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Trentodoc Perlé Rosé Riserva 2012 Ferrari

27 febbraio 2019

Difficile pensare alle bollicine italiane senza tirare in ballo Ferrari e la famiglia Lunelli, se non il loro Giulio¤, il primo e forse l’unico grande Metodo Classico italiano capace di giocarsela alla pari con i grandissimi Signature Champagne d’oltralpe, fosse pure una qualsiasi delle altre etichette prodotte nelle loro cantine.

Trento doc Perlé Rosé Riserva 2012 Ferrari - foto L'Arcante

Vero è che negli ultimi 10-15 anni la crescita qualitativa degli spumanti italiani è stata esponenziale, pensiamo in primis ai Franciacorta, la stessa denominazione Trentodoc è cresciuta tantissimo, l’Alta Langa e l’Oltrepò Pavese, come anche qui dalle nostre parti in Campania la strada fatta è tanta con non poche soddisfazioni nella valorizzazione di piccole e medie produzioni da vitigno autoctono.

Sono stati fatti quindi grandissimi passi in avanti che non si possono negare, a tirare la volata del comparto è sempre più l’autoclave e il fenomeno Prosecco ma a parlare di numeri e dati economici, si sa, si corre sempre il rischio di offuscare le perle enologiche, così profondere attenzione e rispetto verso quelle aziende che in giro per l’Italia hanno investito seriamente nella ricerca e nello sviluppo di una possibile e migliore identità spumantistica non può e non deve passare inosservato, a riconoscerlo sono (finalmente) anche le masse critiche internazionali più autorevoli che trattano queste produzioni con maggiore attenzione riconoscendone il grande valore tradizionale e culturale oltre che tecnico ed edonistico.

Il Perlé Rosé rappresenta una piacevolissima esperienza gustativa, ne siamo appassionati non da ora e questa riserva duemiladodici ci dà la misura di come, anche in annate così complicate, un terroir unico nel suo genere e la sapienza e la conoscenza, unite al giusto tempo di maturazione, riescano ad offrire un così grande risultato: il colore rosa antico è tenue e il perlage brillante, l’ampio corredo aromatico intenso, tratteggiato perlopiù da nuances floreali e di piccoli frutti rossi e neri. La cuvée è in larga parte composta da Pinot Nero con un saldo al 20% di Chardonnay, se ne coglie pienamente il senso al palato, il sorso è vibrante, caratterizzato da grande verve e tipicità, sferzante e persistente nella sua avvolgenza. 

Leggi anche Altro che bollicine, Giulio Ferrari e basta! Qui.

Leggi anche Finger Food a quattro mani & Ferrari Perlé Qui.

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Finger food a quattro mani & Ferrari Perlé

14 agosto 2013

Lo scorso 9 agosto è passato di qui Alfio Ghezzi¤ della Locanda Margon, il Ristorante della famiglia Lunelli in quel di Trento; con Andrea Migliaccio¤ han messo su una bella sequenza di piatti protagonisti di una serata a dir poco effervescente, a cominciare dai finger food…

Trentodoc Ferrari Perlé 2006

Trentodoc¤ Ferrari Perlé 2006, con il Perlé Rosè 2007 protagonista dell’overture in Terrazza al Bar degli Artisti. 100% chardonnay il primo, pinot nero all’80% e per il resto chardonnay il rosé, sempre più sugli scudi!

Caprino e Caviale

Caprino e Caviale, un divertissement da manicomio (con l’originale mis en place sulle gabbiette del prestigioso Giulio Ferrari Riserva del Fondatore¤).

Mozzarella in Carrozza

Poi Mozzarella in Carrozza. Una rivisitazione davvero niente male da buttare già in un sol boccone!

Polpetta fritta di Agnello con Uvetta, Scarola e Pinoli su crema di Cipollotto Nocerino

Polpetta fritta di Agnello con Uvetta, Scarola e Pinoli su crema di Cipollotto Nocerino. Sapori autentici che esaltano tutta la verve del Perlé Rosé, dal sorso un po’ meno teso delle precedenti uscite ma sempre impareggiabile per bouquet e piacevolezza di beva!

Pesce Bandiera marinato al Timo , crema di Zucchine a Scapece e Pane Raffermo

Pesce Bandiera marinato al Timo , crema di Zucchine a ‘Scapece’ e Pane Raffermo.

Sfoglie di Granoturco, Corniolo e Uova di Trota

Sfoglie di Granoturco, Corniolo e Uova di Trota. Contrasto dolce-sapido sul filo di lana. Qui ritorna utile tutta la fragranza e la freschezza del Perlé Brut!

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Le foto sono di Umberto D’Aniello¤ per il Capri Palace Hotel&Spa¤ ©. Tutti i diritti di riproduzione, anche parziali, sono riservati.

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L’Olivo DiVino| Il live blog è su L’Arcante!

30 aprile 2013

Eventi Enogastronomici al Capri Palace 2013 - foto A. Di Costanzo

Ci siamo! Ecco tutti gli appuntamenti enogastronomici de “La Dolce Vite”, la cantina del Capri Palace Hotel&Spa. Dopo Mastroberardino¤, Gaja, Quintodecimo¤, Feudi di San Gregorio, Donnafugata, Tasca D’Almerita, Borgogno¤ e tanti altri ancora che hanno calcato la scena eccovi pronto il programma della stagione 2013: si parte il 24 Maggio con Terredora e lo Chef Donato Tornillo, il 7 Giugno sarà la volta di Jermann con ai fornelli lo Chef bi-stellato Emanuele Scarello¤; il 19 Luglio invece con la Maison Louis Roederer cucinerà a quattro mani col nostro Andrea Migliaccio lo Chef Philippe Mille de Les Crayères¤ di Reims. Ancora, il 2 Agosto Cantine Ferrari con Alfio Ghezzi della Locanda Margon¤ ed infine, il 6 Settembre, chiusura col botto con la Maison Pommery.

Per informazioni e prenotazioni
Ristorante L’Olivo
Capri Palace Hotel & Spa
ia Capodimonte 14, Anacapri
Tel. 081 978 0560
olivo@capripalace.com
http://www.capripalace.com
 

Anticipazioni| La Dolce Vite al Capri Palace 2013

3 marzo 2013

Eventi Enogastronomici al Capri Palace 2013 - foto A. Di Costanzo

Trento Riserva del Fondatore Giulio Ferrari ’97

16 febbraio 2012

Se guardi al mondo delle bollicine italiane un pensierino subito a Ferrari lo fai, anzitutto a questo nome, a questo marchio ormai storico, poi anche a tutti gli altri, quelli che ti vengono in mente. E se cerchi, tra i metodo classico italiani, quelli di riferimento, lo spumante ideale, quello assoluto, forse l’unico a giocarsela alla pari con i più grandi Champagne, bene, il Giulio è sempre lì, lassù, tra i migliori, quando non il migliore.

Il Giulio Ferrari è la Riserva del Fondatore, prodotto per la prima volta nel 1972 e avviato sin da subito ad un luminoso futuro. Non è uno spumante qualsiasi, è anzitutto uno chardonnay di gran spessore, poi un finissimo metodo classico – da un punto di vista tecnico di grandissima levatura -, che si giova quindi di una materia prima e di un terroir eccezionali e poi di una pratica di cantina altrettanto unica per esperienza e capacità. E tutto ciò salta subito al naso e al palato, sin da un primo assaggio. Non a caso ci vogliono almeno dieci anni di maturazione sui lieviti per donargli quel carattere distintivo unico ed inequivocabile, siffatto, di una tale opulenza e al tempo stesso finissima eleganza; a parer mio da sempre avanti anni luce a qualsiasi altra bollicina italiana.

Il 1997 è stato un millesimo di spessore, e nonostante i quindici anni questo vino si conferma capacissimo di attraversare il tempo senza perdere carattere e verve espressiva: il colore, tendente all’oro, è solo appena più pronunciato di quanto ci si aspetti ma decisamente in forma, luminoso, rinvigorito tra l’altro da un corollario di bollicine che hanno conservato finezza e persistenza. Il naso è chiaramente maturo, però sorprendente e pulito, integro, variopinto di erbe alpine, frutta gialla sciroppata e cioccolato bianco, e che sfuma lentamente su lievi sentori speziati di zenzero candito e frutta secca. Il sorso è asciutto, pieno e caldo, accompagnato da una sobria vivacità ma soprattutto da una avvolgente rotondità gustativa che chiude con un finale di bocca piacevolmente sapido. Un bicchiere tira l’altro. E’ un gran peccato, ma pare che anche i magnum prima o poi finiscono.

Se vi va, qui trovate una più ampia cronistoria del Giulio con annessa una speciale miniverticale di tre annate.

Cetara, lo scammaro* di Pasquale Torrente

9 gennaio 2011

Una ricetta che si rifà all’antica tradizione napoletana dello “Scammaro” ripresa e “tradotta” in cetarese dall’istrionico chef Pasquale Torrente del Convento di Cetara. Un piatto che abbiamo mangiato, e apprezzato non poco, nella splendida serata dello scorso 15 Dicembre che ha visto riunirsi in casa Torrente tutte (o quasi) le stelle e le stelline della Campania gastrofanatica accompagnate dalle sonore bollicine Ferrari: si festeggiava il quarantennale del Convento, ma iniziava qualcosa di molto di più… (A. D.)

Ingredienti per 4 monoporzioni

  • 200 gr. di spaghetti
  • 30 g di capperi
  • 12 filetti di alici sotto sale della Dispensa del Convento di Cetara (già diliscate)
  • 50 gr di parmigiano reggiano
  • 1 spicchio d’ aglio
  • una manciata di olive nere
  • olio extravergine di oliva
  • colatura di alici della Dispensa del Convento di Cetara q.b.
  • 4 peperoni cruschi
  • 4 stampini in alluminio

Preparazione: in una pentola capiente portare in ebollizione dell’acqua salata e cuocervi la pasta. A parte, versate in una padella l’olio extravergine di oliva e l’aglio – quest’ultimo andrà tirato via appena dorato e comunque prima di aggiungervi i filetti di alici di Cetara – unirvi quindi il prezzemolo, le olive denocciolate, i capperi ed un po di acqua di cottura della pasta che vi aiuterà ad ottenere una cremina densa durante la mantecatura successiva.

A questo punto, preparate gli stampini spennellandoli con olio extravergine d’oliva e lasciandovi scorrere dentro del pan grattato; Una volta cotta la pasta – si raccomanda che sia ben al dente visto che terminerà la cottura in forno – saltatela in padella con il sugo preparato mantecatendo il tutto con abbondante Parmigiano Reggiano aggiustando con poche gocce di colatura di alici di Cetara. Versate quindi gli spaghetti nei stampini e lasciateli riposare. Prima del servizio, basterà passare le monoporzioni in forno a 180 gradi per circa 5 minuti.

Per il servizio: Un piatto piano bianco è l’ideale. Questo primo potrà essere completato con una decorazione semplice e colorata utilizzando per esempio gli stessi ingredienti adoperati nella preparazione: una emulsione di olio e colatura e, immancabili, una sbriciolata di peperoni cruschi che renderanno il piatto ancor più croccante e appetibile.

Nota a margine: nella versione qui fotografata è stato utilizzato un sottile fondo di gradevolissimo purè di patate, scelta ottimale quando si pensa di preparare la ricetta per tante persone, scansando quindi il rischio di servire un piatto troppo “asciutto”. Le quantità indicate in questa ricetta, opportunamente lavorate, vi permetterà invece una giusta dimensione per tutte e quattro le porzioni indicate.

(*) Lo Scammaroe’ un condimento a base di acciughe o alici sott’olio, olive e capperi che trova ampio respiro nella cucina napoletana decantata già di Ippolito Cavalcanti a cavallo tra il ‘700 e l’800. Tradizionale il suo impiego nella frittata di vermicelli.

Ricetta di Pasquale Torrente de “Al Convento” preparata lo scorso dicembre in occasione del quarantennale del loro storico locale a due passi dal mare di Cetara.

Trento, una giornata tra i masi trentini a camminar le vigne, raccogliere storie…in Ferrari!

16 aprile 2010

Ho da tempo imparato a misurare, nel senso letterale del termine, l’amore per il vino; qualche amico, ridendo con scherno ha sempre avanzato come ipotesi (a dire il vero una delle più plausibili) un metro a suo dire infallibile, del tipo “a litri”, o quantomeno a bottiglie.

Mi spiego meglio: più si ama un vino e più se ne beve, più se ne beve e più se ne racconta un gran bene. Io dal canto mio, avendo da tempo recuperato la coscienza nel rimanere appena al di sotto della sottile linea dell’ebbrezza, ho cominciato a misurare, sempre nel senso letterale del termine, la mia passione per il vino in grassi chilometri; più se ne macinano per esso e più ci si può ritenere innamorati, più vigne si camminano e più si alza l’indice di probabilità di poterne capire qualcosa, almeno si spera.

Dieci ore, filate, oltre ottocento cinquanta chilometri, tanto è bastato (per qualcuno c’è voluto!) per raggiungere casa Ferrari in quel di Trento, o meglio, ad un tiro di schioppo dal suo centro storico, in località Ponte di Ravina. Partenza ore 5.45 da Pozzuoli, tra le mani una Alfa 159 jtd prestante ma nella mente siamo costantemente stizziti dal controllo elettronico della velocità; una breve sosta (un’ora tonda!) in Roma, zona raccordo anulare per prelevare alcuni amici, e subito di nuovo direzione nord. Arriviamo “puntuali” alle 15.45, con solo due ore di ritardo: l’importante è dare adito alla migliore prospettiva possibile, quantomeno una giusta interpretazione al proprio punto di vista. Simmo e’ Napule o no?

Trento, Località Margone, tra le pergole trentine del Maso Margon.

Ci accoglie Franco Lunelli, il ragioniere dei fratelli, si dimostrerà una delle più belle e cordiali persone che abbia mai incontrato sulla mia strada del vino negli ultimi quindici anni. Non ci lascia nemmeno il tempo di respirare che è già ora di arrampicarsi su per i masi, ci fa segno di seguirlo e non possiamo fare altro. Ci conduce a Villa Margon, la tenuta dei primi del ‘500 che la familgia Lunelli ha avuto in donazione, con l’obbligo morale di preservarne lo splendore dal fu Baron Salvadori che l’ha abitata sino al 1970. Un luogo d’incanto, ameno ma dal grande fascino, le stanze della villa come un vero e proprio museo, arricchite come sono da dipinti dal valore inestimabile e da una collezione di raffigurazioni murali in perfetto stato di conservazione che riprendono tra le altre cose le gesta dell’imperatore Carlo V e del vecchio e nuovo testamento. Un bel colpo d’occhio, e di cultura.

Una curiosità. Le nuove barbatelle, una volta innestate, vengono rassicurate con delle speciali protezioni in rete per evitare che le prime fioriture vengano “rubate” dai Cerbiatti che scendono dalla montagna per cibarsene.

Ci spostiamo in cantina, inutile raccontare la mastodonticità di certi ambienti ed attrezzature, nonchè della mole di lavoro quotidianamente svolta tra queste mura, per un colosso del vino italiano appare quasi scontato l’esigenza di una tecnologia assolutamente avanti ed una organizzazione perfettamente sinergica. I caveaux invece sono un’altra cosa, qui si respira aria di storia e tanta lentezza, quella necessaria per far nascere vini unici e straordinari, puro spettacolo per gli occhi di oggi, nettari prelibati¤ per i palati di domani. Anche qui un piccolo museo allestito tra le centinaia di migliaia di bottiglie in maturazione sui lieviti racconta della storia dell’azienda e della famiglia, quella di Giulio Ferrari prima, di Bruno Lunelli poi, e di come nasce e si consolida nel mondo il metodo classico prodotto nelle loro cantine.

Ci accomodiamo a questo punto nella sala degustazione, Franco Lunelli, che conduce personalmente il servizio dei vini per i convenuti, ci racconta della sua esperienza in cantina e dei suoi primi passi quando rifuggiva dalle commesse impartite dalla mamma per raggiungere il papà nella mescita allestita nel pieno centro di Trento, della sua passione e del mondo Ferrari, senza ombra di dubbio, uno dei marchi del vino italiano più apprezzati nel mondo; rimaniamo rapiti dalle sue storie, dal blasone conquistato sul campo, dai vini concessi in degustazione, delle gran belle bevute: in sequenza, Chardonnay Villa Margon 2007, Perlè 2004, Riserva Lunelli 2002, Perlè Nero 2002 e, dulcis in fundo, dopo appena una parentesi dedicata alla nuova tenuta in Montefalco, il Giulio Ferrari Riserva del Fondatore¤2000. Ma questa è un’altra storia, da raccontare in un prossimo post.

Trento, Osteria Le due spade

11 aprile 2010

Arriviamo nel centro storico di Trento appena dopo il tramonto, all’orizzonte, tutt’intorno si riescono ancora ad ammirare le cime innevate del cosiddetto tridentum, le tre cime che circondano da ovest ad est sino al fondovalle del fiume adige che l’attraversa tutta. La piazza del duomo è gremita di giovani che prendono l’aperitivo, perlopiù birra e qualche stuzzichino, noi ci infiliamo in un vicolo ed entriamo in questo posto davvero suggestivo, raccomandato per la storica affezione alla cucina di territorio che ne fa una delle rinomate osterie tipiche trentine nonchè per essere ad oggi l’unico locale “stellato” della città. Il locale è piccolino ma perfettamente a misura d’uomo e stato d’animo pacato, appena sette tavoli per una capienza che sarà al massimo di una ventina di persone, ricavato da quella che anticamente era una stube, locale rivestito completamente in legno, pavimento compreso, al cui centro (o come in questo caso, lateralmente) troneggia una “stufa a Ole” (bellissima in maiolica verde), destinata a riscaldare la famiglia durante i rigidi passaggi invernali. I tavoli sono ben preparati, l’hotellerie è elegante e la mise en place sobria ma con stile, tuttavia l’atmosfera che si respira minuto dopo minuto diviene davvero suggestiva. Ci accoglie Massimiliano Peterlana (nella foto), patron e sommelier che si rivelerà anche buona fonte di consigli su cosa e dove bere l’indomani vini emozionali trentini che meritano attenzione. La proposta in carta è eccellente, pertanto una volta scorso tutto il menù e confrontato l’appetito, lasciamo l’iniziativa al padrone di casa che promette di proporci uno spaccato della loro cucina più tradizionale: non poteva andarci meglio; 

Iniziamo con un buonissimo Flan di asparagi e zucca accompagnato da prosciutto di petto d’anatra mediamente stagionato, essenza di territorio e sapori vivi.

Poi una bi-vellutata di zucca e patate servita con dei canederli sferici alle erbe di montagna, appagante e rinfrancate;

Poi, dei superbi Ravioli di acqua e farina con ripieno di Trentingrana e tartufo nero, ancora canederli ma alla maniera tradizionale tra cui molto buono quello alle ortiche.

Continuiamo con una lombatina di maialino con asparagi selvatici, patate sbrisolate e verdure dell’orto croccanti (foto di testa dell’articolo), piatto in perfetto equilibrio con il Marzemino 2007 di Eugenio Rosi consigliatoci da Massimiliano. Un insolito e sorprendente sorbetto al pino mugo (altro che note mentolate!) e poi giù di trionfo di golosità con un classicissimo Tiramisù, Parfait al gorgonzola (!) e Strudel di mela renetta su crema di mele verdi. Signori, appaluse!

Posto facilmente raggiungibile, in pieno centro a Trento, sapori offerti autentici, cordialità e disponibilità da manuale, servizio veloce ma coerente, un ricordo di una bella serata tra amici, appena mille chilometri più in là da casa dopo un viaggio iniziato in primissima mattinata, inutile sottolineare come la familiarità di certi ambienti aiutino sensibilmente a migliorare lo stato d’animo degli astanti! Sui 50-60 euro escluso i vini, come da menu degustazione.

Osteria Le Due Spade
di Massimiliano Peterlana
www.leduespade.com
Via Don Arcangelo Rizzi, 11
38100 Trento
Tel. 0461 234343

Trento, il Maximum Rosè secondo Ferrari

21 marzo 2010

E’ domenica di primavera, una delle prime, di domenica intendo, accompagnata dal sole alto e abbastanza caldo; Decidiamo con Lilly di uscire per una passeggiata, premono però anche alcune esigenze, su tutte, quella di comprare il latte per la nostra piccola e dolce Letizia, che a quanto pare piuttosto che fare la corsa ai suoi mesi sembra rapita da quella di sedersi a tavola con noi al più presto: furbetta di una neonata, mangiona!

Rientriamo a casa poco prima delle una, abbiamo fatto il giusto necessario, l’essenziale, rientrando ci siamo fermati dai “due guaglioni”, piccola pescheria nel bel mezzo del bivio di Quarto, per comprare delle vongole veraci, una seppia di buone proporzioni (ci dicono di mare) prima di avviarci verso casa.  Non è certo “il pranzo della domenica”, il tempo è a dir poco tiranno, ma sicuramente l’ennesima volta in cui la capacità di organizzarne uno in pochissimi minuti non è da far passare in secondo piano, e non di meno la fortuna di avere a portata di mano sempre (o quasi) la giusta bollicina per l’occasione. Cosa si beve? Ferrari, Trento Maximum Rosè brut. Che buono!

 Nasce da una accurata selezione di sole uve di proprietà Pinot Nero (60%) e Chardonnay (40%) coltivate su per le colline nei dintorni di Trento in vigne con dislivelli sino ai 300-600 metri esposte a Sud-Est e Sud-Ovest; La raccolta, per quanto possa essere intesa un’azienda dai volumi industriali come la Cantina Ferrari, è assolutamente manuale e ricadente, generalmente, nella seconda metà  di settembre. E’ un vino che attraversa una fase produttiva abbastanza complessa, sono infatti crica 36 i mesi passati in maturazione sui lieviti, selezionati. Il risultato è un colore sinceramente non particolarmente brillante, il rosa espresso infatti pare quasi anticato, però le bollicine sono fini ed abbastanza persistenti.

L’approccio olfattivo è molto interessante, onestamente più di quanto ci si aspetti, l’ impressione immediata infatti è di un vino particolarmente elegante, floreale, fragrante, intenso e persistente, sentori (classici) di maturazione sui lieviti ma anche di piccoli frutti di bosco rossi e neri, un naso complessivamente vivace ma non aggressivo, esaltato da un alone di fresche note balsamiche, riconcilianti con un gusto asciutto, particolarmente fresco e persistente, e caratterizzato da un finale di bocca piacevole, amarcord di frutta secca e sentori di fragola caramellata.

© L’Arcante – riproduzione riservata

A Natale e Capodanno, bollicine buone buone

18 dicembre 2009

E’ indubbio che uno dei piaceri sublimi delle tavole di questi giorni è legato alle bollicine, di cui, proprio nei prossimi giorni se ne stapperanno a milioni e che vedrà come da tradizione il suo apice nella notte di capodanno quando per salutare il vecchio ed accogliere, ricolmi di speranza e buoni auspici il nuovo anno, si faranno fuori milioni di bottiglie di vini spumanti, champagne e tutto ciò che possiede un tantino di anidride carbonica tanto da far saltare un tappo. Più che una lezioncina su quale migliore bollicina scegliere, mi è parso interessante farvi vedere quale il risultato visivo di una o più specifiche modalità di lavorazione grazie alle quali queste o quelle bollicine arrivano poi nel bicchiere.

Bollicine abbastanza intense, ma grossolane, che non hanno cioè una certa continuità ed uniformità. Questo è il risultato di speciali vini frizzanti, ma potrebbe esserlo anche di vini spumanti prodotti con metodo Charmat breve o con tecniche poco oculate ed uve non particolarmente vocate. Il vino, il più delle volte, risulterà appena fragrante al naso, con note erbacee ed una piacevole freschezza gustativa oltre che una beva decisamente leggera quando non appena acida. Questa caratteristica, fatte naturalmente le dovute eccezioni, è  riscontrabile in alcuni vini bianchi secchi prototipo come il pignoletto frizzante emiliano, il muller thurgau o lo chardonnay della Valdadige. Vini piacevoli, in certe stagioni dell’anno, vedi l’estate quando appaiono ideali, ma non certo caratterizzati da bollicine di particolare pregio e finezza.

Bollicine fini ma poco persistenti, è una delle caratteristiche più comuni di vini spumanti prodotti con Metodo Martinotti (o Charmat lungo) o Metodo Marone-Cinzano, con uve particolarmente vocate e vinificate con la giusta attenzione e spumantizzazione. Il primo vino che vi deve venire in mente è il Prosecco spumante, quello di Conegliano Valdobbiadene ma anche quello meno conosciuto della d.o.c. Montello e Colli Asolani. E’ un timbro visivo gradevole, il colore cristallino si riflette solitamente nelle bollicine che sono sì fini ma risultano poco persistenti e formano una corona di spuma nel bicchiere mediamente consistente. E’, come detto, una peculiare caratteristica del prosecco spumantizzato come di altri che hanno fatto la storia delle bollicine made in Italy, pensate per esempio anche agli Asti Moscato d’Asti vivaci o spumanti che siano – quando si preferisce il dolce al brut o all’extra dry, ai vini prodotti nell’Oltrepò Pavese prima dell’avvento, anche qui, della ricerca e del successo sui metodo classico. Ma non sono da trascurare le interessanti e tradizionionalissime bollicine dello storico Asprinio d’Aversa campano e tutta quella serie di vini spumanti venuti fuori negli ultimi anni sulla scia del sempre più crescente appeal che le bollicine hanno sui palati italiani; penso alla Falanghina e al Greco di Tufo, per prendere ad esempio strade assolutamente (o quasi) sconosciute sino a pochissimo tempo fa, dove alcune interessanti etichette non mancano certo di stupire anche il palato più fine ed attento, ma anche a quelle “nicchie” di sempre come la ribolla gialla friulana o la vernaccia di serrapetrona (rosso) . 

Bollicine fini e persistenti, è questo il marchio di fabbrica dei grandi spumanti italiani e dei migliori Champagne delle più prestigiose maisons, quando per spumanti italiani s’intendono quelli che hanno una storia, una tradizione, una cultura propria e tipica di denominazioni, per esempio, come Trentodoc o Franciacorta, tradotte spesso, più semplicisticamente, come metodo classico e basta. Difficile pensare allo Champagne come termine generico di bollicine francesi piuttosto che icona di una specifica area viticola storicamente vocata e legata a produzioni di grande slancio e prestigio internazionale.  In Italia, negli anni, soprattutto negli ultimi 20, vi sono piccole aree che hanno trovato, nel tempo, una propria identità espressiva in materia spumantistica, ma quelle maggiormente rappresentative continuano a rimanere quelle definite dalle due denominazioni sopracitate, che nulla tolgono a microproduzioni di qualità venute fuori nelle langhe piemontesi piuttosto che nelle vigne di San Severo in Puglia, ma che indubbiamente riescono meglio a dare voce, quantomeno in senso numerico, alla solida tradizione spumantistica italiana che non si può non tener ben in mente quando si sceglie una bella bottiglia da stappare.

Sono quindi generalmente bollicine fini e persistenti quelle che si sprigionano numerose esaltando la brillantezza di un giallo paglierino intenso anche con venature dorate, sinonimo spesso di lunga permanenza del vino base sui lieviti e di grande qualità e compattezza delle uve vinificate. Sono questi vini di alto profilo organolettico, che regalano profumi deliziosi e sapori intensi, che hanno percorso già tanta strada in evoluzione in bottiglia e che aspettano solo di essere aperte. E’ vero, sono questi vini che possono durare una vita, ma la loro grandezza sta anche nella capacità di condensare il meglio di sè già nel momento in cui il Maitre Caviste da il via libera alla sua commercializzazione. 

Scegliete quale bollicina avete piacere di incontrare nel vostro bicchiere, sarà piacere visivo e biglietto da visita da conservare bene nella memoria. Il futuro merita sempre, quantomeno, un brindisi di auguri!

Altro che bollicine, Giulio Ferrari e basta!

1 dicembre 2009

L’Italia delle bollicine ha il suo manifesto, è il Giulio Ferrari della più nota azienda spumantistica italiana nel mondo assieme forse solo alla Guido Berlucchi di Borgonato.

Il suo vero nome è Trento Riserva del Fondatore Giulio Ferrari ma negli anni, come per l’amico più ambito e stimato, è divenuto più semplicemente “il Giulio”.  Un breve escursus storico è utile per capire dove e come nasce il mito, fortemente voluto da un uomo, Giulio Ferrari per l’appunto e dal suo sogno di creare in Italia un vino ispirato al migliore Champagne di Francia. Enologo capace e rigoroso, già allievo della prestigiosa Scuola di Viticoltura di Montpellier, nel 1902 Giulio diede il là all’opera Ferrari che lo porta sin da subito a concentrare la sua attenzione su poche, selezionatissime bottiglie e dal costo anche impegnativo. Nel 1952 Bruno Lunelli, titolare della mescita di vini più conosciuta di Trento, rilevò la Ferrari da Giulio, che continuò a lavorare in cantina fino alla sua morte. Nei decenni a seguire i figli di Bruno Lunelli Gino, Franco e Mauro, condurranno l’azienda Ferrari sino ai giorni d’oggi, sinonimo di soli Spumanti Metodo Classico con il lustro come detto di essere tra i marchi storici italiani più riconosciuti nel mondo ed in materia di bollicine il più famoso ed apprezzato assieme a pochissimi altri.

Il Giulio è prodotto da sole uve chardonnay allocate perlopiù nell’areale di Maso Pianizza dove si è deciso verso fine anni sessanta di avviare questo grande lavoro di valorizzazione territoriale con l’uscita della Riserva del Fondatore che vedrà la luce qualche anno più tardi con il millesimo 1972. Nasce così uno dei pochi vini spumanti italiani concretamente capace di resistere al carattere, spesso longevo e soprendente, dei migliori e prestigiosi Champagne. Almeno dieci anni il periodo di maturazione sui lieviti in bottiglia, un carattere distintivo comune a nessuna altra bollicina italiana, e già questo la dice lunga sulla qualità del terorir e della materia prima che arriva dalle vigne in cantina. Ma veniamo al vino, anzi ai vini, poichè è questa l’occasione per appuntare anche alcune impressionanti bevute che mi ha regalato questo meraviglioso vino durante tutto il 2009.

Giulio Ferrari 2000. Bellissimo il colore oro brillante, di buona consistenza e con un perlage finissimo ed intenso come la spuma davvero invitante. Le bollicine che si sprigionano dal fondo del calice sembrano sartoriali e diligenti, senza sbavatura alcuna, persistenti. Il primo naso è fragrante, delizioso, burroso, note di vaniglia e di cioccolato bianco su tutto, poi sentori fruttati dolci, marmellata di albicocca, miele di acacia. In bocca è secco, di buona struttura, acidità sorprendente ma per niente invadente, equilibrata da una materia eccelsa che profonde bevibilità e carattere sino all’ultimo sorso. Una compensazione gustolfattiva senza sbavature, naso invitante, palato armonico ed equilibrato, compagno di viaggio di abbinamenti eccelsi e piatti d’autore, penso alla Trippa di Baccalà di Oliver Glowig ma anche ad elementi più semplici ma di carattere come può essere un parmigiano reggiano stravecchio o un succulento Speck dell’Alto Adige.

Giulio Ferrari 1997. Grande millesimo, grande Giulio! Il colore è solo un po’ più pronunciato, il giallo oro tende lievemente all’antico ma la brillantezza è comunque eccellente, le bollicine sono estremamente fini seppur meno numerose e persistenti rispetto al 2000. Il primo naso anch’esso esprime subito note terziarie, il gioco olfattivo qui va dapprima su spezie orientali, ginger innanzitutto, poi di nuovo sentori vegetali e floreali disidratati, poi di nuovo vanigliati. In bocca è secco, abbastanza caldo, l’acidità presente è poco meno incisiva rispetto alla bevuta precedente, è equilibrato e nel complesso armonico in piena forma e godibilità. Va verso l’adolescenza con una maturità accentuata e perspicace. Appena una spanna sotto il 2000.

Giulio Ferrari 1994. Un’altro millesimo eccellente per tirare fuori la Riserva del Fondatore; il colore è giallo oro con nitidi riflessi oro antico, ciò che salta subito agli occhi è una minore espressività della trama delle bollicine pur fini e presenti, ma poco intense e persistenti, come la spuma. Il primo naso è evoluto, subito dolce, quasi tostato. Il ventaglio olfattivo non è ampissimo, rimane di qualità ma abbastanza risoluto su di una trama delicata, comunque apprezzabile. In bocca è secco, caldo, possiede una carica acida abbastanza contenuta ma che non manca di donare ancora carattere e verve gustativa. Il vino avvinghia il palato con una costante piacevolezza, una profonda mineralità concede una beva scorrevole, ancora a tratti impulsiva, lunga ed equilibrata. Finale quasi masticabile, scioglievolezza di burro di cacao, sensazione nitida di mandorla tostata. Viaggia verso la maggiore età con la consapevolezza di aver fatto già molta strada, nutre certamente poche ambizioni ma sa di essere un talento puro!

Qui¤ la recensione del Giulio Ferrari 2001.

Difficile, come detto, pensare alle bollicine italiane senza tirare in ballo Ferrari ed in particolare il suo Giulio, ma negli ultimi anni la crescita qualitativa degli spumanti italiani, penso in primis alla Franciacorta, nell’Oltrepò Pavese piuttosto che nella mia Campania, nella stessa denominazione Trento d.o.c. non può essere lasciata passare inosservata o banalizzata. Si sono fatti grandi passi in avanti che non si possono negare, profondere attenzione e rispetto verso aziende che in giro per l’Italia hanno investito seriamente nella ricerca e nello sviluppo di una possibile e migliore identità spumantistica non può essere negato, soprattutto, quando come molto spesso accade, si vanno a valorizzare espressione originali di un vitigno, di un territorio che non possono mancare nella cultura di ogni buona storia enologica.

L’annata 2000 di questo vino è il nostro vino spumante dell’anno.