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Bacoli, Cruna DeLago 2008 La Sibilla

13 luglio 2010

“Guardi avrei proprio voglia di lasciarmi consigliare da lei un bel vino campano, qualcosa che mi possa far cambiare idea ed opinione a riguardo: deve sapere che lì, su al nord, non è che si beva benissimo, ci sono certi soloni, tutti matti per lo sciardonnè, ma per me che amo il sud rimane comunque piuttosto difficile trovare dei vini della vostra regione che mi entusiasmino in modo particolare, ma è possibile che avete solo Cantine Sociali..?”

Carlo Bernini (nome puramente di fantasia, ndr) si è dimostrato un ospite molto gradito. Avvocato in Cassazione, spalle larghe, almeno quanto il bacino e sessant’anni nemmeno a vedergli la carta d’identità, viso tondo tendente al paffuto, dagli occhi azzurri, semi chiusi; persona però distinta, appena un po sfacciata, curiosa, insomma uno di quei clienti che pagheresti per avere alla tua tavola, e non solo per le belle bottiglie che ti lascia decidere di aprire, e nemmeno per la lauta mancia che ti offrirà alla fine per ringraziarti, stavolta con gli occhi ben aperti, azzurri, lucidi, soddisfatti per avergli riservato una piacevole serata: la tua soddisfazione, la grande soddisfazione l’avrai ottenuta invece da quelle poche parole, tra le mille venute fuori durante la cena, che ha saputo far entrare, esprienza alla mano, con le sue osservazioni, con le sue puntualizzazioni, con i suoi aneddoti, nella tua mente, prepotentemente, parole che mai dimenticherai!

L’avvocato Bernini ne ha viste tante in vita sua, e ne ha districate troppe per fidarsi ciecamente: “mi sono occupato di frodi alimentari e di vino per circa un ventennio, e credimi mio bel sommelier, la purezza delle tue parole, il tuo racconto mi affascinano, ma non mi convincono, ho bisogno di più”. Avvocato mi lasci dire, che brutta opinione che s’è fatto del vino, lasciamo stare le mie chiacchiere, facciamo che a parlare sia il bicchiere, io le faccio bere due-tre cosette, lei, alla fine, mi deciderà cosa val la pena pagare e cosa no, ci stà? “Intraprendente…”.

Così dopo una ouverture leggiadra a base di Biancatenera di Tramonti (Monte di Grazia bianco ’09) confido che sia il Cruna DeLago di Luigi e Restitua Di Meo a scalfire la mistica  pervasione del vino nostrano agli occhi dei transumanti avventori dell’alta langa. “Un vino delizioso, ti dà l’impressione di volerti piacere per forza ma non è ruffiano, non ammicca in maniera insolente, dico bene?”  Dice bene, essere se stesso è un suo tratto caratteriale. Il vitigno di cui è composto, la Falanghina dei Campi Flegrei ha la capacità di conquistare i palati senza sciolinare false pretese, offre vini sinceramente franchi, austeri e sottili al naso, asciutti e minerali, profondi al palato. Il vino che ne viene fuori è di solito vivo come la storia millenaria imprigionata nelle centinaia di enclavi di monumenti che ne costellano il territorio tutto, da Pozzuoli a Bacoli, ed il Cruna DeLago è una delle sue massime interpretazioni: giallo splendente, intriso di profumi di glicine e pino mediterraneo, quello delle coste di Agnano, austero proprio come l’anima dei suoi vignaioli, legati alla propria terra più che a se stessi, un nettare asciutto e minerale come le falde ardenti del vulcano Solfatara, salmastro non per evoluzione ma per finissima vocazione.

Ecco avvocato, mi sono tenuto defilato, niente nomoni, non le ho nemmeno raccontato della crescita inimmaginabile, il successo del Fiano di Avellino e del Greco di Tufo, e le ho servito il Fiorduva solo perchè così come richiesto dal dotto’ Impresacchi: ma mi dica, le sono piaciuti i vini? “Angelo, ho molto apprezzato, vorrei tanto conoscere di questo Alfonso Arpino, come si fa ad allevare vigne di cent’anni? E poi i Campi Flegrei, pensare alla Falanghina con questa profondità così mediterranea non mi era mai capitato prima, oggi ho scoperto due bei vini!

E’ solo l’inizio mio caro Avvocato, questa è la mia terra e non ha confini!

Mirabella Eclano, il Taurasi Riserva Vigna Quintodecimo 2004 di Luigi Moio

19 Maggio 2010

L’uomo vive ogni cosa subito per la prima volta, senza preparazioni. Come un attore che entra in scena senza aver mai provato. Ma che valore può avere la vita se la prima prova è già la vita stessa? Per questo la vita somiglia sempre a uno schizzo. Ma nemmeno “schizzo” è la parola giusta, perché uno schizzo è sempre un abbozzo di qualcosa, la preparazione di un quadro, mentre lo schizzo che è la nostra vita è uno schizzo di nulla, un abbozzo senza quadro. (Milan Kundera, l’insostenibile leggerezza dell’essere).

Come Milan Kundera Luigi Moio¤ esprime un concetto talmente semplice e reale quanto sfuggente, presi come siamo ogni giorno dalla continua ricerca, nella vita come nel vino, di una continuità fine a se stessa impossibile da ottenere sistematicamente senza rinunciare alle emozioni; Alla base di tutto vi è un concetto elementare: ogni nostra azione, ogni nostro istante è irripetibile; Perché la vita stessa è irripetibile. Kundera con il suo meraviglioso libro ci dice che non siamo preparati ad essa e che non abbiamo seconde possibilità. Tutto ciò che scegliamo o consideriamo inizialmente come leggero rivela presto il suo incredibile peso.

Così Moio, in maniera disarmante concede attraverso i suoi vini una chiave di lettura del terroir antica e nuova allo stesso tempo, un ossimoro palpabile ad ogni sorso di questo straordinario Vigna Quintodecimo 2004, autentica territorialità ed eleganza da vendere, nettezza d’aglianico e finezza esemplare, lontana anni luce da quel Taurasi che dopo anni di intimo (non tanto) vagar sospeso tra il tutto ed il niente sembra aver riscoperto nelle piccole imperfezioni dei nuovi interpreti la sua franchezza. E’ così tanta la strada da fare, perchè pensare di aver già trovato la quadratura del cerchio? E’ perchè sprecare tempo (leggi denaro) e parole invece di investirli in ricerca e conoscenza? Questo il messaggio che mi è parso rileggere, ancora una volta in questo eccellente vino.

Il Taurasi Riserva Vigna Quintodecimo 2004 è vino incredibilmente espressivo, sin dal colore rubino vivace, concentrato e splendente, con appena accennate sfumature granata sull’unghia. Il naso offre un ventaglio olfattivo delizioso ed intrigante, varietale, intenso e complesso, sensazioni di finissimi terziari in ascesa ma appena espresse. Un ventaglio olfattivo imponente, decisamente aperto a concedere minuto dopo minuto, quarto d’ora dopo quarto d’ora sempre fresche sensazioni olfattive: piccoli frutti neri, fiori passiti a rincorrere nuances di spezie ficcanti ma suadenti, note balsamiche dolcissime cadenzate da nerbo e giustezza. Vino secco, in bocca entra con la stessa delicatezza delle parole di Kundera, innescando con la sottile invadenza una profondità attesa e allo stesso tempo sorprendente; il frutto pervade tutto il palato, costantemente sopra le righe, incanta e coinvolge per bene tutte le papille gustative, si ha quasi la sensazione di metterle costantemente in riga a chiedergli di aver ben compreso il messaggio prima di lasciare il campo allo spesso nerbo acido-tannico, presente ma castamente defilato in attesa di tempi migliori.

Un vino per i prossimi vent’anni, una emozione per i prossimi cento, aperta ad ogni confronto, la terra d’Irpinia racconta, Luigi Moio ci rende partecipe del suo canto!

Qui le degustazioni di tutti gli altri vini di Quintodecimo¤ del millesimo 2007.

Isola di Capri, Il sentiero dei Fortini ad Anacapri

26 aprile 2010

“A Capri lo struscio, ad Anacapri per scoprire le bellezze dell’isola di Tiberio”.

C’è un posto meraviglioso che non potete perdere di vivere, quantomeno non potete non sapere che esiste, è “Il Sentiero dei Fortini” ad Anacapri, un percorso unico e straordinario tra cornici di roccia, scultorei promontori e baie profonde come i fiordi norvegesi con la differenza che qui le acque sono turchesi; Un viatico di collegamento tra la zona del Faro di Punta Carena a quella della Grotta Azzurra, via costa, di una suggestione incantevole. La storia racconta che la sua origine è dovuta alle angherie che Capri ha subito durante l’epopea Borbonica a Napoli, in particolare durante la “Presa di Napoli” del 4 ottobre 1808 ad opera dei francesi sotto il comando di Gioacchino Murat che, si racconta, sia stato l’artefice di questa massiccia intensificazione di fortificazioni sull’isola per preservarsi da attacchi improvvisi e governare il Golfo di Napoli: “Chi ha Capri, ha Napoli” amava sottolineare nelle sue infuocate arringhe alla corte del re mite Giuseppe Bonaparte.

Il cammino è immerso nel verde, tra le roccie frastagliate della costa, a tratti mascherate dalla folta boscaglia ed il mare immenso che si apre sul Tirreno. I Fortini sono oggi completamente restaurati e meritano senz’altro di essere visitati, luoghi che raccontano storie di uomini lontani ma che appartengono in tutto e per tutto alla nostra storia. C’è il Fortino di Pino, quello più vicino a Punta Carena, che ha una struttura circolare con un diametro esterno di 60 metri, l’interno è invece rettangolare e si trova a circa 40 metri sul livello del mare. Dalla sua posizione venivano controllate la Cala di Mezzo a nord e la Cala del Limmo a sud.

Il Fortino di Mesola invece si erge sul promontorio Campetiello, che prende il nome dalla famiglia De Campetiello che ne era proprietaria. Ha anch’esso una struttura circolare con mura spesse entro cui erano posizionati due cannoni per la difesa della costa. Un particolare non secondario per avvalorare il valore storico di queste costruzioni e che proprio qui vi sono stati importanti ritrovamenti addirittura risalenti all’insediamento dell’uomo primitivo sull’isola, ne è testimonianza il ritrovamento di piccoli utensili di ossidiana nonché reperti risalenti al periodo greco e romano che ne fanno un approdo storico all’isola, fondamentale la testimonianza di resti di un’antica scala scolpita nella roccia.

Il Fortino di Orrico (nella foto, toponimo di origine greca, significa “campo fiorito”), anche questo di particolare suggestione, si trova a circa 30 metri sul livello del mare sulla Punta del Miglio, ha una struttura semicircolare con un diametro di circa 20 metri, e si trova a circa trecento metri dalla Grotta Azzurra. Anche qui entro le sue mura di cinta, spesse circa 2 metri, vi erano due cannoni direzionati a sud-ovest e a nord-ovest in modo che il loro fuoco s’incrociasse con il fuoco del fortino di Campetiello, centrale, e questo con quello di Pino, un modo da creare una barriera di fuoco a qualsiasi nave che cercava di avvicinarsi senza autorizzazione.

Ecco alcune buone ragioni per vivere l’isola di Capri, i lustrini e le paillettes sono buoni per la notte, le luci del giorno consegnano paesaggi indimenticabili, da vivere!

© L’Arcante – riproduzione riservata

C’è del nuovo a L’Olivo, i piatti di Oliver Glowig

31 marzo 2010

Veduta panoramica al tramonto del golfo di Napoli dalla terrazza de L’OLivo

Ci siamo, domani mattina apriamo le porte ai primi ospiti del Capri Palace Hotel&Spa; Una settimana intensa di lavoro per preparare un avvio di stagione a quanto pare già scoppiettante per quella che si prefigura come una estate piena di impegni e grandi prospettive di crescita. Cantina, carte dei vini, ordini, organizzazione, varie ed eventuali non hanno certo mancato di darci grattacapi, ma pare essere ad un buon inizio; Come la prova dei piatti durante il briefing di quest’oggi, circa una quarantina tra quelli storici e quelli nuovi: all’approccio alcuni di questi mi sono apparsi davvero molto interessanti, nella loro lineare espressione tradizionale, anche campana, votata alla condivisione internazionale, come nello stile, strano ma verissimo, e dell’inventiva di Oliver Glowig. Attendiamo il confronto con i nostri ospiti, nel frattempo ne presentiamo qui alcuni di questi che vi passeremo di volta in volta: la stagione è lunga, il lavoro è tanto, ma cercherò di non mancare all’appuntamento con il Diario Enogastronomico.

Quaglia con fois gras, asparagi ed uova di quaglia; (n.b.:la foto è solo rappresentativa dell’idea della ricetta, è stata rubata durante le prove di alcuni giorni fa, non vi sono per esempio, le uova di quaglia che sono sostituite da piccoli fiocchi di ricotta, ndr) E’ un piatto dalle ottime consistenze, ha una preprazione laboriosa e meticolosa, coniugata con il fois gras per dargli il giusto respiro internazionale. Una bella sfida l’abbinamento, per scoprire il quale non resta che passare dalle nostre tavole.

Ingredienti per 4 porzioni:

  • 4 quaglie disossate di media grandezza
  • 4 pezzi di foie gras da 15 grammi
  • 12 uova di quaglie
  • 12 punte di asparagi verdi
  • fondo di pollo
  •  Per la farcia:
  • 500 g  petto di pollo
  • 1 albume
  • 5 g sale
  • 100 g panna fresca
  • sale e pepe q.b.
  • 10 g Cognac
  •  Per finire la farcia:
  • 30 g scalogno tritato
  • 30 g sedano tagliato a brunoise  (tocchetti quadrati piccoli, tutti uguali, ndr)          
  • 30 g carote tagliate a brunoise  
  • 30 g zucchine tagliate a brunoise  
  • ½ spicchio d’aglio
  • 8 g funghi porcini secchi
  • 5 g crostini di pane
  • 200 g farcia di pollo
  • 20 g burro
  • foglie di spinaci sbollentate q.b.
  • Preparazione:
  • della farcia:– passare i petti di pollo nel tritacarne e condire con panna, sale, pepe, albume e Cognac, congelare per almeno 12 ore in un contenitore, chi possiede il Pacojet ne avrà in dotazione alcuni. Coprire la farcia fine al bordo con panna fresca e passare due volte al Pacojet, setacciare quindi il composto ottenuto e condire con sale e pepe.
  • Per finire la farcia: rosolare le verdure in burro e aggiungere i porcini tritati, successivamente mischiare il tutto con la farcia ed aggiungere i crostini; Avvolgere il foie gras nelle foglie degli spinaci.
  • Per finire le quaglie: aprire le quaglie disossate, condire con sale e pepe, stendere la farcia e mettere il fegato al centro e chiudere le quaglie e legarli aiutandosi con la carta alluminio, condire quindi con sale e pepe; A questo punto procedere alla rosolatura delle quaglie, aggiungere un pezzettino di burro e finire la cottura al forno a 180 °C per 10 minuti, a parte sbollentare gli asparagi e le uova di quaglie che completeranno l preparazione.

Per il servizio: tranciare ogni quaglia con un taglio centrale obliquo e posizionarle in un piatto piano bianco, porre tutt’intorno gli asparagi sbollentati e le tre uova cotte a bassa temperatura “a decorazione”, completare il piatto con un filo di fondo ridotto sparso tutt’intorno alla preparazione.

Ricetta di Oliver Glowig, executive chef del Capri Palace Hotel & Spa

Isola di Ponza, Il “Tavel” 2008 di Punta Fieno

7 gennaio 2010

Nell’ultimo numero di deVinis¤, la rivista ufficiale dell’associazione italiana sommeliers, compare il bell’articolo scritto dall’amica sommelier Michela Guadagno sull’evento che abbiamo realizzato lo scorso 17 ottobre presso il prestigioso Capri Palace Hotel&Spa di Anacapri sui vini delle piccole isole del sud. In quell’occasione proponemmo in degustazione, ad una platea particolarmente edotta, alcuni tra i migliori vini prodotti nelle isole di Ischia, della stessa Capri, della splendida Pantelleria e di Ponza. Il risultato fu davvero sorprendente e tra i vini più interessanti ne venne fuori proprio quello prodotto sull’isola tanto amata da Strabone, il Fieno bianco 2008 delle Antiche Cantine Migliaccio, del quale potete trovare ampia descrizione storica ed organolettica sul sito di Pignataro¤ attraverso il racconto di Marina Alaimo¤ e di Michela Guadagno¤.

Antiche Cantine Migliaccio sopravvive esclusivamente grazie al forte legame che Luciana Sabino ed il marito Emanuele Vittorio nutrono per l’isola di Ponza ed in particolare per questo lembo di terra, in località Punta Fieno, che conserva un fascino incontaminato unico e raro in un isola da sempre depredata della sua vocazione rurale e naturalistica per fare posto al cemento delle case vacanza ed alle speculazioni dei burini arricchitisi con esse.  Appena 2 ettari di vigna allevati grazie ad un lungo lavoro di restauro di muretti a secco, abbarbicati su per la piccola collina che lega la splendida Chiaia di Luna al Faro,  raggiungibile esclusivamente attraverso una stretta mulattiera e con almeno 40 minuti di cammino che durante le estati più calde possono portare a dover sopportare temperature anche vicine ai 40-50 gradi.

Il Fieno Rosato nasce con l’intenzione di verificare le qualità tangibili delle uve rosse allocate in zona, piedirosso soprattutto, ma anche guarnaccia, montepulciano, barbera, tutti vitigni trapiantati sull’isola, in via sperimentale, dai vari contadini succedutisi nella conduzione dei vigneti nei decenni precedenti l’avvento della famiglia Migliaccio; uve, tutte, non certamente favorite da una condizione pedoclimatica davvero particolare, dato lo stress, soprattutto idrico, a cui sono sottoposte nel periodo di piena maturazione ed in prossimità dell’epoca vendemmiale. C’è da aggiungere a tutte queste, l’enorme difficoltà che si vive ad ogni raccolto, dato i mezzi tecnici a disposizione davvero essenziali a causa dell’ubicazione delle vigne e delle enormi difficoltà di strutturare il loco una vera e propria cantina, in effetti un piccolo cellaio restaurato, non senza ingenti sacrifici, dove grazie a piccoli fermentini trasportati addirittura in elicottero (!) comunque avviene tutta la fase di raccolta e vinificazione, in condizioni, per così dire, primitive.

Ciononostante mi ritrovo nel bicchiere un bel vino dal colore rosa tra il ramato ed il cerasuolo, per intenderci, appena una spanna sotto il chiaretto, di media consistenza nel bicchiere. Il primo naso va lasciato scivolare via poichè conserva una lieve nota di riduzione che con una giusta ossigenazione, due-tre minuti al massimo, va via lasciando spazio a sottili e gradevoli sentori floreali e fruttati. Note di petali di  rosa e geranio, ma subito dopo mora rossa e melograno. Caratteristiche distintive di un vino di difficile concepimento ma dal risultato encomiabile viste le difficoltà attraverso le quali nasce.

In bocca è secco, abbastanza caldo, una discreta acidità maschera bene il buon tenore alcolico che comunque raggiunge i 12 gradi e mezzo. La beva risulta gradevole ed il finale di bocca è piacevolmente ammandorlato. Da bere fresco ma non freddo, su pietanze saporite di mare ma anche su carni bianche al sugo, coniglio o pollo ruspante su tutte. Rimuginando, cercandone similitudini, mi è venuto in mente il Tavel,  tradizionale e classico rosè d’oltralpe prodotto nella a.o.c. omonima a sud della Valle del Rodano, vino emblematico di come i vini rosati possano essere amati ed apprezzati in tutto il mondo non solo come vini dal consumo veloce (di annata, per meglio capirci) ma anche da saper e poter aspettare per qualche anno prima di berli. Ecco, a volte, sacrificando mediocri vini rossi si possono tirare su, senza fasciarsi la testa e senza alzare troppo il tiro, piacevoli e rari vini ramati.

Marina del Cantone, la Taverna del Capitano #1

9 novembre 2009

marinadelcantone[1]

“Ci sono scrigni in Campania che aspettano solo di essere rivelati, tesori celati dal clamore del tam tam voyeristico dei molti per rimanere appannaggio dei pochi in cerca di rifarsi con la propria anima.” Un tempo era certamente più facile fare di queste parole un messaggio intimo, una istigazione alla scoperta, una esortazione ad andare laddove difficilmente si sceglie di andare. Oggi tutto appare più scontato, la globalizzazione ha varcato, anche in tal senso, la sempre più sottile linea di demarcazione tra ciò che fa la storia e ciò che ne fa parte. Così questo fine settimana, in attesa di un aggiornamento più completo della nostra recente visita alla famiglia Caputo a Nerano, godetevi un pezzo di Costiera, di quella con la “C” maiuscola, così raccontato qualche tempo fa.

In gennaio i colori dei paesaggi sono tendenzialmente pastello con sfumature quasi mai lontane dal grigio e gli umori sembrano spesso seguire questi standard quasi a rimarcare stati d’animo alla ricerca della quiete e della solitudine dopo le caotiche seppur festose giornate natalizie. I virtuosismi però a cui ci stà troppo abituando questo clima impazzito ci ha consegnato, giovedì 4 gennaio, una giornata splendida, assolata e temperata al punto di tapezzare interi paesaggi con fiori di ogni colore. Così comincia la nostra giornata verso la penisola Sorrentina, seguendo un sole alto e splendente, alla ricerca di una tranquillità e di un’aria pulita che in queste giornate qui hanno un appeal unico e raro. In questi giorni una breve sosta presso La Tradizione a Vico Equense è quasi di norma per chi voglia conoscere anticipatamente cosa il Salvatore Di Gennaro stia programmando di far capitare sulle tavole dei risotranti gourmet della penisola per la prossima stagione, oltre ai formaggi e salumi selezionatissimi è stato molto istruttivo carpire riferimenti utili su particolari produzioni di zucchero di canna provenienti dai paesi più impensabili, alcune delizione confetture e marmellate di aristocratica provenienza provenzale, miscele pregiate di caffè centramericani e thè di particolare bontà rinfrancante, oltre che cioccolati dell’artigiano piemontese Gobino ed alcune chicche come il buonissimo torrone di mandorle brustolite del CaffèSicilia di Noto.

Positano non è poi così lontano ed in programma c’è una capatina giù in spiaggia per rinfrancare lo spirito di ricordi di una estate grandiosa quanto infinita di qualche tempo fà trascorsa in questo posto magico ed unico nel suo genere tra i vicoli coloratissimi, pieni di vita e talvolta affollatissimi da personaggi ed interpreti quasi tutti uguali. In piazzetta quasi nessuno è rimasto aperto, poche le persone in giro così senza pensarci due volte tiriamo dritto verso la nostra meta di giornata, Marina del Cantone a Nerano dove ci aspetta (crediamo) una bellissima esperienza gastronomica a La Taverna del Capitano della famiglia Caputo. Il sole qui è alto ed illumina uno scenario bellissimo all’orizzonte sul mare, il nostro tavolo è in terrazza proprio a ridosso del mare, la sala è semplice, un pò retrò, ma curata, luminosa, i tavoli arricchiti di preziose miniature scolpite in legno; Veniamo accolti con garbo cordialità e con Mariella decidiamo il da farsi: scegliamo il menù degustazione (€ 75,00) per avere un saggio della cucina di Alfonso Caputo fresco di seconda stella Michelin, dalla carta dei vini, abbastanza fornita, ben costruita, di facile lettura e con ricarichi onesti scegliamo il Fiano di Avellino di Marsella ’03 segnalato a €  30,00 (rivelatosi poi strepitoso!!, ndr) che ci accompagnerà per tutto il pasto.

Dopo lo stuzzichino, il primo antipasto è una variazione sul tema calamaro, è una bella preparazione, da vedere e da mangiare, assolutamente ineccepibile la zuppa di gamberi con uovo di gallina, per equilibrio, consistenza e piacevolezza. Sapori forti e tipicamenti mediterranei negli spaghetti con alici, capperi ed olive e foglia di fico. Più interessanti invece il filetto di cernia in porchetta con i funghi porcini e il manzo impanato con salsa alla pizzaiola e friarielli (eccellente!!) anche quest’ultimo bello da vedere e da mangiare. I dessert sono stati una giusta chiusura ad un menù del genere: Chupa chups alle noci su salsa allo strega per la signora ed un (a)tipico babà al rhum agricole per me, buoni entrambi. Un grande valore aggiunto un servizio impeccabile, per tempi e modi di esecuzione e la cantina visitata assieme a Mariella, bella, ricca di prestigiose etichette ma che guarda al sud ed alla campania con un buon occhio di riguardo conservando anche annate passate di vini bianchi, spesso fuori carta ma presenti.

Taverna del Capitano
Ristorante con camere
Piazza delle Sirene 10/11
Località Marina del Cantone
80061 Massalubrense (Na)
Telefono 081 808 10 28
Fax 081 80818 92

Trippa di baccalà e caviale con ricotta, taccole e pancetta, 2008

9 novembre 2009

Ingredienti:

  • 20 gr ricotta vaccina
  • 3 pezzi trippa di baccalà da 10 grammi l’ una
  • 1  taccola
  • 10 gr pancetta d’Osvaldo
  • 6 gr caviale Calvisius
  • sale fleur de lune, pepe e crescione shiso purple q.b.

Preparazione: riporre la trippa di baccalà sottovuoto e cucinarla a 62°C per 60 minuti circa, nel frattempo passare la ricotta nel “paco jet”, tagliare le taccole e la pancetta a losanghe, saltarle in padella con poco olio e condire il tutto con sale e pepe. A parte scottare la trippa in una padella di ferro e condirla con solo “fleur de lune”.

Per il servizio: un piatto dai colori scuri, nero o marrone, esalterà al meglio la luminosità degli ingredienti di questo piatto, ma va bene anche un piatto bianco classico. Con un sac-a-poche riporre al centro del piatto una striscia di ricotta, aggiungere le taccole, la pancetta e  la trippa di Baccalà , quindi il caviale, decorare con una o due foglioline shiso purple (foglie dal sapore di cumino, decorative innanzitutto).

Ricetta di Oliver Glowig, executive chef del Capri Palace Hotel&Spa.