www.taurasivendemmia.it
www.bianchirpinia.it
www.campaniastories.com

Pompei, Villa dei Misteri 2003 Mastroberardino

10 giugno 2010

Ci sono alcune parole del dizionario della lingua italiana che mi stanno particolarmente a cuore, il loro significato, per alcuni effimero, è per me verbo e motivazione. Tra queste, “valorizzazione”, cioè quell’atto o effetto del valorizzare, “promuovere”, che tra i vari significati esprime un progresso, un avanzamento, un miglioramento, ed infine “territorio”, che gli appassionati di vino sanno bene cosa significa e mi basta questo per rendere l’idea.

Ebbene, il Villa dei Misteri di Mastroberardino è la rappresentazione, nel suo insieme, di quanto un progetto di valorizzazione, tanto originale come ricreare un vino nelle vigne di Pompei, possa essere valido e concettualmente attrattivo nel promuovere un intero territorio; Allo stesso tempo però ci si chiede del perché non si continui a camminare questa via più di tanto, mortificando qua e là idee, progetti, persone inibendo loro il giusto spazio di azione per crescere, svilupparsi ed affermarsi come motore culturale prima che economico di un intero territorio, per altro tanto comune in Campania. Si parla di archeologia e vite ai giorni nostri, ma gli interlocutori chi sono, cosa fanno?

A Pompei grazie al fondamentale impegno della locale soprintendenza archeologica è stato fatto un buon lavoro strutturale e Mastroberardino dal canto suo ha espresso al meglio il potenziale di un progetto particolarmente affascinante ma certamente improbabile agli occhi di molti. Il vino venuto fuori negli anni, a parte il prezzo elevato dettato però soprattutto dalle ingenti difficoltà gestionali, ha espresso quasi sempre qualità intrinseche oggettive, e il 2003 in particolar modo, fortificato soprattutto da un’annata piuttosto calda mostra anche un certo carattere, una possenza non proprio tipica dell’uvaggio di cui si compone, specie del piedirosso, ma certamente riconducibile ad un terreno unico nel suo genere: vulcanico, sciolto, ricco di elementi minerali e lapilli. Anno dopo anno, dal 2001, sempre più espressivo. Un vino dal colore rubino splendido, quasi fermo nel tempo, dalle note olfattive dolci di mirtillo in confettura e di spezie finissime. Non certo un campione di profondità, ma ogni sorso scivola via con estrema piacevolezza, è accompagnato da giustezza e pacatezza, frutto ineccepibile e tanta suggestione, decisamente più godibile oggi che tre anni fa quando l’assaggiai l’ultima volta, nerboluto ed asciutto sino all’asprezza.

Ecco che mi vengono in mente altri esempi, negativi in questo caso, smarriti nel tempo ma non nella mia memoria; Uno su tutti, che mi rattrista particolarmente è proprio sulla strada che mi conduce sotto casa mia: chissà cosa sarebbe stata per i Campi Flegrei la falanghina dei Martusciello se avesse potuto godere solo del fascino della suggestione della “Villa del Torchio” ritrovata appena qualche anno fa proprio ai piedi delle vigne aziendali in via Masullo a Quarto. Allora qualche stupido burocrate, dopo una inattesa “apertura” per il cantine aperte, pensò bene di preservare il prezioso giacimento archeologico vietandolo a tutti e da qualsiasi progetto di integrazione culturale. Oggi gli stessi si vergognino per lo scempio a cui è sottoposto, praticamente inondato di immondizia e di erbacce, lì in un angolo deserto del parcheggio del centro commerciale!

Addensum: ci pensate a cosa sarebbe il lago d’Averno se il Tempio di Apollo, adornato da vigne vocatissime, non fosse così abbandonato a se stesso? Ed i bellissimi reperti che costeggiano le vigne di loc. San Martino a Pozzuoli? Beh, certo, sono queste domande a cui non otterrò mai risposte, spero però almeno in una riflessione, un minimo di indignazione!

Questa è la mia terra, vivila con il cuore in mano

12 dicembre 2009

Si possono sprecare parole di elogi, rivangare una storia millenaria che comunque ritorna da se ogni qualvolta si mette mano alla ricerca delle origini, citare persone, luoghi, nomi che vanno ad incarnare una storia, un paesaggio, una identità che pur nelle mille diversità conducono sempre ad un unico concetto ormai chiaro a tutti: Campania Felix!

Terra mitica per i greci, giardino imperiale per i Romani, per i regnanti delle due Sicilie poi, ci hanno trapassato il cuore in tanti e feriti i peggiori, ma l’anima, la vocazione rimangono pure ed originali. Io, noi amiamo i vini della Campania, questo è tutto. Ma è solo l’inizio…

Il fuoco, vedo il Vesuvio¤ con la sua forza immensa, con la falanghina e la coda di volpe (qui caprettone) che hanno innaffiato terre atlantiche quanto a levante, ridato vita ed humus a portafogli aridi come le anime che ci marciavano sotto, profumi di una terra del fuoco che ha finalmente ritrovato la sua dignità e che corre, entusiasta, verso il suo riscatto. Olivella, sciascinoso, catalanesca, discendono il Monte Somma come lava e lacrime¤ sino ai bicchieri di ognuno.

Pietra lavica e fuoco che nei Campi Flegrei nutrono per ‘e palummo¤ e falanghina¤, iodate dal mare del golfo, inasprite dalle terre di tufo, dalle sabbie degli Astroni¤, le acque dell’Averno come discesa agli inferi per poveri diavoli che giammai ebbero di che nutrirsi; Ischia, Capri, mete verdi ed azzurre sempre prostrate ai palati più fini e leggeri, biancolella, ventrosa ed uva rassa a inebriare ricchi e viziosi di un gioco infinito, magari piantati in asso da sirene senza più voce ne canti da regalare, a Sorrento come a Furore¤, a Ravello o a Tramonti¤: tintore, pepella, ginestra, san nicola, fresche bevute e sapidi rospi, ebbri da panorami mozzafiato e da tinte rosse, fosche di primo mattina.

Il mare, azzurro, cristallino, brillante come diamanti, il Cilento ed i sassi, la pietra liscia di spiagge incantate, incontaminate proprio ai piedi di montagne irte ed adombrate, frescure che esaltano vini di eccellente spiccata aromaticità, il fiano su tutti, e rossi corpulenti, polposi, minerali, rei di accecare il palato e conquistare lo stomaco; piccoli vigneti, agricoltori che cercano se stessi e colgono in flagranza di reato la propria anima¤, la propria origine, scappati via nella città e rifuggiti da questa per ritrovarsi ambiziosi di riscoprirsi appartenenti alla campagna. L’aglianico rifugio di destini controversi.

La terra, aspra e generosa, ferita in maniera indelebile e capace di ricostruirsi un futuro più solido, più forte della malasorte, più ambiziosa di generazioni semplici e conservatrici. Ecco l’Irpinia, la terra di mezzo, spartiacque di culture ed esaltazione di colture, l’aglianico¤, il fiano di Avellino¤ ed il greco di Tufo¤ come massima espressione enologica della nostra regione. Una convulsa evoluzione che ha stravolto le menti e gli equilibri italici, vini prestati al desìo altrui divenuti finalmente protagonisti di se stessi, della propria origine, testimoni¤ della propria terra¤ che pian piano stanno ritrovando e marcando come unicità e rarità: è Taurasi la porta del successo!

La creta che diviene fango, prende forma tra le mani, diventa specchio della propria anima, finalmente il Sannio-Beneventano balla da solo. Polmone inesauribile a rimpolpare vinacci da niente, vinodotto inesauribile che ha scosso le coscienze e motivato princìpi di autenticità¤. Sant’Agata de’Goti, Castelvenere, Guardia Sanframondi, terre spogliate come le loro vigne dalle foglie in autunno, coraggiosamente oggi rivendicano una identità superiore: il piedirosso, l’aglianico, ma anche la falanghina ed il greco, la barbera e l’agostinella, un circolo vizioso che circuisce e vizia chi non si ferma al palo, chi riesce a vedere oltre e a toccare con mano. Piaceri ineluttabili al caldo di un camino accesso a fescine.

Il vecchio e il nuovo, il passato che avanza nel futuro che è già prossimo, che è già oggi. Il Falerno¤ come vocazione antica, primitivo rosso campano tanto amato dai romani che incapaci di reggerne la possenza lo sventravano con nefandezze delle più dolci pur di mentire a se stessi. L’Ager Falernus¤ come terra eletta che riscopre oggi una vocazione per troppo tempo assopita e banalizzata, il Massico¤ che vive una nouvelle vogue entusiata di esserci e di scomettere su se stesso.

Da qui a Roccamonfina¤, vigneti sperimentali e gran cru campani, ricerca ed innovazione che regalano grandi vini e simpatiche interpretazioni, l’aglianico maritato al piedirosso, la falanghina vestita con il sauvignon, uno strappo, quest’ultimo, alla tradizione da non confondere con la tradizione stessa, una fiche buttata lì sul tavolo verde che vale la giocata ma non deve essere la partita, non abbiamo bisogno di mezzucci per abbreviare il tragitto, solo un po’ più di palle per guadare il fiume. Attributi che non sono mancati a chi¤ ha reinventato poco più in là una viticultura scomparsa, a chi, per esempio riscoprendo il pallagrello¤ bianco e nero ed il casavecchia¤ non ha abbassato le braghe agli storpi e biechi burocrati del no e ci continua a regalare emozioni liquide pure attraverso vini esemplari e ricchi di fascino.

A costoro e a tutti quelli che amano la vigna, piccola¤ o grande¤ che sia, io dico grazie. A tutti quelli che di fronte a questi vini si troveranno ribadisco: “questa è la mia e la vostra terra, vivetela con il cuore in mano!”

© L’Arcante – riproduzione riservata


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