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Cruna DeLago, il bianco flegreo che sa di vento di mare e di terra ardente

5 Maggio 2020

Non sono tantissimi i vini bianchi italiani capaci di resistere al tempo senza subirne in maniera decisiva il peso degli anni, tra questi, di certo, è abbastanza improbabile trovarci menzione di una Falanghina dei Campi Flegrei.

Eppure non vi è territorio in Campania più dei Campi Flegrei che riesce a stupire e sa di potersela giocare ad armi pari con chiunque in questo preciso momento storico per il vino italiano, capace di tirare fuori vini sempre più autentici, snelli e agili nella beva ma anche ricchi di spiccata personalità, ancor più con qualche anno di bottiglia alle spalle. Grande merito va ad alcuni produttori che da anni lavorano duramente per migliorarsi, capaci di scrollarsi di dosso limiti colturali e vizi tecnici azzerando così stereotipi, errori e falsi miti.

Abbiamo alle spalle anni di visite, chiacchiere, approfondimenti, ripetuti assaggi, ci viene così d’obbligo avanzare l’idea che proprio la vendemmia duemilasedici da queste parti a Pozzuoli, Bacoli, Monte di Procida, Marano e sulle colline più prossime a Napoli ha per certi versi delineato uno spartiacque, una sorta di punto e a capo, una linea temporale dalla quale si è ripartiti spediti dopodiché nulla può essere più come prima, con i pro e i contro necessari, un’assunzione di piena responsabilità senza più sconti, nessuna scusa.

Un cambio di passo che qualcuno ha saputo anticipare, arduo e faticoso ma ormai ben avviato, indispensabile per non continuare a dilapidare un patrimonio vitivinicolo unico e irripetibile che aveva bisogno solo di essere approcciato con maggiore rispetto, conoscenza e capacità tecniche, dopo (troppi) anni di discontinuità e disattenzioni.

Una strada che la famiglia Di Meo cammina da tempo con grande senso di responsabilità, con Luigi ormai pienamente votato alla vigna e i figli Mattia, Salvatore e Vincenzo man mano avviati nella gestione della cantina, quest’ultimo tra i più giovani enologi campani in campo ma già con una decina di vendemmia alle spalle che gli hanno consentito di anno in anno di ”leggere” e comprendere sempre meglio tutto il potenziale delle sue vigne flegree.

Ne abbiamo piena testimonianza con un po’ tutte le etichette di La Sibilla, alcune delle quali vanno esprimendo vini flegrei tra i più buoni di sempre mai bevuti, tra queste senz’altro c’è il Cruna DeLago duemilasedici¤, verosimilmente tra i più costanti negli ultimi anni, avviato a marcare un benchmark ormai chiaro per tutto il territorio, risultato di un percorso lungo e ben definito oggi nei suoi obiettivi. Ci arriva così nel bicchiere un bianco dal colore oro cristallino, radioso, dal naso anzitutto orizzontale e complesso, pieno di sensazioni floreali e fruttate, sfumature eteree,  lungamente salmastro, un corredo aromatico che richiama vento di mare e terra ardente, capace di regalare sapori che risuonano energia, un sorso puntuto e sapido, fresco e minerale, un autentico richiamo al territorio flegreo.

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© L’Arcante – riproduzione riservata

Nessuna scusa, niente sarà più come prima

18 febbraio 2019

Mentre i numeri del vino continuano a registrare alcuni dati per certi versi allarmanti sui consumi in continuo calo e fissano con sempre maggiore evidenza quali siano le tipologie di vino maggiormente ricercate e bevute – è sempre più forte la tendenza soprattutto alle bollicine -, non vi è dubbio che alcuni vini sembrano avvantaggiarsi rispetto ad altri grazie a caratteristiche uniche che gli consentono di smarcarsi velocemente e lanciarsi, finalmente, senza particolari ansie da prestazione, tra le braccia dell’appassionato di turno.

Non vi è territorio più dei Campi Flegrei che sa di potersela giocare ad armi pari. Grande merito va a taluni produttori che da anni lavorano duramente per migliorarsi e che sono stati capaci di scrollarsi di dosso limiti tecnici e colturali azzerando stereotipi finalmente superati. Negli ultimi sei mesi di visite, chiacchiere, approfondimenti, assaggi ripetuti, ci viene d’obbligo avanzare l’idea che la vendemmia duemilasedici a Pozzuoli, Bacoli, Monte di Procida, Marano e sulle colline più prossime a Napoli ha per certi versi delineato uno spartiacque, una sorta di punto e a capo, una linea temporale dalla quale ripartire dopodiché nulla sarà più come prima, con i pro e i contro necessari, un’assunzione di piena responsabilità senza più sconti.

Un cambio di passo faticoso ma ormai necessario, indispensabile per non continuare a dilapidare un patrimonio vitivinicolo unico e irripetibile che aveva bisogno solo di essere approcciato con maggiore rispetto, conoscenza e capacità tecniche, dopo (troppi) anni di discontinuità e disattenzioni. Ne abbiamo piena testimonianza con alcune delle etichette più buone di sempre mai bevute, tra queste la Falanghina Cruna DeLago duemilasedici dell’azienda La Sibilla¤, probabilmente il vino tra i più costanti negli ultimi anni quasi a marcare un benchmark finalmente tangibile, frutto di un percorso lungo e ben definito oggi nei suoi obiettivi. Un bianco dal colore cristallino, dal naso orizzontale e complesso, intriso di sapidità e mineralità. 

Agnanum-falanghina-campi-flegrei-2015-Raffaele-Moccia - foto L'Arcante

Segnali forti ci erano arrivati da Raffaele Moccia¤, a più riprese sorprendente nelle sue versioni base e in qualche caso altisonante con il Vigna del Pino, il suo capolavoro, il cru di Falanghina prodotto in appena mille bottiglie, senza tema di smentita spesso nelle sue uscite il miglior bianco mai prodotto da queste parti negli ultimi anni, con questo duemilasedici a segnare decisamente il passo. Non è semplicemente buono a bersi, è la celebrazione di un varietale presente in molti territori in Campania e al sud ma che qui nei Campi Flegrei, in certi scorci metropolitani, dove la terra è vulcanica, conquista complessità, ampiezza e profondità impressionanti, senza sovrastrutture. Un bianco ricco di frutto, freschezza, abbondanza di sensazioni.

Ce l’ha ripetuto spesso Gerardo Vernazzaro¤ che il lavoro in cantina non ha bisogno di magheggi e artefizi particolari se in campagna si fa bene ciò che si deve. Quando il frutto che arriva in cantina è integro, sano, vieppiù figlio di un’annata equilibrata è solo da maneggiare con cura ed attenzione e da “lavorare” il meno possibile. Così ne viene fuori un vino pienamente espressivo, prorompente nella sua vivacità gustativa, un bianco dal naso intrigante, orizzontale ma che sa andare in profondità e suggerisce frutta polposa e sentori di macchia mediterranea e note iodate. Il suo Vigna Astroni duemilasedici regala un sorso fresco, sapido e minerale, giustamente caldo, definito perciò continuamente coinvolgente.

Ci siamo innamorati delle vigne e dei paesaggi di Bacoli e Monte di Procida. Delle terrazze e dei costoni scoscesi con vista mare, dove la vigna è un patrimonio straordinario e regala scenari di una bellezza unica che lentamente ritornano alla natura. Via Bellavista, su ai ‘Pozzolani’, i Fondi di Baia, via Panoramica a Monte di Procida dove da vigne a strapiombo sul mare nascono vini bianchi con caratteristiche olfattive decisamente interessanti, con una notevole impronta sapida e capaci, tra l’altro, di attraversare il tempo con discreta disinvoltura.

Ce lo ha raccontato con i suoi vini Gennaro Schiano¤, ce lo consegna da qualche anno ad ogni vendemmia con questa etichetta, il suo vino base, per dire, qui del duemilasedici, un bianco che ha vivacità da vendere, è invitante, fine e minerale, tra i più buoni ed equilibrati di sempre. Il naso è sottile e varietale, offre sensazioni di frutta e tratti mediterranei molto chiari, sa di sorbe, nespola e biancospino. Il sorso è fresco, giustamente sapido, appagante, sa pienamente di questa terra di mare. Nessuna scusa quindi, niente potrà essere come prima, ci si aspetta solo grandi vini per il futuro!

Leggi anche Piccola Guida ragionata ai vini dei Campi Flegrei Qui.

© L’Arcante – riproduzione riservata

Falanghina Domus Giulii 2011 La Sibilla

14 gennaio 2019

E’ un vino con il quale continuiamo ad avere una certa distanza emozionale, convinti l’uno dell’altro di non piacerci abbastanza. Non riuscendo a perderci di vista, le ragioni del cuore sono tante e profonde, ci rasserena l’idea, ad ogni nuovo assaggio, che qualche anno è passato ma non invano.


Cento per cento Falanghina dei Campi Flegrei. Per la verità il vitigno si sa è diffusissimo in Campania ma sembra avere proprio qui nei comuni a ridosso della provincia di Napoli il suo terroir migliore – suoli vulcanici, microclima temperato con sole a mezzogiorno, il mare dentro –, che unito alle basse rese contribuisce ad esaltarne la spiccata vivacità e l’antica sgraziata tipicità.

Domus Giulii viene fuori da una selezione dei migliori grappoli provenienti da alcune vigne vecchie coltivate tra i comuni di Bacoli e Pozzuoli dalla famiglia Di Meo. Vincenzo, enologo giovanissimo ma con merito sin da subito pienamente immerso nelle responsabilità produttive della realtà famigliare flegrea, ne volle “sperimentare” anni fa con la dumeilaotto una versione decisamente diversa dal solito, un bianco macerato ed affinato sulle fecce fini. Luigi, pur restìo all’idea, lo lasciò fare, così, tanto per capire.

L’originalità con la quale questi vini tendono ad esprimersi è spesso figlia di un lungo percorso di maturazione, le macerazioni sono più o meno lunghe sulle fecce fini a cui talvolta si susseguono particolari passaggi di affinamento (anfore ecc.) e/o invecchiamento; ciò naturalmente premette una grande qualità della materia prima, quindi la certezza di un gran lavoro in vigna, oltre che un’abile capacità di intelligere il terroir di provenienza, col rischio, talvolta accade, di passare come una trovata estemporanea.

Non di meno, certe particolarità come il tono ombroso del colore – qui spiazzante -, i profumi eterei, il gusto quantomeno lontano dal solito, necessitano di una certa esperienza da parte dell’appassionato di turno o quantomeno una certa predisposizione per esser colte come marcatori di autenticità e non come un mero esercizio di stile fine a se stesso, talvolta addirittura deleterio per la tipologia se non per il produttore. Non a caso sono spesso vini prodotti senza i lacci delle denominazioni in cui ricadono le vigne di provenienza.

Venendo a noi, questo duemilaundici ha un bel colore oro cangiante, tendente all’ambra, quasi fulvo. Si sta con un vino di sette anni nel bicchiere, non so se rendiamo l’idea. Il primo naso è buccioso, poi si fa speziato, e di frutta secca; sa di uvetta, tè e camomilla, di scorzette d’agrumi e albicocca candite, il tono è un po’ iodato ma pulito e franco. Il sorso è subito materico, sulle prime un po’ spiazzante ma di buon carattere e discreta acidità e persistenza, anche qui pulito e senza sbavature, anzi, intriga profondamente e lascia la bocca piacevolmente ammantata di vino e di sale. Inutile negarglielo ancora un passo avanti rispetto agli esordi, restiamo  ideologicamente ancora lontani, però, forse, finalmente equidistanti, Domus Giulii rimane una valida alternativa espressiva che continueremo senz’altro a scrutare con sufficiente interesse.

Leggi anche Falanghina Domus Giulii 2009 Qui.

Leggi anche Falanghina Domus Giulii 2008 Qui.

© L’Arcante – riproduzione riservata

Bacoli, Per ‘e Palummo 2004 La Sibilla. Il sapore della storia e la scoperta del tempo

26 febbraio 2014

Quanto vale una bottiglia come questa? Non ha prezzo, ovvio. E ce ne sono ancora solo quattro e non sono su piazza. Reca in fondo all’etichetta ‘CrunaDeLago’, che a quel tempo distingueva entrambe le etichette doc di falanghina e piedirosso.

CrunaDeLago, vigneto La sibilla - foto A. Di Costanzo

Bastano poche parole per descrivere la splendida sorpresa di questa bottiglia. A quasi dieci anni di distanza mi sembra di ricordare proprio tutto di quell’anno, il 2004, forse per questo quando Vincenzo mi ha permesso di scegliere una bottiglia dalla piccola cantina storica non ci ho pensato su due volte. Lui, un po’ timoroso di andare così indietro nel tempo ha subito messo le mani avanti. L’ho immediatamente rassicurato: ‘guarda che di quell’anno ne ho vendute un sacco, gli ho detto, sta sicuro che papà fece un gran lavoro!’.

Campi Flegrei Per 'e Palummo 2004 La Sibilla - foto A. Di Costanzo

La grande bellezza di questo vino sta tutta nell’armonia: pure il colore lo è, un po’ ombroso, giustamente segnato dal tempo. Al naso invece viene fuori ancora tanto frutto, macerato e balsamico, dolce, con un sottofondo che sa di terra,  di china e sottobosco, ma molto latenti. Il sapore è ancora integro, affatto seduto, asciutto con un ritorno di prugna e liquirizia sul finale di bocca che conferma tutta la bontà del lavoro di Luigi sin dai suoi primi passi. E quell’anno, me lo ricordo come fosse ieri, ne vendemmo a secchiate!

1994-2014, 20 anni dalla doc Campi Flegrei

© L’Arcante – riproduzione riservata

Bacoli, Falanghina Domus Giulii ’08 La Sibilla

29 dicembre 2010

I Campi Flegrei offrono sempre nuovi spunti di riflessione e degustazione, così dopo l’exploit che si sta vivendo sul versante rossista con la sempre maggiore specializzazione di coloro i quali hanno creduto e valorizzato il piedirosso anziché lanciarsi in rincorse empireumatiche internazionali, è davvero piacevole notare come anche la falanghina sia non poco attenzionata e riferimento di interessanti lavori in corso.

Così dopo l’intuizione di Gerardo Vernazzaro (Cantine Astroni) che con il suo Strione ha introdotto anche in terra flegrea la “sperimentazione” di una versione più spinta di falanghina, cioè lungamente macerata sulle bucce, eccovi un’altra chicca proposta questa volta da una delle aziende più amate e dinamiche del territorio, La Sibilla di Luigi e Tina Di Meo che con i figli Vincenzo e Salvatore vanno ritagliandosi un posto di primissimo piano nella spledida iconografia viticolturale non solo locale.

Questa variazione sul tema falanghina, ci tengo a precisare, non è di quelle per la quale vado perdendo la testa, e chi mi conosce sa bene che non ne faccio certo un mistero; invero, durante tutto quest’ultimo anno, armato dell’idea di scardinare definitivamente quello che ritenevo un mio evidente limite culturale sulla tipologia in generale, mi ci sono dedicato abbastanza, sino a maturare, per adesso, l’idea che no, non ci sono al momento – tolti alcuni, pochi grandi classici friulani/sloveni – vini bianchi macerati per cui mi strapperei i capelli.

E’ bene ribadire infatti, che, se culturalmente certi vini appartengono ad un ideale del tutto condivisibile, da un punto di vista strettamente degustativo, vini del genere, soprattutto quando bianchi, hanno necessità di un approccio  piuttosto disinvolto a quel che verrà poi nel bicchiere: generalmente, riferendomi anzitutto ad un appassionato medio, sono questi vini che per almeno 2/3 dell’esame organolettico più classico – quello per esempio di sovente utilizzato dai sommeliers – sovvertono, a volte stravolgendoli, buona parte dei canoni estetici nonchè le più basilari aspettative olfattive.

Infatti, l’originalità con la quale questi vini tendono ad esprimersi, è spesso figlia di lunghissime macerazioni sulle fecce fini quando non di particolari passaggi di affinamento (anfore ecc.) e/o invecchiamento; ciò naturalmente premette grande qualità della materia prima, quindi la certezza di un gran lavoro in vigna, oltre che finissima capacità di intelligere il terroir da parte del vignaiolo di turno; ma il vino, come spesso può accadere, rischia di passare come una boutade estemporanea piuttosto che un serio riferimento di qualità. Ecco quindi che, una tale concentrazione di colore e particolarità di profumi abbiano necessità – da parte dell’avventore di turno – di una certa esperienza degustativa o quantomeno apertura mentale, per poter esser colti come marcatori di autenticità e non come un frainteso esercizio di stile, fine a se stesso, se non addirittura deleterio per la tipologia, quando soprattutto denominata.

Il Domus Giulii 2008 nasce da una piccola vigna di falanghina, poco più di un ettaro, allocata in località pozzolani al Fusaro, nei pressi di Bacoli, che la famiglia Di Meo, dopo praticamente un quarto di secolo di esproprio, si è vista riconsegnare in gestione dalla soprintendenza ai beni archeologici. Il nome infatti trae evidente origine dalla vicina villa di Giulio Cesare, una delle tante dimore flegree degli imperatori romani tanto innamorati di questa terra quanto – è indubbio pensarlo – delusi dai loro posteri per come l’hanno poi ridotta e sacrificata all’altare dell’ignavia.

E’ un vino certamente atipico, come già accennato, fuori cioè dai soliti canoni estetici ed odorosi a cui siamo felicemente abituati con il vitigno più diffuso nei Campi Flegrei. Il colore è oro pallido, la vivacità è evidentemente sacrificata alla concentrazione che è il primo dei tanti segnali da leggere per meglio apprezzare tutte le sfumature che questo vino è capace di offrire. Il primo naso è vinoso, marcato fortemente da quel sentore buccioso tipico dei vini che subiscono lunghe macerazioni sulle fecce fini. E’ importante bere questo vino alla sua giusta temperatura di servizio, più vicina ai 14° che ai 12° spesso raccomandati per i vini bianchi di maggiore struttura. Un bianco di grande estrazione, dal quale vengono fuori sentori molto interessanti, mela annurca, uva spina, scorza d’arancia candita, e lasciandolo respirare a lungo, persino note di mais e di polvere di zenzero. I sei mesi di macerazione offrono un frutto polposo e decisamente persistente, in bocca è morbido, rotondo, non certo tannico come comunque si può essere indotti a pensare, il tempo ha in verità ben levigato persino la discreta acidità di cui il vitigno non ha mai mancanza. Un vino da bere adesso, per compiacere magari piatti di pesce piuttosto speziati o formaggi mediamente stagionati.

Ad oggi, il Domus Giulii è ancora in affinamento in bottiglia, verrà commercializzato, con molta probabilità solo nei prossimi giorni di fine gennaio e, data l’esigua quantità a disposizione per questo millesimo, sarà inizialmente acquistabile solo recandosi in cantina al Fusaro: poco più di 600 le bottiglie, presumibilmente classificate come igt Campania e non come d.o.c. Campi Flegrei; un vino simbolo del grande lavoro di ricerca e sperimentazione, in maniera del tutto autonoma, che questa azienda sta maturando negli ultimi anni, iniziato dieci anni orsono con il coraggioso studio avviato sui vitigni minori – leggi per esempio marsigliese – e parallelamente votato all’assoluta fedeltà alla valorizzazione della falanghina che ha trovato, già da un paio di vendemmie, la massima espressione di questo pezzo di terra flegrea nel loro ottimo Cruna DeLago, come poche altre etichette della denominazione, vero e proprio vessillo di tipicità territoriale!

Bacoli, Cruna DeLago 2008 La Sibilla

13 luglio 2010

“Guardi avrei proprio voglia di lasciarmi consigliare da lei un bel vino campano, qualcosa che mi possa far cambiare idea ed opinione a riguardo: deve sapere che lì, su al nord, non è che si beva benissimo, ci sono certi soloni, tutti matti per lo sciardonnè, ma per me che amo il sud rimane comunque piuttosto difficile trovare dei vini della vostra regione che mi entusiasmino in modo particolare, ma è possibile che avete solo Cantine Sociali..?”

Carlo Bernini (nome puramente di fantasia, ndr) si è dimostrato un ospite molto gradito. Avvocato in Cassazione, spalle larghe, almeno quanto il bacino e sessant’anni nemmeno a vedergli la carta d’identità, viso tondo tendente al paffuto, dagli occhi azzurri, semi chiusi; persona però distinta, appena un po sfacciata, curiosa, insomma uno di quei clienti che pagheresti per avere alla tua tavola, e non solo per le belle bottiglie che ti lascia decidere di aprire, e nemmeno per la lauta mancia che ti offrirà alla fine per ringraziarti, stavolta con gli occhi ben aperti, azzurri, lucidi, soddisfatti per avergli riservato una piacevole serata: la tua soddisfazione, la grande soddisfazione l’avrai ottenuta invece da quelle poche parole, tra le mille venute fuori durante la cena, che ha saputo far entrare, esprienza alla mano, con le sue osservazioni, con le sue puntualizzazioni, con i suoi aneddoti, nella tua mente, prepotentemente, parole che mai dimenticherai!

L’avvocato Bernini ne ha viste tante in vita sua, e ne ha districate troppe per fidarsi ciecamente: “mi sono occupato di frodi alimentari e di vino per circa un ventennio, e credimi mio bel sommelier, la purezza delle tue parole, il tuo racconto mi affascinano, ma non mi convincono, ho bisogno di più”. Avvocato mi lasci dire, che brutta opinione che s’è fatto del vino, lasciamo stare le mie chiacchiere, facciamo che a parlare sia il bicchiere, io le faccio bere due-tre cosette, lei, alla fine, mi deciderà cosa val la pena pagare e cosa no, ci stà? “Intraprendente…”.

Così dopo una ouverture leggiadra a base di Biancatenera di Tramonti (Monte di Grazia bianco ’09) confido che sia il Cruna DeLago di Luigi e Restitua Di Meo a scalfire la mistica  pervasione del vino nostrano agli occhi dei transumanti avventori dell’alta langa. “Un vino delizioso, ti dà l’impressione di volerti piacere per forza ma non è ruffiano, non ammicca in maniera insolente, dico bene?”  Dice bene, essere se stesso è un suo tratto caratteriale. Il vitigno di cui è composto, la Falanghina dei Campi Flegrei ha la capacità di conquistare i palati senza sciolinare false pretese, offre vini sinceramente franchi, austeri e sottili al naso, asciutti e minerali, profondi al palato. Il vino che ne viene fuori è di solito vivo come la storia millenaria imprigionata nelle centinaia di enclavi di monumenti che ne costellano il territorio tutto, da Pozzuoli a Bacoli, ed il Cruna DeLago è una delle sue massime interpretazioni: giallo splendente, intriso di profumi di glicine e pino mediterraneo, quello delle coste di Agnano, austero proprio come l’anima dei suoi vignaioli, legati alla propria terra più che a se stessi, un nettare asciutto e minerale come le falde ardenti del vulcano Solfatara, salmastro non per evoluzione ma per finissima vocazione.

Ecco avvocato, mi sono tenuto defilato, niente nomoni, non le ho nemmeno raccontato della crescita inimmaginabile, il successo del Fiano di Avellino e del Greco di Tufo, e le ho servito il Fiorduva solo perchè così come richiesto dal dotto’ Impresacchi: ma mi dica, le sono piaciuti i vini? “Angelo, ho molto apprezzato, vorrei tanto conoscere di questo Alfonso Arpino, come si fa ad allevare vigne di cent’anni? E poi i Campi Flegrei, pensare alla Falanghina con questa profondità così mediterranea non mi era mai capitato prima, oggi ho scoperto due bei vini!

E’ solo l’inizio mio caro Avvocato, questa è la mia terra e non ha confini!


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