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La rivincita del Greco di Tufo passa anche dal Giallo d’Arles 2018 di Quintodecimo

10 aprile 2020

Ad Arles van Gogh aveva scoperto la luce, la potenza del sole, l’importanza del giallo capace di esprimere nei suoi dipinti tutta la profondità della sua arte. Ad Arles, nella sua ”La camera di Arles¤” dell’ottobre 1888, Vincent van Gogh allenta finalmente le briglie della sua abilità tecnica lasciando vibrare tutto il suo straordinario talento: niente più puntini, niente più tratteggi, niente, solo colori in armonia. Ed è proprio qui che il suo giallo diviene davvero particolare, un giallo unico, preludio del rosso, il Giallo d’Arles…

Il Greco di Tufo è forse il vino bianco più rappresentativo della Campania, tra i primi, già negli anni ’70 a fregiarsi della doc e a varcare la soglia regionale e sbarcare così in tutto il mondo. Tutto nasce in un territorio abbastanza circoscritto in provincia di Avellino, siamo in Irpinia, dove sono infatti solo 8 i comuni ammessi alla produzione del Greco di Tufo: oltre a Tufo, che dà anche il nome alla denominazione, oggi docg, vi rientrano Altavilla Irpina, Chianche, Montefusco, Prata di Principato Ultra, Petruro Irpino, Santa Paolina e Torrioni.

Il protagonista è quindi il Greco, un vitigno abbastanza complicato da coltivare ma soprattutto di difficile gestione in cantina: ha generalmente un grappolo compatto, buccia sottile, un ciclo vegetativo piuttosto lungo, nulla di più complesso da gestire in vigna soprattutto con le attuali condizioni climatiche estremamente variabili che sembrano promuovere attacchi parassitari, muffe e deficit di maturazione dell’uva. Che poi da molti tecnici viene considerato un rosso vestito di bianco, per la cura e le attenzioni che richiede anche in vinificazione, con mosti sempre molto ricchi, contraddistinti da spiccata acidità, generalmente caratterizzati da un colore cupo che varia tra il bruno e il marrone, peraltro particolarmente sensibili all’ossigeno e alle filtrazioni che già di loro incidono considerevolmente nella piena salvaguardia del patrimonio organolettico di un vino.

Anche per questo molti vini vengono generalmente vinificati e affinati esclusivamente in acciaio, così da limitare le movimentazioni delle masse in cantina e preservarne così, il più a lungo possibile, soprattutto l’integrità aromatica e la freschezza gustativa a discapito forse di operazioni che ne favoriscano la struttura e magari un più ampio potenziale espressivo. Una visione questa che non ci sentiamo certo di condannare, che ha però indubbiamente tenuto a freno per molti anni il reale potenziale di questo vitigno e questo straordinario territorio lasciando nel tempo emergere altre varietà e altri vini bianchi campani che si sono poi velocemente imposti sul mercato.

Pensiamo al successo, a tratti abbagliante, del Fiano di Avellino, vino che ha vissuto con grande slancio due decenni pieni di successi, tra gli anni novanta/duemila e poi, ancora, in quelli successivi il duemiladieci, allargando di parecchio la sua ombra proprio sul Greco, non fosse altro per la contigua provenienza territoriale irpina; più recentemente, per citarne ancora uno di esempio, anche la Falanghina ha saputo ben affermarsi, con i numeri del Sannio e la tipicità dei Campi Flegrei, sottraendo anche in questo caso fette di mercato un po’ a tutti gli altri vini bianchi campani sulla scena.

Ma il Greco sa essere molto altro, se appare infatti timido e dimesso nei suoi primi anni, con buone velleità evolutive per 4/5 anni, diviene praticamente immortale quando viene interpretato al meglio, a partire certo dalla vigna, non senza passare però da una fase di lavorazione che richiede accortezza, conoscenza e mezzi tecnici in cantina affinché a finire in bottiglia ci arrivi solo il meglio, tirando fuori così vini con profumi ampi e suggestivi e un sapore intenso e sempre coinvolgente, dal respiro originale, profondamente gratificante nella beva, proprio come ci ha abituato, tra gli altri, anche Luigi Moio nelle sue raffinate ”letture”, ogni anno sempre più affascinanti e stimolanti.

Questo di Quintodecimo è un vero e proprio Cru prodotto con le uve provenienti dalla tenuta del Giallo d’Arles di Tufo, 12 ettari piantati tutti a Greco, allevati a Guyot, da dove ci sembra venire fuori, con questo duemiladiciotto, una delle più autentiche loro versioni di Greco di Tufo degli ultimi anni; un vino dal colore luminoso e invitante, che sa di pesca gialla e pompelmo, di caprifoglio e citronella, dove emergono perentorie il frutto e il territorio, proprio grazie alle abilità tecniche¤, la profonda conoscenza del territorio e del varietale, l’uso intelligente e misurato del legno, che consentono a Moio di portare in bottiglia tutta l’anima e l’energia di questo pezzo d’Irpinia, intessuti, potremmo dire, senza più puntini, niente più tratteggi, nessuna sovrastruttura ma solo grande armonia, come fossero un lungo e prezioso filo ritorto del bisso!

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Fiano di Avellino Exultet 2012 Quintodecimo

19 gennaio 2015

Fiano di Avellino Exultet 2012 Quintodecimo - foto A. Di Costanzo

Non deve essere facile per Luigi Moio alzare l’asticella qualitativa dei suoi vini anno dopo anno, eppure anche il palato più distratto riesce a cogliere nei suoi vini ad ogni nuovo passaggio qualcosa di sorprendente e diverso.

L’Exultet 2012 racconta con maggiore franchezza le suggestioni dell’anno precedente quando già con il 2011¤ si coglieva nei bianchi di Quintodecimo maggiore spessore e finezza anzitutto del frutto. Non a caso Via del Campo¤ rimane di gran lunga la migliore falanghina attualmente in circolazione mentre il successo di bevute del Giallo d’Arles¤, il greco di Tufo di casa, non trova che pochissimi eguali sul mercato. E mentre sull’aglianico¤ i tempi sono assai lunghi e il professore qui si gioca volentieri tutta la vita, col fiano sembra stracciare a mani basse tutte le misure ad ogni vendemmia.

Si sa che il fiano più delle altre varietà tradizionali bianche campane ha le qualità per potersi misurare con il tempo, e qui la caratura è quella di un vino di grande proiezione, destinato ad una lenta evoluzione e per questo più longevo. Anche se certe bottiglie viene da berle non appena ti arrivano tra le mani, come se non ci fosse un domani.

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Greco di Tufo Giallo d’Arles 2012 Quintodecimo

4 marzo 2014

Ad Arles van Gogh aveva scoperto la luce, la potenza del sole, l’importanza del giallo capace di esprimere nei suoi dipinti tutta la profondità della sua arte.

Greco di Tufo Giallo d'Arles 2012 Quintodecimo - foto A. Di Costanzo

Al di là delle innumerevoli opere dipinte in quel periodo ‘La camera di Arles’¤ dell’ottobre 1888 viene considerata dal pittore stesso ‘uno dei suoi più riusciti’ dove ‘l’abilità tecnica è assai più semplice e al contempo energica: niente più puntini, niente più tratteggi, niente, solo colori in armonia’.

Il greco di Tufo si sa viene considerato un vitigno complicato da coltivare ma soprattutto di difficile gestione in cantina: ha generalmente un grappolo compatto, buccia sottile, un ciclo vegetativo piuttosto lungo. Che poi da molti viene considerato un rosso vestito di bianco, per la cura che richiede anche in vinificazione, con mosti molto ricchi, generalmente dal colore che varia tra il bruno e il marrone, peraltro particolarmente sensibili all’ossigeno.

Forse anche per questo molti greco di Tufo vengono vinificati e affinati esclusivamente in acciaio, così da preservarne il più a lungo possibile soprattutto l’integrità aromatica. Ma il greco sa essere molto altro, timido e dimesso nei suoi primi anni, con buone velleità nei suoi successivi 4/5 anni, dacché diviene praticamente immortale.

In fondo Luigi Moio col Giallo d’Arles¤ oltre alla fissa della ‘Casina Gialla’ che finalmente potrà realizzare nella sua vigna a Tufo, sapeva benissimo, sin dall’inizio, che lentamente l’abilità tecnica¤, soprattutto saperci fare con il legno, negli anni, avrebbe naturalmente lasciato il posto all’energia varietale: niente più puntini, niente più tratteggi, niente, solo grande armonia! E il primo assaggio è solo l’inizio, il meglio deve ancora venire.

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Fiano di Avellino Exultet 2010 Quintodecimo

9 dicembre 2013

Non c’è che dire, le bottiglie di Luigi e Laura hanno decisamente bisogno di spazio davanti, hanno bisogno di una lunga progressione nel tempo per distendersi ed affinarsi. Ancor più le annate recenti.

Fiano di Avellino Exultet 2010 Quintodecimo

Sontuoso l’Exultet 2010, sontuoso e al tempo stesso vibrante mi viene da aggiungere. Un fiano di Avellino dal profilo organolettico di un tale spessore da rimanerci di sasso, soprattutto se ti capita servito alla cieca in mezzo ad altri quattro Campioni di tutto rispetto. Vino dal naso prorompente, che un po’ lo cogli già dal colore bello luminoso e carico che ti debba qualcosa di particolare: si rivela pieno, verticale, complesso, finissimo.

A giocare coi ricordi ci senti dentro tutta la frutta gialla che conosci a menadito, matura e succosa, camomilla e tiglio, ci cogli sensazioni dolci e quel rintocco un po’ agrumato un po’ balsamico che fa rinvenire tutto a primitiva freschezza. Quanto è buono te ne accorgi sin dal primo sorso: l’attacco è vivace e l’allungo carnoso e minerale, tremendamente sapido. Bianco impressionante per fittezza, eleganza, equilibrio. Ma c’è di più: che abbia fatto (in parte) legno lo sai solo quando tiri via la stagnola dall’etichetta.

E questo è un’altro grande merito del lavoro di Luigi mai contento dei risultati nonostante il grande successo, un uso sempre più misurato del legno e come sempre mai fine a se stesso. Ecco, puoi credere di essere bravo, puoi pensare di saper già tutto del fiano, dei fiano, quelli migliori, autentici. Puoi tranquillamente continuare a farlo ma tieni in conto che non sarà mai abbastanza!

Quintodecimo, a casa di Laura e Luigi

23 febbraio 2013

I passaggi¤ a Quintodecimo non sono mai ripetitivi, mi portano bene e danno ogni volta quella scossa necessaria per cogliere al meglio quelle nuove prospettive necessarie in un mondo sempre troppo avvitato su se stesso. Il piacere di stare assieme, le storie, la musica, quella dell’anima, alla fine ci salvano tutti!

Luigi Moio, Quintodecimo - foto A. Di Costanzo

Ne lascio qualche traccia non per pavoneggiarmi dell’amicizia di Laura e Luigi, persone per bene, disponibili ed intelligenti quanto basta per fare di ogni attento visitatore il migliore degli ospiti possibili, ma per anticipare a quegli stessi appassionati che vorranno andarci prossimamente, una o due cose abbastanza rilevanti con in più un paio di novità da non mancare.

La prima cosa è che l’azienda è sempre più bella, pure quando la vigna è spoglia, con la cantina, ordinatissima e suggestiva, praticamente vuota! Nel senso che a parte le vasche e i legni con le nuove annate in affinamento e le riserve di Taurasi in elevazione, niente, non v’è traccia di bottiglie se non quelle di prossima uscita in Marzo; e l’archivio storico naturalmente, che però, da quanto confessato da Laura, bene farebbe Moio a tenersele sottochiave. In tempo di crisi, direi che non è poco.

Quintodecimo, passaggio in cantina - foto A. Di Costanzo

La seconda constatazione – che poi sono due – sta nell’aver colto, durante gli assaggi dei cru 2011 in bottiglia e 2012 in affinamento tra vasche e legno, un “alleggerimento” sostanziale del sorso a favore però di una profondità gustativa di notevole rilevanza, così, d’emblé, assai più immediatamente incisiva al primo assaggio che nelle precedenti uscite. Un vero schiaffo!

Ne sono testimonianza, nella loro chiara diversità, la falanghina Via del Campo duemilaundici che sembra avere già tutti i numeri a posto per sparigliare le carte in tavola: luminosa, verticale, ineccepibile e l’Exultet 2012, la cui parte in affinamento in legno sembra chiaramente “urlare” di finire in bottiglia sin d’ora così com’è. Non a torto (nostro).

E’ chiaro che questi ultimi 5 anni sono serviti al Professore per avere piena contezza di quanto dicessero le sue idee e le scelte portate avanti con ragionevole fermezza; che, per coglierne sommariamente una vaga idea basterebbe riassaggiare il sorprendente Exultet 2006¤, il primo, per comprendere a pieno quanto il fiano, ma lo stesso aglianico¤ o il greco, la falanghina nelle mani di Moio avranno tanto da dire soprattutto nei prossimi anni a venire. Una roba da non credersi, un vino in grande forma, sbocciato imperiosamente ed in piena voluttà espressiva.

Fiano di Avellino Exultet 2006 Quintodecimo - foto A. Di Costanzo

Dicevo poi delle novità: una è l’arrivo ormai imminente del secondo cru di Taurasi Riserva, il Grande Cerzito¤ 2009 in uscita si pensa il prossimo novembre 2013, di cui però, come sugli altri rossi, scriverò dettagliatamente a breve; l’altra è l’acquisto di tre ettari e mezzo di vigna a greco nel cuore di Tufo, l’anima più antica forse della denominazione che sarà del Giallo d’Arles¤, quel campione di cui da un paio d’anni faccio davvero fatica a stare senza. Cru era, da una sola vigna di Santa Paolina, cru rimarrà, ma ora, finalmente, di proprietà. Che dopo l’impianto di qualche anno fa proprio a Mirabella Eclano di falanghina (il 2011 già reca in etichetta l’Irpinia doc) ed il consolidamento della conduzione in Lapio con la vigna che da vita all’Exultet, sembra chiudersi il cerchio magico dei domaines di Quintodecimo.

Poi vabbè, ci sarebbe da dire di quel Metamorphosis, ma questa è un’altra bella storia non ancora da svelare.

Fiano & Fiano di Avellino 2010. Eccone 8, tutti in riga, in attesa di buttare il cuore oltre l’ostacolo

1 ottobre 2012

Tra qualche settimana ritornerà finalmente una delle più interessanti kermesse del vino irpino, BianchIrpinia. Così, nel prepararmi alle scorribande su e giù per la “Terra dei lupi” vado da qualche tempo riassaggiandomi alcuni capisaldi tra cui molti in degustazione in quei giorni col nuovo millesimo duemilaundici.

Iniziamo col fiano di Avellino. La successione con la quale vi presento alcuni dei miei migliori assaggi di quest’anno è random, non ha pertanto nessun valore di merito particolare; le impressioni descritte, ci tengo a precisarlo, richiamano o completano appunti di degustazione messi giù durante tutta l’estate ma fotografano ognuna delle etichette al loro ultimo assaggio datato non più di quindici giorni fa.

Fiano di Avellino Colli di Lapio 2010 Romano Clelia. “Quella che si firma con cognome e nome” rimane un riferimento indiscusso per chi, avvicinandosi al fiano di Avellino, non vuole cedere al fascino dell’imprevisto. Un bianco di spessore il duemiladieci della “Signora del Fiano”, un poco in ritardo sull’equilibrio al palato, un tantino scomposto ma che offre certamente una validissima lettura del millesimo lì a Lapio, tra gli ultimi non proprio il più semplice da interpretare. Chiede un po’ di tempo.

Fiano di Avellino Vigna della Congregazione 2010 Villa Diamante. Ed ecco, secca, la smentita a quanto appena detto! Diciamolo subito: in questo momento è la punta più alta del millesimo di cui poter godere a pieno; è ovvio che ha tutta la stoffa per sbaragliare il tempo a mani basse, ma per quanto appare godibile ed espressivo il fiano di Antoine Gaita e Diamante Renna già oggi è una gran fortuna da non lasciarsi scappare. E’ chiaramente una spanna sopra tutti gli altri, per intensità, densità e profondità.

Fiano di Avellino 2010 Ciro Picariello. Naso quasi impertinente, diversamente varietale verrebbe da dire, tale, alla cieca, da confonderne l’approccio. Sa però come allungarsi senza apparire troppo distante dalla sostanza, essenzialmente sapida; è bella pimpante questa uscita di Picariello, un fiano snello, ancora “verde” ma pieno di vitalità.

Fiano di Avellino Exultet 2010 Quintodecimo. Per quanto mi riguarda il 2009 rimane al momento insuperato, per equilibrio, profondità, prospettiva. Dovessi scegliere di bere un bianco duemiladieci di Luigi infatti preferirei, al fiano, di gran lunga lo splendido greco di Tufo Giallo d’Arles. L’Exultet 2010 è in divenire, il naso ne avrebbe ma appare ancora ermetico, mentre il sorso pare già farla da padrone. Ciò gli costa in equilibrio, ma ci invita a non avere fretta, quella fretta che rischia però di farci rimanere senza. Puntualmente, ogni anno!

Fiano di Avellino Particella 928 2010 Cantine del Barone. Un po’ troppo “avanti” sui tempi il bel fiano di Luigi Sarno; non manca certo di una buona tensione acida ma tra quelli bevuti esce fuori come il bianco più maturo della batteria: ha un naso estremamente “didattico” e, a tratti, assai avvenente, di acacia e nocciola in particolare. Il sorso è ben bilanciato ma chiude forse un po’ troppo “caldo”, mancando di quel guizzo tanto coinvolgente nel precedente duemilanove.

Fiano di Avellino Radici 2010 Mastroberardino. “Ottima prestazione!” per dirla con le parole del telecronista sportivo di turno. Impeccabile l’esecuzione, altrettanto la cifra stilistica: varietale, vivace, fresco al palato, riconoscibile tra i più conosciuti. Mi sa però che tra qualche mese avrà ancor più cose da dire, vale quindi la pena, anche qui, aspettarlo.

Campania bianco Campanaro 2010 Feudi di San Gregorio. Ne avevo tessuto le lodi già un anno fa, praticamente al suo debutto sulla scena. E’ ormai una certezza che va rinnovandosi il Campanaro dei Feudi, vivace, cristallino, dal naso sempre interessante e dal sorso voluttuoso, austero e adulatore. Invero, ci si aspetterebbe dopo un anno ancora di bottiglia, uno scatto in avanti, un cambio di passo che però tarda ad arrivare; ciononostante quello che è a tutti gli effetti il bianco di punta dell’azienda di Sorbo Serpico rimane un acquisto sempre azzeccato. Diciamo pure una buona tappa intermedia di avvicinamento.

Campania bianco Cupo 2010 Pietracupa. Vaglielo a spiegare alla gente quanto costa a Sabino Loffredo fare il Cupo così buono com’è. Ma che vino amici miei! Ha tutta la verve di quei bianchi taglienti e pungenti che un tempo il mercato pareva rifiutare a prescindere; sin dal naso, balsamico e minerale ma poi soprattutto in bocca, teso e vitale, fa incetta di meraviglia, si distende senza preoccuparsi minimamente del rischio “dipendenza”. Ha stoffa e carattere, forse meno grasso dei Cupo precedenti ma, come il fuoriclasse tra i migliori in campo, lascia a bocca aperta sulla pregevole giocata di fino sul finale.

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BianchIrpinia 2012 è promossa dall’agenzia di comunicazione integrata Miriade & Partners S.r.l. insieme alle aziende partecipanti per presentare a stampa specializzata nazionale ed internazionale e agli operatori di tutta Italia le nuove annate di Fiano di Avellino e Greco di Tufo Docg. Si terrà ad Aiello del Sabato da giovedì 15 a Lunedì 19 Novembre 2012.

Per tutte le informazioni del caso
MIRIADE & PARTNERS SRL
Diana Cataldo – tel. 329.9606793
Massimo Iannaccone – tel. 392.9866587
E-mail: ufficiostampa@miriadeweb.it
Sito internet: www.bianchirpinia.it 
 

Greco di Tufo Giallo d’Arles 2009 Quintodecimo!

20 Maggio 2012

Credo avesse dalla sua una possibilità forse unica, concessa solo a pochi eletti, anche se non sempre di immediata comprensione. Poteva, con Laura, decidere di produrre a Mirabella Eclano questo e tutti gli altri vini senza una specifica denominazione territoriale, quel riferimento tanto ricercato da molti, evocativo, talvolta necessario secondo alcuni come fosse dovuto, eppure quante volte l’abbiamo visto depredato per soli fini commerciali.

Ha sbagliato quindi Luigi Moio¤? E chissà che non ci stia ripensando…*

Da un lato ci sono terre e vigne straordinariamente suggestive, e varietali che la dicono lunga. Dall’altro, la mano e il tempo, che consegnano ai bicchieri ogni anno vini finissimi; poi ci sono gli addetti ai lavori, molti non hanno perso tempo nel coglierli, interpretarli, descriverli ognuno a loro piacere. Pro o contro non fa alcuna differenza, certuni han voluto addirittura aggiungere qualcosa, una sfida personale al professore, talvolta nel bene, altre nel male. Però tutti si sono comunque guadagnati il loro quarto d’ora di notorietà (cit.), grazie ai vini di Luigi e Laura.

Eppure qualcosa non mi torna: “fare vini senza avere lacci”, si dice. “La denominazione ci sta spesso stretta”, c’è chi ribadisce. E invece… ma com’è, non dovrebbe essere così anche a Quintodecimo¤? Sappiamo o no tutti di quella precisa timbrica personale, addirittura firmata in calce? Eppure, bicchiere alla mano, bevi sto vino e pensi subito a quelle meravigliose vigne a Santa Paolina baciate dal sole. Massì, è semplicemente un paradosso, uno dei tanti, come spiegarlo altrimenti. Un territorio, un microcosmo, fuori dal mondo!

E se invece oltre il greco di Tufo che conosciamo conoscevamo c’è dell’altro? Il fatto è che con le prime bottiglie del 2006 c’era da scegliere e anziché giocare d’azzardo si preferì lasciarsi individuare, scegliere tra i tanti fiano di Avellino, greco di Tufo, aglianico e Taurasi invece di rimanere più semplicemente unici artefici di un bianco Exultet o Giallo d’Arles piuttosto che un rosso Terra d’Eclano o Vigna Quintodecimo¤: il territorio, abbracciare l’idea dell’insieme, della valorizzazione di un areale, delle denominazioni piuttosto che se stessi, solo se stessi. Quanto è valsa questa scelta?

Per quanto mi riguarda tanto, il sistema ha sempre bisogno di nuovi interpreti capaci di aggiungere qualcosa di nuovo o innovativo, ma anche semplicemente di diverso. E frattanto io non ricordo un greco di Tufo così profondo e pienamente espressivo come questo, che salta al naso e ti riempie la bocca dal primo all’ultimo sorso. Ha una maturità impressionate, stilisticamente inequivocabile eppure di forte, fortissima personalità e persistenza varietale. Una visione territoriale dunque, ma a suo modo unica.

Quello di Van Gogh – dice un recente studio europeo su alcune sue opere – sta progressivamente perdendo brillantezza, si sta spegnendo. Questo invece è un Giallo d’Arles luminoso e cristallino. Il naso, sin da subito comincia a tirare fuori una miriade di sfumature sottili e insistenti, di fiori e frutta gialli ma anche note speziate piacevoli. Ginestra e glicine, poi prugna, pesca ed albicocca mature, cedro, ma anche un soffio di camomilla e zenzero candito. Il sorso è asciutto e avvolgente, largo, fresco e minerale, lungo e persistente, di infinita piacevolezza.

Giuro che vorrei averne ancora, ahimè però non si riesce per davvero a metterne via una che dico una. Anche questo è un paradosso tutto da disvelare: non è certamente a buon mercato, come del resto tutti i vini dell’azienda; dicono addirittura che siano cari, eppure, credetemi, non si riesce a stargli dietro tanto se ne vendono.

*Ci pensavo con in mano le nuove etichette 2010, con la scritta dei nomi dei vini ancora più grande e quella delle denominazioni ancora più piccola.

Mirabella Eclano, la vendemmia a Quintodecimo: si rinnova la giostra delle emozioni di Luigi Moio

5 ottobre 2011

Rimettere i piedi per terra, anzi letteralmente nella terra. Molti considerano Capri “il paradiso” – forse lo è -, ma dopo sette mesi sopra le nuvole era proprio necessario ritornare alla normalità, la mia normalità: camminare le vigne, respirare la terra.

Oggi è una splendida giornata, non poteva andarci meglio, e il paesaggio che si staglia all’orizzonte, in direzione Mirabella Eclano – nella più verde provincia irpina -, risulta ancora più gradevole e suggestivo di quanto normalmente possa apparire: il caldo sole, questa luce così splendente stamattina ne armonizza i colori ma al contempo esalta le sue forme, la sinuosa prospettiva di una terra unica: che bello!

A Quintodecimo¤ ci si arriva facilmente, appena una manciata di chilometri dopo l’uscita “Benevento” dell’autostrada A16, uno o due svincoli in direzione Taurasi, poi si prende per Mirabella Eclano. Cavolo! Ma come si fa a non tenere conto di quanto possono vedere, ammirare, rimanere stupiti, i propri occhi quando si arriva qui in contrada Cerzito. E lo senti già da prima – dall’aria che si respira, sottile, pungente, magica -, che qui è tutta un’altra storia.

E’ già tempo di vendemmia! Questa è la parte più bassa della vigna, quella che costeggia immediatamente la strada d’ingresso a Quintodecimo, in contrada Cerzito, sarà l’ultima ad essere raccolta ma comunque nella giornata di oggi. Quest’anno la vendemmia è anticipata, come del resto un po’ ovunque in Italia; i parametri analitici delle uve infatti dicono che sì, può bastare così; allora sotto con le cesoie e giù e su con il trattore.

Eccolo qua Felice, già una istituzione a Quintodecimo. E’ lui a scarrozzare per la vigna, di filare in filare a raccogliere le cassette di aglianico da portare subito in cantina per la cernita. “L’anno scorso è stata molto dura, la pioggia caduta pochi giorni prima del raccolto ci ha reso la vita impossibile, manco coi cingolati si poteva entrare in vigna”.

La collina infatti è particolarmente ripida, in alcuni punti scoscesa a tal punto da divenire persino pericolosa da girare in trattore; ma per fortuna quest’anno l’insistenza del bel tempo aiuta non poco le operazioni di raccolta e trasporto in cantina.

Eccolo qua l’aglianico di Quintodecimo. I frutti sono giunti a piena maturazione, più o meno con due settimane di anticipo sulle previsioni ma comunque perfettamente integri e polposi. Gli zuccheri premettono valori in alcol possibili intorno ai 14,5/15,5 gradi. “In genere – mi racconta Luigi – qui a Mirabella siamo sempre in anticipo di un paio di settimane rispetto ad altre località della denominazione, e questa vendemmia anticipata non fa altro che confermare la regola”. Così raccolti manualmente vengono adagiati in casse e subito portati in cantina dove avviene una cernita particolarmente minuziosa, talvolta spuntando acino per acino.

Ad oggi in cantina c’è già quasi tutta l’uva dell’azienda, manca in effetti di raccogliere solo il greco, mentre il fiano (di Lapio) è già tutto in casa, e oggi lo sarà anche tutto l’aglianico, come la falanghina. A tal proposito, mi piace segnalarvi che proprio di fronte all’azienda, Luigi e Laura hanno da poco rilevato un nuovo piccolo appezzamento dove a breve sarà piantata proprio della falanghina. Quando si dice migliorarsi.

Sapete, negli ultimi due-tre anni si è discusso molto dei vini di Quintodecimo, invero, a dirla tutta più per sbarcare il lunario che per altro. Tutti, ma proprio tutti – taluni addirittura a gamba tesa pur di smarcarsi, farsi notare -, si sono lanciati con una certa vis polemica, talvolta spudorata altre un po’ meno, rilanciando l’annosa questione “territorialità, autenticità e verità espressiva dei vini irpini” che qui – dicono – si farebbe fatica a cogliere. Ebbene, chi mai sarebbe il depositario della territorialità, dell’autenticità, di questa verità espressiva assoluta cui fare riferimento? Fuori il nome… Maddai…!

Come ho già avuto modo di dire altrove, io vedo Luigi Moio un po’ come Angelo Gaja, forte di una solida tradizione alle spalle – fatte le dovute proporzioni -, ma proiettato nel futuro con una propria idea chiara e precisa, millimetrica quasi, di ciò che esige dalle sue vigne ma soprattutto ciò che si aspetta dai suoi vini. Anche a costo di metterla in discussione per crearne una rinnovata, a suo modo, per sua idea, ancor più autentica.

Ma non è di questo che voglio parlarvi oggi, mettiamola così: adesso il più è fatto (più o meno)… adesso non rimane che aspettare. Sì Professore – dai! –, l’uva è finalmente in cantina, nelle tue mani, rimetti in moto la giostra delle emozioni che voglio sognare. Ancora una volta!

Salvare il Natale da bevute sconsiderate, si può…

20 dicembre 2010

Salvare il Natale, almeno quello, non è una missione impossibile. Quante magre figure si rischiano, e quanti dubbi ci assalgono: avrò scelto bene? Gli piacerà? E  c-o-s-a  c-i  a-b-b-i-n-o  m-a-i al cenone? Sono queste domandone dalle risposte critiche, lo so, quantomeno però cerchiamo di non scegliere a caso cosa bere, tanto più quando si spendono cifre blu per carni e pesci che quasi sempre rischiano di rimanerci sullo stomaco tanto la colpa, si sa, andrà al vino (magari da due euro o poco più) “forse troppo acido o alcolico”; E che ne dite poi di quelle costosissime bottiglie – e credetemi che ne ho viste delle belle – il cui destino, quasi certo, è quello di finire riciclate perchè per niente capite, apprezzate quasi sempre solo per la forma sinuosa della bottiglia o per la preziosa confezione-cofanetto. No, quest’anno l’invito è a bere bene, superando alcuni stupidi pregiudizi e cercando magari di scoprire pure nuovi riferimenti.  

Partiamo dallo scongiurare il più grosso dei pregiudizi insistenti tra “i più” su uno degli champagne più venduto e – non a caso – più apprezzato mai prodotti, la mitica etichetta arancione di Veuve Clicquot-Ponsardin, giusto per andare controcorrente e non finire col rifilarvi l’ultima bufala biodinamica in circolazione. Seguono altre cinque referenze, alcune conosciute, altre meno, che definire interessanti è dire davvero poco, con le quali potete giocare a costruire il vostro abbinamento ideale sia per il cenone della vigilia che per il lungo, a volte infinito, pranzo di Natale.

Champagne carte jaune s.a. brut Veuve Clicquot Ponsardin, un classico di sempre, checchè se ne dica, un piacere sottile e – se la smetteste di abbinarlo solo ai frutti di mare crudi – decisamente sorprendente a tutto pasto! Perchè la vedova aveva palato fine tanto quanto il cervello e ha saputo mettere in fila tanti sapientoni e maghi assoluti dell’assemblage affermando uno stile inconfondibile che non è solo perenne sospensione tra prestigio e dannazione. Per i meno, mettiamola così: è arrivato il momento di farla smettere di girare tra i regali riciclati ovvero di tirarla via – volesse il cielo – dalla dispensa una volta per tutte, non solo per la foto di rito per l’ultimo compleanno della figlia, ma per tirarle, finalmente, il collo! Con il fritto misto di gamberi e calamari per esempio, o col pane, burro salato ed acciuga.

Asprinio d’Aversa spumante Grotta del Sole, perchè a voler scegliere lo spumante più tradizionale che abbiamo in Campania non si può che passare per queste bollicine. La storica azienda flegrea della famiglia Martusciello produce anche una deliziosa versione charmat, più fresca e leggera ed assai indicata per innaffiare senza troppe preoccupazioni le vostre serate natalizie, ma se volete colpire dritto al cuore dei vostri accoliti, correte subito in enoteca – o meglio in cantina a Quarto – a comprare questa preziosa versione metodo classico che esce solo quando dio comanda ed in quantità piuttosto limitata, sembra infatti che proprio in questi giorni si riaffacci di nuovo sul mercato dopo una assenza di almeno tre anni. Presto che è già tardi, poi mi direte magari come è andato abbinato al tradizionale baccalà fritto, e quanto d’amore e d’accordo con le tartine con burro e salmone affumicato.

Greco di Tufo Giallo d’Arles 2008 Quintodecimo. Dovrete pur concedervela una uscita di senno per le spese di natale: vorrete il polpo più fresco tanto da appostarvi per ore dinanzi ai cancelli del mercato, non batterete ciglio sul prezzo dell’agognata spigola di mare o dell’astice blu del mediterraneo, quindi, non rompete le balle se è il greco di Tufo più caro che troverete in enoteca! Lasciatevi quindi conquistare da uno dei migliori vini prodotti in questo millesimo nell’areale nonchè dal fascino di una delle aziende più belle e suggestive d’Irpinia: complessità ed opulenza gustativa fuori da ogni schema precorso, di rara eleganza e profondità minerale. E vi prego, se pensate di regalarlo, fatevene uno pure voi, magari vi viene poi voglia di fare una capatina a trovare Laura e Luigi Moio nella splendida tenuta a Mirabella Eclano. Superbo con il pesce al forno, ma soprattutto con la pizza di scarola e alici della mattina della vigilia.

Costa d’Amalfi Tramonti bianco Per Eva 2008 Azienda Agricola San Francesco. E’ il bianco più ricercato e letto su questo blog, è il vino che al momento – dopo anche i vari assaggi di quest’anno – reputo migliore della comunque ottima offerta dell’azienda di Gaetano Bove in quel di Tramonti. Un bianco di rara eleganza e verticalità olfattiva, un vino da spendere a tutto pasto per esclusivo piacere delle papille gustative, che per’altro mai si stancheranno di lasciarsi andare all’adagio minerale che si diffonde ad ogni sorso. Dopo il Fiorduva, un altro capolavoro della divin costiera che però costa almeno tre volte meno del soave bianco di Andrea Ferraioli e Marisa Cuomo. Una bottiglia da non perdere insomma, bevetela pure bella fresca e sposatela per interesse, tanto, potete starne certi, finirà sicuramente lei prima di voi! Qui la recensione. Con il primo piatto ai frutti di mare, con il polpo all’insalata ma anche con la zuppetta di lumachine di mare.

Campania Aglianico Le Fole 2008 Cantina Giardino, perchè quando avrete voglia di tagliarvi la lingua con il tannino potete pure scegliervi uno qualunque dei Taurasi tanto reclamizzati ultimamente; Ma se invece, con tutto il ben di dio che c’è in menu per le prossime feste, punterete alla leggerezza, ecco il vino, la chicca che fa per voi. Perchè? Ci sono almeno tre ragioni: la prima – una figata pazzesca giocarvela con gli amici più colti – è che l’azienda, di Ariano Irpino, è una delle più alternative del momento, che fa viticultura sana e totalmente vocata alla naturalità degli interventi in vigna come in cantina; La seconda è che questo vino si lascia bere con una piacevolezza estrema senza confondervi mai le idee su ciò che state bevendo tanto è espressivo ed integro il frutto, e la terza – forse la ragione più importante – è che, almeno per quanto mi riguarda, l’ho trovato estremamente digeribile, cioè tanto piacevole da bere quanto da sostenere di pancia. Con la “pizza ripiena” della mattina della vigilia, con il primo piatto con ragù di polpo del cenone ma anche con la parmigiana di melanzane del pranzo di Natale.

Brunello di Montalcino Bramante 2005 Podere Sanlorenzo. Questo è davvero da non perdere se si ha voglia di mettere in tavola un grande rosso, pagando – in riferimento alla tipologia – un prezzo piccolo piccolo e che conserva tra le maglie del suo bel frutto tutto l’eccellente lavoro di un giovane e validissimo viticoltore ilcinese, Luciano Ciolfi, destinato ad un grande futuro. Trovate su queste pagine alcune tracce dell’azienda, e non mi nego di segnalarvi anche dove cercarlo poichè dalle nostre parti è un tantino difficile scovarlo. Un vino dal colore ciliegia che offre tutte le trasparenze del rosso più tradizionale di Montalcino, dal variegato ventaglio olfattivo e dal sapore asciutto, austero ma finissimo come pochi. Io ho subito avuto ben chiaro, tra le due o tre bottiglie destinate, cosa conservarmi come ultimo desiderio enoico dell’anno! Con il ragù di carne del pranzo di Natale ma non è osar troppo provarlo anche con la minestra maritata del pranzo del 26.

E con il dolce? Vi chiederete… beh, non v’è dubbio che siete degli insaziabili perfezionisti, ma vi tocca aspettare la prossima puntata. 😉

Mirabella Eclano, Vigna Cerzito 2001 e il fascino della primissima vendemmia a Quintodecimo

4 ottobre 2010

Mi passa davanti un fotogramma, immagino la vendemmia a Quintodecimo¤ nel 2001: Laura e Luigi, vestiti di tutto punto intenti a pestare coi piedi l’aglianico atto a divenire nettare con il quale brindare all’inizio della nuova avventura di Mirabella Eclano.

Luigi Moio - foto courtesy Laura Di Marzio

Ebbene si, sono passati già quasi dieci anni, e pensare che in molti si ostinano a rincorrere modelli preconfezionati pur di non faticare, spesso non hanno nemmeno un metro quadrato di vigna, a volte nemmeno un indirizzo, nella migliore delle ipotesi una buona cantina nelle vicinanze di casa dove comprano o si fanno fare il vino, imbottigliato e già etichettato, rivendicando poi – che faccia tosta! – di essere proprio loro “autentici”, i loro vini quelli “veri” o come capita sempre più spesso negli ultimi tempi – ahinoi la peggiore delle ipotesi – dei rivoluzionari.

Laura Di Marzio - foto courtesy of Laura Di Marzio

Per Quintodecimo è andata diversamente e chi oggi arriva lì in cantina¤ lo respira appena messi i piedi per terra, non appena varcata la soglia del giardino, appena Moio, con la sua disarmante dialettica, sale in cattedra: è questo il secondo fotogramma a cui mi rifaccio, Luigi¤ ama raccontarsi e raccontare mentre è affacciato sulla terrazza che dà direttamente sulla vigna; spende parole chiare, racconta di esperienze professionali fondamentali, di ricerche, microvinificazioni, zonazione (?), di emozioni reali che riesce a trasmettere con forza e precisione, ha tra le mani, le stesse che mentre parla muove nell’aria quasi ad accarezzarla, la storia dell’enologia campana e la porge con la stessa generosità con la quale l’ha immaginata, studiata, vissuta profondamente, lui sì rivoluzionata, prima di consegnarla oggi ai suoi numerosi posteri allievi.

Il Vigna Cerzito 2001 è stato il primo vino prodotto qui a Mirabella Eclano nonchè l’ultimo dall’omonima vigna¤, di oltre trent’anni, che proprio successivamente alla raccolta è stata completamente espiantata per far posto al nuovo sesto d’impianto secondo i precetti del professore. All’epoca l’idea di metterlo in bottiglia, dopo due anni di legni nuovi, nasceva dalla necessità di lasciare una traccia dell’inizio di tutto, non certamente dall’esigenza di fare vino, fattostà che queste bottiglie non hanno mai visto la porta della cantina, al massimo la tavola della cucina di Laura, che è solita offrire solo agli amici più cari. Un vino quindi mai commercializzato, nemmeno denominato, di cui però è bene, credo, lasciare traccia per piacere di cronaca, e perché se molti si rifanno a questo modello di aglianico, austero, asciutto, tannico, vigoroso, sia utile scrivere che proprio Moio sembra averlo superato, a Quintodecimo, da più o meno una decina di anni.

Quintodecimo, foto A. Di Costanzo

Il colore è maturo, l’unghia ha già ben espressa una chiara nuances aranciata, rimane però cristallino e di buona vivacità. Il naso è decisamente volto a note terziarie, cioè caratterizzato da sensazioni odorose – foglie secche, mallo di noce, terra bagnata, caffè tostato – dovute innanzitutto al lungo invecchiamento passato tra legno e bottiglia; all’assaggio è asciutto, austero, il tannino ancora recalcitrante ma avviato lentamente alla dissoluzione (chissà il nerbo della prima ora?), la beva è generosa ma fluida, marcata da una acidità sottile ma ancora percettibile, appena lievemente amarognolo sul finale di bocca.

Tant’é, pur non esprimendo la verticalità a cui si può fare tranquillamente affidamento nelle più recenti interpretazioni di Luigi, il Riserva Quintodecimo¤ 2004 ne è sintesi disarmante, la complessità, qui compressa da uno start up certamente non facile per una primissima vendemmia, offre una palese dimostrazione di come, pur partendo da una materia prima non di primissimo pelo, Moio sia capace, attraverso una sana ed ineccepibile interpretazione tecnica, la così tanta vituperata ma indispensabile mano dell’uomo, dare voce e lunga vita all’aglianico: eh già, quasi come in un film, professore di nome e di fatto! 

Aeclanum, Quintodecimo parte II: la cantina

4 dicembre 2009

Il primo particolare della piccola e suggestiva cantina di Quintodecimo a Mirabella Eclano che mi è saltato subito agli occhi. I tini di acciaio dove avvengono le vinificazioni sono di dimensioni piccole, a sottolineare la maniacale ricerca del prof. Moio nelle vinificazioni attente e parcellizzate da vigna a vigna se non addirittura  di filare in filare…

La barriccaia è composta da soli legni nuovi francesi per i diversi cru di aglianico atti a divenire Taurasi, così nasce per esempio il Vigna Quintodecimo. E’ molto affascinante seguire il percorso lungo i corridoi che porteranno negli anni i vini ad affinare di sala in sala sino a raggiungere l’area di imbottigliamento e confezionamento. 

Questa è una novità assoluta per me. Qui a Quintodecimo si eliminano dalla linea di imbottigliamento le “teste” e le “code” , sì proprio come si fa classicamente per i distillati di pregio. Vengono poi conservate privatamente dal prof. Moio come archivio storico.

Tutti i vini dell’azienda, la Falanghina Via del Campo, il Fiano di Avellino Extulet, il Greco di Tufo Giallo d’Arles, l’aglianico Terra d’Eclano ed il primo Taurasi commercializzato, il Riserva Vigna Quintodecimo prima di varcare la soglia della cantina vengono lasciati riposare in queste ampie casse di legno per smaltire lo stress da imbottigliamento.

Una cosa è certa, qui nulla è lasciato al caso…


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