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Siamo tutti con Gianfranco Soldera

4 dicembre 2012

Ieri una brutta notizia ci ha resi tutti un po’ più poveri, tolto il fiato, lasciati increduli. Arrivava da Montalcino, luogo simbolo del vino italiano.

Gianfranco Soldera - foto A. Di Costanzo

Nella notte del 2 dicembre scorso dei malviventi – perché tali sono, altro che vandali – si sono introdotti nella cantina di Gianfranco Soldera a Case Basse aprendo tutti i rubinetti delle botti in cantina con il vino in elevazione. Sono andati persi 626 ettolitri di Brunello delle annate dal 2007 al 2012 appena raccolto. Un disastro incredibile! 

Un gesto assurdo che ha però un valore simbolico molto preoccupante per tutto l’areale, per tutti quanti i produttori di Montalcino; così mi sento di appoggiare a pieno l’invito lanciato da Carlo Macchi su Winesurf ai produttori ilcinesi tutti ed al Consorzio di Tutela per dare sin da subito un messaggio forte per non lasciar passare l’idea che il fatto, di per se gravissimo, colpisca uno solo e non tutti quanti lì a Montalcino. 

Ben vengano naturalmente altre iniziative in tal senso, Soldera sarà anche inviso a molti ma è un riferimento assoluto per il territorio quanto per gli appassionati, ma quella di Carlo di creare un’etichetta  di Brunello “Montalcino per Soldera” dove tutti i produttori mettano un certo numero di litri del loro miglior vino potrebbe essere un modo serio e concreto per far capire che quei rubinetti sono stati aperti in tutte le cantine, quelle botti vuote sono di tutti e tutti contribuiranno a riempirle.

P.S.: l’azienda ha appena messo in rete sul proprio sito questo comunicato stampa.

Addendum del 7 Dicembre: gira in rete sempre su iniziativa di Carlo Macchi di Winesurf, qui sul sito di Pignataro, l’invito ad inviare una mail al Consorzio del Brunello per sostenere l’invito a creare un Brunello “Montalcino per Soldera”; se vi va, se anche voi volete far sentire anche la vostra “voce” inviate una mail a info@consorziobrunellodimontalcino.it  scrivendo “Vogliamo il Brunello “Montalcino per Soldera”.

Aggiornamento del 18 Dicembre: come riporta il sito de La Nazione ci sono aggiornamenti importanti sulla faccenda che pare sia riferibile ad una iniziativa solitaria di un ex dipendente dell’azienda che per questo è stato arrestato. 

Brunello di Montalcino Riserva Soldera ’99 Case Basse, o di un bicchiere come elogio all’infinito

2 luglio 2012

Da sempre Gianfranco Soldera e i suoi vini dividono appassionati e critici suscitando, nel bene e nel male, passioni e tensioni più di ogni altro produttore lì a Montalcino.

E’ difficile farsene una idea precisa su quale sia la posizione (o le posizioni) definitive sugli argomenti perennemente in discussione – filosofia, centralità delle colture, esposizioni, naturalità, tipicità ecc… -, e non v’è argomento tra questi che non sia stato messo in cassaforte o, per contro, alla berlina ogni qualvolta si apre una bottiglia di Brunello Riserva Soldera di Case Basse.

Tenendo tra le dita questo ’99 ho ripesato all’infinito e a quanto questo concetto abbia profondamente diviso, lacerato le coscienze di molti fini pensatori della storia, antica e contemporanea. Il suo rifiuto ha origini lontane e nasce dal fatto che già i greci ritenevano conoscibile solo ciò che è determinato, finito; tutto ciò che è indeterminato, infinito e perciò inconoscibile è quindi da rifiutare. Ecco.

Così in molti dicono di conoscere Case Basse e Gianfranco Soldera abbastanza per averne compreso appieno ogni segreto e proposta ideale, tanto dal poter chiaramente decidere da che parte stare. Loro di là, lui di qua. Personalmente non ho ancora deciso del tutto, nonostante nel febbraio dell’anno scorso (leggi qui il reportage) sono andato a trovarlo e cercato di capirci qualcosa, faccia a faccia, camminandoci assieme le vigne e rubando pezzi di storia dalle sue botti. Ognuna con una propria. Di certo vado maturando una convinzione: i suoi vini “vivono” come pochi altri e qualcosa a noi ancora oscuro li rende mutevoli, talvolta imperfetti ma comunque sibillini, altre voltre semplicemente inarrivabili. Infiniti, appunto.

Certo, avrò beccato una bottiglia eccezionale, ma questo ’99 è stata una rivelazione nel vero senso della parola, una delle esperienze degustative più emozionanti di sempre. Un vino straordinario, con un colore a tratti ancora porpora fissato nel tempo; un corollario di sensazioni varietali che poche bottiglie ilcinesi sanno regalare, ancor mai con una tale intensità ed integrità espressiva; asciutto e profondo, la ricchezza espressiva si tramuta in arma letale quando il vino arriva al palato: succoso, dolce, avvolgente, caldo e nerboruto, lunghissimo. Infinito, appunto!

Tu quoque, Rex Bibendi! Ovvero di uno o due passi di filosofia spiccia di un sommelier

19 febbraio 2011

Leggo – lungi da me una tal dotta citazione – che la parola “senso” in filosofia indica la facoltà di percepire l’azione di oggetti interni al corpo o esterni ad esso. Ebbene, questa che segue è una mia – giuro! – breve e personale riflessione sui vari “sensi” con i quali chi come me o voi ci siamo ritrovati, almeno una volta, a fare i conti.

Il senso ideologico, quello che pretende di conoscere i misteri dell’intero processo storico – i segreti del passato, l’intrico del presente, le incertezze del futuro – in virtù della logica inerente alla sua idea. Nel mondo del vino, si nutre di una filosofia, dotta e fine, che ne analizza le origini – della terra e delle persone – fornendone sempre profili suggestivi e storie melanconiche. Non c’è spazio per la nobiltà di taluni, consacrata già dalla storia, ma comunque non tanto ispiratrice; l’ideale è l’uomo (quasi) qualunque, persona dalle mani ruvide, solcate dal tempo e levigate dal freddo, e non importa se può permettersi di giocare in borsa, l’immagine dipinta è di colui che con voce roca richiama l’attenzione del mezzadro del podere vicino e assieme fanno segnale all’orizzonte: dapprima un gesto di stizza, poi di sfida, il raccolto è alle porte. Da berci su secchiate di Lambrusco come dio comanda!

Il senso estetico, ovvero del giudizio di gusto che vuole, il vino – biondo o bruno che sia – bello ed artistico; per taluni muscoloso, anzi, aitante, tanto dal sentirne il profumo non appena gli si tira via il tappo, intriso d’inchiostro e note ferrose, catrame: è ampio, avvolgente, smaliziato, è maschio, virile, avrà mille e più cose da dire! Ebbene, la mia ricerca è volta al fascino delle sottili nuances, della luce che ne attraversa le trame, della profondità negata alla vista ma garantita una volta in bocca, l’insostenibile leggerezza dell’essere. Non è proprio questo il limite del giudizio estetico, dove la teoria del bello soggettivo si scontra con quella naturale che in quanto tale risulta oggettiva? Da berci su un paio di calici di Taurasi di Luigi Moio.

Il senso ludico del vino ti sfiora alla prima sbronza. Per Sigmund Freud il gioco ha una funzione catartica, liberatoria: è lo strumento ideale per liberarsi da cariche emotive e scaricare le tensioni generate dalle pulsioni, come l’aggressività o la libido. Il “piacere” che si accompagna al gioco sarebbe in quanto tale liberazione. Ecco che alla prima interrogazione andata male, un litigio inaspettato con l’amico di sempre, “quella stronza” che continua a fare la stronza, che fai? Aspetti che tutti vadano a letto, convinti che di lì a poco lo faccia anche tu, speri che tua madre – come fa solitamente – rimanga la tavola così com’è senza levarla. Tiri giù il primo bicchiere, non ne sai granché, ma quanto ti basta per capire che tuo padre, alla fine, non è che ne capisca tanto di vino, ma tiri dritto, hai solo piacere di bere, di quella sensazione che poi imparerai a chiamare pseudo-calorica ma che oggi ti provoca solo una certa eccitazione, vana sensazione di sentirti leggero, libero. Invero, libero lo sarai solo quando avrai maturato la consapevolezza di approcciarti al vino con sana sobrietà! Da misurare con una qualsiasi delle amate bottiglie di Falanghina.

Il senso critico, l’obiettività nel giudicare, un vino in questo caso, è cosa per pochi, pochissimi e non di rado questi stessi deludono inesorabilmente. Ecco perché preferisco di gran lunga passare per un folle innamorato del mio lavoro piuttosto che un mediocre cronista di astute e meditate fisime! A parlarne con un bastian contrario qualunque, per esempio Gianfranco Soldera, con un suo Brunello Riserva alla mano.

Il senso pratico l’ho imparato presto, molto presto. Alla prima scala sconti, alla prima promozione lancio, agli albori di quella crisi che molti fanno fatica ancora a deglutire ma che inesorabilmente li ha posti di fronte alla nuda realtà. Chi fa vino e si dice un benefattore, mente. Chi millanta di farlo per il solo piacere di sporcarsi le mani, presto farà due conti e ne converrà che forse è meglio sporcarsi con altro. Chi lo fa per vivere, credetemi, non gli va proprio di lusso ma ha dignità da vendere. Ho sentito – con le mie orecchie – addirittura qualche produttore enunciare frasi di finissima intuizione: “il vino è talmente un dono prezioso del Signore che dovrebbe essere addirittura proibito commercializzarlo!”. Evidentemente ha ben altro di cui vivere. Per qualcuno questo può apparire un senso pratico alquanto sfacciato, a tratti crudo, ma è mai possibile che stiamo ancor lì a menarla? Passerina a vagonate!

Giro di vite a Montalcino, Gianfranco Soldera e quell’insostituibile legge naturale dell’essere…

14 febbraio 2011

Mi è sempre risultato difficile pensare a chi produce vino – dei sublimi piaceri, quest’ultimo è se vogliamo, quello più effimero – come un idolo o un mito, ma allo stato dei fatti non posso negare che presentarmi dinanzi al cancelletto di Case Basse e ritrovarmi un attimo dopo il sorriso di Gianfranco Soldera lì di fronte, un certo effetto, debbo ammettere, me lo ha fatto eccome!

Di lui si dice che sia un tipaccio, dal carattere fumantino, che sia oltremodo schivo, alquanto solitario, poco socievole, presuntuoso: e direi che non è poco. Io credo di aver conosciuto una persona che sa molte cose di vino, e già prima di farlo a Montalcino, quando vi è arrivato nel ‘72 dopo aver vanamente cercato di stabilirsi in Piemonte, nelle Langhe; certamente è uno molto sicuro di se – e a parlarci francamente, tremendamente severo con gli altri – convinto del fatto che per raggiungere il massimo bisogna fare almeno un po’ meglio di quanto si abbia intenzione di fare. Personalmente ne sono rimasto sinceramente impressionato, dalla sua dotta franchezza più che dall’inutile presunzione che sì, su certe argomentazioni, traspira parecchio, ma in fin dei conti ciò che pensa Gianfranco Soldera del vino e di come si faccia il vino a Montalcino o come si possa fare un grande Brunello, lo pensano in tanti, il problema è che non tutti hanno il suo stesso coraggio nel farlo per davvero così!

Dicevo del suo arrivo a Montalcino, 39 anni fa, in questo pezzo di terra che mai aveva visto una vigna prima di allora, ma nemmeno del grano o altro, tanto era povero ed austero. “Ideale per piantarvi il Sangiovese Grosso!”ci dice sorridendo. Per almeno vent’anni, sino a metà anni ottanta ha fatto avanti e indietro per Milano dove ha continuato a curare i suoi affari prima di stabilirsi definitivamente a Case Basse. L’azienda agricola, di circa 23 ettari ha appena una manciata di questi, 8 per la precisione, a vigneto – suddiviso perlopiù tra Case Basse propriamente detto (6,5 ha), il primo impianto, e Intistieti (1,5 ha), più giovane di qualche anno – poi ulivi, un bel pezzo di bosco di querce ed un parco botanico immenso tanto quanto i dintorni della casa che si allungano sino ad un piccolo stagno artificiale (“il brodo primordiale”, ndr), a due passi dalla cantina, giardino di cui se ne occupa ancora oggi in prima persona la signora Graziella, grande appassionata; qui troviamo, proprio dietro la casa, l’antica fontana con al centro il delfino disegnato sulle etichette del Brunello di Montalcino Riserva Case Basse (finalmente!), poco più in la invece, a leggere alcuni cartelli sbiaditi dalle ultime ghiacciate e poggiati ai piedi delle aiuole, non si fa fatica a capire della enorme passione per la ricerca di piante e rose dal valore antico ed arbusti unici nel loro genere: ma oggi non riusciremo certo a goderne appieno delle bellezze, non fosse altro perché siamo in pieno inverno ed oltretutto ha da poco nevicato, ma da come è strutturato tutto il giardino non è difficile intuire come qui in primavera sia un festival di colori e profumi perfettamente calzante all’ideale naturale alla base del progetto Case Basse ed alle intenzioni dei Soldera di dare rifugio e nutrimento ad uccelli ed insetti e a i vari impollinatori notturni tanto indispensabili per ristabilire costantemente l’ecosistema circostante.

Le uve vengono vinificate solo in tini e botti di rovere che stando alle naturali condizioni di cantina non necessitano di controlli di temperatura o altro, ai mosti non si aggiungono lieviti, il processo fermentativo è assolutamente naturale e con lieviti indigeni. Vengono invece effettuati parecchi rimontaggi sino alla naturale saturazione della fermentazione. A guardarsi intorno è evidente come il volume della cantina, disegnata dallo stesso Soldera e realizzata dall’architetto Lambardi, costruita oltre i quattordici metri sotto terra e solo con materiali naturali, “senza nemmeno un spolverata di cemento”, sia particolarmente sproporzionato rispetto alle botti che contiene e soprattutto al numero di bottiglie che vengono fuori da queste, appena 15.000, ma evidentemente l’idea di grandezza che nutre Soldera per il Brunello passa anche dalla mastodonticità delle spesse mura di roccia naturale che circondano e proteggono le sole 12 grandi botti di rovere di Slavonia, talune da 65 ettolitri, altre da 75, incastonate tra le grosse travi in ferro Corten.

Sempre guidati dal buon Gianfranco assaggiamo a questo punto qualcosa ancora in elevazione nelle botti, scegliamo la Riserva Case Basse 2005, già straordinariamente fine ed elegante, nonché particolarmente sapida, e poi un suggestivo quanto incredibile 2010, che per quel che vale un assaggio del genere, già appare come materia viva finemente plasmata, e che se non fosse uno spreco del signore, ce ne saremmo volentieri scolato un paio di bottiglie, tanto succoso e ricco ci è apparso! Infine, è curioso sapere che Soldera mette in bottiglia il suo Brunello direttamente da ogni singola botte, senza fare quindi massa unica prima di passarle all’imbottigliamento; gli abbiamo chiesto, non si rischia così di avere sul mercato bottiglie della stessa annata con caratteristiche peculiari che possano differire tra loro? “E chi mai ci dice che facendo massa unica non accada lo stesso?” poi ancora, “Le dirò di più, trovo assolutamente insensato creare una omogeneità per vini che comunque evolveranno in bottiglia per almeno dieci o vent’anni, in maniera completamente autonoma e diversa le une dalle altre?”. Beh, come seconda giornata, credo possa bastare, non male direi…

Qui il passaggio a Podere Sanlorenzo di Luciano Ciolfi;

Qui la passeggiata tra le vigne de Il Paradiso di Manfredi;

Qui la spassosa ed indimenticabile visita a Diego e Nora Molinari a Cerbaiona;

Qui la visita a Pian dell’Orino di Caroline Pobitzer e Jan Hendrik Erbach;

Qui la straordinaria visita in Biondi Santi e l’incursione da Casanova di Neri;

Giro di vite a Montalcino, alla scoperta del mito Brunello da Biondi Santi a Casanova di Neri…

8 febbraio 2011

E’ notte fonda quando arriviamo a Montalcino, sulla strada, sin dalle prime curve che da Chiusi-Chianciano ci hanno condotto qui, la neve, copiosa, riveste i tetti e le mura di cinta delle piccole case in pietra che scorrono ai lati lungo la via. Troviamo riposo nella piccola area di sosta comunale, giusto ad un tiro di schioppo dalla Fortezza; l’aria lì fuori è gelida, il termometro sfiora lo zero, ma il camper è a dir poco confortevole ed il nostro entusiasmo arriva praticamente alle stelle, a guardar fuori, da qui luccicanti e splendenti come non mai.

L’indomani, il giorno uno, ci incamminiamo sulla strada per il Greppo, la storica dimora della famiglia Biondi Santi, 25 ettari di giardino sotto al cielo, a pensarci bene la casa del Brunello, nato tra l’altro proprio qui, tra queste vigne e queste mura verso metà ‘800, per opera di Clemente Santi, nonno di quel Ferruccio – frattanto divenuto già Biondi Santi – che proprio sul finire di quel secolo faceva muovere i primi, importanti passi in giro per il mondo a quel “vino brunello” consacrato poi alle grandi tavole dal figlio Tancredi, e che oggi continua a vivere per mano di suo figlio, Franco, classe 1922 e maniere da galantuomo da vendere: insomma, in definitiva un mito, non più classificabile semplicemente come un vino! Con me pochi amici, uno imperdibile, tal Nando Salemme e poi Dino e Alessandro, con i quali cammineremo nei prossimi giorni le vigne più suggestive di Montalcino alla ricerca di quel Santo Graal tanto prezioso ed ambìto – pur vituperato dall’ignobile scandalo di brunellopoli che è inutile nasconderlo, aleggia ancora nell’aria – quanto praticamente introvabile.

Arriviamo al Greppo a metà mattinata, sono passate da poco le dieci, il lungo viale di cipressi che dalla strada statale conduce alla tenuta pare accompagnarti nella storia, ed in verità lo fa; ai lati, s’intravedono giù per la collina le vigne spoglie, alcune già potate e rilegate, tutte tinte di un bianco candido come se stessimo in paradiso. Bussiamo ad una piccola porticina, ad aprirci lui, Franco Biondi Santi in persona: che emozione! Si può pensare ai successivi dieci/quindici minuti come un tuffo nella più comune delle situazioni del genere, dove l’imbarazzante atmosfera accademica rischia sempre di prendere il sopravvento, un classico dovuto insomma; saranno invece più di due ore di appassionante storia di vita vissuta, cominciate con una piacevolissima chiacchierata intorno al focolare di casa, vis à vis con almeno cento anni di storia sociale e culturale di Montalcino e non solo, e terminate, dopo una accurata e particolareggiata visita in cantina (che suggestiva!) – accompagnati stavolta da una brava e cordiale collaboratrice – con la degustazione di tutti i vini prodotti al Greppo: il Rosato, annata 2007, nato come omaggio all’amata moglie del dottor Franco, stufa – si dice – di veder macchiate di rosso le tovaglie di casa ed oggi vino particolarmente amato dai francesi; il Rosso 2008, austero e risoluto come pochi altri della denominazione, e per finire, il superbo Tenuta Greppo Annata 2006, un Brunello di Montalcino manifesto di un territorio, di questa vigna, e a guardarci in faccia, con molta probabilità la migliore delle porte che potevamo imbroccare per vivere poi con il giusto piglio le esperienze dei giorni a venire; non a caso, è questo, a detta di molti appassionati storici alla tipologia, quell’archetipo del Brunello da molti ricercato e (quasi) impossibile, a quanto pare, da replicare altrove!

Il sole inizia a farsi tiepido, è già primo pomeriggio, lasciamo il Greppo e riprendiamo la strada statale verso Montalcino, ci attende a pochi chilometri, sulla strada per Torrenieri, Giacomo Neri; il suo vino è da molti considerato l’altro Brunello, la sua azienda, Casanova di Neri, indubbiamente capace in poco più di un ventennio di stravolgere letteralmente gli equilibri locali, affermandosi in tutto il mondo come un nuovo riferimento assoluto, certamente di slancio moderno, diciamolo pure, con vini dai tratti caratteriali palesemente internazionali – l’uso della barrique, e qualche legno di poco più grande, qui hanno praticamente sostituito in toto le grandi botti – ma senza alcun dubbio ognuna delle bottiglie che viene fuori da questa cantina non si può certo additare per mancanza di carattere, tutt’altro, magari ci si potrebbe interrogare su quanto risultino marcate dal manico più che dal terroir, ma stilisticamente rimangono ineccepibili e, avendo avuto la fortuna di bere dei suoi Brunello, del Cerretalto in particolare, più di un millesimo, chiaramente riconducibili all’autore.

L’azienda, nata a fine anni settanta, vanta oggi poco più di 36 ettari di vigneto suddivisi in quattro appezzamenti collocati nel circondario ilcinese in posizioni diverse e ben distinte: Le Cetine a Sant’Angelo in Colle, il Cerretalto ed il Fiesole nei pressi dell’omonimo casolare di fronte a Montalcino (sede della cantina) ed il Pietradonice, a Castelnuovo dell’Abate, destinato però alla piantagione delle varietà internazionali lavorate secondo la d.o.c. Sant’Antimo. La cantina è di quelle belle grosse, delle più moderne, l’acciaio, tanto, reso fondamentale nelle fasi di vinificazioni; camminando i locali, distribuiti su più livelli sottoterra, sono certamente differenti le sensazioni provate alla Tenuta Greppo, piccola e suggestiva com’è, ma come si è detto, qui siamo ad un approccio più moderno, figlio senz’altro di quell’espansione sui mercati esteri tanto discussa, e discutibile per certi versi, ma assolutamente indispensabile per dare continuità e vigore ad un territorio, diciamolo pure fuori dai denti, ritrovatosi nel dopoguerra praticamente abbandonato a se stesso ed in poco più di vent’anni, siamo negli anni settanta, pietra miliare ricercata da tutti nel mondo.  E Giacomo Neri di questo ne ha saputo fare tesoro, e di quanto sia stato bravo nel vestire i suoi vini di carattere e personalità te ne accorgi non appena metti il naso nei calici colmi dei suoi vini; dalla coscritta ruvidezza del suo Rosso di Montalcino, all’immediata espressività del suo BrunelloEtichetta Bianca”, rimasto, ci dice, “tal quale a come lo amava papà Giovanni”. I fuoriclasse però rimangono il Cerretalto, prodotto solo nelle annate eccezionali, con quella sua spiccata mineralità e quell’inconfondibile timbro ferroso ed il Tenuta Nuova: di quest’ultimo, il 2006 è a dir poco spettacolare, di una compostezza fuori dal tempo, succoso e potente ma di rara, rarissima eleganza.

Ci concediamo da Giacomo e la splendida cordiale moglie Enrichetta, ci mettiamo alle spalle questa prima giornata a Montalcino; il mito, Franco Biondi Santi, ci ha donato con le sue parole, la sua esperienza, l’essenza di questa terra; Giacomo Neri, come noi figlio del nostro tempo, ci ha mostrato, forse, il futuro. Noi crediamo di aver colto un sacco di cose in più, un mare di sensazioni, palpabili, che ci lasciano pensare che a volerlo solo immaginare quanto sia esaltante un tour per le terre montalcinesi, solo una prima tappa del genere può riuscire ad azzerare tutto quello che credi di aver imparato, che sei convinto di sapere, su questi luoghi, su queste persone, questo vino, per poi capire e comprendere, sino in fondo, tutto quello che verrà nei prossimi giorni.

Qui il passaggio a Podere Sanlorenzo di Luciano Ciolfi;

Qui la passeggiata tra le vigne de Il Paradiso di Manfredi;

Qui la spassosa ed indimenticabile visita a Diego e Nora Molinari a Cerbaiona;

Qui la visita a Case Basse di Gianfranco Soldera;

Qui la piacevole scoperta di Pian dell’Orino di Caroline Pobitzer e Jan Hendrik Erbach;


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