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Piccola Guida ragionata ai vini Asprinio d’Aversa

18 agosto 2013

Abbiamo avuto modo di ribadire più volte che di Asprinio d’Aversa se ne parla troppo poco. L’esperienza degli anni passati ci è servita per capirci ancor di più qualcosa e analizzando quanto questo vino particolare sia apprezzato dagli appassionanti provenienti da tutto il mondo proviamo a dare evidenza di alcune etichette imperdibili.

La vendemmia degli Uomini Ragno - foto Alessandro Manna

L’Asprinio ci piace, e piace un sacco, difficile confonderne il gusto così spiccato: ha una marcia in più, davvero originale, unico! Inebriante nelle versioni spumante resta degno compagno di tutto un pasto nella versione ferma.

Aversa, Carinaro, Casal di Principe, Casaluce, Casapesenna, Cesa, Frignano, Gricignano di Aversa, Lusciano, Orta di Atella, Parete, San Cipriano d’Aversa, San Marcellino, Sant’Arpino, Succivo, Teverola, Trentola – Ducenta, Villa di Briano, Villa Literno in provincia di Caserta e Giugliano, Qualiano e Sant’Antimo in provincia di Napoli. Sono i 22 comuni dove è possibile produrre l’Asprinio d’Aversa, doc istituita nel luglio ’93 per disciplinare la produzione di un bianco fermo e due tipologie di vino spumante, un metodo Martinotti (charmat lungo) e un Metodo Classico. In etichetta, quando le uve provengono esclusivamente da viti maritate, è ammessa la dicitura “alberata” o “da vigneti ad alberata”.

Se ne ottiene un bianco dal colore verdolino e dal profumo tenue, che sa di fiori gialli, di mela, note agrumate. Ma è in bocca che conquista l’appassionato, caratterizzato da un’elevata acidità fissa, dovuta dagli elevati livelli di acido malico che ne fa un’ottima base per la produzione di spumante di qualità: ha un sapore decisamente secco, asprigno appunto, fresco e caratterizzato da una certa profondità degustativa quando lavorato con sapiente attenzione in cantina.

Certo bisogna lavorarci un po’ su, soprattutto saperlo comunicare meglio di quanto venga fatto oggigiorno, visto che ai più è praticamente misconosciuto. Anche per questo auspichiamo una maggiore attenzione da parte di tutti, dal ristoratore che perde l’occasione di distinguersi a caccia del miglior prezzo per il peggiore dei spumantini all’indomito cameriere che sa tutto lui e continua a fare di tutte le bollicine un ‘bel prosecchino’.

Confidiamo poi nella critica di settore affinché si possa in qualche modo sostenere con maggiore entusiasmo un vitigno e vini così autentici¤ che oltre a far parte del patrimonio¤ vitivinicolo italiano rappresentano anche un bel pezzo della nostra storia da più o meno duemila anni.

Questi che seguono alcuni indirizzi utili cui fare riferimento per fare incetta di questi meravigliosi vini freschi, taglienti, minerali. Che nelle versioni Spumante, Metodo Martinotti e ancor più in quelle Metodo Classico¤, sanno essere a dir poco sorprendenti.

 
Salvatore Martusciello
Via spinelli, 4 80010 Quarto (Na) – Tel. 3483809880
info@salvatoremartusciello.it
www.salvatoremartusciello.it
Di particolare pregio: Asprinio d’Aversa Spumante Trentapìoli “Vigneti ad Alberata” (Metodo Martinotti).
 
I Borboni
Via E. De Nicola, 7 81030 Lusciano (Ce) – Tel. 081 814 13 86
info@iborboni.com
www.iborboni.it
Di particolare pregio: Asprinio d’Aversa Spumante Brut (Metodo Charmat),  Asprinio d’Aversa Vite Maritata, Asprinio d’Aversa Santa Patena.
 
Azienda Agricola Vestini Campagnano
Via Casilina, 81044 Conca della Campania (Ce) – Tel. 0823 679087
info@vestinicampagnano.it
http://www.vestinicampagnano.it
Di particolare pregio: Asprinio d’Aversa “da Viti Maritate”
 
Cantine Magliulo
Via G. Manna, 29 81030 Frignano (Ce) – Tel. 081 890 0928
info@vinimagliulo.it
www.vinimagliulo.com
Di particolare pregio: Asprinio d’Aversa.
 
Masseria Campito
Via Casolla, 55 81030 Gricignano di Aversa (Ce) – Tel. 0815027540 – Cell. 3348022297 – 3356641717
info@masseriacampito.it
http://www.masseriacampito.it
Di particolare pregio: Asprinio d’Aversa Atellanum, Asprinio d’Aversa Spumante Brut Priezza (Metodo Classico), Asprinio d’Aversa Spumante Brut (Metodo Martinotti).
 

Leggi anche L’Alberata aversana o di quell’uva sospesa nel tempo Qui.

La foto di copertina è opera dell’amico Alessandro Manna¤.

© L’Arcante – riproduzione riservata

L’alberata aversana, o di quell’uva sospesa nello spazio infinito della memoria del tempo

30 novembre 2012

Aversa, Carinaro, Casal di Principe, Casaluce, Casapesenna, Cesa, Frignano, Gricignano di Aversa, Lusciano, Orta di Atella, Parete, San Cipriano d’Aversa, San Marcellino, Sant’Arpino, Succivo, Teverola, Trentola – Ducenta, Villa di Briano, Villa Literno in provincia di Caserta e Giugliano, Qualiano e Sant’Antimo in provincia di Napoli. Sono i 22 comuni dove è possibile fare l’Asprinio d’Aversa, doc istituita nel luglio ’93 per disciplinare la produzione di un bianco fermo e due tipologie di vino spumante, un metodo Martinotti (charmat lungo) e un Metodo Classico. In etichetta, quando le uve provengono esclusivamente da viti maritate, è ammessa la dicitura “alberata” o “da vigneti ad alberata”.

E’ un territorio anche brullo, sospeso, spesso dimenticato l’Agro Aversano. Ma vivo e fiero. Autentico. Proprio come le alberate, un metodo colturale incredibile, fuori dal tempo, dove le viti di asprinio si arrampicano sino a 10/15 metri di altezza “maritate” a pioppi secolari e, sospese nell’aria, imponenti barriere verdi, piene di grappoli raccolti in vendemmia dalle mani di pochi abili contadini senza età grazie all’aiuto di altissime scale. Dominano il paesaggio, unico nel suo genere.

E’ una vocazione antica, una tradizione ultramillenaria, una eredità importante, ingombrante, pesante, di fatto complicatissima da gestire, da portare avanti, anche per questo destinata prima o poi inesorabilmente a finire; e molteplici le concause: anzitutto, questo sistema di allevamento, per quanto suggestivo, è improponibile nella moderna gestione economica del vigneto. La sola vendemmia infatti costa di media almeno tre volte tanto una “normale” raccolta. Poi c’è l’abilità degli “uomini ragno” nella raccolta delle uve, merce rara: contadini esperti, i soli capaci di armeggiare con le altissime scale costruite a misura d’uomo per arrampicarsi agilmente lungo gli altissimi filari per cogliere i grappoli sparsi in lungo e in largo sulle “pareti”. Un lavoro particolare, immane, che naturalmente continua anche nella potatura, nel “ricamo” dell’alberata, un processo di rilegatura dei tralci complesso quanto inestricabile. Incredibile!

Vi sono varie versioni sull’origine dell’alberata. Di certo c’è l’intuizione degli Etruschi di “maritare” la vite rampicante a dei tutori, in questo caso “vivi” trattandosi di alberi, di pioppi. Poi varie note storiche più o meno di colore: da sempre sono questi territori interessati da una miriade di coltivazioni, tra le quali la canapa che, raggiungendo altezze variabili, creava condizioni assai sfavorevoli ad un allevamento basso della vite. Il notevole frazionamento delle conduzioni stesse, con l’asprinio, per molti anni coltivato solo per il fabbisogno familiare che sarebbe resistito proprio grazie alle alberate, sviluppatosi quindi in altezza per non sottrarre terreno ad altre colture stagionali. Colture differenti che nel tempo si avvicendavano nei fondi e che andavano magari difese dall’incipiente vento forte che qui arriva dalla vicina costa, lontana appena 15 chilometri.

Tant’è che negli ultimi anni l’alberata, soprattutto in considerazione degli elevati costi di conduzione, sta lentamente segnando il passo a favore di impianti a spalliera alti non più di 1 metro e 80 che, come vedremo, sembrano rappresentare una valida alternativa. Del vitigno si sa che è di notevole vigoria e assicura sempre produzioni molto abbondanti, in entrambi i casi, anche in condizioni particolarmente stressanti, del resto resiste bene anche a malattie della vite piuttosto decisive come la peronospora e l’oidio.

E il vino? Beh, generalmente se ne ottiene un bianco dal colore verdolino e dal profumo tenue, che sa di fiori gialli, di mela, note agrumate. Ma è in bocca che conquista l’appassionato, caratterizzato da un’elevata acidità fissa, dovuta dagli elevati livelli di acido malico che ne fa un’ottima base per la produzione di spumante di qualità: ha un sapore decisamente secco, asprigno appunto, fresco e caratterizzato da una certa profondità degustativa quando lavorato con sapiente attenzione in cantina. Ma poi si sa, una sceneggiatura di valore ha sempre bisogno di interpreti altrettanto bravi e rispettosi…

Aversa, Alberata, Asprinio. C’è una sola tripla A

28 novembre 2012

“Non c’è bianco al mondo così assolutamente secco come l’asprinio: nessuno. Perché i più celebri bianchi secchi includono sempre, nel loro profumo più o meno intenso e più o meno persistente, una sia pur vaghissima vena di dolce. L’asprinio no. L’asprinio profuma appena, e quasi di limone: ma, in compenso, è di una secchezza totale, sostanziale, che non lo si può immaginare se non lo si gusta… Che grande piccolo vino!” [Mario Soldati]

Avremmo potuto costruirci nell’Agro aversano la nostra piccola Franciacorta, fare dell’asprinio – il nostro autentico, unico, inimitabile vitigno Principe di Aversa – un protagonista incredibile per un vino ma anche e soprattutto bollicine talmente uniche e rare quanto inarrivabili per tipicità, qualità, storia. Per vent’anni invece ci siamo accontentati, e continuiamo a farlo, nel cercare con superficialità, altrove ed ovunque, di fare, con qualsiasi uva, spumantini che appena lontanamente possano somigliare, ricordare, all’evenienza, il Prosecco di turno quando non – velleità delle velleità per qualcuno – vagamente lo Champagne. Intanto la terra è lì che aspetta, le alberate con tutta probabilità andranno a scomparire e, dalle nostre tavole, pure il vino. Se non fosse che…

Pozzuoli, un sorso di storia: Campi Flegrei Piedirosso Ris. Montegauro ’97 Grotta del Sole

16 novembre 2009

Quando scrivo della famiglia Martusciello e di Grotta del Sole, lo ammetto, mi capita sempre di farlo con grande trasporto.

Foglie di Amaltea, loc. Scalandrone - foto L'Arcante courtesy Grotta del Sole

Esser di parte, lo so non può che risultare deleterio agli occhi di chi mi legge ed apprezza il mio senso critico obiettivo e schietto, ma guardandomi indietro mi accorgo che in fin dei conti ci sono in giro talmente poche mie recensioni dei loro vini quasi a manifestare proprio il contrario del mio sentimento di profonda stima ed affetto per questa azienda alla quale va riconosciuto il grande ruolo storico per i Campi Flegrei e per alcune realtà campane letteralmente salvate dall’estinzione come Gragnano ed Aversa con il suo Asprinio.

Famiglia Martusciello - foto Grotta del Sole

E’ pur vero che i numeri sono alti, le etichette tante e più di una volta io stesso ho dibattuto con Salvatore e Francesco Sr Martusciello sulla opportunità e funzionalità di continuare ad operare in molte delle denominazioni campane ma conti alla mano e fatte le giuste considerazioni storiche, per “essere presenti” sul mercato italiano e mondiale bisogna costruire una competitività oggettiva sul portafoglio prodotti e sulla sua qualità e pertanto sino a che i vini risponderanno alle esigenze dettate dal mercato stesso (originalità-qualità-prezzo) che soprattutto in questa fase attuale non teme di fagocitare in un sol boccone chi non ha costruito solide basi di tracciabilità e convenienza val bene continuare la strada tracciata anni orsono dal buon Angelo e dall’enologo Gennaro Martusciello.

Lago d'Averno - foto Mauro Fermariello

In effetti tutto nasce da qui, dal sogno di realizzare un’azienda flegrea di riferimento che potesse nel tempo arrivare a valorizzare i vini storici e tradizionali dell’area e di altre denominazioni regionali al tempo, inizio anni ‘90, in assoluto decadimento. Percorso storico assolutamente tangibile attraverso questo sorprendente Riserva Montegauro 1997 da uve piedirosso al 100% coltivate a piedefranco nello storico vigneto di lago d’Averno, uno dei cru maggiormente vocati dei Campi Flegrei.

Una bottiglia strappata alla noncuranza di un caro amico, incosciente del grande valore, per me storico, buttato lì in un luogo buio e polveroso del suo scantinato (sempre meglio che sulla cappa di cucina, come alcune bottiglie di Brunello Col d’Orcia), delizia e scoperta di un vino straordinariamente godibile ed affascinante. Di un bel rosso granato con ampi riflessi aranciati, di media consistenza nel bicchiere ed abbastanza trasparente.

Il primo naso è naturalmente su note molto evolute, inizialmente coperto da forte riduzione ma dopo averlo lasciato ampiamente respirare si coglievano nettamente note tostate, di polvere di cacao, mallo di noce e pelliccia di animale. In bocca la sua verve è decisamente in fase calante, nel senso di conservare ancora una certa gradevolezza ma senza nessun picco di particolare consistenza, è secco, morbido di un piacevole finale speziato.

L’abbiamo bevuto da solo, senza abbinamento, tanto per stapparla, nella convinzione (degli altri, ndr) di trovarci “poco di buono lì dentro”, il tappo tra l’altro era piuttosto integro, 12 anni e non svanire, un altro, nuovo tassello sul percorso storico-liquido del Piedirosso dei Campi Flegrei: conservate gente, conservate!


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