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Campania bianco Dall’Isola 2018 Joaquin

8 ottobre 2020

Torniamo a godere di un bianco che ci sta particolarmente a cuore, uno dei pochissimi vini prodotti con varietà autoctone coltivate da sempre sull’isola di Capri che merita degna attenzione.

Dall’Isola duemiladiciotto resta una produzione estremamente limitata, anche per questo preziosa e imperdibile, le uve Ciunchese (Greco), Falanghina e Biancolella provengono da piccole ”pezze” di natura sabbiosa coltivate in maniera tradizionale perlopiù col sistema dello Spalatrone Puteolano, talvolta collocate in luoghi impervi e suggestivi come ad esempio l’affaccio sul Golfo di Napoli di Villa San Michele ad Anacapri, il comune più alto dell’Isola, ai piedi del Monte Solaro.

Raffaele Pagano a Capri non ci è arrivato certo per caso, sono ormai oltre dieci anni che produce puntualmente il bianco Dall’Isola, riconoscendovi in questa piccola produzione, sin da subito, tutto il potenziale di una grande sfida avvincente; lui, già produttore di spiccata originalità in quel di Montefalcione, con vigne anche Lapio e Paternopoli, ci aveva già abituati a vini mai banali, segnatamente autentici, talvolta fuori dagli schemi tant’è che la sua opera qui come altrove resta una vera e propria ”cantina laboratorio” per i vitigni autoctoni campani.

Dicevamo quindi Ciunchese (Greco), Biancolella e Falanghina selezionati, è proprio il caso di dire, acino per acino, con una piccola percentuale lasciata surmaturare in pianta: questo delizioso bianco ha colore paglierino tenue, è luminoso e intriso di piacevolissimi sentori molto invitanti, profumi floreali e sfumature agrumate assai suggestive, ci trovi dentro caprifoglio e camomilla, ma anche fieno ed erbe mediterranee, limone e cedro. In bocca è asciutto, possiede un ottimo slancio gustativo che ammanta il palato di sana freschezza e chiude sapido e minerale un sorso davvero gustosissimo, con quell’11,5% in volume di alcol in etichetta! Un tempo se ne facevano solo una manciata di magnum, da qualche anno se ne producono poco più di 2000 bottiglie l’anno!

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© L’Arcante – riproduzione riservata

Fiano di Avellino Vino della Stella 2012 Joaquin

5 dicembre 2013

Raffaele Pagano è in piena ‘vendemmia’, comincia a raccogliere i frutti di un durissimo lavoro che lo vede, in prima persona, a girare il mondo coi suoi vini da cinque anni ininterrottamente.

Raffaele Pagano - foto L'Arcante

Frutti che hanno il sapore dolce del consenso e il valore prezioso del riacquisto, frutti che raccoglie con entusiasmo non a fiere e sagre di paese ma presso clienti e posti Top dove qualcuno convintamente ha scelto di avere anche i suoi i vini. Un investimento che se volessimo fargli due conti in tasca probabilmente recupererà giusto tra una decina d’anni ma che lo colloca di già tra i più autorevoli produttori irpini.

Un fatto per la verità non nuovo a chi lo segue da tempo. Anche perché di applausi e recensioni positive¤ ai suoi vini c’è ne sono a bizzeffe ovunque nella letteratura enoica degli ultimi anni – ‘Joaquin come una maison d’Haute Couture’ qualcuno ha cominciato a pensare -, lui però è rimasto sempre un po’ dimesso, frequenta pochi panel e roadshow (non ha tante bottiglie da dare a destra e a manca) e questo lo tiene costantemente un po’ fuori dal cerchio magico dei ‘graditi’ fianisti, tanto per dirne una.

Aggiungo, non senza un filo di ironia che ahimè lui è forestiero, tra l’altro non ha (ancora) vigne di proprietà per dirsi abbastanza vignaiolo (secondo qualcuno ben pensante) e nemmeno una produzione di fiano, greco, aglianico, falanghina, coda di volpe seriale ogni anno costante e numericamente importante per figurare tra le aziende irpine di riferimento. Uno sfigato insomma, verrebbe da pensare, nonostante una cantina – bella imponente – a Montefalcione, collaborazioni di tutto rispetto (Maurizio De Simone, Sergio Romano per dire) e una continua ricerca a tappeto sul territorio che lo ha condotto a conoscere palmo palmo tutte le vigne del circondario. E progetti sempre vivi e innovativi, quando non preziosi o rari come vinificare l’aglianico in bianco o fare un fiano da sole piante centenarie¤. Per non parlare del rilancio della viticultura a Capri¤.

Fiano di Avellino Vino della Stella 2012 - foto L'Arcante

Tornando a noi, mi è piaciuto molto questo Vino della Stella 2012. Ancorché memore di un timido ma già promettente esordio del 2009¤ diventato poi solo col tempo grande e maturo: il primo assaggio di questo duemiladodici s’è rivelato invece già davvero superbo. Ha un naso scattante e propulsivo, con sentori e riconoscimenti che si sovrappongono con freschezza e minuzia impressionante, da grande fiano moderno. Teso, sapido e lungo il sorso che non soffre la struttura importante. 4500 bottiglie da una vigna di 4 ettari in Contrada Fortuna a Montefalcione. Per i prossimi 4/5 anni ci sarà da togliersi ancora belle soddisfazioni, Raffaele caro.

Milano, Quality Wines al N’Ombra de Vin

19 novembre 2013

Quality Wines a Milano

Quality Wines è stata fondata nel 2007 da Jacopo Lupo Melia su un modello product oriented in stile statunitense. Oggi è importatore e distributore in Italia di vini provenienti da alcune tra le migliori aree viticole italiane e del Nuovo Mondo. Il Grand Tasting al N’Ombra de Vin, uno dei luoghi storici milanesi del buon bere, apre alle 17 e continua sino alle 21. Se siete in zona ci si vede là…

N’Ombra de Vin
Via San Marco 2, Milano
02 659 9650
www.nombradevin.it
 
Quality Wines
Via Mentana 3, Forlì
+39 0543 32225
www.qualitywines.it

 

Scauri, il 18 luglio c’è Mare in Cantina

5 luglio 2013

Il 18 luglio, nella splendida cornice del Golfo di Gaeta sulla Spiaggia dei Sassolini a Scauri, si terrà la rassegna enogastronomica Mare in Cantina.Mare in Cantina locandina

Da un’idea di Andrea Polidoro, responsabile per l’Italia di Tasted Magazine e Tasted Journal. Vi partecipano in tanti amici tra i quali vi segnalo la presenza di Masseria Felicia¤, Galardi¤, Alepa¤, Villa Matilde¤, Cantine Astroni¤, Joaquin¤, Feudi di San Gregorio¤, Antiche Cantine Migliaccio¤. Il biglietto d’ingresso costa di 10 euro. Si parte alle 19. Beati voi…

Fiano JQN 203 ‘Piante a Lapio’ 2011. Il sogno, la visione di Raffaele Pagano e Maurizio De Simone

21 marzo 2013

Ho avuto spesso, qui e altrove, parole di profonda stima ed ammirazione per Maurizio De Simone e il suo lavoro speso in lungo e in largo in Campania. Opera che ci ha permesso, lo dico soprattutto a noi bottiglieri, di menarcela alla grande con gli appassionati più incalliti in giro pei ristoranti; con, tra le mani, veri e propri piccoli capolavori¤ in bottiglia che a qualcuno infatti non sono certo sfuggiti¤. Raffaele Pagano, Joaquin

Approfitto di questo assaggio del Piante a Lapio 2011 di Joaquin per rendergli pubblicamente omaggio, a lui ma anche a Raffaele Pagano¤ che continua a sorprendere forte: Maurizio¤, nonostante la sua esuberanza l’abbia portato spesso in passato anche a scelte di profonda rottura, continua invece a lavorare con grande attenzione ed abnegazione lasciandoci tracce davvero significative in un circuito che, diciamocelo, talvolta si mostra fin troppo impalpabile. E ciò che ha appena iniziato con Pagano sembra avere tutti i tratti di un sogno cullato per anni con radici molto profonde nella memoria del tempo; così gli ho chiesto qualche chiarimento, da cui poi ne avrei dovuto trarre spunto per scriverci su qualcosa, ma sono così ricche di suggestione queste sue parole che ve le trascrivo pari pari. E’ un post un po’ lungo ma ne vale veramente la pena! 

Maurizio De Simone - foto Giusy Rapuano

Questo il suo pensiero. “Da sempre ritengo che le selezioni massali, operate negli ultimi 50 anni dai vivaisti, abbiamo modificato i caratteri originali delle varietà più antiche. Lo scopo commerciale di riprodurre viti genera criteri di selezione legati a fattori riproduttivi e di attecchimento senza tener conto dei risvolti enologici. Pertanto i vitigni che coltiviamo oggi, sono certamente molto diversi dai loro progenitori”. 

“La Campania è tra le poche zone del mondo dove è possibile trovare piante precedenti alla fillossera, e quindi espressioni primordiali dei vitigni senza interferenze del portainnesto e di selezione artificiosa, da qui deriva la mia ricerca, ormai ventennale, di vinificare le uve di queste piante in purezza e cercare di capire le peculiarità enologiche per individuare quali potessero essere le caratteristiche che hanno reso famosi questi vini già nell’antichità e che hanno avuto tale successo da arrivare fino a noi, a questo serve però legare la ricerca di sistemi di vinificazione quanto più tradizionali e materiali di affinamento capaci di esaltare questa unicità senza interferire nella sostanza”. 

“Oggi si parla tanto di terroir, ma come si fa a definire un carattere ‘tipico’ se non siamo andati a verificare il legame vite-terra-uomo che ne hanno condizionato l’evoluzione? In Campania abbiamo un patrimonio da preservare e potrebbe essere quella marcia in più in un mercato piatto, lo dico da sempre ma ormai sono rimaste pochissime opportunità di ricerca”. 

Prof. Antonio Troisi (1994) - foto Lino Sorrentino“Con Raffaele ho solo ripreso fattivamente un lavoro cominciato e (personalmente) mai interrotto nel lontano 1992, con il prof. Antonio Troisi, papà di Raffaele Troisi di Vadiaperti, che condivideva con me queste idee e riteneva Lapio la culla del fiano, come poi si è dimostrato negli anni, dove cominciammo anche ad individuare i primi ceppi su piede franco che oggi stiamo valorizzando con Joaquin”. 

“Il fatto rilevante è che queste piante sviluppano generalmente il grappolo già alla seconda gemma, elemento che confermerebbe – teoricamente, perché non c’è nessun elemento scientifico per dimostrarlo -, che l’interferenza dell’uomo è stata tale da averne modificato la genetica e se tanto mi da tanto dovremmo anche pensare di rimettere in discussione quei caratteri definiti ‘tipici’ del fiano; sia chiaro, non che ritengo queste piante capaci di dare vini migliori, ma almeno sondando e verificandone tutte le potenzialità sapremmo da dove si è partiti per arrivare poi ad oggi”.

Vigne Vecchie del Piante a Lapio - foto Courtesy of Jaoquin A.A

“L’idea di Piante a Lapio quindi è di produrre un fiano da sole piante centenarie¤ a ‘piede franco’ e intervenire il meno possibile enologicamente¤, come pure, ad esempio, sostituire l’anidride solforosa con un coadiuvante antisettico naturale estratto dai polifenoli del vinacciolo che contribuisce ad eliminare un ulteriore fattore di interferenza quali sono di solito i solfiti aggiunti¤”.

Piante a Lapio 2012 in affinamento - foto A. Di Costanzo

“Abbiamo poi scelto di affinarlo in legni di castagno di Agerola, perchè da sempre viene ritenuto il migliore per la produzione di botti, e la spiegazione che ho individuato in merito è che sul Faito il terreno fertile è spesso pochi centimetri e quindi l’albero stenta a crescere, donando dei legni più compatti e visto che il difetto principale del castagno è l’eccessiva permeabilità di ossigeno, con conseguente ossidazione del vino contenuto, questo fattore ha fatto sì che i nostri ‘vecchi’ lo individuassero come ‘migliore’ perché i vini qui conservati risultavano incredibilmente più espressivi che altrove, nonché più stabili. Ricordo in merito che il papà di Luigi Di Meo (La Sibilla, ndr) mi raccontava che il “Per ‘e Palummo¤” nel castagno di Agerola era di sovente destinato ai Signori napoletani, mentre il vino delle altre botti era il vino per il ‘popolino’ e i prezzi erano notevolmente diversi. Per questo con Cione Botti di Avellino ci siamo selezionati i legni di Agerola e stiamo costruendo botti da 500 litri”. 

L'etichetta - foto A. Di Costanzo

Ma veniamo all’assaggio di questa prima uscita del Piante a Lapio 2011, sulla carta un igt Campania Fiano, per essere pignoli. E’ subito chiarissimo che ha tanta materia in canna, ma anche che solo il tempo, di qui ad almeno due/tre anni la saprà districare, stratificare e consegnare per bene ai palati più attenti. E’ un bianco evocativo, di grande slancio olfattivo, oggi più orizzontale che verticale, concentrico su toni di macchia mediterranea, garighe, origano, arricchito da fluttuanti nuances di acacia e zenzero candito; con un sorso di grande energia, tremendamente asciutto, recalcitrante quasi, a conferma di quanto impeto conservi, con una chiusura di bocca di grande freschezza e dal sapore di una promessa immancabile. Che, naturalmente, sapremo attendere e non ci vogliamo perdere per nulla al mondo.

Taurasi Riserva Della Società 2009 Joaquin

16 marzo 2013

Ci tenevo a lasciare traccia di questo sorprendente assaggio in anteprima del Taurasi Riserva Della Società 2009 di Raffaele Pagano, diciamo nuovo a cimentarsi con l’aglianico anche se a qualcuno non sarà sfuggito quello ‘in bianco’ de I Viaggi 2006¤ di qualche anno fa.

Raffaele Pagano - foto A. Di Costanzo

Ebbene, sono andato a trovarlo a Montefalcione profittando degli impegni per Taurasi Vendemmia¤. L’intenzione era di provare soprattutto l’ultima ‘trovata’ sul fiano, il Piante a Lapio 2011, ma anche dare una sbirciatina a ciò che ha prodotto la scorsa ‘dura’ vendemmia ad Anacapri¤ cui ebbi il piacere di collaborare.

Mi sono ritrovato dinanzi a più di una sorpresa: anzitutto il riassaggio di un Oyster 110 2008 in splendida forma; un greco (con un piccolo saldo di falanghina) buccioso e rassicurante al naso come asciutto e saporito in bocca, dal sorso sottile e ancora ben piantato. Ma anche tante nuove idee messe in campo in lungo e in largo in Irpinia e il ritorno all’utilizzo in cantina di legni inusitati come l’acacia ed il castagno.

Taurasi Riserva della Società 2009 Jaoquin - foto A. Di Costanzo

Ma veniamo al Taurasi Riserva 2009. Lavorare l’aglianico rappresenta per Raffaele una sfida nuova e parecchio impegnativa, lui che da sempre punta a stupire con bianchi¤ insoliti e spesso anche irripetuti, smarcandosi abilmente dai molti e per questo considerato un visionario, un po’ fuori, e non solo dalle comuni logiche produttive.

Con questo passaggio va invece affacciandosi su di uno scenario¤ assai più contorto, benché complesso e controverso soprattutto per lui che ancora non ha vigne di proprietà su cui costruire il ‘peso’ storico di una etichetta. Allorché il confine tra banalità ed incomprensione rimane estremamente sottile e la presunzione di saperci fare esposta a subire passivamente il fascino e l’aggravio del tempo nel quale rischia di dissolversi così, senza sconti.

Come sempre però le chiacchiere stanno a zero quando a parlare è il bicchiere. Ed eccolo il Taurasi di Joaquin¤, fatto con pochi grappoli di aglianico portati in cantina da una vigna di nemmeno quattro ettari in Paternopoli, che sembra promettere tante cose, consegnarci un’interpretazione rigorosa ed ossequiosa di enorme freschezza e fittezza degustativa. Ha frutto, tanta polpa e verticalità, nerbo, tannini dannatamente ruvidi e sapido quanto basta. Appena una manciata di bottiglie che nemmeno oso pensare quanto gli costeranno al Pagano tenere ancora un anno là in cantina, ma sui cui posso scommettere si aprirà una caccia senza tregua per essere tra i primi a tirargli il collo.

Montefalcione, Vino della Stella 2009 Joaquin

23 aprile 2010

Chisto è pazzo! Inutile nasconderlo, è stato il primo pensiero che mi ha assalito quando l’ho conosciuto, a Capri, un mattinata estiva di giugno quando mi è venuto a trovare al Capri Palace per lasciarmi un saluto.

Era sull’isola azzurra con il suo enologo Sergio Romano per “visionare” alcuni vigneti dai quali trarre spunto per un nuovo progetto, molto ambizioso (oggi di prossima uscita, del quale però ne parlerò tra qualche settimana) per dare nuova linfa ad una viticoltura isolana un tantino assopita negli ultimi decenni. In effetti a guardar bene le idee messe in campo negli ultimi quattro anni da Raffaele nel suo personalissimo arcipelago Joaquin, l’ambizione, e in taluni casi la sfrontatezza, sembrano essere l’essenza vitale che riesce a tenere ancora labile la sottile linea che passa velocemente tra l’estrema ratio costruttiva del Pagano vigneron alla totale impulsività, ecco la pazzia, dell’artista creativo che rincorre l’opera perfetta e non esita a cercarla.

Raffaele è un vulcano in piena eruzione, e come un vulcano difficilmente accetta ostacoli insormontabili, le sue sono intuizioni folgoranti e idee talvolta estreme ma pur sempre espressioni di un ideale proprio, vero, autentico; Prendete ad esempio la vinificazione in bianco dell’aglianico, qualcuno ha fatto proclami, anche fuori regione, del proprio azzardo, ma in effetti di aglianico in certi vini vi era una bassissima percentuale, giusto quella per far gridare alla geniale primogenitura. “L’unico bianco con base 100% aglianico (di Taurasi!) è I Viaggi 2006 di Joaquin, perché io non credo alle mezze misure, ma, se vi sono, alle reali opportunità”. Non vi basta? Pensate allora all’utilizzo dei legni per la fermentazione e/o l’affinamento dei vini bianchi: in genere cavalcando l’onda di “tutti pazzi per il rovere” ne abbiamo visti di tutti i colori, a volte scempi inauditi, il Pagano s’impone di usare l’acacia, perché? “Perché è più prezioso, cede poco o niente al vino e pertanto il mosto che ci finisce dentro deve averne di carattere per uscirne glorificato”; non ha tutti i torti, il legno, come spesso ripete anche Luigi Moio, è un mezzo, non il fine, ma da questo malinteso di fondo in molti per troppo tempo hanno pensato alla barrique non come strumento di valorizzazione ma come artefice di caratterizzazione, un errore tra i tanti, che hanno fatto passare per buoni certi concetti stereotipati e vecchi già prima di nascere.

Il Vino della Stella 2009 è un Fiano di Avellino (in questi giorni in commissione d’esame della docg in attesa di approvazione), nasce dalle vigne in Montefalcione, sul versante che affaccia su Lapio (nello specifico, in linea d’aria, proprio di fronte alle vigne giardino di Clelia Romano), vendemmiato, per essere precisi, il 27 di Ottobre 2009 da un appezzamento di circa un ettaro e mezzo che ha dato solo 6620 chilogrammi di uve fresche, vinificate esclusivamente in acciaio (in serbatoi costruiti su richiesta in formato 1 a 1, vale a dire con superficie di contatto delle bucce quanta più ampia possibile) e dalle quali si sono ottenuti circa 4700 litri di vino, più o meno 6200 bottiglie circa.

E’ un vino intrigante, veste di giallo paglierino tenue ma di ottima vivacità, il naso ha bisogno di tempo, per cui lo lasciamo scorrere nel bicchiere e ad ogni sniffata ci accorgiamo della leggera virata, dall’erbaceo iniziale al floreale e fruttato conseguente, spiccate le note verdi che ricordano l’erba falciata, ma appena dopo un po’ ancora più affascinanti i profumi di melone bianco e fiore di tiglio che richiamano l’idea di un vino in continuo divenire. In bocca è secco, l’ingresso è fresco ed abbastanza caldo, cerco conferma della sua struttura alcolica e ne ho certezza, sopra i tredici e mezzo, eppure gradevolissimo. Adesso la temperatura è più alta e le note olfattive entrano in una orbita più fragrante rimarcandone piacevoli sensazioni dolci e morbide.

E’ certamente un azzardo delinearne adesso un profilo organolettico ineccepibile, lungi da me, ma credo sia un vino di buona stoffa, e tra qualche tempo sarà capace di esprimere un equilibrio ed una piacevolezza da vero campione, e senza dover aspettare due-tre anni dalla vendemia: ecco, ci sono! Forse questo fiano di Avellino non possiederà una prospettiva verticale assoluta ma dona certamente di sé già una immagine diversa dalle rincorse alle mineralità alsaziane o dalle sfaccettature tropicali di certi fiano cotti dal sole: ma certo, la terza via, possibile che esista una terza via che si divincoli dalle acidità marcate o svolti drasticamente dalle morbide curve dell’obesità californiana? 

Vinitaly, alcune buone ragioni per esserci stato

10 aprile 2010

Di ritorno a Verona dopo quattro anni. Ho raccolto queste impressioni, del tutto personali.

Prologo: in verità Vinitaly e la partecipazione all’evento è stata una scusante, nel senso di un buon motivo per ritornare nella fatal Verona; Venire al Vinitaly è stato per alcuni anni un grande entusiasmante viaggio alla scoperta ed alla ricerca di tante buone bevute, da condividere con amici, sommeliers, compagni, amori. Rifuggire tra gli stands dei padiglioni scaligeri era un divertimento ed una goduria (apparentemente) incredibilmente costruttiva: all’epoca. Poi è divenuto quasi un lavoro, a dire il vero una faticaccia, ed ecco che mi ci sono un tantino allontanato. Quest’anno il ritorno, dopo quattro vendemmie, di striscio ma non spocchioso, ho preferito approfondire prima alcuni altri argomenti da sempre a me cari, come per esempio camminare le vigne, quelle del Trento doc e del Franciacorta, Trentino quindi e Lombardia, ma comunque fermo e convinto a portare il risultato a casa: buone nuove, conferme, smentite. Nessuno slogan, ne snobismo, solo tempi più giusti ed obiettivi mirati. Questo in pillole, in ordine assolutamente sparso dovuto al continuo passaggio tra un padiglione e l’altro, il resoconto di alcuni assaggi meritevoli di attenzione che non mancherò di approfondire su queste pagine nei prossimi giorni.

Fiano di Avellino Vino della Stella 2009 di Raffaele Pagano-Joaquin, l’unico vino campano in questa batteria ma solo perchè è veramente l’unico che ho bevuto appena prima di partire nel mentre ero già sulla via del ritorno: Raffaele, forse, è un matto, ma la stima che ho di lui e per il suo alacre impegno si rinnova ogni volta di più; E’ un gran bel vino, da attenzionare nei prossimi mesi. In uscita ad Ottobre, forse. I Vermentino, tutti, della famiglia Isoni di Pedra Majore, in particolare il Vermentino di Gallura Superiore Hysony 2008 e il passito dolce Mjuru, eccellente il primo, stratosferico il secondo. Cannonau di Sardegna Jerzu Riserva 2005 di Alberto Loi e dello stesso produttore l’isola dei Nuraghi rosso Tùvara 2005, blend di Carignano, Cannonau e Muristeddu, davvero impressionante per tipicità e complessità. Poi, un vino raccomandato la sera prima dal bravo patron e sommelier Massimiliano Peterlana dell’Osteria “a le due spade” di Trento, il Vallagarina Marzemino 2007 di Eugenio Rosi, grande frutto ed equilibrio gustativo. Poi, il Veltliner 2008 di Nossing, il Sauvignon 2008 di Falkenstein, il Sauvignon Voglar di Dipoli, il 2007 più del 2008, ancora in divenire. Stupendo il passaggio in Colterenzio, 14 vini, più di un’ora di degustazione, in privato, con il disponibilissimo Martin che solo alla fine ci rivela di essere l’enologo dell’azienda: che esperienza conoscitiva! A parte i Lafòa ormai sulla bocca di tutti, ho molto apprezzato il Pinot Bianco Cornell 2007, estremamente varietale, quasi didattico e giovanissimo, poi lo Chardonnay Cornell 2007, il Sauvignon Prail 2009, il sempre amato Lagrein Riserva Sigis Mundus versione 2006 ed il sempre difficilissimo Blauburgunder che proprio non ne vuole sapere di moderare la possenza, anche nel base Mantsch 2007! Un breve passaggio in Toscana, per salutare alcuni amici ed in particolare Luciano Ciolfi di Podere Sanlorenzo che sta facendo un gran bel lavoro in quel di Montalcino: da provare il Brunello Bramante, ancora il 2004 nonostante sia già fuori con il 2005. Buonissimo il Rosso di Montalcino 2007, ad avercene ancora, uno dei più gradevoli assaggiati in fiera. E la Campania? beh, quella la porto nel cuore, non devo mica arrivare a Verona per berne il nettare; Poi ancora bollicine, quelle buone, vigne e cantine stratosferiche e cucine e piatti creativi (maddechè!); Rimanete collegati, ne leggerete delle belle.

Sarà che Vinitaly è ormai un gran carrozzone, ma a quanto pare non si smette mai di salirci sopra, a torto o a ragione?


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