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L’Arcante su il Napolista, questi gli ultimi articoli della stagione pubblicati

24 aprile 2019

Il Napolista

Siamo giunti allo sprint finale della stagione calcistica 2018/2019, come sapete dallo scorso Ottobre alcuni nostri contributi sono pubblicati sul giornale on line ilNapolista¤ dove ogni settimana proviamo a raccontare qualcuna tra le buone etichette campane prendendo spunto dai profili e dalle storie dei calciatori del Napoli¤, il nostro Napoli che va terminando la stagione al 2° posto in Italia¤ e uscita ai Quarti in Europa League¤.

Lo facciamo alla nostra maniera, in modo semplice e spigliato cercando di offrire qualche buono spunto per bere meglio (almeno) alla domenica. E i calciatori, anzitutto quelli del Napoli, con le loro gesta in campo, le loro storie ci danno la misura per suggerire l’etichetta del giorno.

Questi sono gli ultimi articoli pubblicati che vi riassumiamo in pochi passaggi essenziali, se vi va dategli una occhiata e scriveteci pure cosa ne pensate, diteci la vostra ne saremmo davvero felici.

#17 Amadou Diawara e l’Ariapetrina, il vino gioviale e sbarazzino in terra di Falerno Leggi Qui.

#18 Elseid Hysaj e mario Rui, mai sopra le righe eppure efficaci e godibilissimi come i vini di Casa D’Ambra Leggi Qui.

#19 Faouzi Ghoulam, Kevin Malcuit e il giovane Sebastiano Luperto, tre luminose sfumature di greco di Tufo Leggi Qui.

#20 Orestis Karnezis, Vlad Chiriches e Amin Younes sono il carosello dei vini campani buoni, inaspettati e sorprendenti  Leggi Qui.

#21 Lorenzo Insigne, elogio al calcio estetico, come il Tenuta Camaldoli di Cantine Astroni è un elogio alla bevibilità Leggi Qui.

© L’Arcante – riproduzione riservata

Taurasi Vendemmia 2007|Le mie degustazioni

26 gennaio 2011

E’ il fiore all’occhiello dell’enologia campana, partorito – al netto delle stupide ingerenze della natura umana – da una delle terre viticole più belle d’Italia e d’Europa: parliamo di Taurasi. L’occasione è un appuntamento di cui si sentiva sinceramente la mancanza e del quale – proprio non me ne capacito, giuro – non ci si rende conto, in sede istituzionale intendo, quanta importanza abbia ai fini della comunicazione; pertanto, in prima istanza è doveroso, necessario ringraziare chi si è tanto adoperato affinché di aglianico, e di Taurasi, se ne sia tornato a parlare con termini di paragone comuni e non più in assoluta solitudine monocratica. Quindi, un “bravo, bravissimi!” agli amici della Miriade&Partners¤ che hanno rispolverato – in piena autonomia finanziaria – il sano format di “Anteprima Taurasi”, e a chi, tra cui l’impagabile Paolo De Cristofaro, ha fatto da inarrivabile Cicerone.

Tralasciandovi dettagli su dati tecnici e/o relativi all’andamento climatico (che potete però consultare qui) mi rimane da anticiparvi solo che si è trattato, del millesimo duemilasette, di un’annata tesa ad una disarmante caratterizzazione: calda, asciutta ed anticipata, seppur con le mille sfaccettature figlie anzitutto delle difformi caratterizzazioni microclimatiche nonché delle dissimili interpretazioni stilistiche; è bene ricordare che parlare di Taurasi significa raccontare di un territorio – quello iscritto alla docg intendo – di circa 993 ettari di cui più della metà, appena 415 ettari, destinati alla produzione di Taurasi propriamente detto. In sintesi questi gli assaggi più interessanti della sessione di degustazione, avvenuta sabato 22 gennaio scorso al Castello Marchionale di Taurasi. Tutti i vini sono stati egregiamente gestiti nel servizio dalla locale delegazione Ais di Avellino e serviti in assoluta anonimia ed alla giusta temperatura.

****/* Taurasi 2007 Colle di San Domenico. In assoluto, assieme al Contrade di Taurasi di Lonardo – seppur su linee emozionali diametralmente opposte – il miglior assaggio della sessione. Dal colore ricco e concentrato, rubino netto e carico di splendore. Naso importante, possente, variopinto di sfumature di frutta in confettura – mai la visciola fu così facile e piacevole da cogliere – note iodate, speziate: un ventaglio olfattivo non particolarmente intenso ma ampio, fine ed elegante. In bocca è d’impatto, voluttuoso, entra orizzontale e si distende in maniera costante ed ampia. Un vino essenziale, tecnicamente ineccepibile, figlio di un millesimo complesso e complicato, manifesto di come in annate del genere siano le aziende senza lacci a cavarsela meglio.

****/* Taurasi Contrade di Taurasi 2007. Il Colore è cupo, quasi impenetrabile, il primo naso rivolto a note subito terziarie: cuoio, terra bagnata, sentori animali. Il frutto fa fatica a venire fuori se non dopo una lenta ed inesorabile ossigenazione. Riassaggiato dopo almeno un ora ricalca linearmente il timbro, un vino non immediato ma di gran carattere ed in bocca conferma tutta la sua austerità: secco, piuttosto caldo, propriamente risoluto, non invadente ma evidente il finale alcolico non senza una lieve nota amarognola.

**** Taurasi Vigna Andrea 2007 Colli di Lapio. Altro bell’assaggio, non da capogiro ma ricco di sfumature intriganti. Di colore rubino, mediamente concentrato tendente al granato. Primo naso intenso, verticale, costruito su note eteree, inchiostro. Lentamente sopraggiungono odori di corteccia, sintesi di spezie fini, infine liquerizia. Palato piuttosto caldo, avvolgente, dal tannino poco pronunciato.

**** Taurasi 2007 Pietracupa. L’aglianico di Sabino continua a misurarsi alla grande, il millesimo non proprio avvincente gli consegna materia prima forgiata con ottime intuizioni. Il colore è rubino carico, quasi impenetrabile, cristallino. Il primo naso è lieve, non particolarmente intenso ma giocato su ottima complessità, fine e bilanciate su piacevoli fragranze fruttate e sottili note speziate. Sapore asciutto, corposo e di buona sapidità, inesorabilmente pronto da bere.

**** Taurasi 2007 Antico Castello. La sorpresa della batteria, pari solo all’assaggio del Taurasi di Antica Hirpinia, seppure questi si dimostri appena una spanna sotto.  Un azienda da tenere d’occhio, a questo punto anche sotto il profilo aglianicista; bello il colore, rubino vivo. Naso essenziale, molto gradevole l’approccio olfattivo, frutto in primo piano, leggiadro ma fragrante, composto. Palato decisamente pronto, senza asperità alcuna, da bere e godere adesso, il finale di bocca è teso e speciale di ciliegia sottospirito.

***/* Taurasi 2007 Urciuolo. Non ho ancor ben compreso lo stile minimalista del Taurasi dei fratelli Urciuolo, ritrovo infatti nelle degustazioni alla cieca degli ultimi, buoni vini ma perennemente sospesi tra l’eccellenza e l’essenziale. Anche qui un vino dal colore rubino con sfumature lievemente aranciate, il primo naso volge immediatamente a note terziarie, caratterizzate cioè da un frutto risoluto e giocato quindi su note essenzialmente fugaci, eteree e scomposte, di terra, di sfumature speziate. In bocca è secco, abbastanza intenso seppur non propriamente persistente. Un poco amaro il finale di bocca.

***/* Taurasi 2007 Antica Hirpinia. Una piacevole notizia questo assaggio, ovvero un forte messaggio di incoraggiamento dalla storica cantina taurasina, preda degli ultimi anni dell’immancabile cerchiobottismo locale. Colore rubino appena teso al granato, comunque non particolarmente carico. Primo naso di note spiritose ma subito coperto da sensazioni più eteree; con un poco di tempo, al riassaggio, note di confettura di prugna. In bocca è piacevole, particolarmente rotondo, senza asperità; piacevole ma non entusiasmante il retrogusto tostato.

***/* Taurasi 2007 Donnachiara. Colore rubino/granato molto bello a vedersi, concentrato. Naso abbastanza complesso, frutto in primo piano affiancato da note tostate e speziate, di buona verve. Palato anch’esso di spessore, ricco, glicerico, dalle spalle larghe, forse solo una tantino monocorde. Un vino da bere, dalla prospettiva abbastanza ridotta ma del quale godere adesso. Figlio dell’annata.

***/* Taurasi Sant’Eustachio 2007 Boccella. Bello colore rubino vivace, primo naso essenzialmente gradevole e dolce. Frutti neri croccanti, polposi, incipit lievemente speziato. Al palato asciutto ed intenso, non lunghissimo ma molto piacevole. Legno ben dosato, frutto ben bilanciato, finale minerale e di discreta sapidità. Quando il manico preserva l’artigianalità.

***/* Taurasi Radici 2007 Mastroberardino. Da riassaggiare tra qualche tempo, un approccio troppo al di sotto delle aspettative, o forse una bottiglia poco fortunata. Colore rubino di buona vivacità e trasparenza, primo naso spiritoso ma chiuso e lontano dal divenire, al primo come al secondo assaggio, così da risultare non ampissimo; In bocca gode decisamente di altra personalità, pare rifuggire le complicazioni di un millesimo steso al sole e non ammicca a sentori scontati. Palato quindi gradevole, asciutto, con l’alcol ben fuso alle componenti acido-tanniche.

***/* Taurasi 2007 Feudi di San Gregorio. Colore rubino mediamente concentrato, molto vivace. Naso molto piacevole, non scontato, pur senza palpiti, a tratti idrocarburico. Poi note fruttate intense e concentrate di frutti neri in confettura, mirtillo su tutti. Palato ricco, concentrato, polposo, glicerico, materia prima piuttosto interessante seppur manchi di spunti acidi capaci di bilanciarne un equilibrio decisamente volto alla morbidezza.

***/* Taurasi 2007 Bambinuto. Bello il colore rubino tenue, cristallino. Primo naso addirittura vinoso, poi  ciliegia, comunque pronunciato sul varietale e non coperto eccessivamente dal legno o dal lungo affinamento. Palato asciutto, abbastanza intenso, di buona profondità. Da riassaggiare tra qualche tempo per ricercarne l’evidente eleganza del ventaglio olfattivo, sobrio ma palese.

*** Taurasi 2007 Terre Irpine. Colore rubino, qui concentrato, cristallino. Naso marcato da interessanti note terziarie seppur non finissime, il frutto infatti soffre decisamente una persistenza caratterizzate da note smaltate, idrocarburiche, sino a rimanerne vittima. In bocca è secco e piuttosto caldo, non credo abbia grossi margini di miglioramento.

*** Taurasi Poliphemo 2007 Luigi Tecce. Colore rubino di bella vivacità, abbastanza concentrato. Il primo naso è lieve su note di fiori secchi e frutta spiritosa, niente di più. Il palato è integro, austero ma non offre assolutamente spazio a picchi emozionali, risulta in verità un poco greve, non è eccessivo definirlo addirittura corto. In bocca offre una buona bevibilità, ruvida ma senza particolare carattere. Se si è trattato di cattiva interpretazione del millesimo o solo di un silente momento di forma, il tempo ce ne darà conto, frattanto è bene continuare a bere altro.

*** Taurasi 2007 Villa Raiano. Colore rubino con piccole sfumature rosso granato, naso tenue, senza sfoggio di particolare intensità ma elegante e lineare su note di frutta e fumature minerali. Dopo una lunga ossigenazione, al secondo riassaggio, una nota quasi sanguigna ne caratterizza l’olfatto. Palato fine, abbastanza intenso con una lieve eccedenza dell’alcol, molto ben dosato il legno.

*** Taurasi 2007 Di Prisco. Un tantino sottotono e devo aggiungere, una volta svelate le bottiglie, molto inaspettatamente; bello il colore rubino, cristallino, lo spettro olfattivo offre ben poco oltre un legno nuovo, sopra il frutto, solo aspettandolo per tempo un ne viene fuori un sottofondo di liquerizia. In bocca è secco, il tannino è evidentemente pronunciato, seppur nobile. Da aspettare e rivalutare, decisamente.

Tra gli ultimi assaggi, per la sequenza non certo per la bontà, da segnalare tra i campioni di botte, lo Spalatrone di Cantine Russo, dal naso piuttosto elegante e dal sapore ben bilanciato ed il Taurasi Nero Né de Il Cancelliere, di Romano Soccorso; azienda in grande crescita nonché sempre più identificativa dello splendido territorio di Montemarano; un vino – al netto dei pregiudizi sull’annata – finalmente non caratterizzato da quella possenza tanto voluttuosa quanto spesso troppo al di sopra della sopportabilità gastrica. Interessante anche l’assaggio di Cortecorbo seppur in evidente ritardo di equilibrio, soprattutto gustativo, rispetto agli altri competitors.

Legenda: ***** Eccellente, **** Ottimo,  *** Buono, ** Sufficiente, * Mediocre

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Così Anteprima Taurasi 2005¤.

Santa Paolina, Matèrtera 2008 Bambinuto ovvero quando l’aglianico irpino si veste di leggerezza

16 gennaio 2011

Andare a zonzo in Irpinia è sempre un piacere, ancor più quando a farti da cicerone è una persona deliziosa e competente come Antonio Pesce, con il quale parlare di vino può divenire solo l’ultimo degli argomenti che ti viene in mente di trattare mentre macini i chilometri che da Napoli ti dividono dall’incrocio per Santa Paolina. A questo aggiungici ancora un paio di amici di bevute dalla forgiata caratura passionale, ed ecco che camminare le vigne, oltre che “lavoro di piacere”, diviene anche una imperdibile lezione di vita tout court.

Piombiamo in casa di Marilena Aufiero verso le dieci e mezza del mattino, lei, cordiale e disponibile, ci accompagna nella piccola cantina ricavata praticamente nel sottoscala di casa, dove però si respira un’aria dal sapore tanto artigianale quanto intrisa di calore familiare; con Antonio e gli altri, ci facciamo un giro di vasche per testare cosa di buono abbia offerto la vendemmia appena raccolta a ciò che di qui a qualche mese ritroveremo nei lieti calici: il greco di Tufo 2010, quello base, pare di sentirlo ancora in bocca!

Bambinuto è un piccola realtà, nasce solo nel 2006 dall’intuizione di papà Raffaele di vinificare e mettere in bottiglia in proprio una parte di quelle uve greco sino ad allora sempre conferite a terzi imbottigliatori. L’idea piace subito a tutti in famiglia, ma prende forma e sostanza soprattutto grazie all’impegno delle due figlie Marilena e Michela che, sposando appieno il progetto, decidono però di dettare, nel vero senso della parola, delle linee guida ancor più rigide di quelle nelle intenzioni del padre: non solo fare vino di qualità ma possibilmente distinguersi dal già affollato corollario bianchista locale. Oggi, all’ottima proposta di greco di Tufo offerti, uno fermo base ed una selezione (il loro Picoli è senz’altro tra i migliori greco dell’areale) più uno spumante metodo classico ed un passito di prossima uscita, si sono affiancate piccole quantità di fiano di Avellino ed aglianico di Taurasi, per completare una gamma di prodotti decisamente convincenti, così come molto piacevole ho trovato l’ottimo aglianico Matèrtera, un rosso a buon mercato e decisamente interessante se valutato come base d’ingresso sul panorama dei rossi irpini.

Spesso ci siamo detti, su queste pagine in primis, quanto le aziende, le piccole aziende in particolare siano funzionali alla crescita del comparto agricolo quando seriamente impegnate nella loro specializzazione e non mestamente risucchiate da improbabili aspettative commerciali; pertanto mosso da questo principio ma aperto a mille varianti del caso, non mi dispiace pensare a quanto sia intelligente l’impegno profuso dalla famiglia Aufiero nella valorizzazione del greco di Tufo quanto però utile e necessaria la realizzazione di vini rossi fini e leggiadri come questo aglianico che li aiutino a ritagliarsi spazio sul mercato senza per questo scimmiottare un modello irraggiungibile per vocazione e distinzione territoriale.

Così se il Picoli¤ assurge a modello di ineccepibile e particolare complessità, con un timbro organolettico decisamente sopra le righe per l’areale, puntato su maturità del frutto e piena espressione piuttosto che la magra freschezza scelta da alcuni, così il Matèrtera, prodotto da uve aglianico provenienti da vigne allocate in Montemarano e Castelfranci ricalca un modello, godurioso e facilino, tanto difforme dai must taurasini quanto invece funzionale alla causa: lasciarsi bere! Il Matèrtera 2008 (dal latino, sorella della madre) viene affinato in botti di legno di secondo passaggio per 4/5 mesi rimanendo in bottiglia per almeno dieci mesi prima della vendita. Il colore è rubino tenue, prodigo di piacevoli sensazioni olfattive, floreali e fruttate ma anche lievemente boisè che trovano conferma in un gusto secco, direi asciutto, ma incentrato su leggerezza e gradevolezza della beva. Uno di quei vini, più o meno dieci euro al ristorante, che in due finisce che un piacere: non è forse questo di cui avete bisogno, cari amici ristoratori?

© L’Arcante – riproduzione riservata

Santa Paolina, Greco di Tufo Picoli ’09 Bambinuto

5 gennaio 2011

Continuiamo il nostro viaggio tra i “vini bianchi macerati” occupandoci oggi di una piccola azienda irpina, la Cantina Bambinuto di Santa Paolina. Gran vino il greco di Tufo, forse il più conosciuto tra i bianchi prodotti in Campania, senza dubbio tra i primi ad essere apprezzati in tutto il mondo ed annoverati tra “i più” dell’odierna produzione italiana. Vino a denominazione di origine controllata e garantita – nel sud Italia assieme solo a un altro campione di bontà regionale, il fiano di Avellino –  il greco di Tufo è prodotto esclusivamente con uve provenienti da vigneti situati in una delimitata zona dell’Irpinia, comprendente i comuni di Tufo (da cui prende il nome la d.o.c.g.), Santa Paolina, Montefusco, Petruro Irpino, Chianche, Torrioni, Altavilla Irpina e Prata di Principato Ultra.

Il vitigno, corrispondente alla cosiddetta aminea gemina cui faceva riferimento lo storico Columella, è originario della Tessaglia, da dove fu importato in Campania dai pelasgi che ne diffusero la coltivazione prima nella provincia di Napoli, in particolar modo sulle pendici del Vesuvio, e successivamente in alcune zone proprio della provincia di Avellino, in particolare nel circondario di Tufo, dove il terreno ricco di zolfo ed altri minerali risultò particolarmente vocato alla sua propagazione. Invero, il vitigno non è certo tra i più docili, anzi, le peculiarità del grappolo, piuttosto compatto, e degli acini, con buccia decisamente sottile, ne fanno una varietà, da un punto di vista strettamente colturale, addirittura cagionevole e che richiede una particolare attenzione e cura soprattutto in fase di maturazione. In compenso però, cosa certamente più gradita oggi nei vini che in passato, offre sempre valori decisamente elevati di acidità e sostanze fenoliche, che lo rendono, per esempio a riguardo di uve provenienti dalle zone più vocate, particolarmente adatto a variazioni sul tema alquanto suggestive come possono essere, tra le tante, vino base ideale per spumanti a metodo classico oppure, come nel caso proprio di questo vino, delle versioni piuttosto originali macerate sulle bucce.

Bambinuto nasce solo nel 2006, ma per quanto poche le vendemmie alle spalle per delinearne un quadro risolutivo, la volontà della famiglia Aufiero di fare bene c’è tutta ed i primi riscontri, sia di critica che di pubblico, sin dagli esordi, hanno avvalorato la tesi che un nuovo piccolo gioiello della viticultura irpina andava ritagliandosi il suo spazio, e per quanto minimo, di assoluta considerazione. Oggi, all’ottima proposta di greco offerti – due fermi, quello base ed una selezione (il Picoli appunto, ndr) più uno spumante metodo classico ed un passito di prossima uscita – si sono affiancate poche bottiglie di fiano di Avellino ed aglianico di Taurasi per completare una gamma di prodotti decisamente convincenti – a breve vi racconterò infatti dell’ottimo aglianico Matèrtera – a buon mercato e comunque limitate ad una quantità non superiore alle 30.000 bottiglie.

Il greco di Tufo Picoli 2009 viene prodotto dalle vigne piantate nell’omonima frazione di Santa Paolina da dove viene raccolto generalmente a fine ottobre. Nel 2009 la resa in uva è stata di circa 80 q/h, con una resa in vino intorno al 70%. Tutto nella norma, insomma, se non fosse per la gradazione alcolica che supera il 14,50 % in volume, comunque sostenuto, a oltre due anni dalla vendemmia, da una decisa acidità. Ha un colore oro carico, segnale di concentrazione oltre che di maturità acquisita, del tutto cristallino. Il primo naso è particolare, fruttato di confettura di albicocca e buccia d’arancia candita ma ricco di sfumature empiriche. Infatti, lasciata volare via l’insistenza bucciosa del frutto ed una prima nota volatile, vengono fuori sentori marcatamente minerali che si rifanno a polvere pirica e nuances quasi idrocarburiche. Non che sia un vino vecchio, precisiamo, ma il timbro, anzitutto olfattivo, è volutamente mantenuto come pensato dalla produttrice Marilena Aufiero, con la consulenza del bravo Antonio Pesce, su di uno stampo del tutto fuori dagli schemi per l’areale, puntando sulla maturità del frutto, la sua piena espressione, anziché sulla magra freschezza e bevibilità scelta da alcuni altri. Non a caso infatti, durante le fasi di vinificazioni, una volta eliminata la grossolana feccia di mosto, il vino rimane su quelle fini sino a fine marzo dell’anno successivo la vendemmia, praticamente 5 mesi, più o meno. Un vino particolare dunque, di pronta beva (non a caso esce infatti dalla cantina quasi un anno dopo il millesimo) e da spendere su piatti importanti; Da annoverare assolutamente tra le vostre prossime esperienze degustative da segnare in agenda.

La calda estate degli Amici di Bevute: quando il Fiano di Avellino sorprende, conquista, delude.

26 luglio 2010

Appena qualche giorno fa vi ho raccontato di una spelndida serata¤ vissuta tra amici in quel dell’Abraxas¤ a Pozzuoli dove ci eravamo riuniti, di piacere e di gusto, per bere del buon Pinot Nero. Entusiasti di come era andata quella cena, ci eravamo ripromessi di rivederci appena possibile per un nuovo appuntamento, stavolta centopercento bianchista; tra un sms e l’altro, è venuto fuori di puntare una dozzina di fiches bottiglie sul fiano.

Premessa: Qualcuno avrà pensato di apparire troppo originale nel portare con se bottiglie non Irpine, cosicchè alla fine ci siamo ritrovati con 11 vini dei quali 10 Fiano di Avellino ed uno solo, Il Cumalè di Pasquale e Betti Mitrano di Casebianche, del Cilento. Vatti a fidare del buon intuito…

Prologo: ognuno si è preoccupato di procurare almeno tre bottiglie di vino, opportunamente celate da carta stagnola e decapsulate. Al momento dell’arrivo a casa di Gerardo ed Emanuela sono state consegnate nelle mani di una persona che successivamente non ha partecipato alla degustazione (e neppure siedeva tra noi) che ha provveduto a numerarle e poi di volta in volta a consegnarle alla tavola. Tutto questo pragmatismo, sia ben chiaro, non è stato messo su per ostentare certe “pippe mentali” sulla tecnica della degustazione alla cieca (che tanto ci piace ma che in queste serate preferiamo relegare al noncipuofregardemeno!) ma piuttosto perchè se divertimento doveva essere volevamo che lo fosse fino in fondo.

Questo il risultato a latere di un piacevolissimo convivio tra Amici di Bevute; la sequenza dei primi cinque vini esprime quello che potremmo definire “il podio”, in base ad una loro valutazione in termini di franchezza, integrità e piacevolezza. Gli altri vini, alla luce di quanto espresso, vengono ritenuti praticamente alla pari seppur alcuni di essi ci sono apparsi in chiara difficoltà, qualcuno addirittura rovinato.

Fiano di Avellino 2008 Colle di San Domenico, un vino davvero delizioso, assai piacevole, di una freschezza memorabile ed una franchezza incredibile. Ci ha conquistati tutti, all’unanimità e senza riserva alcuna. Dal bellissimo colore cristallino ai profumi freschi e profondamente varietali, alla distanza anche di una particolare ampiezza ed eleganza. L’impressione è di una materia prima di altissimo lignaggio e molta poca tecnica in cantina se non lo stretto necessario, da manuale insomma.

Fiano di Avellino Exultet 2008 Quintodecimo, della serie, già un classico? I vini di Luigi Moio come pochi riescono a dividere (non si capisce perchè :-)) ma come pochissimi altri riescono ad esprimere una tale perfezione tecnica. Un vino infinito, impressionante per la materia che esprime, in bocca più che al naso. Dal bellissimo colore paglierino carico, al naso è carezzevole e suadente, intenso, ampio e profondo, giocato su di una eleganza di rara fittezza. E’ buono, ma buono per davvero, come il pane!

Fiano di Avellino Pietracalda 2009 Feudi di San Gregorio, tecnicamente perfetto, molto piacevole, nessuna sbavatura. Ottimo compagno a tutto pasto di grasse bevute, nessun sussulto se non il pensiero di come in Feudi di San Gregorio stiano percorrendo una strada di crescita qualitativa costante, espressa a mani basse da una gamma di vini, ormai prodotti in quantità certamente industriale ma che difficilmente risultano inaffidabili. Per palati al primo approccio con il varietale, ammiccante.

Fiano di Avellino Colli di Lapio 2007 Romano Clelia, l’annata calda non l’aiuta certamente ad esprimere il meglio di se, di un terroir assolutamente d’elezione per il varietale e senz’altro di riferimento per il movimento bianchista in Campania, ma val bene l’assaggio. Il colore è un tantino surmaturo, già tendente all’oro, il naso è un effluvio di sensazioni dolci, molto piacevoli a dire il vero, ma guai a lasciare andare la temperatura sopra la soglia ottimale dei 10-12 gradi, il ventaglio olfattivo ai più potrebbe risultare stucchevole se non addirittura spiacevole. Buono il palato, manchevole in profondità, non in acidità.

Fiano di Avellino 2009 Cantina Astroni, il padrone di casa naturalmente non ha resistito alla tentazione di infilare in batteria una delle sue bottiglie. Sulla falsa riga del Fiano di Colle di San Domenico abbiamo ritrovato in questo vino estrema piacevolezza. Naso molto invitante, palato pulito, fresco, di gran bella beva. Non un vino lunghissimo in bocca, ma certamente impossibile da confondere. Ottimo passaggio, di certo il pensiero che questo è solo il secondo anno nel quale Gerardo si cimenta in tutto e per tutto nella vinificazione di Fiano di Avellino è foriero di ottimi auspici per il futuro aziendale, soprattutto perchè le uve hanno origine in un’areale ben esposto della denominazione, a Montefalcione.

A margine, come detto, Il Vintage 2002 di Mastroberardino (risultato di tappo), il Cumalè 2009 di Casebianche che non ci ha convinti ma siamo certi che si sia trattato di una bottiglia poco espressiva. Nando Salemme ci ha tenuto a sottolineare che ne aveva goduto appena la sera prima ed era di tutt’altra pasta, io stesso ho avallato tale opinione essendo un convinto fan dei vini¤ di Pasquale e Betti Mitrano. Il Vigna Pezze 2007 di Struzziero invece non è per niente pervenuto: un vino decisamente greve, assolutamente inespressivo, ma qui la qualità della bottiglia c’entra poco.

Ci è dispiaciuto invece non aver potuto godere e dissertare di Bambinuto, piccola realtà (in verità specializzata sul Greco di Tufo) in buona crescita, ma la bottiglia di Fiano aperta ci ha letteralmente sconvolto: crediamo essersi trattato di un serio problema che speriamo non comune ad altre bottiglie in giro, il vino era praticamente rancido, il colore sull’ambrato, assolutamente svanito al naso.

Una considerazione a parte meritano i due Fiano di Avellino di Ciro Picariello e Guido Marsella, entrambi 2006 ed inaspettatamente relegati – ad unanimità – in fondo alla classifica. Del valore dei due “winemaker” ne abbiamo piena coscienza soprattutto per la ventata di nuovo ideologico sul varietale (addirittura avvicinabile – in certe annate – al Riesling della miglior Mosella¤) che sono stati capaci di affermare soprattutto negli ultimi quattro-cinque anni in Campania; non è da meno l’enorme considerazione che nutriamo per il terroir di Summonte che i suddetti, con i propri vini, rappresentano in maniera più che egregia, in certe annate davvero con esecuzioni eccezionali; questa omogeneità espressiva però sembra tanto una costante di primissimo pelo nelle grandi annate quanto un limite invalicabile in quelle definite “minori”.

Di Picariello rimane indimenticato indimenticabile il 2004, di Guido Marsella oltre al vino, la sua storia personale che lo ha consegnato ad esso e immediatamente consacrato come il “rookie” più interessante dell’ultimo ventennio; una storia contornata tra le altre cose da una passione infinita, tanto da farlo decidere di rompere col passato per tuffarsi, letteralmente, in vigna.

Insomma, il millesimo 2006 non è stato per niente tenero con il fiano e la diluizione del frutto che si palesa nei bicchieri non ci offre certo spunti di riflessioni entusiastiche, ma per dirla tutta, un semino di assennatezza lo vogliamo lanciare: è proprio tutta colpa dell’annata o c’è dell’altro? Inoltre, questo limite, siamo disposti in tutto e per tutto ad accettarlo accontentarci o tecnicamente si potrebbe fare di più? E cosa direste se vi avessero detto che prima di berle queste stesse bottiglie avreste dovuto aspettarle almeno per tre-quattro anni, con tale risultato nel bicchiere?

Hanno partecipato al convivio, per precisione di cronaca: il sottoscritto, Vanna Ambrosino e Nando Salemme (ristoratori, il secondo sommelier professionista), Emanuela Russo (sommelier), Lilly Avallone (sommelier professionista), Gerardo Vernazzaro (enologo), Rosaria Fiorillo (sommelier)  oltre che alcuni Amici di Bevute particolarmente appassionati.


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