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L’Es di Gianfranco Fino e il principio del piacere come passione pura

21 febbraio 2020

Correva l’anno 2006, durante una delle mie prime partecipazioni alle degustazioni di Vitigno Italia a Napoli, allora si teneva alla Mostra d’Oltremare di Fuorigrotta, mi venne raccomandato, tra gli altri, di non perdermi un assaggio, uno straripante Primitivo pugliese; successivamente, la stima e l’affetto di Salvatore Martusciello mi concesse addirittura di poter godere di una intera bottiglia di quel vino, l’Es di Gianfranco Fino, credo fosse annata 2004.

Quel vino, assolutamente sconosciuto, devo essere sincero, mi trovò oltremodo impreparato; non tanto da un punto di vista professionale, in quanto nonostante fossi ai miei primi anni da Sommelier un po’ di bottiglie di un certo spessore le avevo già aperte e con un po’ di fortuna mi ero avviato a camminare diverse vigne qua e là in Italia e incontrare tanti ottimi produttori che mi avevano aiutato con il loro sapere. Questo vino di Gianfranco Fino, allora mi pare fosse un collaboratore di Luigi Veronelli in Puglia, segnava chiaramente uno spartiacque, almeno tra i rossi pugliesi conosciuti dal grande pubblico di appassionati sino ad allora e per quel territorio in particolare. Mai approcciato qualcosa di simile prima di allora, ne rimasi folgorato.

In quegli anni spirava un vento ”buono” e diverso in quella regione, Manduria e più in generale quelle terre sembravano acquisire un ruolo sempre più decisivo nelle sorti produttive pugliesi, areale non più relegato alla mercé dei numerosi imbottigliatori del nord che qui venivano a fare mercato ma finalmente protagonista di un processo di sviluppo concreto che vedeva di anno in anno grandi gruppi investire e sbarcare direttamente sul territorio, riuscendo al contempo lasciar emergere nuove piccole realtà che avrebbero saputo affiancare i nomi ”storici” e lasciare, a loro modo,8 un segno indelebile.

Così è stato se vogliamo per Gianfranco Fino e Simona Natale, partiti con una manciata di piante in Agro di Manduria e un grande sogno nel cassetto sino ad arrivare a mettere su, a suon di sacrifici e di successi, una splendida realtà che conta oggi tra Sava e Manduria 22 ettari di vigna di cui almeno la metà di vigne vecchie, recuperando inoltre, con un lungo lavoro certosino, le preziose viti ad alberello sposando appieno una filosofia di coltivazione della terra sostenibile e di grande autenticità.

Per quanto bizzarro come nome, Es viene scelto perché rappresenta il principio freudiano del piacere della passione pura che fugge completamente alla ragione, l’istinto di ciò che è primordiale, e così ci si avvicina a questo duemilasedici, un piccolo capolavoro di concentrazione estrema, un rosso di grande pulizia olfattiva e di enorme fascino sensoriale: il colore è rubino vivace, fitto ed elegante, il naso è un trionfo di marasca sotto spirito, prugne in confettura, spezie dolci, polvere di cacao, il sorso è pieno, potente ma vellutato, di finissima tessitura acido tannica che ben riesce ad armonizzare il 16,5% di alcol in etichetta, non certo trascurabile.

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Il Falerno del Massico Primitivo Conclave 2017 di Antonio Papa

14 febbraio 2020

C’è tanta superficialità in giro, spesso te ne accorgi al primo sorso di vino, talvolta già prima di levare il tappo, certe altre ancor prima di mettere gli occhi sull’etichetta. Poi capita di fare Oohh! Così le bottiglie di Antonio annullano qualsiasi preconcetto, quale che sia la presunzione, la convinzione con la quale credi di sapere tutto di Falerno e di Primitivo.

A Falciano del Massico si contano circa 13,5 ettari iscritti alla doc Falerno, votati prevalentemente alla produzione di Primitivo, Barbera, Piedirosso, Falanghina e Moscato e con terreni composti perlopiù di argille, crete e limo, sabbie. Qui, sul versante sud del Monte Massico, fin dal 1900 i Papa promuovono la coltivazione del vitigno Primitivo e di alcune altre varietà minori poi ammesse nel disciplinare doc nel 1988. Nel 1999 iniziano i primi imbottigliamenti e la commercializzazione del loro primo Falerno del Massico doc Primitivo, Campantuono, un rosso di grande estrazione e carattere, continuando la valorizzazione dei vitigni di proprietà coltivati sulle colline del circondario sino a circa 300 mt s.l.m..

Conclave è quindi l’altro Falerno di Antonio Papa o comunque una espressione più moderna del suo Primitivo massicano. Fa da controcanto proprio al Campantuono, se questi infatti è figlio di vecchie piante a piede franco, cloni antichi e provenienti da un vecchio sito in particolare, Conclave viene invece fuori da 3 diversi areali e da vigne messe a dimora in anni più recenti e con piante innestate su piede americano. Si tratta di piccoli appezzamenti situati a poche centinaia di metri dal cuore di Falciano del Massico, in località Pietrasbirri (1,30 ha) e più in là, verso la collina Piantagione, in località Cofanari (0,60 ha) e Santa Maria in Boccadoro (1,50 ha).

Da queste parti l’annata duemiladiciassette è stata particolarmente calda, con l’estate che ha fatto registrare temperature medie ben al di sopra delle precedenti, senonché durante la vendemmia ci sono stati ripetuti sbalzi termici e qualche pioggia che hanno contribuito a portare in cantina uve ricchissime e leggermente appassite naturalmente in pianta da due dei tre siti succitati, quelli più caldi e ventilati in collina, mentre dal sito in pianura di Pietrasbirri le uve raccolte sono risultate più turgide e snelle, tant’è si è lavorato con un raccolto per ettaro di appena 45 q.li e una resa in vino del 58%, come a dire poca roba ma di assoluta qualità e con un estratto secco sui 40 g/l.: una vera bomba! Il vino ha poi fermentato in acciaio, svolgendo un breve affinamento in tonneau prima di finire in bottiglia, senza filtraggio.

Nel bicchiere ci arriva così un vino dal bellissimo colore rubino-porpora, avvenente, profondo e suggestivo, dai profumi originali e di sapore secco, morbido, caldo, avvolgente, sapido. Ha un naso portentoso, si rincorrono sentori floreali e di piccoli frutti ben maturi, dolci sensazioni speziate e riverberi balsamici sottili ed eleganti. Sa di lamponi e more, è succoso di visciola, di cacao e liquirizia. Il sorso è secco, potente e seducente, il frutto è quasi masticabile, l’acidità, il tannino e la glicerina sono ben fusi e regalano una beva importante, decisa ma sostenibile. Un sorso di piacevolezza assoluta, mai stucchevole o stancante, un piccolo capolavoro!

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Comfort Wines, il Falerno del Massico Primitivo 2016 di Michele Moio

26 settembre 2019

Come per i ”Comfort Foods” ovvero quei cibi a cui ricorriamo talvolta per soddisfare un bisogno emotivo alla ricerca di sapori consolatori, stimolanti e spesso nostalgici, così vi sono i ”Comfort Wines”, vale a dire bottiglie sicure, di solito appaganti, vini che continuano ad essere tra i più venduti sul mercato e consumati in Osterie, Wine Bar, Ristoranti e ultimamente finanche in Pizzerie, con grande successo soprattutto al calice.

Non vi è dubbio che pochi vini possono vantare un successo commerciale pari al Falerno del Massico Primitivo di Michele Moio, un’affermazione vasta e capillare anzitutto sul mercato del vino campano. Di questi, se ci si riferisce ai soli vini rossi, in regione, se ne conterebbero addirittura sulle dita di una mano.

E’ per molti il vino della domenica, quello che metti volentieri in tavola, o che se te lo porti dietro a pranzo a casa di un amico non sbagli mai. Ma è anche tra quei rossi più diffusi “al bicchiere” in quei locali che fanno della mescita il loro punto di forza. E’ un vino che piace a tanti, immediatamente leggibile, tipico e di spessore, morbido ma non senza un certo carattere, vieppiù con una lunga tradizione famigliare alle spalle e di forte caratterizzazione territoriale, diciamo pure con ben oltre duemila anni di storia eppure sempre tremendamente moderno.

Invero la d.o.c. Falerno del Massico, nata nel 1989, abbraccia cinque comuni tutti in provincia di Caserta: Sessa Aurunca, Cellole, Carinola, Falciano del Massico e, appunto, Mondragone; sono previste sia una tipologia bianco, a base falanghina e due rossi. Da disciplinare, per la tipologia Falerno del Massico rosso sono previsti quattro vitigni, l’aglianico (al 60-80%), il piedirosso (20-40%), il primitivo e la barbera (max 20 %) con una gradazione alcolica minima richiesta in percentuale del 12,50% in volume ed un invecchiamento minimo di 1 anno; la produzione massima ammessa è di 100 qli/Ha. Il Falerno del Massico rosso, se invecchiato per tre anni, di cui uno in botte, può riportare in etichetta la dicitura Riserva.

Per la tipologia Falerno del Massico Primitivo invece viene richiesto l’85% minimo del vitigno citato in etichetta con possibilità di aggiunta di aglianico, piedirosso e/o barbera al massimo del 15%. La gradazione alcolica minima richiesta in questo caso è del 13% in volume mentre l’invecchiamento minimo richiesto è di 1 anno; la produzione per ettaro ammessa non prevede differenze dalla precedente. Con un invecchiamento minimo di due anni, di cui uno in botte, il Falerno del Massico Primitivo può riportare in etichetta la dicitura Riserva oppure, come appariva in passato proprio sulle bottiglie dello storico produttore Michele Moio, Vecchio.

Ci siamo imbattuti in un duemilasedici particolarmente invitante e ampio, dal sorso nerboruto e morbido, avvolgente e sferzante al tempo stesso. I vini di Moio sono sempre particolarmente ricchi, anche in questo caso il colore è purpureo, il naso ciliegioso e intriso di spezie dolci e polvere di cacao, il sapore secco e calorico, con un lungo finale di bocca caldo ed avvolgente. Insomma, al solito si è rivelato un gran bel vino, piacevole ed originale, diretto e privo di inutili sovrastrutture, proprio come la gente di questa parte dell’Ager Falernus. Con Bistecca ai ferri e funghi porcini alla piastra.

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Piccola Guida ragionata al Falerno del Massico

4 novembre 2014

Ho dedicato al Falerno del Massico tante ore spese con giri in vigna e cantine, ho conosciuto persone straordinarie e vini memorabili raccontati con numerose degustazioni, decine di interventi, recensioni qui su L’Arcante. Mancava giusto la Piccola Guida del cuore alla denominazione più antica al mondo.

Sessa Aurunca, Vigna Falerno del Massico Etichetta Bronzo a Masseria Felicia

La storia ci ha sempre raccontato che il Falernum già in epoca romana veniva considerato vera e propria rarità enologica tanto dall’essere addirittura riconosciuto con ben tre sottodenominazioni a seconda della sua provenienza geografica. Era chiamato comunemente vinum Falernum tutto quello prodotto nell’Ager ma generalmente da vigne allocate in pianura; il Faustianum invece era quello tralciato nell’area appena pedecollinare mentre veniva riconosciuto Caucinum solo quello più prezioso, proveniente dall’alta collina.

Oggi, pur avendone ben chiari i confini della doc Falerno del Massico non è affatto semplice riassumerne per intero una zonazione efficace di tale territorio che, oltretutto, gravita attorno al massiccio del Monte Massico facendo sì che si passi da terreni pedemontani a collinari – con tutte le implicazioni pedoclimatiche, ndr -, sino ad arrivare letteralmente al mare. Alcuni riferimenti che possono però aiutarci a comprendere meglio ciò che provano a raccontare certe bottiglie che vanno in giro ci teniamo comunque a precisarli.

Nell’areale di Sessa Aurunca insistono circa 78 ettari denunciati alla doc, coltivati prevalentemente con Aglianico, Piedirosso, Falanghina e Primitivo; qui i terreni sono generalmente caratterizzati da tufo nell’interno, verso il vulcano spento di Roccamonfina e sabbia e limo verso la costa sino al mare.

Cellole conta 25 ettari coltivati con Aglianico, Piedirosso, Falanghina, Primitivo, qui i terreni sono sostanzialmente caratterizzati da sabbia e limo con alcuni tratti di origine alluvionale.

A Carinola e nei suoi dintorni insistono 26 ettari piantati con Aglianico, Piedirosso, Falanghina, qui il vigneto sembra essere più omogeneo su tufo e argille.

Falciano del Massico il vigneto doc conta circa 13,5 ettari votati a Primitivo, Barbera, Piedirosso, Falanghina, Moscato con terreni frammisti di argille, crete e limo, sabbie.

Infine Mondragone, con i suoi 8,5 ettari di Primitivo e Falanghina e le sue vigne che diradano sino a due passi dal mare, qui i terreni sono composti perlopiù da limo, sabbie con misto argille.

Una terra straordinaria l’Ager Falernus, di qua, a sud-est, Mondragone, Falciano e verso nord-est Carinola. Di là, a nord, Cellole e più a est Sessa Aurunca con le sue frazioni di Carano e Cascano. Ad ogni modo un territorio tutto da scoprire, da bere, ricordare, a cominciare da questi indirizzi…

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Azienda vitivinicola Bianchini Rossetti
Via Ten. Trabucco
81030 Casale di Carinola (Ce)
Tel / Fax: +39 0823.709187
info@bianchinirossetti.com
www.bianchinirossetti.com
Di particolare pregio: Falerno rosso Mille880, Falerno rosso Ris. Saulo¤.
 
Azienda Agricola Gennaro Papa
Piazza Limata 2
81030 Falciano del Massico (Ce)
Tel: 0823 931267
Fax: 0823 931267
www.gennaropapa.it
Di particolare pregio: Falerno Primitivo Campantuono¤, Falerno Primitivo Conclave, in rare uscite il passito Fastignano.
 
Cantina Zannini
Via Vellaria 20
81030 Falciano del Massico (Ce)
Tel.:0823 931108
info@cantinazannini.it
www.cantinazannini.it
Di particolare pregio: il Falerno Primitivo Campierti¤.
 
La Masseria di Sessa
Via Travata 3, Km 3+100
81037 Sessa Aurunca (Ce)
Tel / Fax: +39 0823.938179
info@lamasseriadisessa.it
www.lamasseriadisessa.it
Di particolare pregio: Falerno del Massico bianco Aurunco¤.
 
Michele Moio fu Luigi
Viale Regina Margherita 8
81034 Mondragone (Ce)
Tel. e Fax: (+39) 0823 978 017 – (+39) 328 17 43 455
info@cantinemoio.it
www.cantinemoio.it
Di particolare pregio: Falerno bianco, Falerno Primitivo¤, Falerno Primitivo Maiatico.
 
Masseria Felicia
SP 104 Loc. S. Terenzano
81037 Carano di Sessa Aurunca (Ce)
Tel. e Fax: 0823 93.50.95
info@masseriafelicia.it 
www.masseriafelicia.it
Di particolare pregio: Falerno rosso Ariapetrina, Falerno rosso Etichetta Bronzo¤.
 
Trabucco
Via Vittorio Emanuele 1
81030 Carinola (Ce)
Tel. 0823 737345
info@cantinatrabucco.com
http://www.cantinatrabucco.com 
Di particolare pregio: Falerno Primitivo Primo Antico¤.
 
Torelle – Eredi Guardascione
Via nazionale Appia 1, Località Torelle
81037 Cascano di Sessa Aurunca (Ce)
Cell. 392 0185208 
Di particolare pregio: Falerno rosso Falé¤.
 
Villa Matilde Avallone
S.S. Domitiana 18
81030 Cellole (Ce)
Tel.: +39 0823.932 088
Fax: +39 0823.932 134
info@villamatilde.it
www.villamatilde.it
Di particolare pregio: Falerno bianco, Falerno bianco Vigna Caracci¤, Falerno rosso Riserva Camarato¤.
 
Viticoltori Migliozzi
Via Appia km 179
Casale di Carinola (Ce)
Tel.: 0823 704275
Fax: 0823 704914
info@rampaniuci.it
www.rampaniuci.it
Di particolare pregio: Falerno rosso Rampaniuci¤.
 

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Cecubo 2012 Villa Matilde, il valore dei Primi e Secondi vini, la ricerca, i solfiti, la sostenbibilità

14 ottobre 2014

Quello dei secondi vini è un concetto tipicamente bordolese, generalmente le differenze più immediate vanno cercate nell’età della vigna oppure in un approccio produttivo diverso o particolare, molto utile spesso alla ricerca in atto per migliorarsi.

Roccamonfina rosso Cecubo 2012 Villa Matilde - foto L'Arcante

Nel primo caso i nuovi impianti vengono destinati a produrre il primo vino, il cru, solo in un futuro prossimo, così nel frattempo queste uve sono utilizzate per il secondo vino. Nel secondo caso invece il vino può avere addirittura un’espressione diversa dal cru, segno distintivo di una proiezione nuova, di una ‘visione’ magari diversa a cui ci si arriverà tra qualche tempo, non necessariamente a breve, ma necessaria da indagare.

Le vigne sono generalmente quelle, di volta in volta si decide cosa destinare al primo vino e cosa al secondo, il know-how è quello se non fosse, come detto, per quei nuovi o particolari accorgimenti (la vigna, la vinificazione, l’imbottigliamento) capaci in futuro di alzare di un tanto l’asticella del primo vino. Non ultimo la possibilità di stare sul mercato con un prezzo decisamente inferiore così da tastare anche il polso degli appassionati.

Nonostante la loro profonda diversità ho sempre intravisto nel Camarato e nel Cecubo di Villa Matilde un po’ questo concetto: l’idea del Falerno Riserva destinato a cavalcare il tempo, immortale, l’utilizzo del secondo come lepre che tiri la volata al primo. E un po’ il Cecubo duemiladodici, con questa sua anima di primitivo e piedirosso così in primo piano, vibrante, polposa invitante, per la prima volta messo in bottiglia senza solfiti aggiunti, lo riveste a dovere il suo ruolo di Second Vin, oggi con una responsabilità in più: consegnare alle nuove generazioni della famiglia Avallone valori importanti da cui partire nuovamente!

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Primitivo di Manduria Sessantanni 2010 (Magnum) Feudi di San Marzano

12 febbraio 2014

L’impressione che ho ogni qualvolta mi ritrovo a bere un primitivo così buono è che sia stato fatto in pochi anni tutto quanto sembrava impossibile nei precedenti 30: ridare dignità ma soprattutto rinnovata identità ad un vitigno che sa dare vini davvero impressionanti.

Primitivo di Manduria 60 anni 2010 Feudi San Marzano - foto A. Di Costanzo

La culla com’è noto rimane la Puglia, il Salento, più in particolare il versante tarantino e l’areale qui storicamente più conosciuto qual è Manduria. Da queste terre asciutte, di origine calcaree e coperte da argille rosse viene fuori il 60 anni di Feudi di San Marzano, un Signor primitivo.

Il 2010 è forse un po’ meno carnoso dei passati assaggi¤ ma l’impronta olfattiva è piacevolissima, avvenente ricca espressione di piccoli frutti neri e note balsamiche e speziate. Certo il formato Magnum ne aiuta la lenta maturazione; il sorso ha slancio e buona progressione, un po’ più sottile come accennavo pocanzi, se così si può dire nonostante la stoffa e il buon tenore alcolico, più fruibile, maggiormente godibile azzarderei.

L’epoca dei rossi abboccati e grossolani è finita da un pezzo, è vero, il Primitivo di Manduria oggi è tutta un’altra storia, eppure val bene chiedersi se, in fin dei conti, prima dei signori vini a cui ci stanno abituando i vari Attanasio, Fino, MilleUna¤, la stessa Feudi di San Marzano giusto per citarne solo alcuni, bevessimo ‘veramente’ lo stesso vino oppure chissà cos’altro.

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Falciano del Massico, Falerno del Massico Primitivo Campierti 2011 Cantina Zannini

11 febbraio 2014

Diciamolo subito: non ha l’opulenza e la complessità a cui ci aveva abituato nelle passate uscite ma il Campierti della famiglia Zannini si conferma un valido riferimento e senz’altro meritevole di una menzione tra i preziosi primitivo dell’Ager Falernus.

Falerno del Massico Primitivo Campierti 2011 Cantina Zannini - foto A. Di Costanzo

L’impressione è che da queste parti il 2011 sia stato un millesimo così così, con poche velleità di sfidare il tempo e buono quindi per farne vini da un consumo più immediato o comunque da cogliere a pieno entro i primi cinque/sei anni dalla vendemmia.

Il colore ha buona verve ed il naso, concedendogli il giusto tempo, non risparmia interessanti spunti floreali e fruttati. Il sorso è sincero, asciutto, caldo, dovessi farne le pulci ciò che pare mancare penso sia la spalla solida delle annate passate, quel pizzico di profondità celata da buona freschezza ma un po’ troppe spigolature. L’azienda, come detto, rimane però un buon riferimento da seguire con attenzione nei prossimi anni.

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Antonio Papa, l’artigiano del Primitivo

10 febbraio 2014

È sempre un piacere venire da queste parti a trovare Antonio Papa¤ nella sua piccola cantina a Falciano del Massico, nel cuore dell’Ager Falernus, sentire come vanno le cose a lui che fa uno dei migliori primitivo in circolazione.

Falciano del Massico - foto A. Di Costanzo

La sua famiglia coltiva la terra sin dal 1900 e basta buttare un occhio in giro qua è là per cogliere tanti piccoli segnali di una tradizione qui molto forte e radicata. Nei primi anni novanta la svolta e qualche anno più tardi, con l’ingresso di Antonio in azienda, si ha la definitiva consacrazione con le prime bottiglie di Campantuono¤ che spostano immediatamente l’attenzione di appassionati e critica da queste parti.

Scelte drastiche ed incisive, da vero artigiano del vino, di quelle che una volta fatte non si torna indietro. Dimezzare la resa per ettaro sino agli attuali 45-50 quintali non è stato certo facile, men che meno ‘vivere’ delle appena 12/15.000 bottiglie l’anno (quando tutto va bene); ma in fin dei conti, a questo punto della storia, ad ascoltare le parole di Antonio, mi pare che si sia raggiunto un buon equilibrio e che poco o nulla cambierà in futuro.

Antonio Papa - foto A. Di Costanzo

Anzi, a dire il vero qualcosa sembra bollire in pentola, ma Antonio ci sta ancora lavorando, tenendo conto di tutti gli aspetti produttivi che di anno in anno gli si stanno presentando in cantina: l’idea è di eliminare completamente il legno. Che poi qui il primitivo¤ è cosa seria, infatti non è che se ne faccia un uso massiccio, tutt’altro, tant’è che di millesimo in millesimo non se ne coglie nemmeno più il breve passaggio, ma la maturità raggiunta dalle vigne, la bontà dei frutti, ad ogni vendemmia sempre migliore consigliano da tempo di limitarne ancor più l’utilizzo. Così chissà che i prossimi Campantuono, diciamo già col 2010 visto che il 2009 forse non esce nemmeno, potremmo ritrovarceli in bottiglia dopo aver fatto solo acciaio.

Le etichette di Papa - foto A. Di Costanzo

Ci salutiamo con qualche assaggio dalle vasche: annata solida la 2012, matura bene, il 2013 invece mi pare sia stata un’annata così così, sottile, non così polposa ma in fin dei conti i vini sembrano maturare bene ed avere un certo appeal sin da subito. Tra un paio di mesi si deciderà il da farsi, i vari assemblaggi ecc., di certo, frattanto, si ha di che bere, il Conclave 2011 per esempio, il secondo vino di Antonio, che ha buona forgia e la giusta intensità per appassionare palati fini e meno esperti.

© L’Arcante – riproduzione riservata

I love Falernum| Prossimo passo la docg!

4 febbraio 2014

Chi bazzica l’ambiente sa bene che da sola la docg non è di per se il paradiso, però il fatto che si stia lavorando per alzare l’asticella qualitativa dei vini prodotti nell’Ager Falernus non può che farmi un gran piacere vista la grande passione per i vini di queste terre e l’amicizia e la stima che mi lega a molti dei più bravi produttori in zona.

Qualche giorno fa ho fatto un breve giro da quelle parti: il momento, a dire il vero, non è certo dei più facili, anzi, mi è parso che alcune realtà siano praticamente inchiodate al palo mentre qualcuno di recente ha persino rinunciato a vinificare per abbattere un po’ di costi restando fermo un giro. C’è però chi, come sempre, ha lavorato duramente e saputo mantenere la barra ben dritta, questi supererà tranquillamente questa fase di empasse e ne uscirà più forte di prima, ne sono convinto; frattanto però un po’ tutto il comparto paga pegno alla crisi che, direttamente o indirettamente, sembra non aver risparmiato proprio nessuno.

Tornando alla docg, ho sentito un po’ di voci sulla discussione in atto riguardo alcuni punti caldi del nuovo disciplinare: sul tavolo pare ci siano una possibile zonazione colturale, l’idea di consentire l’imbottigliamento dentro e fuori l’areale, l’abbassamento delle rese, un affinamento più lungo anche sul primitivo. Temi scottanti insomma, con tante buone intenzioni e sacrosante ragioni.

Personalmente non entro nel merito, auspico però fermezza ma soprattutto rispetto della vocazione e della tradizione territoriale, e senza troppi suggestivi voli pindarici, il più delle volte solo fini a se stessi. Tradotto: per favore non ci mollate là in mezzo l’ennesimo q.b. di merlot con la solita scusa dei mercati internazionali. Per farla breve: pensate in grande, ma senza strafare!

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Del Primitivo Tretarante 2009 di MilleUna

10 giugno 2013

Dario Cavallo mi è venuto a trovare. Di solito vale l’inverso, come è giusto che sia, però che piacere conoscerlo e scambiarci due chiacchiere.

Dario Cavallo i una delle sue vigne - foto Archivio

Mi ha raccontato un po’ della sua terra, delle sue vigne, qualcuna parecchio vecchia, dei suoi vini. Dei primitivo anzitutto. Di MilleUna, l’azienda che conduce con il figlio là in Puglia, nel tarantino, ne avevo già letto in giro qualcosina: di solito certe buone notizie fanno il giro alla larga, ma poi arrivano.

E’ rosso poderoso il Tretarante 2009, di sfacciata consistenza e lunghezza. Il colore è praticamente impenetrabile, quasi inchiostro. Il naso sparge a ventaglio note molto invitanti di frutti neri e confettura di prugna, poi nuances di tabacco, caffè ed un piacevole rimando cioccolatoso. Il sorso è notevolmente caldo, balsamico, sinceramente appagante e rotondo, condito da una buona freschezza.

Un modo per goderne a pieno in questi giorni di afa – perché lo merita, credetemi – è giocare un po’ di fino abbassandone la temperatura di servizio di quel tanto che basta tenendolo una mezz’ora in frigo, giusto sino ai 14°. Così, il suo 18% in alcol viene di sentirlo ‘attenuato’ e la croccantezza del frutto diviene magistrale e godibilissima. Tutto il resto è un piacevolissimo danzare sul velluto.

I love Falernum, Papa. Un tempo, la storia del mio Falerno del Massico di Antonio Papa

13 Maggio 2013

La Viticoltura, come arte per attingere al valore originario della vita e per affermare valori profondi e segreti. Uno strumento di contatto con i ricordi e con la realtà del presente, che parte da una volontà di partecipazione al flusso della natura e della storia in contrapposizione all’imbarbarimento della società.

Antonio Papa, da piccolo

Nasco come viticoltore nel 2000, quando intrapresi gli studi in Lettere Classiche, mi accorsi della straordinaria contemporaneità delle tradizioni. Dopo un’adolescenza dominata da un senso di distacco dalla vita agreste, mi resi conto della sublime arte, appena raggiunta l’indipendenza intellettuale. “Ahimè, come sarebbe bello, vivere tra i filari, avendo con sé solo una donna e i propri segreti!”

Mi accorsi – poi – della difficoltà di decidere, quando cominciarono i primi “assemblaggi”: quattro vigneti, ubicati in quattro zone profondamente distinte per natura, creano un subbuglio nello stomaco, ma riuscire – poi – ad accoppiare i sapori, gli umori della terra, i colori, le gioie, i dolori di un anno, è cosa sorprendente ed impegnativa, ma sublime.

Nel 2002 la prima vinificazione con l’enologo che mi segue tuttora, Maurilio Chioccia. “Cambio vita” … si dice. I segni del tempo assumono una fisionomia geometrica. Appare subito chiaro, di non voler snaturalizzare il “canto del terreno”, ma modificare sensibilmente lo spartito è necessario. Gli impianti in vigna e il “modus operandi” in cantina subiscono un rinnovo che ha traghettato il vino (Campantuono¤ in primis), inizialmente materico, in un vino “misterico”, collocandolo nella prospettiva di un prodotto di nicchia e dando voce ad una cultura del vino, capace di assumere caratteri fino ad allora inosservati.

Antonio Papa, oggi

L’apertura a questo mondo – grazie soprattutto a mio padre – ha sì aperto in me anche interrogativi sulla civiltà contemporanea, sui limiti, sui valori di questi anni e del tempo, anche nei suoi aspetti più inquietanti. Però la straordinarietà del vino, sta nel fatto di essere impegno fisico diuturno e travaglio dei sentimenti più nascosti.

“Poetica dell’oggetto” che si muove, sì in direzioni contrastanti ma al momento del suo definirsi è comunque vita ed autocoscienza di poesia. Questa nozione di poesia si realizza con una serie di trasformazioni nei vari momenti dell’attività e naturalmente c’è da dire che questo “travaglio” è ancora in atto, anche attraverso la continua ricerca di “toni nuovi”: intensi, precisi, più dei precedenti opachi e incerti. Rompere una campana di vetro, quella in cui era rinchiuso un paese intero, tristemente opacizzato nel suo definirsi.

Campantuono Papa - foto Altissimo Ceto

Dare nuova linfa al luogo d’origine è pura poesia. Scrivere gli “accordi” per una nuova canzone¤ – quella che canteremo presto (spero)- partendo in primo luogo dalla ricerca di un linguaggio, il cui modello più vicino è ancora il mondo dell’Epos e dell’ormai riconosciuto insediamento Romano in Agro Falerno (Ager Falernus III/II sec. A.C. – II/III sec. D.C.).

Ne risulta un originalissimo equilibrio, tra meditazione esistenziale e definizione del paesaggio, una meditazione appassionata, magniloquente, che come movimento incessante e ripetuto del mare, poggia sulla costa aspra e rocciosa i segni di una vita, la vite appunto!

di Antonio Papa¤, Faccia da Falerno – L’Arcante 2013.

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C’è tanta mediocrità in giro, te ne accorgi al primo sorso di vino, talvolta ancor prima di levare il tappo, certe altre ancor prima di mettere gli occhi sull’etichetta. Le bottiglie di Antonio annullano qualsiasi aspettativa, quale che sia la presunzione, la convinzione con cui credi di sapere tutto di Falerno e di Primitivo. Una continua scoperta, il suo Falerno! (A. D.)

Mondragone, Falerno del Massico Primitivo 2009 Michele Moio. O di quel successo ineguagliabile…

18 novembre 2012

Pochi vini come il Falerno del Massico Primitivo di Michele Moio possono vantare un tale successo commerciale, un’affermazione così vasta e capillare sul mercato del vino (non solo) napoletano. Etichette che si contano addirittura sulle dita di una mano se ci si riferisce ai soli vini rossi.

E’ il vino della domenica, anzitutto. Quello che se lo porti a pranzo  a casa di un amico non sbagli mai. O che magari ti concedi di bere a casa sapendo del ragù ancora sul fuoco. Ma è anche tra quelli più diffusi “al bicchiere” nei locali che fanno della mescita il loro punto di forza. E cosa insolita altrove, il primitivo di Moio è, tra i rossi campani, quello che più ha tratto vantaggio da quell’onda emozionale che a cavallo degli anni novanta voleva certi vini immediatamente leggibili, di spessore ma rotondi e con un certo carattere. Insomma, un rosso con una tradizione solida, tipico, con duemila anni di storia e tremendamente moderno. Geniale no? 

Una consacrazione che arriva però da molto lontano, e che nulla ha che vedere con l’idea di modernità che ha affascinato molti vinnaioli e annientato gran parte di questi senza una vera storia solida alla base; un successo che qui in casa Moio non ha spostato di una sola virgola la dedizione e la storia della famiglia, da oltre cento anni dedita al vino Falerno del Massico alla stessa maniera.

Così questo duemilanove, che si conferma annata davvero strepitosa per alcuni rossi, viene fuori alla distanza con molto di più di quanto promette sul breve; è invitante e grasso, succoso e nerboruto, ruffiano e sferzante al tempo stesso. Mancavo l’assaggio da un paio d’anni, ma è come se l’avessi bevuto appena un paio di settimane fa; è vero, il Falerno di don Michele, anno dopo anno, è pure questo, dannatamente fedele a se stesso. Ma un bel vino è così, sa essere anche questo, un piacevole ritorno alle origini, alle radici, da lì dove eri partito convinto di chissà quanto di più bello ci fosse là fuori.

© L’Arcante – riproduzione riservata

L’Arcante Wine Award® 2011, The very best of

19 dicembre 2011

and the winner is…

 

Asprinio d’Aversa Spumante Extra Brut s. a. Riserva Grotta del SoleCerti vini per conquistarti definitivamente debbono avere anche dell’altro. Questo mi son detto, decidendo ad occhi chiusi di premiare questo buonissimo metodo classico italiano. Ha tutte le carte in regola il vino: luminoso, brillante, vivace e complesso al naso come vibrante e lungo al palato. Certo, è puro campanilismo, e intelligenza suggerirebbe che non può ancora competere con certi mostri sacri italiani, però mi domando: chi altri può vantare la sua storia, quale metodo classico conserva una memoria, oltre che un gusto, così profondi da perdersi nella notte dei tempi? Suvvia care Guide, ogni tanto un po’ di coraggio.

Collio Sauvignon de LaTour 2008 Villa Russiz, perché è indiscutibilmente uno dei più buoni sauvignon mai bevuti prima d’ora, più buono anche dello stesso del 2009 che a sentir molti autorevoli addetti ai lavori se la gioca e stravince alla grande pure con i più blasonati cugini blanc fumé della Loira.

Toscana Rosato del Greppo 2008 Biondi Santi Nel link qui appena segnalatovi trovate traccia del 2007; ma il 2008, bevuto praticamente in anteprima lo scorso febbraio proprio in compagnia di Franco Biondi Santi e riassaggiato più volte di recente, conferma quanto al Greppo certe cose o vanno come devono andare oppure non se ne fa proprio nulla; rosato sì, ma con tutta l’anima del più nobile dei sangiovese di questa storica tenuta nel cuore di Montalcino, ottenuto mediante salasso e senza macerazione alcuna sulle bucce: il risultato? Semplicemente eccezionale!

Amarone della Valpolicella 2007 Le Vigne di San Pietro. Ok, va bene, può risultare ripetitivo premiare per due anni consecutivi come miglior rosso passatoci per mano un vino della Valpolicella, però credetemi, dinanzi a questa bottiglia, non c’è da porsi riflessioni del genere bensì chiedersi dove correre a comprarne ancora una. Un vino questo che per voluttà, equilibrio e franchezza ma soprattutto, visti i tempi, dal prezzo onestissimo. Vi farà riconciliare con l’Amarone. Un grande vino davvero!

Campania rosso passito Fastignano 2008 Papa. Eh si, va detto: non so quanti hanno avuto la fortuna di berlo questo vino, prodotto com’è in appena un migliaio di unità; ma una cosa è certa, è stata una delle più gradevoli e sorprendenti novità di quest’anno passataci per mano. Un rosso dolce, da uve primitivo di Falciano del Massico, di inaudita profondità ed equilibrio gustativo.

Pauillac Grand Vin de Latour 2004 Chateau Latour. Sua maestà “il vino”, sua altezza “l’eleganza”, bontà sua. Cosa aggiungere? Null’altro che una preghierina: confido o mio signore sempre più benevolo nel buon samaritano di turno, per poterne godere ancora di certi vini, assolutamente, definitivamente impossibili da raggiungere altrimenti.

Diego Molinari/Cerbaiona, Montalcino. Una delle ragioni di tante scorribande in giro per l’Italia a camminar le vigne è anche questa: poter dire “si, io l’ho conosciuto, io c’ero”. Eravamo seduti intorno a un tavolo, tre amici, con lui sua moglie Nora. A casa loro. Almeno tre giorni per organizzare la cosa, incluso la più classica delle telefonate dell’ultim’ora con preventiva disdetta in caso di ritardo. Poi invece son bastati due secondi, appena due dita di vino, per sciogliere la tensione e portarci per mano nel bel mezzo degli ultimi trent’anni di storia del vino a Montalcino. Grazie Comandante!

Prof. Luigi Moio, Consulente/Az.Agr.Quintodecimo. Fermi tutti, sale in cattedra il professore Moio. Non ho scritto tanto di lui e dei suoi vini quest’anno, anzi, forse giusto un paio di annotazioni. Apposta. Il meraviglioso lavoro di Luigi (e Laura), soprattutto in quel di Mirabella Eclano a Quintodecimo, andava per un po’ ammirato con distacco. Era necessario farlo, era importante capire senza per forza insistere. Bene, chi ha il piacere di conoscerlo Luigi Moio, o ha avuto anche solo  il piacere di bere quest’anno almeno uno dei vini bianchi 2009 di Quintodecimo, se ne farà subito un’idea del perché di questo premio (l’Exultet 2009 per esempio, è stratosferico!), e ci darà senz’altro ragione. Agli altri, quelli che non lo capiscono, beh, non resta che continuare a rosicare.

 

Franco Biondi Santi.  La motivazione? Bene, ve ne do almeno un paio: “a quei tempi la colla per le etichette veniva fatta con la farina del grano. L’inconveniente era che seccava molto lentamente, per cui era necessario tenere le bottiglie tutte in piedi e, per ordine di mio padre, perfettamente allineate. Capitava talvolta che l’allineamento presentasse una curva, ce ne accorgevamo non appena Tancredi esclamava <<oggi è tirato vento…!>>.

“Sono nato al Greppo nel 1922, ho cominciato nel 1930 a lavorare in cantina e la mia prima vera vendemmia fu quella del 1940. Nessun agricoltore in tutta la Toscana ha come me sulle spalle sessantanove vendemmie, eppure sono in molti oggi a parlare di vino”.

I brani citati sono tratti da “Questa è la mia terra” di M. Boldrini, Bruno Brucchi, Andrea Cappelli, © 2009 Protagon Editori; trascritti qui praticamente a memoria. Conserverò questo libro con dedica autenticata come una delle più preziose esperienze di vita legata al mondo del vino della mia vita. E con questo riconoscimento, per quel che vale, Angelo Di Costanzo, con stima, ricambia.

Queste le nominations selezionate. Ora tocca a voi decidere da che parte stare!

Un po’ di noi, oggi su Nonsolodivinoblog

13 giugno 2011

Gli amici Stefano Ghisletta e Giorgio Buloncelli, grandissimi appassionati di vino e autori di uno dei blog più interessanti che gira on line, soprattutto in materia di vini francesi (quelli bevuti per davvero, ndr), mi hanno chiesto di raccontare un po’ di noi e della nostra terra ai loro lettori; questa che segue è la piacevole chiacchierata venuta fuori. (A. D.)

“Con Angelo Di Costanzo inizia una nuova rubrica titolata “quattro chiacchiere con …”. Uno spazio dove vogliamo presentarvi amici del vino o produttori che meritano di essere conosciuti. Partenopeo verace, Angelo, oggi occupa la posizione di capo-sommelier presso il Capri Palace Hotel di Capri, ma ammiriamo soprattutto la sua grande passione nel comunicare i vini della sua regione. Uno degli amici che coinvolgiamo quando dobbiamo scegliere una bottiglia campana. Vediamo di conoscerlo meglio con alcune domande.“(Stefano&Giorgio) Continua a leggere qui…

Fastignano ’08 Papa, quando il primitivo è dolce

23 marzo 2011

Ritorno molto volentieri a parlare di primitivo, convinto come sono che val sempre la pena spenderci una parola, non solo per sottolineare il profilo identitario di certe etichette, ormai perfettamente aderenti in tutto e per tutto a questo areale ma anche per ribadire quanto in terra di Falerno si stia lavorando alacremente per delinearne vini sempre meno convenzionali e di spessore tale dal permettersi di varcare agilmente i confini regionali, ed in alcuni casi, internazionali.

Così, se il Campantuono duemilasette di Antonio, pur mancando nella straordinaria profondità che ancor oggi caratterizza il suo predecessore duemilasei, offre di se una chiave di lettura fine ed elegante, a strizzare l’occhio a quei palati più sensibili, non di rado convinti di poter fare tranquillamente a meno dell’opulenza di certi primitivo, ci pensa questo delizioso nettare.

Il Fastignano duemilaotto, non è un semplice vino dolce, uno di quelli che proprio in terra di Falerno rappresenta la coniugazione meno diffusa del vitigno, ma, secondo me, una delle più piacevoli conferme che si possano avere dal varietale coltivato in zona; la decisiva caratterizzazione di questo prodotto parte già dalla drastica selezione dei grappoli appassiti in vigna, sulle poche viti quasi centenarie che la famiglia Papa conserva tra i filari del vigneto proprio a ridosso del ben più conosciuto loro cru Campantuono. Una volta giunte in cantina, le uve vengono lasciate asciugare per ancora 15 giorni sulle classiche arèle da appassimento; poi, a mano, vengono spulciati uno ad uno gli acini più integri che vengono successivamente pressati una prima volta in maniera soffice. Il mosto che se ne ottiene fermenta dai 25 ai 30 giorni in acciaio poi viene nuovamente pressato, lentamente e con molta pazienza e l’estratto passa quindi in acciaio per una prima sfecciatura. Dopo un mese avviene una seconda sfecciatura e parte del mosto viene trasferita per poche settimane in barrique già utilizzate per il Campantuono. Dopo ancora un breve ritorno in acciaio, si passa all’imbottigliamento e dopo più o meno quattro mesi alla sua commercializzazione.

Un vino dal colore assai invitante, nero-inchiostro con elegantissime sfumature porpora sull’unghia, decisamente impenetrabile. Il primo naso è avvolto da un ventaglio olfattivo intrigante e seducente, dalle più classiche note di frutti neri in confettura, a sensazioni ancor più dolci che richiamano spezie ed aromi dalla suggestione unica, quando, per esempio, nelle case d’un tempo il naso aveva ancora desiderio e speranza di cercare nell’aria note tostate di caffè appena passato nel macinino oppure rimaneva inebriato dai profumi officinali delle erbe rimaste ad asciugare sul davanzale della finestra, di quelle con le ante in legno. La beva si offre copiosa, dolce, inebriante ma di spessore, giustamente fresco e cadenzato da innumerevoli richiami fruttati e tostati, mai stucchevole e spendibile in abbinamento in più di una occasione, con formaggi erborinati piuttosto che con dolci al cioccolato. Finale piuttosto caldo, avvolgente, da ponderare la tentazione di un sorso eccessivo, il piacere è e rimane sublime solo se non indirizzato all’ebbrezza!

Spesso, non a torto aggiungo io, si avanzano non poche riserve sull’identità territoriale, sulla tipicità capace di esprimere un vino del genere, prodotto con un procedimento tanto articolato quanto pregnante come l’appassimento in pianta e cantina oltre che un lungo affinamento tra legno e bottiglia; eppure mai come in questo caso si è autorizzati a sbandierarlo ai quattro venti, un richiamo storico-culturale sintetizzato tanto nel nome quanto nel vino stesso. A dirla tutta, m’è parso di cogliere proprio questa ragione fondamentale che spinge Antonio e suo padre Gennaro a produrre, solo nelle annate più generose, questo particolare vino, se vogliamo anche piuttosto antieconomico dato l’esiguo numero di bottiglie, appena un migliaio, e la quantità d’uva utilizzata, 20 quintali per ottenerne appena un 30% in vino (!): il legame, forte, di questa famiglia con la tradizione vitivinicola locale che non allontana certo il passato perché proprio lì, nelle generazioni alle spalle, ha da ricercare gli insegnamenti più preziosi riproponendoli in chiave moderna e, laddove possibile, rivalutarli.

Non a caso, è bene ricordare, che fino agli anni ‘ 70, il Falerno di queste terre, di Falciano del Massico come di Mondragone intendo, era un vino molto più dolce di quello conosciuto ai nostri palati, e sfogliando le pagine della storia ci si accorge che era proprio quel modello ad avvicinarsi di più a quello descritto nella classicità latina chiamato, guarda caso, Faustianum, poi declinato in Fastignano nel 1500; una variante che oggi, nel linguaggio moderno, siamo abituati a definire “abboccato” e pertanto, ritornando agli antichi fasti, decisamente più godibile del Falernum austero prodotto nel territorio dell’Ager.

Falciano del Massico, per esempio dell’ottimo Falerno del Massico Primitivo Conclave 2008 Papa

28 novembre 2010

Ho conosciuto Antonio Papa più o meno un anno fa¤, ma da almeno un paio d’anni prima ero rimasto folgorato da un suo vino in particolare, il Campantuono: un vinone dall’accentuata personalità tanto persuasivo nella beva quanto masticabile nel frutto, partorito tra l’altro da una terra tra le più suggestive in Campania e sotto l’egida di una delle denominazioni più controverse – quantomeno particolarmente eteregonea – presente in regione.

Così, armato di tanta curiosità mi sono avviato sulla via per Falciano del Massico, con Mondragone, uno dei cinque comuni ammessi alla doc Falerno¤ e “specializzato” nella coltivazione di primitivo anziché, come capita negli altri casi, nell’aglianico e piedirosso, con l’obiettivo di camminarne le vigne!

La cantina è proprio nel cuore del paese, le vigne allocate poco più lontano. I Papa si dichiarano viticoltori sin dal 1900 e non mancano certo i segni di una tradizione così forte e radicata, anche quando sul finire degli anni novanta è stato necessario prendere decisioni importanti sul futuro dell’azienda stessa, che pur rimanendo un riferimento per tutto il circondario ha avuto bisogno di un forte rilancio per affermare il suo modo di intendere il primitivo, pur inconfondibile, ma che con l’allora andamento del mercato rischiava di essere coinvolto nel volano della banalizzazione e quindi bollato più comunemente come un vino dal gusto “internazionale”. La svolta, come spesso accade, non è stata immediata e nemmeno semplice da gestire, convincere per esempio lo stesso papà Gennaro ad intervenire drasticamente in vigna per dimezzare la resa per ettaro sino agli attuali 45-50 quintali non è stato certo facile, ma indispensabile, ed i risultati ad oggi gli danno ragione: in poco più di un decennio la piccola azienda di Falciano, nonostante le poche bottiglie prodotte, appena 15.000 bottiglie, si può ritenere a tutti gli effetti un piccolo gioiello della vitienologia campana, ed in quanto a primitivo senza dubbio una spanna al di sopra degli altri, e non solo in regione.

L’Azienda¤ quindi è specializzata nella coltivazione e produzione di primitivo, il Campantuono ne è l’espressione più autorevole, il vino di punta, ma dagli assaggi effettuati in cantina, più del nuovo 2007 – più sottile ed elegante del precedente 2006¤ ma di certo meno impressionante – mi ha conquistato il Conclave 2008, il secondo vino, altro cru anch’esso con base primitivo, che l’anno scorso al suo esordio con il millesimo 2007 non mi dispiacque affatto ma che oggi, con grande slancio, conferma ancor di più quanto sia necessario iniziare a ragionare anche nell’Ager Falernus sulla molteplicità di espressioni legate ognuna, fortemente, al singolo vigneto, al terreno, al suo microclima di appartenenza e non più solo alla generica denominazione Falerno del Massico.

Il Falerno del Massico Primitivo Conclave 2008 possiede davvero una bella trama, sia nella forma che nella sostanza. Il colore è di un rubino violaceo giovanissimo, impenetrabile data la concentrazione manifesta nel bicchiere. Offre un naso ampio e delizioso di frutti rossi polposi e quando ben ossigenato di note cioccolatose; in bocca è ricco, avvolgente, più fresco – quindi vivace – che tannico e potente nonostante gli oltre 14 gradi. A questo punto, più che ripetermi sulle peculiarità tecnico-produttive, qui come in tutti i vini di Papa votate all’assoluta qualità, ci terrei in questo caso a lanciare espressamente un invito a cercare e bere questo vino per meglio comprendere quanto siano necessari, alla nostra viticultura, vignaioli così integralisti ed attenti come la famiglia Papa, dove per integralismo s’intende la salvaguardia di territori come quelli che ho avuto la fortuna di camminare con loro e quando per attenzione si vuole suggerire anzitutto l’onestà con la quale si è sul mercato producendo solo quanto si è intenzionati a fare e non solo capaci di sostenere.

Rampaniùci, terra promessa ad un grande vino!

22 novembre 2010

Puoi pensare di stare bevendo un gran bel vino, e sorso dopo sorso rimanervi affascinato sino ad esserne definitivamente rapito; Puoi convincerti che questo vino avrà la stessa facilità di attraversare il tempo come il coltellino che impugni di stendere il burro sulla tua prossima fetta di pane. Puoi magari rallegrarti dell’intuito del sommelier che te l’ha – tra i tanti – appena consigliato, o immaginare quanto sia stato bravo il produttore a pensarlo e l’enologo a forgiarlo, ma solo se vieni qui, a Rampaniùci, in questo luogo lontano da tutto ed immerso nei boschi di querce, ad un tiro di schioppo dal burbero Monte Massico che domina l’orizzonte, puoi godere appieno del fascino antico della sua terra, l’Ager Falernus, che questo vino riesce ad evocare con grande slancio di modernità!

Siamo a Casale di Carinola, dove la famiglia Migliozzi è da sempre occupata in agricoltura, non a caso in zona sono conosciuti e riconosciuti come frutticoltori di un certo spessore. Parallelamente però, papà Lorenzo, con l’idea di diversificare gli interessi familiari ha sempre guardato con un certo appiglio al mercato dell’estrazione della pozzolana, di cui il circondario ne è ricco in giacimenti, occupandosene in prima persona lasciando così la conduzione delle proprietà agricole ai figli. Così quando a fine anni novanta, con le prime avvisaglie della crisi economica – che non ha certo risparmiato il mercato della frutticoltura – si dovette pensare cosa fare a Rampaniùci, allora votata principalmente alla coltura di albicocche più che alla vigna ormai logora, si fece avanti Giovanni che già da tempo aveva immaginato proprio qui la possibilità di realizzare il suo sogno di sempre, fare su questa collina un grande vino rosso, un Falerno da consegnare agli annali. 

Rampaniùci, mai nome fu più approriato, è celata da una trama di fitta boscaglia apparentemente ineludibile, dove arrivarci significa attraversare un labirinto di anfratti sterrati che scorrono paralleli alla strada comunale – ancor più sterrata – che dalla località “le Forme”, all’improvviso, sbuca proprio ai piedi della collina. Ecco, arrampicarti su per la collina, in certi punti piuttosto ripida, ed affacciarti tutto intorno, ti fa avere finalmente ben chiaro il quadro emozionale che sino all’assaggio, magari sostenuto anche dal bel racconto del sommelier, hai potuto solo immaginare; Perché questo Falerno del Massico, sarà il prossimo punto di riferimento per questa denominazione, e per questo pezzo di Campania Felix, assolutamente inespresso rispetto al suo enorme valore vitivinicolo a cui, personalmente, invito a guardare con sempre maggiore rispetto ed occhi lucidi di aspettative.

Il reimpianto della vigna è stato completato nel 2005, cinque ettari praticamente a corpo unico –  una vera rarità per l’areale – perfettamente integrati nel paesaggio e che nulla hanno tolto allo splendore del fittissimo bosco di querce che li circonda tutto intorno. Lo scenario, per chi sa leggere il vigneto, il suo impianto, è incomparabile, di una suggestione unica. Lungo la risalita, in alcuni punti decisamente ardua, dimorano le piante di primitivo, nella parte più bassa di Rampaniùci, un ettaro pari pari di terra tufacea ricca di scheletro e rocce affioranti. Poi, più su, l’aglianico ed il piedirosso, il primo con una bella parte in esposizione a sud, il secondo, che occupa però una densità inferiore dei quattro ettari rimanenti dell’impianto, guarda il Monte Massico, quindi a nord/nord-est. Qui il terreno è più frammisto, composto comunque in gran parte da tufo e rocce minerali.

Aglianico per il 70%, piedirosso al 20% e primitivo per il restante 10%, un blend questo, più o meno invariato negli anni, che vuole il Rampaniùci come l’unico Falerno a puntare alla valorizzazione di tutte e tre le varietà maggiormente presenti sul territorio. Il vigneto è condotto integralmente seguendo i parametri dettati dall’agricoltura biologica – tanto cari a Giovanni quanto a Fortunato Sebastiano, l’enologo che lo segue – laddove in vigna non vengono usati prodotti di sintesi, quindi solo rame e zolfo (per le tignole per esempio si usano solo prodotti naturali come il bacillus e la confusione sessuale, ndr) mentre in cantina si punta a stare quanto più bassi possibile con l’aggiunta di anidride solforosa (meno di 50 mg/l) e ad eliminare, ove possibile, alcuni interventi di prassi come per esempio non utilizzare gomma arabica o usare acido metatartarico per stabilizzare il vino da eventuali precipitazioni tartariche in bottiglia. Le uve, ognuna lavorata seguendo un percorso proprio prima del blending, dopo la pigiadiraspatura e l’ammostamento, appena dopo la fermentazione alcolica subiscono macerazioni piuttosto lunghe – sino ai 40/50 giorni – lasciando quindi svolgere anche la fermentazione malolattica con le bucce. Dopo alcuni tentativi, per la verità poco convincenti, si è scelto di non utilizzare barriques per l’invecchiamento ma solo botti grandi, in questo caso tonneau, dove il vino resta per almeno un anno, prima di finire in bottiglia dove ci rimane per un affinamento di almeno un’altro anno ancora. Con Giovanni Migliozzi, nella piccola cantina ricavata praticamente nel garage di casa, scevra da ogni orpello, ci siamo lasciati andare nella degustazione di tutte le annate prodotte sino ad oggi, delle quali qui troverete un rendiconto delle precedenti 2005-2006-2007, mentre vi invito a seguirci prossimamente per leggere del 2008 di prossima uscita e del 2009 ancora in elevazione in legno. Ricordate quindi, si scrive Rampaniùci, si legge Falerno del Massico, e si beve con lo stesso amore profuso da Giovanni Migliozzi, come Maria Felicia Brini, Antonio PapaTony Rossetti, per la loro stupenda, incomparabile terra!

Il Falerno del Massico, di Papa e Primitivo amore

15 novembre 2010

Quando si lascia la superstrada che dal litorale flegreo ti accompagna su quello domizio ti sembra di fare un balzo indietro di almeno una quindicina di anni. Quel lungo tratto di asfalto lucido ed usurato che da “Ditellandia Park” conduce al “grattacielo”, poco prima dell’incrocio per Cancello e Arnone, in qualsiasi momento dell’anno tu lo attraversi pare sempre vivere in pieno clima agostano: le piccole fabbriche artigiane, i saloni d’automobili, i grandi bar pasticceria ed i ristoranti, le botteghe tutte che affacciano direttamente sulla strada statale – per anni, a causa dello scorrimento veloce delle auto, una tra le più pericolose d’Italia – sono costantemente piene di vita, gente, colori, cose, per vocazione o per finta non importa, sono lì e come detto sembrano non avere conto del tempo che passa, insolente.

Così un sabato di novembre, mentre mi accingo a svoltare per Falciano del Massico mi viene in mente per quanti anni ho superato questo incrocio con la più assoluta noncuranza e nella sola aspettativa di raggiungere le spiagge di Serapo o Sperlonga; sulla via, ricordo, lasciavi a malapena una o due occhiate all’indirizzo dello storico piccolo punto vendita del caseificio San Vito, tappa di ritorno obbligata per fare incetta di buona mozzarella di Bufala da mangiare a sera tardi a casa degli amici. Poi magari, quando in tempo, ma sempre sulla via di ritorno, una sosta a comprar due o tre bocce da litro di “nero falerno primitivo” da messer Michele Moio. Erano quelli altri tempi.

La strada per Falciano s’incunea attraverso una serie di campi incolti, grandi serre che mi scorrono di qua e di là della strada e vere e proprie distese di frutteti (peschi innanzitutto) che offrono un colpo d’occhio – in questo momento della stagione – spoglio, ma non di meno affascinante. Sono da poco passate le dieci, il sole è alto, caldo e la giornata si preannuncia tersa, clima ideale per una passeggiata tra le vigne, ed in verità non ne vedo l’ora: ad attendermi in terra di Falerno, Antonio Papa, Giovanni Migliozzi e poco più tardi, Tony Rossetti.

Papa è giusto nel cuore di Falciano, appena cinquecento metri più in là girato l’angolo che conduce nel centro del paese, le vigne poco più lontane risalendo la zona pedecollinare e collinare del Monte Massico. Mi accoglie Antonio, colui che assieme al padre Gennaro, dal ’99 ha deciso di fare del suo vino uno dei migliori Falerno in circolazione. Ben inteso, non che prima il vino qui non fosse una cosa seria, tutt’altro, la famiglia – le generazioni precedenti – coltivano uva da vino sin da fine ottocento, ma da quel momento il giovane Antonio, classe ’78, oggi fresco di laurea in lettere antiche, si convince e convince pure il papà che da quelle vigne si può tirare fuori qualcosa di meglio che un buon vino per l’autoconsumo, addirittura da mettere in bottiglia e consegnarlo al giudizio di un mercato, proprio in quegli anni, assai favorevole a vini di tale struttura e voluttuosità come il loro primitivo, in zona per’altro già conosciuto ed ambìto da tutti i compaesani. L’inizio, come spesso accade, è stato duro. Convincere lo stesso papà a dimezzare la resa per ettaro sino agli attuali 45-50 quintali non è stato facile, ma i risultati ad oggi gli danno ragione ed in poco più di un decennio l’azienda, nonostante la piccola produzione, appena 15.000 bottiglie, si può ritenere a tutti gli effetti un piccolo gioiello della vitienologia campana, ed in quanto a primitivo senza dubbio una spanna al di sopra degli altri, e non solo nell’areale.

Alcune vigne, come accennato, sono allocate non lontano dalla cantina, in località Campantuono, dove insistono poco più di tre ettari e mezzo, dislocati su aree terrazzate poco distanti tra loro ma con evidenti differenze di terreni ed esposizione ma che comunque non vanno oltre i 230 metri slm, piantati a primitivo e poi, a macchia, con il piedirosso; Dico così perché le piante di piedirosso, in verità non tantissime, sono sparse qua e là tra un filare e l’altro di primitivo, così voleva la tradizione e Antonio, pur riducendo drasticamente il carico di frutti per pianta, non se l’è mai sentita di spiantarle del tutto. Poi ancora poche piante di moscato e appena una decina di filari di barbera, questi proprio in prossimità della cantina. A tal proposito mi sovviene di sottolineare un ricorso curioso proprio su questo vitigno, di origine certamente alloctona, che viene spesso tirato in ballo come un refuso della nostra viticoltura regionale, per qualcuno, Nicola Venditti¤ per esempio, è figlio di una sballata conquista vivaista datata fine anni cinquanta/inizio anni sessanta, soprattutto per quanto concerne l’area del beneventano. Eppure qui la barbera c’è da almeno inizio secolo scorso, e a testimonianza di ciò vi sono proprio questi filari che giacciono qui più o meno dagli anni venti: forse anche questo un refuso, magari voluto dai reduci della prima guerra mondiale; Chissà, fatto sta che ad Antonio questi pochi frutti sembrano fargli molto comodo, e nonostante la bassissima resa che ne ottiene, assolutamente anti-economica, continuano ad offrirgli ogni anno uve particolarmente interessanti, sane, ricche, e quando possibile, volendo, utili a dare maggiore slancio acido-tannico ai suoi vini, per altro, mantenendo queste la stessa epoca vendemmiale del primitivo non richiedono nemmeno una gestione colturale particolarmente dedicata.

Le etichette, come prevedibile dai numeri, sono appena tre, due cru di Falerno del Massico, il Campantuono ed il Conclave, ed un particolarissimo vino dolce, il Fastignano, ottenuto con base primitivo ma che viene prodotto solo molto raramente, come il moscato passito assaggiato in cantina e riservato però solo agli amici. Se volessi condensare in poche parole una descrizione sintetica dei vini di Papa, potrei rifarmi ad una vecchia pubblicità di pneumatici tanto efficace passata in tv qualche tempo fa, che in maniera piuttosto incisiva asseriva che “la potenza è nulla senza il controllo!”. Ecco, i Falerno di Antonio, il Campantuono più del Conclave, sono senza dubbio vini potenti, ma hanno dalla loro una freschezza, una profondità minerale tale da farne nettari assolutamente godibili, sin da giovani, nonostante le spalle belle larghe ed il volume alcolico importante. Ma l’aspetto organolettico degli assaggi effettuati sarà argomento di prossima trattazione, se no che viaggio è…

Qui la precedente presentazione del breve viaggio nell’Ager Falernus: la storia, la d.o.c., i vini.

Qui la nostra visita dello scorso Febbario a Masseria Felicia a San Terenzano.

Qui invece l’esperienza di Tony Rossetti, produttore a Casale di Carinola con l’azienda Bianchini Rossetti.

La vendemmia 2010 nell’Ager Falernus, di Primitivo e Aglianico fratelli gemelli diversi…

20 settembre 2010

Domani martedì 21 settembre concluderemo il nostro piccolo viaggio previsionale sulla prossima vendemmia 2010 giunta ormai alle porte, in Campania così come altrove, anche se a dirla tutta in alcune vigne – in partricolar modo sulle isole e aree costiere – e per alcune varietà c’è già stato un fortunatissimo prologo; Concluderemo questo excursus con un po di note sparse che in effetti non fanno altro che confermare l’impressione che questa 2010, pur nella sua complessità si possa rivelare proprio un’ottima annata: vedremo quale vino, o meglio, quale vigneron ne saprà fare tesoro. Queste che seguono sono le impressioni che abbiamo raccolto in terra di Falerno… 

Antonio Papa da Falciano del Massico, zona di produzione Falerno con base Primitivo, provincia di Caserta. Le uve, qui a Falciano, sono decisamente condizionate da un clima variabile ed abbastanza instabile, tarderanno pertanto la maturazione di almeno 10 giorni rispetto alla scorsa vendemmia. In particolare, la pioggia nell’ultima parte della primavera, ed il fresco atipico dei mesi estivi, con importanti escursioni termiche specie nella prima parte dell’estate, hanno inciso non poco. Se dovessi paragonare questa  vendemmia a quella dello scorso anno, sicuramente sottolineerei che il lavoro in vigna di questa stagione è stato più impegnativo, per vari motivi, a cominciare da una più importante selezione dei grappoli  specie nel vigneto situato a circa 120 m slm; Salendo in collina invece, cambiando il terreno, cambiando esposizione, a circa 260m slm, le uve sono davvero eccellenti e mi fanno sperare in un prodotto finale di grande potenziale. Ci tengo a precisare però che personalmente non ritengo opportuno parlare già di come sarà il vino, di questo ne parleremo fra 2/4 anni, quando le prime bottiglie 2010 saranno pronte per l’assaggio, ci tengo invece ad evidenziare un dato: io credo che se un’azienda lavora bene, lo si vede proprio attraverso queste annate, le quali proprio come le persone con un carattere difficile hanno bisogno di maggiore comprensione e pazienza per essere valorizzate appieno.

Tony Rossetti, deus es machina di Bianchini Rossetti a Casale di Carinola, in provincia di Caserta. Nella zona del Falerno del Massico che ci riguarda, in special modo sulle colline del Carinolese e del Sessano, dopo una estate piuttosto torrida le piogge di settembre hanno un po mitigato l’aria ed il repentino abbassamento delle temperature registrato già dai primi giorni di questo mese ci fanno ben sperare in una lenta ma progressiva maturazione delle uve sulle piante e quindi un giusto equilibrio fenolico. I frutti sono sani e sulle nostre colline la ventilazione ad ampio respiro ci aiuta non poco ad areare i grappoli di aglianico evitando innanzitutto eventuali problemi di muffe. Dalle prime analisi effettuate nei giorni scrosi e le curve di maturazione evidenziate ci stiamo organizzando per una vendemmia ottobrina, incrociamo le dita.

Qui il polso della provincia di Caserta, Gennaro Reale su le Terre del Volturno e Roccamonfina.

Qui la vendemmia 2010 nei Campi Flegrei illustrata da Gerardo Vernazzaro.

Qui la vendemmia 2010 in Cilento, Irpinia e provincia di Benevento analizzata da Fortunato Sebastiano e Massimo Di Renzo.

Falciano del Massico, Campantuono 2006 Papa

27 gennaio 2010

E’ domenica mattina, una di quelle chiare di luce ma fredde solo come certi inverni sanno regalare, il sole non ne vuole sapere di svelarsi così i colori rimangono radenti il grigio, aspettando mezzogiorno. Ci incontriamo con Antonio Papa sull’uscio dell’enoteca, con lui abbiamo pensato di mettere su questo piacevole happening domenicale offrire ai tanti amici di bevute ed appassionati di vino un approccio, per così dire primitivo, al Falerno del Massico: la voglia di scoprire questa piccola quanto sorprendente realtà vitivinicola è tanta, e si svelerà di qui a poco una vera e propria perla enologica campana, da salvaguardare, promuovere, comunicare con tutto l’amore possibile.

Lo stesso amore per la propria terra che sembra scorrere con lo scivolare dei vini nei bicchieri, che si sente risuonare nell’aria con le parole che Antonio dedica con profonda perizia alla dissertazione storica del Falerno e della terra che ne ospita i fasti e dei popoli che ne hanno esaltato, nei secoli, i pregi. Verità storiche e leggende metropolitane, argomentazioni agronomiche specifiche ed etica produttiva (non senza un confronto sincero), tutti chiarimenti necessari per contravvenire anche alla grande confusione (in particolar modo per il consumatore medio) che regna incontrastata quando si parla di Falerno usando per esempio parole improprie quale tipicità, in virtù del fatto che fondamentalmente è lo stesso disciplinare a smentirla fattivamente, consegnandoci vini profondamente diversi di area in area e di vitigno in vitigno, con i comuni a sud del monte Massico prevalentemente piantati a primitivo e quelli a nord, che affacciano cioè sul Garigliano piantati specularmente con aglianico e piedirosso.

Il Campantuono 2006 nasce da sole uve primitivo, il vigneto è collocato nella parte più alta della tenuta di Falciano chiamata appunto “Campo di Antonio”, è completamente piantato a guyot e gestito in maniera dogmatica, con una resa in uva che difficilmente supera il chilo per pianta; Rimane il fuoriclasse di casa Papa nonostante la buona riuscita del secondo cru aziendale, il Conclave, e l’appetito Fastignano passito che però appare in scena solo nelle migliori annate. E’ un vino decisamente importante, delinea di se stesso un profilo altisonante già al primo approccio: il colore è nero, profondo, lasciandolo attraversare dalla poca luce che ne pervade la profondità si riesce ad intuire appena qualche sensazione viola inchiostro. E’ compatto e consistente. Il primo naso è un effluvio di sentori floreali e fruttati maturi che inseguono e sono seguiti costantemente da note eteree, dolci sensazioni speziate e note balsamiche sottili ed eleganti. E’ dapprima succoso di mora e di visciola, profuso di cannella, tracce iodate e sul finale, dolcissimo, si offre con sentori di cioccolato e liquerizia. In bocca è secco, potente, il frutto è quasi masticabile, acidità, tannino e glicerina sono ben legati, fusi ad unisono regalando una beva decisa ma sostenibile, almeno sino al terzo bicchiere. Solo sul finale di bocca la nota alcolica ritorna dirompente, non senza frutto, non senza, quindi, quella fondamentale corrispondenza gusto-olfattiva, leggi piacevolezza, che a vini come questi non deve mai mancare per non risultare stucchevole e stancante. Sul Piccione glassato dell’amico Oliver Glowig.

© L’Arcante – riproduzione riservata

Casale di Carinola, il Rampaniuci di Migliozzi

18 novembre 2009

Nasce un nuovo indirizzo per la denominazione Falerno del Massico, nasce a Casale di Carinola e si chiama Viticoltori Migliozzi, ovvero Rampaniuci.

La storia di famiglia ci racconta un legame forte con la terra, quell’Ager falernus tanto decantato e tanto amato dagli storici quanto non ancora del tutto riportato a giusta collocazione territoriale, ovvero ancora si scoprono versioni interessanti e fonti meritorie di attenzione sulla vera estensione di questa antica denominazione che già in epoca romana risultava alla storia come custode di inebriante nettare bacchiano. La tenuta vanta in totale circa 20 ettari incentrati perlopiù sulla coltivazione di frutteti e prodotti generici della terra che rappresentano il “core buisness” aziendale e di questi un piccolo appezzamento di circa 5 ettari è votato a vigneto, in località Rampaniuci, una piccola collina che da il nome all’unico vino prodotto.

Il Falerno del Massico Rampaniuci nasce con l’intento di esprimere letteralmente ciò che rappresenta questa collina, un piccolo crù per dirla alla francese capace di distinguersi dalle altre espressioni della doc, da Cellole a Mondragone sino a Falciano non senza caratterizzarsi di una identità precisa e riconoscibile nel tempo. Circa 20.000 le bottiglie che si raggiungeranno con l’annata 2008, attualmente in affinamento, prodotte con la supervisione di Fortunato Sebastiano, giovane e bravo enologo campano che continua a farsi le ossa con i vitigni autoctoni più tradizionali (Aglianico e Piedirosso in testa) nelle varie aree viticole campane che segue, soprattutto in Costa d’Amalfi (Reale, Tramonti) e Benevento (Mustilli, S. Agata de’Goti); Proprio in merito all’Aglianico appare evidente, anche in questo Rampaniuci, nel quale blend entra in proporzione del 70% che continui la sua personale interpretazione e caratterizzazione del vitigno a bacca rossa più diffuso in regione, già manifesta con l’ottimo risultato tirato fuori con il Grifo di Rocca di Mustilli, un vino dal frutto riconoscibile ed estrememente equilibrato in acidità e tannino avvincente e coinvolgente tanto per il degustatore esperto quanto per l’avventore medio.

Un lavoro fatto di ricerca, di prove e perseveranza, basato su di una “idea del vino” precisa ed inattaccabile da preconcetti e pregiudizi, che nasce innanzitutto in vigna, con una cura maniacale del vigneto e della sua resa in uva, che continua in cantina con la massima cura di tutti i processi produttivi non senza qualche decisa applicazione controtendenza, su tutte una: lunga, lunghissima macerazione, fino a 50-60 giorni, tale da rendere unico il rapporto vino-terroir, da rendere impossibile ogni fraintendimento, per rendere quanto più limitato possibile il lavoro (e quindi di elementi ceduti) del legno utilizzato per il successivo affinamento, che avviene in botte grande e non in Barrique. Le altre uve che concorrono alla composizione di questo Falerno sono il Piedirosso al 20% ed il Primitivo al 10%, tutte uve di proprietà presenti in eguali percentuali nel vigneto Rampaniuci da circa 30 anni. Come detto, un vino espressione fedele del terroir che rappresenta.

Falerno del Massico Rampaniuci 2007 Senza dubbio il vino più complesso delle tre annate assaggiate in occasione della sessione di degustazione, caratterizzato da un primo naso estremamente intenso e persistente su note che vanno dal fruttato al floreale e da sensazioni via via più eteree, terragne, con sfumature addirittura tartufate. In bocca è secco, caldo con una spiccata acidità indice di carattere e presagio di aspettative di tutte rispetto. La riconoscibilità del frutto è avvincente è gli concede una beva assai gratificante, per chi ama vini di spessore ma non pesanti, un Falerno poco allineato alle altre espressioni della denominazione ma dal sicuro effetto sorpresa. 15.000 circa le bottiglie prodotte, da bere in calici mediamenti ampi, su pietanze arrosto e con una buona aromaticità.

Falerno del Massico Rampaniuci 2006 Di colore rosso rubino con nitide sfumature porpora si presenta con una buona consistenza nel calice e poco trasparente. Il primo naso è caratterizzato da note olfattive immediatamente riconoscibili, uva fragola e sensazioni floreali passite; Poi note di polvere di cacao ed ancora sensazioni di terra, di humus. In bocca è secco, caldo di buon corpo e manifesta un equilibrio gustativo più immediato, è piacevolemente rotondo, carezzevole nella sua beva. Questa è l’annata attualmente in commercio del Rampaniuci, un vino di estrema franchezza ed immediatezza consegnato al mercato proprio come le tendenze degli ultimi anni hanno per certi versi imposto e richiesto, ma prodotto da uve autoctone e con una propria identità precisa e già riconoscibile. Da abbinare a preparazioni di carni non particolarmente grasse seppur caratterizzate da buona succulenza ed aromaticità.

Falerno del Massico Rampaniuci 2005 Risultato del lavoro profuso in prima persona da Giovanni Migliozzi, titolare della omonima azienda che ha trascorso lunghe giornate in cantina e molte notti insonni per tirare fuori questa prima annata del Rampaniuci, con una resa in vigna di circa 60 quintali per ettaro ed un duro, durissimo lavoro in cantina tra serbatoi e barriques. Ebbene sì, l’intraprendenza del giovane vignaiolo lo aveva condotto a scegliere la barrique, un pò per convizione che potesse essere la scelta ottimale, un pò per nouvelle vogue visto che sino ad allora ancora molto di moda. Il vino si presenta con una veste cromatica molto interessante, a distanza di quattro anni il colore è ancora vivace, rosso rubino con nuances leggermente granata, poco trasparente. Il primo naso è molto interessante, intenso ed abbastanza persistente su note terziarie molto gradevoli: note balsamiche, polvere di cacao, tabacco, liquerizia di estrema finezza e franchezza. In bocca ha un buon ingresso, con il frutto sempre in buona espressione ma che non riesce a sostenere una persistenza meritoria come i due millesimi dui cui sopra, quasi svanisce. Effetto questo legato proprio alla diversa interpretazione iniziale soprattutto in fase di lavorazione in cantina, dove la macerazione raggiungeva appena le due settimane e dove il lavoro del legno delle barrique utilizzato non ha sortito l’esito sperato. Molto gradevole da bere su primi piatti al sugo di carne, pensando ad una Bolognese tradizionale.


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