Posts Tagged ‘prosecco’

Un sorso di autentica leggerezza, Valdobbiadene Prosecco Superiore Audax Zero.3 2019 Bortolomiol

1 Maggio 2020
Sono trascorsi poco più di dieci anni da quando nel 2009 la parola “Prosecco” è divenuta identificativa di un vino a denominazione di origine e non più della varietà di uva con la quale veniva prodotto, mentre quest’ultima ha ripreso di fatto il nome Glera, suo antesignano originario del Friuli.

E’ bene ricordare infatti che da quel preciso momento storico è vino Prosecco quello che proviene esclusivamente da un’area di produzione geograficamente collocata nel nord-est italiano, lungo i territori che attraversano diverse province a cavallo delle regioni Veneto e Friuli, all’interno dei quali insistono, a livello piramidale, più denominazioni di origine che ne certificano la qualità: alla base di questa piramide c’è la Doc Prosecco, cui segue la Doc Prosecco Treviso, la Docg Asolo Prosecco che ancor più ne circoscrive la produzione in un’area specifica di 19 comuni attorno ad Asolo, nel trevigiano, sino ad arrivare alla Docg Conegliano Valdobbiadene Superiore che identifica i vini prodotti nei 15 comuni dell’area storica del Prosecco al cui apice c’è la Docg Valdobbiadene Superiore di Cartizze.

Seppure a molti appaia complicato questo giro di denominazioni è abbastanza chiaro coglierne l’intento del legislatore: fintanto che “Prosecco” indicava un vitigno e non una zona di produzione, sarebbe stata inefficace qualsiasi prova di tutela (vedi la diatriba tra Tokaji ungherese – denominazione – e Tocai Friulano – vitigno), vi era quindi la necessità di salvaguardare il prezioso aspetto storico e culturale delle aree più vocate – oggi le colline del Prosecco di Conegliano e Valdobbiadene sono Patrimonio dell’Umanità Unesco -, senza però trascurare il valore economico delle grandi estensioni produttive di pianura che hanno di fatto contribuito a rendere il Prosecco una delle produzioni enologiche italiane più famose nel mondo, tanto da entrare di diritto anche nel vocabolario Merriam-Webster’s Collegiate Dictionary¤, uno dei più importanti vocabolari ufficiali degli Stati Uniti.

Tra i tanti protagonisti di questa lunga cavalcata c’è sicuramente Giuliano Bortolomiol, tra i primi nel secondo dopoguerra a raccogliere l’eredità dei pionieri, ad intuire il valore di spumantizzare un Prosecco brut e sin dal principio convinto sostenitore dell’utilizzo del metodo Charmat nella produzione dei suoi vini. L’azienda, fondata nel 1949, è guidata oggi dalle figlie Maria Elena, Elvira, Luisa e Giuliana che sin dal 2001, sono passati quasi vent’anni, hanno avviato una progressiva conversione vitivinicola e una profonda ristrutturazione aziendale con al centro il ”Parco della Filandetta”, una splendida area ricavata dal restauro di un’antica filanda nel cuore di Valdobbiadene che riunisce al suo interno la cantina di vinificazione, spazi per la degustazione ed un vigneto biologico. Uno scatto verso il futuro nel segno della memoria e dei valori storici del territorio.

Un segno distintivo di questo percorso di qualità ci è parso l’Audax Zero.3, vino della Collezione Tradizionali, millesimo duemiladiciannove; nel bicchiere ci arriva un Prosecco molto interessante, dal colore giallo verdolino brillante, con bolle mediamente fini e dal profumo invitante e delicato. Prodotto con uve Glera in purezza, 12% di alcol in volume in etichetta, ha un naso lievemente aromatico, un po’ ”verde”, va sull’erbaceo ma è capace di consegnare anche delicati sentori di fiori d’arancio e frutta a polpa bianca; in bocca è secco, il contenuto zuccherino è infatti ai minimi, ma nessuna forzatura eccessiva, è certamente armonico per la tipologia e anzi, pare garantire tanta piacevole freschezza, un extra brut che ci regala un sorso di autentica leggerezza.

Leggi anche Il Prosecco biologico Ius Naturae di Bortolomiol Qui.

© L’Arcante – riproduzione riservata

Le colline del Prosecco di Valdobbiadene e Conegliano sono patrimonio Unesco

8 luglio 2019

Lungo la Strada del Prosecco che da Conegliano va verso Valdobbiadene i paessaggi sono di una suggestione unica, sono tanti i piccoli comuni che caratterizzano l’areale maggiormente vocato per la produzione dello spumante di questo territorio, camminare queste vigne rende bene l’idea di quanto la parola ”prosecco” sia sostanzialmente vuota senza dare il giusto valore a questi luoghi di produzione davvero unici.

Stiamo parlando di un’area di circa 19.000 ettari nel cuore del Veneto, caratterizzata da una zona cuscinetto di 9.800 ettari e dall’area centrale di altrettanti 9.000 ettari dove le linee dell’orizzonte sono dominate da colline molto ripide e piccoli vigneti, che vanno sviluppandosi longitudinalmente da Est a Ovest, con il fiore all’occhiello dei “terrazzamenti inerbiti”.

Qui il vigneto diviene giardino, le vigne si arrampicano lungo le colline, con pendenze a tratti impensabili, l’ordine e la compostezza di come si inerpicano sui pendii sono gli unici elementi di discussione che ti viene da affrontare. Niente diradamenti, le uve hanno bisogno di protezione, per non cadere in surmaturazioni inattese e per difendersi dalle improvvise grandinate che qui, soprattutto in epoca di vendemmia sono il rischio numero uno.

Queste vigne donano generalmente vini di una fragranza e piacevolezza superiori, sentori floreali e fruttati intensi e persistenti con riconoscimenti nitidi di rosa, albicocca e mela ed un gusto asciutto, persistente, lieve ma caratteristico, su linee minerali. Questi luoghi, le colline del Prosecco di Valdobbiadene e Conegliano sono, da oggi, patrimonio Unesco.

© L’Arcante – riproduzione riservata

Costadilà 330 s.l.m., è primavera (quasi estate)

15 Maggio 2013

Immaginate di stare seduti su un prato verde con a due passi una vigna in fiore, l’odore forte di gelsomini che però arriva e non arriva spazzato da una leggera brezza, con le api che balzano voraci da un fiore all’altro.

Costadilà

Pensatevi sereni, sorridenti, felici di regalarvi un paio d’ore all’ombra di una quercia secolare in una splendida giornata di primavera inoltrata, calda ma non pesante. Una lunga passeggiata tra i filari, col naso al cielo, lunghi respiri a pieni polmoni. Finalmente un morso alla frittata di pasta, uno alla pizza rustica. Uno, due sorsi di questo delizioso vino frizzante di Costadilà sur lie, 330 s. l. m..

Un filo d’erba tra i denti, una margherita colta alla piccola che stringi delicatamente mano nella mano, un’altra che non vedi l’ora di poggiare tra i capelli della tua splendida moglie, un’altra ancora da sfogliare tutti assieme. E speriamo che sia femmina…

Farra di Soligo, Profeeling Brut Marchiori

6 gennaio 2013

In effetti non ci sarebbe neanche da discutere su una bottiglia del genere capace di accompagnare allegramente e benissimo tutto un pasto; se non fosse che ogni volta sull’argomento prosecco si aprono scenari di discussione che sembrano non avere fine.

Valdobbiadene Prosecco Superiore Brut Profeeling Umberto Marchiori - foto A. Di Costanzo

A dirla tutta l’ottimo Profeeling Brut di Umberto Marchiori c’entra davvero poco con tutto il casino¤ che sembra puntualmente tornare a galla quando ci si imbatte nel mare magnum¤ della tipologia “Prosecco”¤; anzi, segnatevelo per bene sul taccuino: è un Valdobbiadene Superiore assai gradevole, lieve nel colore e nei profumi, che appena versato regala almeno 3 centimetri di spuma e a fatica gli stai dietro tanto è bevibile, vivace, appena secco e un poco sapido. Per tutto il resto c’è tempo per capirci qualcosa, basta volerlo.

Il Prosecco ieri, oggi e domani. E dell’ottimo “Ius Naturae” 2011 della famiglia Bortolomiol

12 settembre 2012

La domanda del giorno è: cosa ne vogliamo fare di questo Prosecco oltre che continuare ad allungargli sempre di più il nome?

La domanda me la pongo da un po’ di tempo, da quando, penso un paio d’anni fa, mi accorsi, leggendo dalle pagine di una delle ultime Duemilavini ricevute che gran parte dei produttori di “Prosecco di Valdobbiadene” erano passati, apparentemente così d’emblé, dall’utilizzo di uve prosecco al 100% al ben più “povero” e diffuso glera, chi in uvaggio, chi invece addirittura in purezza.

Ad un mio commento a caldo su Facebook, dove mi dicevo sinceramente un po’ confuso sull’argomento, qualche giorno più tardi, un giovane (bravo) produttore di prosecco di Asolo mi avvisava che non c’era tanto da stupirsi poiché in realtà in molti si preparavano semplicemente allo sbarco della nuova docg Valdobbiadene Prosecco Superiore che sarebbe arrivata di lì a poco.

Perché? Cosa stava per accadere al vino spumante italiano che da anni, secondo l’ex Ministro ed attuale Governatore della Regione Veneto Luca Zaia, va sfidando in giro per il mondo i consumi dello Champagne? Senza entrare troppo nel merito della faccenda è bene sapere che dal 1 Aprile 2010 la parola “Prosecco” è divenuta identificativa di un vino a denominazione di origine e non più di una varietà di uva. Quest’ultima ha assunto il nome di glera.

In parole povere oggi il “Prosecco è un vino ricavato da uve di varietà glera prodotto solo nel nord est d’Italia, rigidamente vincolato da un disciplinare che ne distingue le diverse varietà qualitative in base alla zona di origine”. Per dirne una, chiunque in Italia o nel mondo che vorrà acquistare barbatelle di glera (non più di prosecco) potrà chiamare il vino “Prosecco” solo se esse crescono nelle zone previste dal disciplinare, in caso contrario sarà “costretto” a chiamarlo “Glera” ed in etichetta potrà riportare solo il nome “Glera” (frizzante, Spumante, ecc.) senza nessun riferimento o legame al Prosecco. Più chiaro di così…

E’ evidente quindi che con queste prospettive in molti si stanno dando un gran da fare per migliorare sia la propria presenza sul mercato che, in senso più stretto, la qualità stessa dei vini proposti. Qualità che, sia chiaro, a certi livelli viene garantita da anni, ma è indubbio che questa svolta, che possiamo tranquillamente definire epocale sul Prosecco, è di grande stimolo per tutti produttori a fare sempre meglio.

Ecco quindi capitarmi a tiro lo Ius Naturae 2011 di Maria Elena, Elvira, Luisa e Giuliana Bortolomiol che, oltre al nome lunghissimo in etichetta, viene presentato come la sintesi del lavoro di anni di conversione al biologico di alcuni vigneti di famiglia proprio nel cuore di Valdobbiadene, all’interno del Parco della Filandetta.

Un Brut, Millesimato, molto interessante: ha bollicine abbastanza fini ed un colore molto invitante, paglierino assai luminoso. Il naso è sincero, ha un buon timbro minerale e i sentori sono fragranti e puliti. Il sorso è fresco, equilibrato, la sensazione zuccherina appare ben contrastata da una buona dose acida e dalla giusta sapidità. La strada mi sembra quella giusta, conserva – vivaddìo! – grande bevibilità ed è questo, al di là di lustrini e paillettes, che desidero non manchi mai a questo vino.

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Qui il viaggio nelle terre del prosecco di qualche anno fa.

Malìa, Falanghina Spumante dei Campi Flegrei

11 marzo 2011

Scrivo di questo vino con l’intento di farne una delle mie più brevi recensioni mai proposta prima su questo blog, convinto che la bontà di questo delizioso spumante non la debba esprimere io, un qualunque cronista di bevute, ma tuttalpiù il primo, e con lui i tanti a seguire, ne sono più che convinto, degli assetati avventori a cui andrà incontro di qui a qualche giorno.

E’, per il mercato – ove ce ne fosse stato ancora bisogno – un segnale di grande sensibilità che la famiglia Martusciello rivolge al consumatore: il Malìa avrà infatti un prezzo piccolo piccolo, più o meno cinque euro in enoteca. Per Grotta del Sole come azienda, mai doma nell’ultimo decennio – tra l’altro in grande fermento in vista anche dell’imminente lancio sulla scena dell’azienda irpina Tenuta Vicario – è la presa di coscienza che proprio loro, specializzati da sempre nella spumantizzazione dei vitigni autoctoni, l’asprinio riserva brut ne è un vessillo, non potevano tirarsi indietro dal sondare il potenziale commerciale di uno spumante, pur esile e disincantato come questo, prodotto con base falanghina e, dato di fatto non certo di secondaria importanza, fregiato con la doc Campi Flegrei.

Un rilievo significativo quest’ultimo, che personalmente ritengo anche piuttosto opportuno come stimolo rivolto a chi altri negli ultimi anni ha ben dimostrato di cavarsela egregiamente con la tipologia pur dovendo ricorrere a terzi per la spumantizzazione; un nuovo viatico insomma per dare ancora più slancio alla valorizzazione del varietale, e perché no, avvicinare ancor di più ristoratori e consumatori a quel concetto di territorialità sempre caro a chiunque ma al contempo poco promosso e tangibile laddove, proprio nei ristoranti e trattorie napoletane, continua a farla da padrone il prosecco, oltretutto quasi sempre anonimo e senza arte né parte.

Sul vino poco da sottolineare se non la tenue ma efficacissima brillantezza del colore verdolino, l’estrema pulizia e fragranza olfattiva nonché l’ineccepibile bevibilità; il nome Malìa in effetti racchiude in se, quasi in maniera contrastante, proprio l’incantesimo del sortilegio e l’irresistibile attrazione, qui dissolvibili in appena un paio di alzate di calice!

Questa recensione viene pubblicata contemporaneamente anche su www.lucianopignataro.it.

A Natale e Capodanno, bollicine buone buone

18 dicembre 2009

E’ indubbio che uno dei piaceri sublimi delle tavole di questi giorni è legato alle bollicine, di cui, proprio nei prossimi giorni se ne stapperanno a milioni e che vedrà come da tradizione il suo apice nella notte di capodanno quando per salutare il vecchio ed accogliere, ricolmi di speranza e buoni auspici il nuovo anno, si faranno fuori milioni di bottiglie di vini spumanti, champagne e tutto ciò che possiede un tantino di anidride carbonica tanto da far saltare un tappo. Più che una lezioncina su quale migliore bollicina scegliere, mi è parso interessante farvi vedere quale il risultato visivo di una o più specifiche modalità di lavorazione grazie alle quali queste o quelle bollicine arrivano poi nel bicchiere.

Bollicine abbastanza intense, ma grossolane, che non hanno cioè una certa continuità ed uniformità. Questo è il risultato di speciali vini frizzanti, ma potrebbe esserlo anche di vini spumanti prodotti con metodo Charmat breve o con tecniche poco oculate ed uve non particolarmente vocate. Il vino, il più delle volte, risulterà appena fragrante al naso, con note erbacee ed una piacevole freschezza gustativa oltre che una beva decisamente leggera quando non appena acida. Questa caratteristica, fatte naturalmente le dovute eccezioni, è  riscontrabile in alcuni vini bianchi secchi prototipo come il pignoletto frizzante emiliano, il muller thurgau o lo chardonnay della Valdadige. Vini piacevoli, in certe stagioni dell’anno, vedi l’estate quando appaiono ideali, ma non certo caratterizzati da bollicine di particolare pregio e finezza.

Bollicine fini ma poco persistenti, è una delle caratteristiche più comuni di vini spumanti prodotti con Metodo Martinotti (o Charmat lungo) o Metodo Marone-Cinzano, con uve particolarmente vocate e vinificate con la giusta attenzione e spumantizzazione. Il primo vino che vi deve venire in mente è il Prosecco spumante, quello di Conegliano Valdobbiadene ma anche quello meno conosciuto della d.o.c. Montello e Colli Asolani. E’ un timbro visivo gradevole, il colore cristallino si riflette solitamente nelle bollicine che sono sì fini ma risultano poco persistenti e formano una corona di spuma nel bicchiere mediamente consistente. E’, come detto, una peculiare caratteristica del prosecco spumantizzato come di altri che hanno fatto la storia delle bollicine made in Italy, pensate per esempio anche agli Asti Moscato d’Asti vivaci o spumanti che siano – quando si preferisce il dolce al brut o all’extra dry, ai vini prodotti nell’Oltrepò Pavese prima dell’avvento, anche qui, della ricerca e del successo sui metodo classico. Ma non sono da trascurare le interessanti e tradizionionalissime bollicine dello storico Asprinio d’Aversa campano e tutta quella serie di vini spumanti venuti fuori negli ultimi anni sulla scia del sempre più crescente appeal che le bollicine hanno sui palati italiani; penso alla Falanghina e al Greco di Tufo, per prendere ad esempio strade assolutamente (o quasi) sconosciute sino a pochissimo tempo fa, dove alcune interessanti etichette non mancano certo di stupire anche il palato più fine ed attento, ma anche a quelle “nicchie” di sempre come la ribolla gialla friulana o la vernaccia di serrapetrona (rosso) . 

Bollicine fini e persistenti, è questo il marchio di fabbrica dei grandi spumanti italiani e dei migliori Champagne delle più prestigiose maisons, quando per spumanti italiani s’intendono quelli che hanno una storia, una tradizione, una cultura propria e tipica di denominazioni, per esempio, come Trentodoc o Franciacorta, tradotte spesso, più semplicisticamente, come metodo classico e basta. Difficile pensare allo Champagne come termine generico di bollicine francesi piuttosto che icona di una specifica area viticola storicamente vocata e legata a produzioni di grande slancio e prestigio internazionale.  In Italia, negli anni, soprattutto negli ultimi 20, vi sono piccole aree che hanno trovato, nel tempo, una propria identità espressiva in materia spumantistica, ma quelle maggiormente rappresentative continuano a rimanere quelle definite dalle due denominazioni sopracitate, che nulla tolgono a microproduzioni di qualità venute fuori nelle langhe piemontesi piuttosto che nelle vigne di San Severo in Puglia, ma che indubbiamente riescono meglio a dare voce, quantomeno in senso numerico, alla solida tradizione spumantistica italiana che non si può non tener ben in mente quando si sceglie una bella bottiglia da stappare.

Sono quindi generalmente bollicine fini e persistenti quelle che si sprigionano numerose esaltando la brillantezza di un giallo paglierino intenso anche con venature dorate, sinonimo spesso di lunga permanenza del vino base sui lieviti e di grande qualità e compattezza delle uve vinificate. Sono questi vini di alto profilo organolettico, che regalano profumi deliziosi e sapori intensi, che hanno percorso già tanta strada in evoluzione in bottiglia e che aspettano solo di essere aperte. E’ vero, sono questi vini che possono durare una vita, ma la loro grandezza sta anche nella capacità di condensare il meglio di sè già nel momento in cui il Maitre Caviste da il via libera alla sua commercializzazione. 

Scegliete quale bollicina avete piacere di incontrare nel vostro bicchiere, sarà piacere visivo e biglietto da visita da conservare bene nella memoria. Il futuro merita sempre, quantomeno, un brindisi di auguri!

A nord, nelle terre del Prosecco

16 dicembre 2009

San Pietro di Barbozza, nel cuore della denominazione Prosecco di Valdobbiadene superiore, siamo, per intenderci, nel cuore di quello che viene chiamato Cartizze…

Altra veduta della collina di Cartizze, qui nascono prosecco fini ed eleganti.

 

Nelle aree appena sottostanti le colline del prosecco si tende a coltivare vitigni cosiddetti internazionali, siamo in zone pianeggianti e si adottano sistemi di allevamento più moderni.

Le aziende del Trevigiano puntano a crescere anche come produttrici di spumanti metodo classico, per cui infinite gallerie sotterranee si stagliano nel sottosuolo per lasciare riposare i vini in maturazione sui lieviti. Qui siamo a Villa Sandi, dove nasce l’Opere Trevigiane.

E non chiamatelo più “prosecchino”…

14 novembre 2009

Nell’immaginario collettivo popolare “il prosecchino” rappresenta il vinello da servire senza pretese come aperitivo, spesso da anonima bottiglia e quanto più di rado nell’appropriata flute.

La Collina del cartizze

Ebbene, molto è stato fatto in questi anni per sensibilizzare anche i palati più effimeri alla buona conoscenza di certi vini che rappresentano indiscutibilmente un gran bel pezzo della produzione vinicola italiana e non soltanto per i volumi spaventosi che muovono in giro per il mondo ma anche per le eccelse qualità che sempre più si affermano come forte sostegno alle bollicine di qualità made in Italy e come validissima alternativa “economicamente sostenibile” alle più famose transalpine dello Champagne.

Confidando altresì in una opportuna e proverbiale competenza professionale di ogni buon sommelier mutuiamo e benediciamo la definitiva caduta del diminutivo “ino” (che tanto stà al Prosecco come ogni pittore tentasse di qualificarsi come Van Goghino) alla luce di ciò che abbiamo potuto vedere di quanto si stà facendo in questa meravigliosa terra per migliorare e qualificare questo straordinario vino. Si può pensare alla terra del Prosecco come una vasta e pianeggiante area viticola, con distese a perdita d’occhio di vigne anonime e scomposte ma appena si ha l’opportunità di giungere in queste terre ci si rende conto di quanto fascino e cultura enologica sprizzi dai suoi pori, generosa con i suoi nobili e generosi interpreti.

Il viaggio inizia a Rolle, piccola frazione di Cison Valmarino abbarbicato sù per le colline trevigiane in uno scenario verdeggiante e ventilato caratterizzato da giornate estive luminose e miti e da notti con forti escursioni termiche dove domina il paesaggio il Relais Duca di Dolle della famiglia Bisol, tutt’intorno le vigne di questa azienda che si stà rivelando soprattutto negli ultimi anni assai dinamica che produce una serie di Prosecco doc di grande eleganza e finezza caratterizzati da profonda freschezza che solo grazie a queste particolari condizioni pedoclimatiche si possono comprimere in un vino.

Qui giacciono le bottilgie della Riserva Amalia Moretti

Lungo la Strada del Prosecco che scende giù verso Valdobbiadene si incontrano i piccoli comuni che contornano l’areale maggiormente votato a questo eclettico vitigno, da Miane a Guia incastonati in un bellissimo bosco di castagni sino alla zona per elezione del Prosecco denominata “Cartizze“, nei comuni di Saccol, S. Stefano e S. Pietro di Barbozza, piccolo Grand Cru trevigiano con i suoi 100 ettari suddivisi per circa 140 viticoltori.

Qui il vigneto diviene giardino, le vigne si arrampicano lungo i terrazzamenti delle colline, con pendenze a tratti impensabili e l’ordine e la compostezza di come si inerpicano sui pendii sono gli unici elementi di discussione che ti viene da affrontare. Niente diradamenti, le uve hanno bisogno di protezione, per non cadere in surmaturazioni inattese e per difendersi dalle improvvise grandinate che qui, soprattutto in epoca di vendemmia sono il rischio numero uno. Queste vigne donano vini di una fragranza e piacevolezza sublimi, sentori floreali e fruttati intensi e persistenti con riconoscimenti nitidi di rosa, albicocca e mela ed un gusto asciutto, persistente su linee minerali ed un finale gradevole ed ammaliante, consigliamo a tal proposito di non perdere le versioni di Foss Marai, Còl de Salici, Val d’Oca, Bisol, Solìgo e Villa Sandi ed una raccomandazione generale: attenzione agli strafalcioni, il Prosecco Superiore di Cartizze può essere prodotto solo nella denominazione Prosecco di Valdobbiadene (comune di cui fanno parte i crù sopra citati) e non come qualcuno potrebbe desumere anche nella denominazione Prosecco di Conegliano.

Scendendo verso Valdobbiadene incontriamo per strada diversi contadini nel trasportare le prime uve raccolte nelle aziende di vinificazione, la grandezza di questi luoghi stà anche nella enorme capacità di partecipazione che i vignaioli sono stati in grado di portare avanti con i progetti di cooperazione, Cantine Cooperative che riuniscono nelle loro fila tutti i minuscoli viticoltori che da soli mai avrebbero potuto affrontare progetti di vinificazione e commercializzazione mirati all’alta qualità come il mercato oggi richiede.

Il nostro viaggio termina a Crocetta del Montello, presso l’azienda Villa Sandi di proprietà della famiglia Moretti Polegato, già imprenditori di successo nel campo dell’industria manufatturiera trevigiana (a qualcuno dirà qualcosa il marchio GEOX, nda) e da circa un trentennio sugli scudi per il gran lavoro di promozione che stanno portando avanti per il loro territorio. Qui si aprirebbe un’altro lungo ed articolato racconto da fare che preferiamo però conservare nella nostra memoria e raccontare attraverso le immagini postate, che parlano da sole e chiaramente di una realtà eccelsa della quale senza dubbio non si può tenere conto.

A guidarci Roberto, gran cerimoniere di cantina e nelle degustazioni tecniche l’enologo Luciano Vettori assieme a Cinzia Zocca ed il direttore commerciale dott. Campesan (quattro persone a nostra disposizione!) a cui vanno i nostri più sentiti ringraziamenti per l’ampia disponibilità manifestata. Se pensate di aver visto tutto è il momento di ricredersi, se pensate che certi luoghi non hanno poi molto da raccontare statene certi che qui vi smentiranno a mani basse, se ancora esitate per raggiungere queste terre, rompete gli indugi e non perdetevi questo passaggio a nordest e per favore, non chiamatelo mai più “prosecchino”!


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