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Fiano di Avellino Exultet 2012 Quintodecimo

19 gennaio 2015

Fiano di Avellino Exultet 2012 Quintodecimo - foto A. Di Costanzo

Non deve essere facile per Luigi Moio alzare l’asticella qualitativa dei suoi vini anno dopo anno, eppure anche il palato più distratto riesce a cogliere nei suoi vini ad ogni nuovo passaggio qualcosa di sorprendente e diverso.

L’Exultet 2012 racconta con maggiore franchezza le suggestioni dell’anno precedente quando già con il 2011¤ si coglieva nei bianchi di Quintodecimo maggiore spessore e finezza anzitutto del frutto. Non a caso Via del Campo¤ rimane di gran lunga la migliore falanghina attualmente in circolazione mentre il successo di bevute del Giallo d’Arles¤, il greco di Tufo di casa, non trova che pochissimi eguali sul mercato. E mentre sull’aglianico¤ i tempi sono assai lunghi e il professore qui si gioca volentieri tutta la vita, col fiano sembra stracciare a mani basse tutte le misure ad ogni vendemmia.

Si sa che il fiano più delle altre varietà tradizionali bianche campane ha le qualità per potersi misurare con il tempo, e qui la caratura è quella di un vino di grande proiezione, destinato ad una lenta evoluzione e per questo più longevo. Anche se certe bottiglie viene da berle non appena ti arrivano tra le mani, come se non ci fosse un domani.

© L’Arcante – riproduzione riservata

 

Fiano di Avellino Exultet 2010 Quintodecimo

9 dicembre 2013

Non c’è che dire, le bottiglie di Luigi e Laura hanno decisamente bisogno di spazio davanti, hanno bisogno di una lunga progressione nel tempo per distendersi ed affinarsi. Ancor più le annate recenti.

Fiano di Avellino Exultet 2010 Quintodecimo

Sontuoso l’Exultet 2010, sontuoso e al tempo stesso vibrante mi viene da aggiungere. Un fiano di Avellino dal profilo organolettico di un tale spessore da rimanerci di sasso, soprattutto se ti capita servito alla cieca in mezzo ad altri quattro Campioni di tutto rispetto. Vino dal naso prorompente, che un po’ lo cogli già dal colore bello luminoso e carico che ti debba qualcosa di particolare: si rivela pieno, verticale, complesso, finissimo.

A giocare coi ricordi ci senti dentro tutta la frutta gialla che conosci a menadito, matura e succosa, camomilla e tiglio, ci cogli sensazioni dolci e quel rintocco un po’ agrumato un po’ balsamico che fa rinvenire tutto a primitiva freschezza. Quanto è buono te ne accorgi sin dal primo sorso: l’attacco è vivace e l’allungo carnoso e minerale, tremendamente sapido. Bianco impressionante per fittezza, eleganza, equilibrio. Ma c’è di più: che abbia fatto (in parte) legno lo sai solo quando tiri via la stagnola dall’etichetta.

E questo è un’altro grande merito del lavoro di Luigi mai contento dei risultati nonostante il grande successo, un uso sempre più misurato del legno e come sempre mai fine a se stesso. Ecco, puoi credere di essere bravo, puoi pensare di saper già tutto del fiano, dei fiano, quelli migliori, autentici. Puoi tranquillamente continuare a farlo ma tieni in conto che non sarà mai abbastanza!

Della “deriva acidistica” [cit.] e del Fiano di Avellino Exultet 2009 di Quintodecimo

5 febbraio 2013

Qualche settimana fa Daniele Cernilli¤ sul suo Doctor Wine ha scritto un pezzo¤ davvero molto interessante a riguardo di una sorta di deriva acidistica a cui pochi produttori, ma anche degustatori ed appassionati, sembrano saper far fronte con la giusta coscienza e prospettiva. 

Fiano di Avellino Exultet 2009 Quintodecimo - foto A. Di Costanzo.docx

Potremmo fare spallucce e ricondurre la faccenda ad un semplice fenomeno di rigetto delle curve morbide e burrose promesse ai palati negli anni novanta, ma così sottovaluteremmo la questione. Così, senza entrare troppo nel merito tecnico della faccenda, che pure andrebbe amplificato ed approfondito a dovere, visto anche il pericolo dell’approssimazione sempre in agguato, che Cernilli bene fa a sottolineare nel suo articolo, non fa mai male ribadire che una bottiglia, una di quelle che vale la pena ricordare, debba saper regalare all’appassionato di turno una ben definita coerenza gustativa, quella che alcuni tendono talvolta a banalizzare con parole tipo “pronto da bere” ma che in realtà dovrebbe tradursi con il ben più complesso concetto di equilibrio gustativo; se non, ancor meglio, in una certa armonia espressiva.

Va da se che si aprono scenari abbastanza complessi, che viene piuttosto difficile sintetizzare in poche righe: elementi come le caratteristiche peculiari di certi varietali, il terroir, la coltura e le tecniche messe in campo per produrlo, come pure l’età stessa del vino, sono solo alcuni dei punti fermi da tenere in particolare considerazione per valutare al meglio il potenziale di una bottiglia. Un richiamo però a questi principi appare ogni volta indispensabile, irrinunciabile quando troppe volte disatteso.

Così per farla breve, e rendere a pieno l’idea di un vino – di un grande vino bianco in questo caso – che ritengo oggi, a mio modesto parere, in perfetta armonia espressiva, basterebbe puntare questo Fiano di Avellino Exultet 2009 di Quintodecimo¤. Ha un colore di gran fascino, di un paglierino appena maturo ma parecchio luminoso, col naso che offre un ventaglio di note varietali di una suggestione unica, di fiori di tiglio, acacia e timo, che si fa poi, lentamente, di pesca ed albicocca, di nocciola, camomilla e rimandi balsamici. Il sorso è di gran spessore, l’approccio è quasi denso ma intransigente, inesorabile e dritto, ricco di una matrice minerale preziosa e raffinata, di gran lunga piacevole.

Eccola l’acidità che non fuggo – né temo, anzi -, e il legno che non mi turba, incisivo ma affatto in evidenza, il manico che non discuto. Mai!

Mirabella Eclano, la vendemmia a Quintodecimo: si rinnova la giostra delle emozioni di Luigi Moio

5 ottobre 2011

Rimettere i piedi per terra, anzi letteralmente nella terra. Molti considerano Capri “il paradiso” – forse lo è -, ma dopo sette mesi sopra le nuvole era proprio necessario ritornare alla normalità, la mia normalità: camminare le vigne, respirare la terra.

Oggi è una splendida giornata, non poteva andarci meglio, e il paesaggio che si staglia all’orizzonte, in direzione Mirabella Eclano – nella più verde provincia irpina -, risulta ancora più gradevole e suggestivo di quanto normalmente possa apparire: il caldo sole, questa luce così splendente stamattina ne armonizza i colori ma al contempo esalta le sue forme, la sinuosa prospettiva di una terra unica: che bello!

A Quintodecimo¤ ci si arriva facilmente, appena una manciata di chilometri dopo l’uscita “Benevento” dell’autostrada A16, uno o due svincoli in direzione Taurasi, poi si prende per Mirabella Eclano. Cavolo! Ma come si fa a non tenere conto di quanto possono vedere, ammirare, rimanere stupiti, i propri occhi quando si arriva qui in contrada Cerzito. E lo senti già da prima – dall’aria che si respira, sottile, pungente, magica -, che qui è tutta un’altra storia.

E’ già tempo di vendemmia! Questa è la parte più bassa della vigna, quella che costeggia immediatamente la strada d’ingresso a Quintodecimo, in contrada Cerzito, sarà l’ultima ad essere raccolta ma comunque nella giornata di oggi. Quest’anno la vendemmia è anticipata, come del resto un po’ ovunque in Italia; i parametri analitici delle uve infatti dicono che sì, può bastare così; allora sotto con le cesoie e giù e su con il trattore.

Eccolo qua Felice, già una istituzione a Quintodecimo. E’ lui a scarrozzare per la vigna, di filare in filare a raccogliere le cassette di aglianico da portare subito in cantina per la cernita. “L’anno scorso è stata molto dura, la pioggia caduta pochi giorni prima del raccolto ci ha reso la vita impossibile, manco coi cingolati si poteva entrare in vigna”.

La collina infatti è particolarmente ripida, in alcuni punti scoscesa a tal punto da divenire persino pericolosa da girare in trattore; ma per fortuna quest’anno l’insistenza del bel tempo aiuta non poco le operazioni di raccolta e trasporto in cantina.

Eccolo qua l’aglianico di Quintodecimo. I frutti sono giunti a piena maturazione, più o meno con due settimane di anticipo sulle previsioni ma comunque perfettamente integri e polposi. Gli zuccheri premettono valori in alcol possibili intorno ai 14,5/15,5 gradi. “In genere – mi racconta Luigi – qui a Mirabella siamo sempre in anticipo di un paio di settimane rispetto ad altre località della denominazione, e questa vendemmia anticipata non fa altro che confermare la regola”. Così raccolti manualmente vengono adagiati in casse e subito portati in cantina dove avviene una cernita particolarmente minuziosa, talvolta spuntando acino per acino.

Ad oggi in cantina c’è già quasi tutta l’uva dell’azienda, manca in effetti di raccogliere solo il greco, mentre il fiano (di Lapio) è già tutto in casa, e oggi lo sarà anche tutto l’aglianico, come la falanghina. A tal proposito, mi piace segnalarvi che proprio di fronte all’azienda, Luigi e Laura hanno da poco rilevato un nuovo piccolo appezzamento dove a breve sarà piantata proprio della falanghina. Quando si dice migliorarsi.

Sapete, negli ultimi due-tre anni si è discusso molto dei vini di Quintodecimo, invero, a dirla tutta più per sbarcare il lunario che per altro. Tutti, ma proprio tutti – taluni addirittura a gamba tesa pur di smarcarsi, farsi notare -, si sono lanciati con una certa vis polemica, talvolta spudorata altre un po’ meno, rilanciando l’annosa questione “territorialità, autenticità e verità espressiva dei vini irpini” che qui – dicono – si farebbe fatica a cogliere. Ebbene, chi mai sarebbe il depositario della territorialità, dell’autenticità, di questa verità espressiva assoluta cui fare riferimento? Fuori il nome… Maddai…!

Come ho già avuto modo di dire altrove, io vedo Luigi Moio un po’ come Angelo Gaja, forte di una solida tradizione alle spalle – fatte le dovute proporzioni -, ma proiettato nel futuro con una propria idea chiara e precisa, millimetrica quasi, di ciò che esige dalle sue vigne ma soprattutto ciò che si aspetta dai suoi vini. Anche a costo di metterla in discussione per crearne una rinnovata, a suo modo, per sua idea, ancor più autentica.

Ma non è di questo che voglio parlarvi oggi, mettiamola così: adesso il più è fatto (più o meno)… adesso non rimane che aspettare. Sì Professore – dai! –, l’uva è finalmente in cantina, nelle tue mani, rimetti in moto la giostra delle emozioni che voglio sognare. Ancora una volta!

Mirabella Eclano, Vigna Cerzito 2001 e il fascino della primissima vendemmia a Quintodecimo

4 ottobre 2010

Mi passa davanti un fotogramma, immagino la vendemmia a Quintodecimo¤ nel 2001: Laura e Luigi, vestiti di tutto punto intenti a pestare coi piedi l’aglianico atto a divenire nettare con il quale brindare all’inizio della nuova avventura di Mirabella Eclano.

Luigi Moio - foto courtesy Laura Di Marzio

Ebbene si, sono passati già quasi dieci anni, e pensare che in molti si ostinano a rincorrere modelli preconfezionati pur di non faticare, spesso non hanno nemmeno un metro quadrato di vigna, a volte nemmeno un indirizzo, nella migliore delle ipotesi una buona cantina nelle vicinanze di casa dove comprano o si fanno fare il vino, imbottigliato e già etichettato, rivendicando poi – che faccia tosta! – di essere proprio loro “autentici”, i loro vini quelli “veri” o come capita sempre più spesso negli ultimi tempi – ahinoi la peggiore delle ipotesi – dei rivoluzionari.

Laura Di Marzio - foto courtesy of Laura Di Marzio

Per Quintodecimo è andata diversamente e chi oggi arriva lì in cantina¤ lo respira appena messi i piedi per terra, non appena varcata la soglia del giardino, appena Moio, con la sua disarmante dialettica, sale in cattedra: è questo il secondo fotogramma a cui mi rifaccio, Luigi¤ ama raccontarsi e raccontare mentre è affacciato sulla terrazza che dà direttamente sulla vigna; spende parole chiare, racconta di esperienze professionali fondamentali, di ricerche, microvinificazioni, zonazione (?), di emozioni reali che riesce a trasmettere con forza e precisione, ha tra le mani, le stesse che mentre parla muove nell’aria quasi ad accarezzarla, la storia dell’enologia campana e la porge con la stessa generosità con la quale l’ha immaginata, studiata, vissuta profondamente, lui sì rivoluzionata, prima di consegnarla oggi ai suoi numerosi posteri allievi.

Il Vigna Cerzito 2001 è stato il primo vino prodotto qui a Mirabella Eclano nonchè l’ultimo dall’omonima vigna¤, di oltre trent’anni, che proprio successivamente alla raccolta è stata completamente espiantata per far posto al nuovo sesto d’impianto secondo i precetti del professore. All’epoca l’idea di metterlo in bottiglia, dopo due anni di legni nuovi, nasceva dalla necessità di lasciare una traccia dell’inizio di tutto, non certamente dall’esigenza di fare vino, fattostà che queste bottiglie non hanno mai visto la porta della cantina, al massimo la tavola della cucina di Laura, che è solita offrire solo agli amici più cari. Un vino quindi mai commercializzato, nemmeno denominato, di cui però è bene, credo, lasciare traccia per piacere di cronaca, e perché se molti si rifanno a questo modello di aglianico, austero, asciutto, tannico, vigoroso, sia utile scrivere che proprio Moio sembra averlo superato, a Quintodecimo, da più o meno una decina di anni.

Quintodecimo, foto A. Di Costanzo

Il colore è maturo, l’unghia ha già ben espressa una chiara nuances aranciata, rimane però cristallino e di buona vivacità. Il naso è decisamente volto a note terziarie, cioè caratterizzato da sensazioni odorose – foglie secche, mallo di noce, terra bagnata, caffè tostato – dovute innanzitutto al lungo invecchiamento passato tra legno e bottiglia; all’assaggio è asciutto, austero, il tannino ancora recalcitrante ma avviato lentamente alla dissoluzione (chissà il nerbo della prima ora?), la beva è generosa ma fluida, marcata da una acidità sottile ma ancora percettibile, appena lievemente amarognolo sul finale di bocca.

Tant’é, pur non esprimendo la verticalità a cui si può fare tranquillamente affidamento nelle più recenti interpretazioni di Luigi, il Riserva Quintodecimo¤ 2004 ne è sintesi disarmante, la complessità, qui compressa da uno start up certamente non facile per una primissima vendemmia, offre una palese dimostrazione di come, pur partendo da una materia prima non di primissimo pelo, Moio sia capace, attraverso una sana ed ineccepibile interpretazione tecnica, la così tanta vituperata ma indispensabile mano dell’uomo, dare voce e lunga vita all’aglianico: eh già, quasi come in un film, professore di nome e di fatto! 

La calda estate degli Amici di Bevute: quando il Fiano di Avellino sorprende, conquista, delude.

26 luglio 2010

Appena qualche giorno fa vi ho raccontato di una spelndida serata¤ vissuta tra amici in quel dell’Abraxas¤ a Pozzuoli dove ci eravamo riuniti, di piacere e di gusto, per bere del buon Pinot Nero. Entusiasti di come era andata quella cena, ci eravamo ripromessi di rivederci appena possibile per un nuovo appuntamento, stavolta centopercento bianchista; tra un sms e l’altro, è venuto fuori di puntare una dozzina di fiches bottiglie sul fiano.

Premessa: Qualcuno avrà pensato di apparire troppo originale nel portare con se bottiglie non Irpine, cosicchè alla fine ci siamo ritrovati con 11 vini dei quali 10 Fiano di Avellino ed uno solo, Il Cumalè di Pasquale e Betti Mitrano di Casebianche, del Cilento. Vatti a fidare del buon intuito…

Prologo: ognuno si è preoccupato di procurare almeno tre bottiglie di vino, opportunamente celate da carta stagnola e decapsulate. Al momento dell’arrivo a casa di Gerardo ed Emanuela sono state consegnate nelle mani di una persona che successivamente non ha partecipato alla degustazione (e neppure siedeva tra noi) che ha provveduto a numerarle e poi di volta in volta a consegnarle alla tavola. Tutto questo pragmatismo, sia ben chiaro, non è stato messo su per ostentare certe “pippe mentali” sulla tecnica della degustazione alla cieca (che tanto ci piace ma che in queste serate preferiamo relegare al noncipuofregardemeno!) ma piuttosto perchè se divertimento doveva essere volevamo che lo fosse fino in fondo.

Questo il risultato a latere di un piacevolissimo convivio tra Amici di Bevute; la sequenza dei primi cinque vini esprime quello che potremmo definire “il podio”, in base ad una loro valutazione in termini di franchezza, integrità e piacevolezza. Gli altri vini, alla luce di quanto espresso, vengono ritenuti praticamente alla pari seppur alcuni di essi ci sono apparsi in chiara difficoltà, qualcuno addirittura rovinato.

Fiano di Avellino 2008 Colle di San Domenico, un vino davvero delizioso, assai piacevole, di una freschezza memorabile ed una franchezza incredibile. Ci ha conquistati tutti, all’unanimità e senza riserva alcuna. Dal bellissimo colore cristallino ai profumi freschi e profondamente varietali, alla distanza anche di una particolare ampiezza ed eleganza. L’impressione è di una materia prima di altissimo lignaggio e molta poca tecnica in cantina se non lo stretto necessario, da manuale insomma.

Fiano di Avellino Exultet 2008 Quintodecimo, della serie, già un classico? I vini di Luigi Moio come pochi riescono a dividere (non si capisce perchè :-)) ma come pochissimi altri riescono ad esprimere una tale perfezione tecnica. Un vino infinito, impressionante per la materia che esprime, in bocca più che al naso. Dal bellissimo colore paglierino carico, al naso è carezzevole e suadente, intenso, ampio e profondo, giocato su di una eleganza di rara fittezza. E’ buono, ma buono per davvero, come il pane!

Fiano di Avellino Pietracalda 2009 Feudi di San Gregorio, tecnicamente perfetto, molto piacevole, nessuna sbavatura. Ottimo compagno a tutto pasto di grasse bevute, nessun sussulto se non il pensiero di come in Feudi di San Gregorio stiano percorrendo una strada di crescita qualitativa costante, espressa a mani basse da una gamma di vini, ormai prodotti in quantità certamente industriale ma che difficilmente risultano inaffidabili. Per palati al primo approccio con il varietale, ammiccante.

Fiano di Avellino Colli di Lapio 2007 Romano Clelia, l’annata calda non l’aiuta certamente ad esprimere il meglio di se, di un terroir assolutamente d’elezione per il varietale e senz’altro di riferimento per il movimento bianchista in Campania, ma val bene l’assaggio. Il colore è un tantino surmaturo, già tendente all’oro, il naso è un effluvio di sensazioni dolci, molto piacevoli a dire il vero, ma guai a lasciare andare la temperatura sopra la soglia ottimale dei 10-12 gradi, il ventaglio olfattivo ai più potrebbe risultare stucchevole se non addirittura spiacevole. Buono il palato, manchevole in profondità, non in acidità.

Fiano di Avellino 2009 Cantina Astroni, il padrone di casa naturalmente non ha resistito alla tentazione di infilare in batteria una delle sue bottiglie. Sulla falsa riga del Fiano di Colle di San Domenico abbiamo ritrovato in questo vino estrema piacevolezza. Naso molto invitante, palato pulito, fresco, di gran bella beva. Non un vino lunghissimo in bocca, ma certamente impossibile da confondere. Ottimo passaggio, di certo il pensiero che questo è solo il secondo anno nel quale Gerardo si cimenta in tutto e per tutto nella vinificazione di Fiano di Avellino è foriero di ottimi auspici per il futuro aziendale, soprattutto perchè le uve hanno origine in un’areale ben esposto della denominazione, a Montefalcione.

A margine, come detto, Il Vintage 2002 di Mastroberardino (risultato di tappo), il Cumalè 2009 di Casebianche che non ci ha convinti ma siamo certi che si sia trattato di una bottiglia poco espressiva. Nando Salemme ci ha tenuto a sottolineare che ne aveva goduto appena la sera prima ed era di tutt’altra pasta, io stesso ho avallato tale opinione essendo un convinto fan dei vini¤ di Pasquale e Betti Mitrano. Il Vigna Pezze 2007 di Struzziero invece non è per niente pervenuto: un vino decisamente greve, assolutamente inespressivo, ma qui la qualità della bottiglia c’entra poco.

Ci è dispiaciuto invece non aver potuto godere e dissertare di Bambinuto, piccola realtà (in verità specializzata sul Greco di Tufo) in buona crescita, ma la bottiglia di Fiano aperta ci ha letteralmente sconvolto: crediamo essersi trattato di un serio problema che speriamo non comune ad altre bottiglie in giro, il vino era praticamente rancido, il colore sull’ambrato, assolutamente svanito al naso.

Una considerazione a parte meritano i due Fiano di Avellino di Ciro Picariello e Guido Marsella, entrambi 2006 ed inaspettatamente relegati – ad unanimità – in fondo alla classifica. Del valore dei due “winemaker” ne abbiamo piena coscienza soprattutto per la ventata di nuovo ideologico sul varietale (addirittura avvicinabile – in certe annate – al Riesling della miglior Mosella¤) che sono stati capaci di affermare soprattutto negli ultimi quattro-cinque anni in Campania; non è da meno l’enorme considerazione che nutriamo per il terroir di Summonte che i suddetti, con i propri vini, rappresentano in maniera più che egregia, in certe annate davvero con esecuzioni eccezionali; questa omogeneità espressiva però sembra tanto una costante di primissimo pelo nelle grandi annate quanto un limite invalicabile in quelle definite “minori”.

Di Picariello rimane indimenticato indimenticabile il 2004, di Guido Marsella oltre al vino, la sua storia personale che lo ha consegnato ad esso e immediatamente consacrato come il “rookie” più interessante dell’ultimo ventennio; una storia contornata tra le altre cose da una passione infinita, tanto da farlo decidere di rompere col passato per tuffarsi, letteralmente, in vigna.

Insomma, il millesimo 2006 non è stato per niente tenero con il fiano e la diluizione del frutto che si palesa nei bicchieri non ci offre certo spunti di riflessioni entusiastiche, ma per dirla tutta, un semino di assennatezza lo vogliamo lanciare: è proprio tutta colpa dell’annata o c’è dell’altro? Inoltre, questo limite, siamo disposti in tutto e per tutto ad accettarlo accontentarci o tecnicamente si potrebbe fare di più? E cosa direste se vi avessero detto che prima di berle queste stesse bottiglie avreste dovuto aspettarle almeno per tre-quattro anni, con tale risultato nel bicchiere?

Hanno partecipato al convivio, per precisione di cronaca: il sottoscritto, Vanna Ambrosino e Nando Salemme (ristoratori, il secondo sommelier professionista), Emanuela Russo (sommelier), Lilly Avallone (sommelier professionista), Gerardo Vernazzaro (enologo), Rosaria Fiorillo (sommelier)  oltre che alcuni Amici di Bevute particolarmente appassionati.

Aeclanum, Quintodecimo parte II: la cantina

4 dicembre 2009

Il primo particolare della piccola e suggestiva cantina di Quintodecimo a Mirabella Eclano che mi è saltato subito agli occhi. I tini di acciaio dove avvengono le vinificazioni sono di dimensioni piccole, a sottolineare la maniacale ricerca del prof. Moio nelle vinificazioni attente e parcellizzate da vigna a vigna se non addirittura  di filare in filare…

La barriccaia è composta da soli legni nuovi francesi per i diversi cru di aglianico atti a divenire Taurasi, così nasce per esempio il Vigna Quintodecimo. E’ molto affascinante seguire il percorso lungo i corridoi che porteranno negli anni i vini ad affinare di sala in sala sino a raggiungere l’area di imbottigliamento e confezionamento. 

Questa è una novità assoluta per me. Qui a Quintodecimo si eliminano dalla linea di imbottigliamento le “teste” e le “code” , sì proprio come si fa classicamente per i distillati di pregio. Vengono poi conservate privatamente dal prof. Moio come archivio storico.

Tutti i vini dell’azienda, la Falanghina Via del Campo, il Fiano di Avellino Extulet, il Greco di Tufo Giallo d’Arles, l’aglianico Terra d’Eclano ed il primo Taurasi commercializzato, il Riserva Vigna Quintodecimo prima di varcare la soglia della cantina vengono lasciati riposare in queste ampie casse di legno per smaltire lo stress da imbottigliamento.

Una cosa è certa, qui nulla è lasciato al caso…


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