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Fiano di Avellino Exultet 2012 Quintodecimo

19 gennaio 2015

Fiano di Avellino Exultet 2012 Quintodecimo - foto A. Di Costanzo

Non deve essere facile per Luigi Moio alzare l’asticella qualitativa dei suoi vini anno dopo anno, eppure anche il palato più distratto riesce a cogliere nei suoi vini ad ogni nuovo passaggio qualcosa di sorprendente e diverso.

L’Exultet 2012 racconta con maggiore franchezza le suggestioni dell’anno precedente quando già con il 2011¤ si coglieva nei bianchi di Quintodecimo maggiore spessore e finezza anzitutto del frutto. Non a caso Via del Campo¤ rimane di gran lunga la migliore falanghina attualmente in circolazione mentre il successo di bevute del Giallo d’Arles¤, il greco di Tufo di casa, non trova che pochissimi eguali sul mercato. E mentre sull’aglianico¤ i tempi sono assai lunghi e il professore qui si gioca volentieri tutta la vita, col fiano sembra stracciare a mani basse tutte le misure ad ogni vendemmia.

Si sa che il fiano più delle altre varietà tradizionali bianche campane ha le qualità per potersi misurare con il tempo, e qui la caratura è quella di un vino di grande proiezione, destinato ad una lenta evoluzione e per questo più longevo. Anche se certe bottiglie viene da berle non appena ti arrivano tra le mani, come se non ci fosse un domani.

© L’Arcante – riproduzione riservata

 

Piccola Guida ragionata al Falerno del Massico

4 novembre 2014

Ho dedicato al Falerno del Massico tante ore spese con giri in vigna e cantine, ho conosciuto persone straordinarie e vini memorabili raccontati con numerose degustazioni, decine di interventi, recensioni qui su L’Arcante. Mancava giusto la Piccola Guida del cuore alla denominazione più antica al mondo.

Sessa Aurunca, Vigna Falerno del Massico Etichetta Bronzo a Masseria Felicia

La storia ci ha sempre raccontato che il Falernum già in epoca romana veniva considerato vera e propria rarità enologica tanto dall’essere addirittura riconosciuto con ben tre sottodenominazioni a seconda della sua provenienza geografica. Era chiamato comunemente vinum Falernum tutto quello prodotto nell’Ager ma generalmente da vigne allocate in pianura; il Faustianum invece era quello tralciato nell’area appena pedecollinare mentre veniva riconosciuto Caucinum solo quello più prezioso, proveniente dall’alta collina.

Oggi, pur avendone ben chiari i confini della doc Falerno del Massico non è affatto semplice riassumerne per intero una zonazione efficace di tale territorio che, oltretutto, gravita attorno al massiccio del Monte Massico facendo sì che si passi da terreni pedemontani a collinari – con tutte le implicazioni pedoclimatiche, ndr -, sino ad arrivare letteralmente al mare. Alcuni riferimenti che possono però aiutarci a comprendere meglio ciò che provano a raccontare certe bottiglie che vanno in giro ci teniamo comunque a precisarli.

Nell’areale di Sessa Aurunca insistono circa 78 ettari denunciati alla doc, coltivati prevalentemente con Aglianico, Piedirosso, Falanghina e Primitivo; qui i terreni sono generalmente caratterizzati da tufo nell’interno, verso il vulcano spento di Roccamonfina e sabbia e limo verso la costa sino al mare.

Cellole conta 25 ettari coltivati con Aglianico, Piedirosso, Falanghina, Primitivo, qui i terreni sono sostanzialmente caratterizzati da sabbia e limo con alcuni tratti di origine alluvionale.

A Carinola e nei suoi dintorni insistono 26 ettari piantati con Aglianico, Piedirosso, Falanghina, qui il vigneto sembra essere più omogeneo su tufo e argille.

Falciano del Massico il vigneto doc conta circa 13,5 ettari votati a Primitivo, Barbera, Piedirosso, Falanghina, Moscato con terreni frammisti di argille, crete e limo, sabbie.

Infine Mondragone, con i suoi 8,5 ettari di Primitivo e Falanghina e le sue vigne che diradano sino a due passi dal mare, qui i terreni sono composti perlopiù da limo, sabbie con misto argille.

Una terra straordinaria l’Ager Falernus, di qua, a sud-est, Mondragone, Falciano e verso nord-est Carinola. Di là, a nord, Cellole e più a est Sessa Aurunca con le sue frazioni di Carano e Cascano. Ad ogni modo un territorio tutto da scoprire, da bere, ricordare, a cominciare da questi indirizzi…

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Azienda vitivinicola Bianchini Rossetti
Via Ten. Trabucco
81030 Casale di Carinola (Ce)
Tel / Fax: +39 0823.709187
info@bianchinirossetti.com
www.bianchinirossetti.com
Di particolare pregio: Falerno rosso Mille880, Falerno rosso Ris. Saulo¤.
 
Azienda Agricola Gennaro Papa
Piazza Limata 2
81030 Falciano del Massico (Ce)
Tel: 0823 931267
Fax: 0823 931267
www.gennaropapa.it
Di particolare pregio: Falerno Primitivo Campantuono¤, Falerno Primitivo Conclave, in rare uscite il passito Fastignano.
 
Cantina Zannini
Via Vellaria 20
81030 Falciano del Massico (Ce)
Tel.:0823 931108
info@cantinazannini.it
www.cantinazannini.it
Di particolare pregio: il Falerno Primitivo Campierti¤.
 
La Masseria di Sessa
Via Travata 3, Km 3+100
81037 Sessa Aurunca (Ce)
Tel / Fax: +39 0823.938179
info@lamasseriadisessa.it
www.lamasseriadisessa.it
Di particolare pregio: Falerno del Massico bianco Aurunco¤.
 
Michele Moio fu Luigi
Viale Regina Margherita 8
81034 Mondragone (Ce)
Tel. e Fax: (+39) 0823 978 017 – (+39) 328 17 43 455
info@cantinemoio.it
www.cantinemoio.it
Di particolare pregio: Falerno bianco, Falerno Primitivo¤, Falerno Primitivo Maiatico.
 
Masseria Felicia
SP 104 Loc. S. Terenzano
81037 Carano di Sessa Aurunca (Ce)
Tel. e Fax: 0823 93.50.95
info@masseriafelicia.it 
www.masseriafelicia.it
Di particolare pregio: Falerno rosso Ariapetrina, Falerno rosso Etichetta Bronzo¤.
 
Trabucco
Via Vittorio Emanuele 1
81030 Carinola (Ce)
Tel. 0823 737345
info@cantinatrabucco.com
http://www.cantinatrabucco.com 
Di particolare pregio: Falerno Primitivo Primo Antico¤.
 
Torelle – Eredi Guardascione
Via nazionale Appia 1, Località Torelle
81037 Cascano di Sessa Aurunca (Ce)
Cell. 392 0185208 
Di particolare pregio: Falerno rosso Falé¤.
 
Villa Matilde Avallone
S.S. Domitiana 18
81030 Cellole (Ce)
Tel.: +39 0823.932 088
Fax: +39 0823.932 134
info@villamatilde.it
www.villamatilde.it
Di particolare pregio: Falerno bianco, Falerno bianco Vigna Caracci¤, Falerno rosso Riserva Camarato¤.
 
Viticoltori Migliozzi
Via Appia km 179
Casale di Carinola (Ce)
Tel.: 0823 704275
Fax: 0823 704914
info@rampaniuci.it
www.rampaniuci.it
Di particolare pregio: Falerno rosso Rampaniuci¤.
 

© L’Arcante – riproduzione riservata

Mondragone, Falerno del Massico Primitivo 2009 Michele Moio. O di quel successo ineguagliabile…

18 novembre 2012

Pochi vini come il Falerno del Massico Primitivo di Michele Moio possono vantare un tale successo commerciale, un’affermazione così vasta e capillare sul mercato del vino (non solo) napoletano. Etichette che si contano addirittura sulle dita di una mano se ci si riferisce ai soli vini rossi.

E’ il vino della domenica, anzitutto. Quello che se lo porti a pranzo  a casa di un amico non sbagli mai. O che magari ti concedi di bere a casa sapendo del ragù ancora sul fuoco. Ma è anche tra quelli più diffusi “al bicchiere” nei locali che fanno della mescita il loro punto di forza. E cosa insolita altrove, il primitivo di Moio è, tra i rossi campani, quello che più ha tratto vantaggio da quell’onda emozionale che a cavallo degli anni novanta voleva certi vini immediatamente leggibili, di spessore ma rotondi e con un certo carattere. Insomma, un rosso con una tradizione solida, tipico, con duemila anni di storia e tremendamente moderno. Geniale no? 

Una consacrazione che arriva però da molto lontano, e che nulla ha che vedere con l’idea di modernità che ha affascinato molti vinnaioli e annientato gran parte di questi senza una vera storia solida alla base; un successo che qui in casa Moio non ha spostato di una sola virgola la dedizione e la storia della famiglia, da oltre cento anni dedita al vino Falerno del Massico alla stessa maniera.

Così questo duemilanove, che si conferma annata davvero strepitosa per alcuni rossi, viene fuori alla distanza con molto di più di quanto promette sul breve; è invitante e grasso, succoso e nerboruto, ruffiano e sferzante al tempo stesso. Mancavo l’assaggio da un paio d’anni, ma è come se l’avessi bevuto appena un paio di settimane fa; è vero, il Falerno di don Michele, anno dopo anno, è pure questo, dannatamente fedele a se stesso. Ma un bel vino è così, sa essere anche questo, un piacevole ritorno alle origini, alle radici, da lì dove eri partito convinto di chissà quanto di più bello ci fosse là fuori.

© L’Arcante – riproduzione riservata

Carano di Sessa Aurunca, I love Falernum!

12 marzo 2011

Seminare, quindi raccogliere; coltivare, quindi godere. Con grande piacere vi rendiamo notizia di un evento in programma il prossimo venerdì 25 Marzo alla Locanda delle Carrozze di Carano di Sessa Aurunca; protagonista, l’amato Falerno del Massico e le sue declinazioni!

Dopo l’evento dello scorso novembre andato in scena all’Antica Trattoria Fenesta Verde di Giugliano, uno dei luoghi storici della tradizione culinaria flegrea, dove, in molti ricorderanno, un grande successo di pubblico decretò l’altissimo gradimento sia dell’ottima cucina di Luisa e Laura Iodice nonchè dei vini di Masseria Felicia, Papa, Bianchini Rossetti, Migliozzi e Cantina Zannini.

Così, giusto per dare, ove ce ne fosse stato ancora bisogno, ancor più lustro all’opera degli amici della Confraternita del Falerno torna in scena per un secondo atto il Falerno del Massico, in odor, ci solleticano alcuni rumors, di docg; Ed ecco che ad allietare questo secondo imperdibile appuntamento per gli appassionati dell’Ager Falernus entrano in campo le prestigiose aziende Villa Matilde, Moio, Volpara, Nugnes e non ultima Trabucco. Segnatevelo in agenda quindi, il prossimo venerdì 25 marzo dalle ore 20.00 al Ristorante Locanda delle Carrozze di Carano di Sessa Aurunca, il vino unisce ciò che gli uomini dividono! 

Per tutte le informazioni:
Antonio Russo Cell. 320 791 2249
Giuseppe Orefice Cell. 335 874 7180
www.confraternitadelfalerno.it
info@locandadellecarrozze.com  

Tu quoque, Rex Bibendi! Ovvero di uno o due passi di filosofia spiccia di un sommelier

19 febbraio 2011

Leggo – lungi da me una tal dotta citazione – che la parola “senso” in filosofia indica la facoltà di percepire l’azione di oggetti interni al corpo o esterni ad esso. Ebbene, questa che segue è una mia – giuro! – breve e personale riflessione sui vari “sensi” con i quali chi come me o voi ci siamo ritrovati, almeno una volta, a fare i conti.

Il senso ideologico, quello che pretende di conoscere i misteri dell’intero processo storico – i segreti del passato, l’intrico del presente, le incertezze del futuro – in virtù della logica inerente alla sua idea. Nel mondo del vino, si nutre di una filosofia, dotta e fine, che ne analizza le origini – della terra e delle persone – fornendone sempre profili suggestivi e storie melanconiche. Non c’è spazio per la nobiltà di taluni, consacrata già dalla storia, ma comunque non tanto ispiratrice; l’ideale è l’uomo (quasi) qualunque, persona dalle mani ruvide, solcate dal tempo e levigate dal freddo, e non importa se può permettersi di giocare in borsa, l’immagine dipinta è di colui che con voce roca richiama l’attenzione del mezzadro del podere vicino e assieme fanno segnale all’orizzonte: dapprima un gesto di stizza, poi di sfida, il raccolto è alle porte. Da berci su secchiate di Lambrusco come dio comanda!

Il senso estetico, ovvero del giudizio di gusto che vuole, il vino – biondo o bruno che sia – bello ed artistico; per taluni muscoloso, anzi, aitante, tanto dal sentirne il profumo non appena gli si tira via il tappo, intriso d’inchiostro e note ferrose, catrame: è ampio, avvolgente, smaliziato, è maschio, virile, avrà mille e più cose da dire! Ebbene, la mia ricerca è volta al fascino delle sottili nuances, della luce che ne attraversa le trame, della profondità negata alla vista ma garantita una volta in bocca, l’insostenibile leggerezza dell’essere. Non è proprio questo il limite del giudizio estetico, dove la teoria del bello soggettivo si scontra con quella naturale che in quanto tale risulta oggettiva? Da berci su un paio di calici di Taurasi di Luigi Moio.

Il senso ludico del vino ti sfiora alla prima sbronza. Per Sigmund Freud il gioco ha una funzione catartica, liberatoria: è lo strumento ideale per liberarsi da cariche emotive e scaricare le tensioni generate dalle pulsioni, come l’aggressività o la libido. Il “piacere” che si accompagna al gioco sarebbe in quanto tale liberazione. Ecco che alla prima interrogazione andata male, un litigio inaspettato con l’amico di sempre, “quella stronza” che continua a fare la stronza, che fai? Aspetti che tutti vadano a letto, convinti che di lì a poco lo faccia anche tu, speri che tua madre – come fa solitamente – rimanga la tavola così com’è senza levarla. Tiri giù il primo bicchiere, non ne sai granché, ma quanto ti basta per capire che tuo padre, alla fine, non è che ne capisca tanto di vino, ma tiri dritto, hai solo piacere di bere, di quella sensazione che poi imparerai a chiamare pseudo-calorica ma che oggi ti provoca solo una certa eccitazione, vana sensazione di sentirti leggero, libero. Invero, libero lo sarai solo quando avrai maturato la consapevolezza di approcciarti al vino con sana sobrietà! Da misurare con una qualsiasi delle amate bottiglie di Falanghina.

Il senso critico, l’obiettività nel giudicare, un vino in questo caso, è cosa per pochi, pochissimi e non di rado questi stessi deludono inesorabilmente. Ecco perché preferisco di gran lunga passare per un folle innamorato del mio lavoro piuttosto che un mediocre cronista di astute e meditate fisime! A parlarne con un bastian contrario qualunque, per esempio Gianfranco Soldera, con un suo Brunello Riserva alla mano.

Il senso pratico l’ho imparato presto, molto presto. Alla prima scala sconti, alla prima promozione lancio, agli albori di quella crisi che molti fanno fatica ancora a deglutire ma che inesorabilmente li ha posti di fronte alla nuda realtà. Chi fa vino e si dice un benefattore, mente. Chi millanta di farlo per il solo piacere di sporcarsi le mani, presto farà due conti e ne converrà che forse è meglio sporcarsi con altro. Chi lo fa per vivere, credetemi, non gli va proprio di lusso ma ha dignità da vendere. Ho sentito – con le mie orecchie – addirittura qualche produttore enunciare frasi di finissima intuizione: “il vino è talmente un dono prezioso del Signore che dovrebbe essere addirittura proibito commercializzarlo!”. Evidentemente ha ben altro di cui vivere. Per qualcuno questo può apparire un senso pratico alquanto sfacciato, a tratti crudo, ma è mai possibile che stiamo ancor lì a menarla? Passerina a vagonate!

Il Falerno del Massico, tante anime per un vino sulla bocca di tutti da oltre duemila anni

9 novembre 2010

La Campania è una terra straordinaria e me ne convinco sempre di più, girarla in lungo e in largo poi, per quanto dispendioso, riserva costantemente delle piacevoli sorprese quando non vere e proprie scoperte. Sul piano vitivinicolo poi, credo che non esistano al mondo eguali in fatto di storia, radici, origini.

Le etichette storiche di Papa - foto A. Di Costanzo

La storia, quella scritta, è ricca di riferimenti che conducono all’amata Campania Felix e ancora oggigiorno in qualsiasi provincia campana si decida di camminare le vigne non mancano testimonianze vive, tangibili di come la cultura e l’arte di fare vino siano parte integrante della nostra storia sociale da sempre. Basti pensare per esempio al Falerno, il vino prodotto in quel lembo di terra che va da Sessa Aurunca a Casale di Carinola, girando per buona parte tutto intorno al Monte Massico al quale è legato storicamente anche dalla denominazione di origine controllata, nata nel 1989 ma che trae origini lontanissime nel tempo, sin dall’epoca romana.

Il Falernum, già allora era una vera e propria rarità enologica tanto dall’essere addirittura riconosciuto con ben tre sottodenominazioni a seconda della sua provenienza geografica. Era chiamato comunemente vino Falerno tutto quello prodotto qui nell’Ager ma generalmente da vigne allocate in pianura; il Faustianum invece era quello tralciato nell’area appena pedecollinare mentre veniva riconosciuto Caucinum solo quello più prezioso, proveniente dall’alta collina. A seconda poi delle caratteristiche organolettiche che tali vini esprimevano, vi era anche una distinzione per tipologia del tipo austerum per i vini austeri e/o astringenti, dulce se appunto dolci o tenue quando leggiadri e beverini. Parliamo certamente di vini che in generale avevano poco a che vedere con l’odierna qualità espressa in terra di Falerno, ma la particolare attenzione riservata a questo vino fa intendere quanto fossero già allora vocate alla vitilcutura queste terre e, per i palati di allora, apprezzati i vini qui prodotti.

La d.o.c. Falerno del Massico, nata come già accennato nel 1989, abbraccia cinque comuni tutti in provincia di Caserta, che sono nell’ordine, Sessa Aurunca, Cellole, Mondragone, Falciano del Massico e Carinola; sono previste sia una tipologia bianco, a base falanghina e due rossi, di cui preferiamo occuparci in particolare in questo caso. Da disciplinare per la tipologia Falerno del Massico rosso sono previsti quattro vitigni, l’aglianico (al 60-80 %), il piedirosso (20-40 %), il primitivo e la barbera (max 20 %) con una gradazione alcolica minima richiesta in percentuale del 12,50 % in volume ed un invecchiamento minimo di 1 anno; la produzione massima ammessa è di 100 qli/Ha. Il Falerno del Massico rosso, se invecchiato per tre anni, di cui uno in botte, può riportare in etichetta la dicitura Riserva.

Per la tipologia Falerno del Massico primitivo è richiesto l’85 % minimo del vitigno citato in etichetta con possibilità di aggiunta di aglianico, piedirosso e/o barbera al massimo del 15 %. La gradazione alcolica minima richiesta in questo caso è del 13 % in volume mentre l’invecchiamento minimo richiesto è di 1 anno; la produzione per ettaro ammessa non prevede differenze dalla precedente. Con un invecchiamento minimo di due anni, di cui uno in botte, il Falerno del Massico Primitivo può riportare in etichetta la dicitura Riserva o come appariva in passato sulle bottiglie dello storico produttore Michele Moio, Vecchio.

Masseria Felicia, cantina (le scale)

Queste due facce della stessa denominazione sono storicamente legate anzitutto al nome di due grandi famiglie campane, i Moio di Mondragone e la napoletana Avallone di Villa Matilde, che attraverso un grande lavoro di sensibilizzazione prima e valorizzazione poi hanno promosso, sin dagli anni settanta, il Falerno del Massico come vino di assoluta qualità. Ma negli ultimi 15 anni però si è assistito nell’area ad una grande spinta imprenditoriale che ha fatto nascere tante nuove piccole realtà, qualcuna intenta a rivalutare il prezioso testimone passatogli dalle generazioni precedenti, qualcun’altra mossa dalla gran voglia di rinverdire più semplicemente i fasti di un passato per troppi anni lasciato sopire nel silenzio della tranquillità della campagna casertana.

Ecco, in questo panorama così dinamico abbiamo scelto tempo fa alcuni indirizzi, occupandocene già lo scorso febbraio (vai qui), ma continuando il nostro cammino abbiamo fatto visita ad altri non di meno validi di cui vi avevamo già raccontato i vini (quiqui e ancora qui) ma che necessitavano di una visita di cui vi renderemo conto e cronaca fotografica nei prossimi giorni. Venite con noi alla scoperta di un vino, il Falerno del Massico, che nonostante sia da oltre duemila anni sulla bocca di tutti continua a stupire!

© L’Arcante – riproduzione riservata

Quintodecimo, il 2007 secondo Luigi Moio

15 dicembre 2009

Tutto inizia con una domanda, con la quale ci lasciamo la vigna¤ alle spalle prima di accomodarci in casa di Laura e Luigi per la degustazione dei vini: “Moio realizza Quintodecimo, il suo sogno, perché in Irpinia?”.

Più di una le risposte, che aprono discussioni¤ sul passato ed auspici sul futuro, argomenti che hanno fondamenti più o meno espliciti di cui non si può non tenerne conto e che si potrebbero sintetizzare in questa frase: “Ero stanco di rincorrere sfide, era venuto il momento di lanciarne una,  quella decisiva”.

Premesso che: ha fatto la storia dell’enologia campana, ha stravolto atavici equilibri e bilanciati dei nuovi, ha rilanciato sin da tempi non sospetti il senso fondamentale della terra, della vigna prima di tutto al quale ha applicato con minuziosa visceralità il concetto, per molti secondario sino ad allora, di conoscenza scientifica dei suoi elementi. Ha reinventato, praticamente dal nulla, progetti sparuti divenuti in pochi anni perle enologiche, ha dato grande slancio a cantine cooperative con oltre 400 soci e saputo esaltare, allo stesso tempo, il valore aggiunto di piccole aziende a conduzione familiare, interpretando alla grande quel concetto di “unico e raro” tanto in voga oltralpe e spesso, alla meglio, solo mestamente scopiazzato nell’italica penisola. La Falanghina, il Pallagrello Nero e Bianco, il Casavecchia, la Pepella, la Ginestra, l’Aglianico, il Fiano di Avellino, il Greco di Tufo: piccoli vitigni e grandi vini con un dna straordinario ed un solo grande interprete: Luigi Moio.

Anteposto che: l’Irpinia è un territorio unico, e qui si fanno vini di eccezione, Fiano di Avellino, Greco di Tufo, Taurasi. Ha un territorio caratterizzato da un continuo succedersi di montagne, colline, pianure intervallate da corsi d’acqua con terreni che presentano un’ampia variabilità. E poi la vicinanza della costa tirrenica, che da qui dista poco più di 60 chilometri alternata alla rigidità appenninica profondono nelle vigne Irpine elementi contrastanti come freddo, neve, vento, piogge, gelate, caldo estivo, tutte condizioni che giustamente condensate portano le uve a giusta maturazione ed una concentrazione di tali peculiarità da partorire vini di fascino e carattere superiore. Ancora del tutto inespressi.

Desumo: vini di eccezionale equilibrio, in questo momento, espressioni nitidi di ciò che solo il tempo ci dirà quanto tipico del loro territorio di origine oppure interpretazione del loro illustre artefice.

Campania Falanghina Via del Campo 2007, il bianco del cuore, quel vitigno sul quale il professore ha riversato anni di studi minuziosi regalandoci una delle poche pubblicazioni scientifiche sul suo profilo agronomico ed organolettico, oggi testo imprescindibile per gli appassionati di questo delizioso e generoso vino campano. Via del Campo è anche il nome di una delle più struggenti canzoni di De Andrè, da giovane una delle prime a passare tra le corde della sua chitarra, così proprio come una grande interpretazione della Falanghina vuole oggi riversarsi nei calici di ognuno e conquistarli. Di colore giallo paglierino con nuances dorate, cristallino. Ha profumi intensi ed avvolgenti, fini ed eleganti. Fiori bianchi, frutta a polpa gialla, minerali. Netti riconoscimenti di mela e banana sono ben presto sovrapposti ad iniziali fresche note mentolate e minerali. Vino delizioso. Ha un gusto secco, di buon corpo e vibrante freschezza, un bianco da pesce e da carni bianche, una Falanghina di carattere.

Fiano di Avellino Exultet 2007, “[…] non mancheranno, le prossime vendemmie a delinearci un profilo più altisonante per questo vino, degno insomma del miglior Moio”, così definivo l’Exultet ’06¤ l’anno scorso, convinto di non aver trovato un fiano in grande spolvero ma certo che era solo l’inizio di un percorso verso l’eccellenza. Sono rimasto sinceramente impressionato da questa bevuta, un vino di grande impatto olfattivo, grasso e voluttuoso al naso come in bocca. Mai bevuto prima. Il colore è splendente, giallo paglierino con note verdi che rincorrono una luminosità esemplare, il primo naso è possente, esplosivo: tartufo bianco sottile, elegante, penetrante. Poi viene fuori un varietale accattivante, note floreali di tiglio e di acacia, sfumature mielate e tostate. In bocca è secco, avvolgente con una trama acida invidiabile soverchiata sul finale da una deliziosa matrice minerale. Da bere per puro piacere, da rimanerci col naso attaccato dopo aver ingurgitato ostriche a palate.

Greco di Tufo Giallo d’Arles 2007, la pittura come la musica rifugio intimo dell’uomo Moio, chi visita la sua cantina rimarrà folgorato (quasi sconcertato) dalla maniacale ricerca dell’ordine e della pulizia, così come chi entra in casa sua rimane affascinato dai tanti quadri che riprendono soggetti e paesaggi impressionisti, tutte opere personali, alcune delle quali devo dire, davvero belle. Il giallo d’Arles era il colore preferito da Van Gogh, quello che caratterizza per esempio la “Vigne Rouge”, giallo tendente quasi all’ocra, lo stesso colore che si può ammirare nel Greco di Tufo 2007 di Quintodecimo; timbro cromatico davvero importante per quello che è però il vino, in questo momento, meno impulsivo della batteria bianchista assaggiata. Primo naso sottile di frutta gialla matura, nitidi sentori di albicocca e cedro candito, poi mandorla. In bocca è secco, caldo, di buon corpo, frutto in perfetta armonia ma poco profondo, acidità comunque ben legata, gode di una beva di buona freschezza e sapidità. Un bianco importante da abbinare a piatti di pesce grassi, penso per esempio ad una trippa di baccalà ma anche a formaggi vaccini mediamente stagionati. 

Irpinia Aglianico Terra d’Eclano 2007, piccolo Taurasi cresce. Appena due dati tecnici per meglio inquadrare dove e come nasce questo piccolo gioiello irpino. Nasce da sole uve aglianico di Mirabella Eclano, vigneto di circa 4 ettari in corpo unico allevato con cordone speronato con un impianto di 5000 ceppi per ettaro piantati con esposizione sud/est, sud/ovest, nord/ovest tanto per non farsi mancare nessuna delle possibili influenze micro-climatiche, ad un’altitudine di circa 450 metri sul livello del mare ed una resa per ceppo di circa 1kg. Dopo la vinificazione il vino passa almeno 18 mesi tra barriques nuove e di primo passaggio ed almeno 6 mesi in bottiglia. Il duemilasette è un vino entusiasmante! Il colore è rosso rubino vivace, cristallino e poco trasparente, consistente nel bicchiere. Il primo naso è sinceramente ricchissimo di frutto e spezie, intenso, complesso, fine, elegante, debordante di sensazioni fragranti ed invitanti. Il bouquet vira continuamente dal floreale al fruttato, allo speziato, netti i riconoscimenti di viola e confettura di prugna, di pepe e carruba. L’ampio spettro olfattivo rimane intenso e complesso per tutta la beva, armonicamente fuso ad un gusto asciutto, tendenzialmente morbido, di buona compattezza e finezza superlativa. Mai bevuta di aglianico fu così equilibrata ed armonica, carattere da vendere ma avvincente e godibile dal primo all’ultimo sorso, con tannini che appaiono dissolti in un frutto sempre al centro dell’attenzione, le durezze sono come ammantate dalla setosità glicerica del corpo del vino.

Il Terra d’Eclano è il primo di quelli che saranno i tre grandi cru di aglianico di Quintodecimo, già affiancato quest’anno dal Taurasi¤ e presto dal Grande Cerzito che vedrà però la luce solo tra qualche tempo, non appena la vigna avrà maturato il giusto spessore che Luigi Moio intende poi trasferire in sintesi a tutti i suoi vini, quello di essere ognuno nella propria dimensione, dalla falanghina all’aglianico, una “sfida”, quella di cui ha bisogno ogni uomo per guardare sempre avanti nella propria vita, spesso passata a raccoglierle, qualche volta a vincerne alcune, meno a lanciarne.


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