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Falanghina, o di quel bianco dell’estate buono per tutte le tasche!

12 luglio 2019

Il vitigno è tra i più antichi del nostro territorio Campano, già noto e apprezzato dai Romani che del vino ne facevano ampie scorte durante i passaggi in regione. L’uva è tra le poche autoctone capaci di adattarsi alle tante varianti morfologiche territoriali e quasi sempre con risultati di tutto rispetto, non a caso è la varietà a bacca bianca più diffusa e i vini godono costantemente di grande successo commerciale.

Falanghina Campi Flegrei 2016 Contrada Salandra. Sono almeno tre lustri che Giuseppe Fortunato con tenacia e perseveranza porta avanti una sua idea precisa di vino nei Campi Flegrei, il risultato, per quanto altalenante in alcune annate talvolta riesce di slancio a recuperare e rilanciare con grande scioltezza risultati davvero eccellenti. Le uve di questo angolo della Costa cumana, coltivate a poche centinaia di metri in linea d’aria dal mare, in località Monterusciello, sanno donare vini di straordinaria personalità e caratterizzati da tanta freschezza, pienezza e sapidità, a questo giro, in questo vino duemilasedici, particolarmente espressive. Con uno splendido piatto della tradizione flegrea, Totanetti con patate e piselli.

Falerno del Massico bianco Anthologia 2017 Masseria Felicia. Lo abbiamo scritto e lo ribadiamo, i vini di Maria Felicia Brini¤ sono una rincorsa continua, lo sono, per la verità, un po’ da sempre: mai del tutto definiti, o definitivi, sfuggono alla logica della ripetitività nel nome della caducità vendemmiale. L’azienda è a Carano, in località S. Terenzano, una piccola frazione di Sessa Aurunca, il primo comune per estensione della provincia di Caserta. Arrivarci è facilissimo, sia che sia arrivi da nord che da sud, basta seguire la statale Domiziana sino a Mondragone e poi risalire nell’interno, verso Sessa, oppure con l’autostrada Napoli-Roma uscendo a Capua: in meno di venti minuti vi ritroverete al cancello della famiglia Brini, dove vi accoglieranno come si accolgono gli amici in casa propria. Oppure stappate una di queste bottiglie di Anthologia duemiladiciassette. Provatelo con degli Spiedini di pesce alla piastra, con delle verdurine croccanti nel mezzo, una manciata di origano e sale grosso di Mothia.

Falanghina del Sannio Fois 2017 Fulvio Cautiero. E’ sempre un bere bene con i vini di Imma e Fulvio Cautiero, in questo caso, nonostante l’annata non deponga certo a suo favore in termini di freschezza e verticalità regala comunque una bevuta davvero interessante. Il vino ha un gradevole colore paglierino pieno ed un primo naso ”furbacchione” ed ampio, subito floreale, poi fruttato, vi si colgono sentori di ginestra e pesca, poi accenni balsamici; il sorso è secco e appagante, piacevole, diciamo che manca di quella profondità delle migliore annate ma ci sta, l’annata è stata quella che è stata, siccitosa, calda, parecchio precoce, tuttavia bottiglie come queste, a poco più di 8 euro a scaffale in enoteca sono da considerarsi un vero  e proprio affare! Accompagna con grande piacevolezza l’insalata di polpo.

Irpinia Falanghina Via del Campo 2018 Quintodecimo. Viene fuori dalle uve provenienti da una sola vigna di Falanghina che si trova proprio a Mirabella Eclano, dove Laura e Luigi Moio hanno avviato questo straordinario progetto nel 2001¤. E’ necessaria una grande materia prima ed una profonda conoscenza del territorio e del varietale per permettersi un bianco con questa tessitura e corpo senza rinunciare al tradizionale patrimonio di freschezza e bevibilità. Luigi Moio¤, al di là delle sue prestigiose referenze accademiche che ne fanno un riferimento assoluto per l’enologia internazionale continua ad essere anche il massimo esperto del vitigno attualmente in circolazione. Così Via del Campo continua il suo percorso di crescita, a questo giro un po’ costretta forse dalla necessità impellente di stare sul mercato ma senza però mancare il bersaglio, di proporsi cioè avvenente, precisa, orizzontale. Appassionati e sommelier, conformisti e anticonformisti non potranno che apprezzarne il suggerimento con Seppie alla griglia e melanzane arrosto.

Falanghina del Sannio Serrocielo 2018 Feudi di San Gregorio. Serrocielo nasce dalla migliori uve provenienti dai vigneti del Sannio – area tra le più vocate in Campania per il vitigno -, condizione questa che anche in presenza di annate particolarmente complesse, come ad esempio la  scorsa duemiladiciassette, consente di fare scelte importanti e mirate alla sola qualità. E’ questo un bianco democratico, capace di conquistare immediatamente gli appassionati alle prime armi e i palati più attenti ed esigenti. L’impronta olfattiva è graziosa, netta ed immediata, ha carattere tipicamente varietale e suggestivo di piacevoli sentori floreali e frutta a polpa bianca. Il sorso è asciutto e gradevole, rinfranca il palato ed accompagna con piacevole sostanza tutti i buoni piatti di mare della cucina mediterranea, dai più classici primi piatti ai frutti di mare ai gamberi in pastella o ricche insalate esotiche e pesci scottati.

Falanghina del Sannio Svelato 2018 Terre Stregate. Ancora dal Sannio questo seducente assaggio dall’areale di Guardia Sanframondi. Svelato è un bianco sempre franco ed espressivo, enorme il lavoro di valorizzazione messo in campo dalla famiglia Iacobucci negli ultimi anni, con un duemiladiciotto centratissimo per energia, eleganza e bevibilità. Il timbro è quello classico, dal colore giallo paglierino con riflessi appena verdognoli sull’unghia del vino nel bicchiere, e il naso che sa di fiori di campo e mela, biancospino e ananas, mentre il sorso è piacevolmente morbido, gradevole e preciso. Ce lo immaginiamo servito ben fresco, su bocconcini di mozzarella di Bufala campana con pomodorini cannellini appena aggiustati di sale e olio evo, ovviamente di Ortice e Raccioppella. 

Campi Flegrei bianco Tenuta Jossa 2018 Cantine Astroni. Una novità assoluta, che per la verità troveremo sul mercato solo all’inizio del prossimo anno ma ci pregiamo di darvene una prima impressione in anteprima dopo i ripetuti assaggi degli ultimi mesi. Gerardo Vernazzaro¤ ci sta lavorando con grande attenzione da diversi anni, l’impianto di 3 ettari – nella foto – di cui la metà piantati a bacca bianca risale al 2011, qui siamo lungo la strada che dal quartiere Pianura conduce su alla collina dei Camaldoli, a Napoli.

Il vino è composito di Falanghina al 90% e per la restante parte da altre varietà autorizzate dal disciplinare Campi Flegrei bianco, menzione rivista con le modifiche introdotte dall’annata 2011 ma che in realtà, ad oggi, non è mai stata ”utilizzata” dalle aziende flegree; in questo vino la molteplice composizione varietale ne accentua la verticalità, almeno in questi primi assaggi, e promette di sorprendere senza però stravolgere quella tipicità vulcanica sulla quale negli ultimi 20 anni si è duramente lavorato qui agli Astroni come altrove nei Campi Flegrei. Insomma, aspettiamoci di bere sempre meglio con i vini provenienti da queste parti, noi non possiamo che metterci in fila per ritornare a scriverne più in là!

Ecco, al netto di gusti personali e di circostanza ora sapete come uscirvene dall’imbarazzo di bere bene, anche facile, accontentando però più esigenze e tutte le tasche, con il bonus di potervi pure vantare di aver regalato una bevuta essenziale ma decisamente ricca di spunti interessanti per ognuno dei vostri commensali!

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Pozzuoli, Piedirosso Campi Flegrei 2015 Contrada Salandra

5 Maggio 2019

Negli ultimi dieci anni ci sono almeno due annate di particolare rilievo nei Campi Flegrei dalle quali sono nati dei veri piccoli capolavori da Piedirosso, la prima è stata la duemilaundici, la seconda è senza dubbio la duemilaquindici.

Piedirosso Campi Flegrei 2015 Contrada Salandra - foto L'Arcante

Due millesimi per così dire ”celebrativi”, a loro modo diversi ma che hanno consegnato uve di particolare pregio capaci di regalarci tante belle bottiglie e sensazioni che crediamo siano state di grande incoraggiamento per molti dei migliori produttori flegrei.

Due annate capaci di rivelare tutto lo straordinario potenziale del territorio e del Piedirosso, quest’ultimo finalmente libero di volare lontano dal cono d’ombra dell’Aglianico, rinnovato nel suo spirito sfrontato, con bottiglie dal taglio decisamente più moderno, rinvigorite dalla scoperta di non avere alcun bisogno di andare alla forsennata ricerca di ciccia e di sovrastrutture particolari per giocarsela con i migliori vini italiani, etichette capaci di valorizzare il loro tradizionale bouquet, anzitutto orizzontale, talvolta concentrico ma sottile e ficcante – anche quando non immediato come in questo caso -, eppure profondo, dal sorso vibrante, giovanile e arguto al tempo stesso, anzi, astuto per meglio dire.

Come il Piedirosso di Giuseppe Fortunato¤, vino dal colore rubino intenso, appena trasparente, dal naso inizialmente timido ma che, lentamente, si apre su sentori maturi ma molto invitanti, in un susseguirsi di fiori, frutta e sensazioni speziate, finanche eteree. Note di viola passita, ciliegia sotto spirito, balsami e spezie dolci, di incenso e polvere. Il sorso è rigoroso, a suo modo varietale, dalla beva estremamente piacevole, stuzzicante e dal finale di bocca asciutto. E’ da bere proprio adesso, con grande piacere, ma se non ora, quando?!

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No che non ce ne siamo scordati di Peppino Fortunato, della Falanghina Campi Flegrei 2016 di Contrada Salandra

20 aprile 2019

Mai i Campi Flegrei, il Piedirosso e la Falanghina hanno ricevuto tante attenzioni come negli ultimi 4 o 5 anni e mai così tanti appassionati e addetti ai lavori appaiono letteralmente innamorati ogni giorno di più di questo straordinario territorio e questi vini finalmente apprezzati in tutto e per tutto quel che rappresentano per storia, tradizione e bontà!

Grande merito va certamente a taluni produttori che da anni lavorano duramente per migliorarsi, capaci di scrollarsi di dosso limiti tecnici e colturali azzerando stereotipi finalmente superati. Negli ultimi sei mesi di visite, chiacchiere, approfondimenti, assaggi ripetuti, ci viene d’obbligo ribadire che la vendemmia duemilasedici a Pozzuoli, Bacoli, Monte di Procida, Marano e sulle colline più prossime a Napoli ha per certi versi delineato uno spartiacque, una sorta di punto e a capo, una linea temporale dalla quale ripartire con grande slancio, dopodiché nulla più può essere considerato come prima, non solo per i rossi, anzi, in particolar modo per i bianchi, proprio per quella Falanghina che, non scordiamolo, numeri alla mano, continua a tirare instancabilmente la carretta di tutto il comparto, anche per una piccolissima realtà come quella di Peppino Fortunato¤.

Silente e riflessivo com’è nella sua natura, Peppino ha continuato nella sua opera di recupero e valorizzazione della vigna di famiglia, poco più di 4 ettari tra Monterusciello e Licola, nel cuore dei Campi Flegrei, nel comune di Pozzuoli, dove da poco più di quindici anni ha affiancato alla vocazione dell’apicoltura la coltivazione e la produzione di vini esclusivamente con i due vitigni tipici del territorio, Piedirosso e Falanghina con risultati di tutto rispetto.

I suoi vini hanno sempre un profilo organolettico austero, sono ricchi di personalità, minerali e pieni di tensione gustativa, sono per questo generalmente vini ”da aspettare”, poco avvezzi cioè alle necessità impellenti di mercato tant’è che entrambi vengono abitualmente commercializzati dopo almeno un anno e mezzo/due di affinamento in bottiglia, un tempo quasi necessario per lasciarli distendere prima poterne cogliere tutta la matrice territoriale.

Qui i terreni sono perlopiù sabbiosi, di origine marcatamente vulcanica, per niente sorpresi quindi nel ritrovarci nel bicchiere una Falanghina Campi Flegrei  duemilasedici di grande personalità, dal colore paglierino luminoso e maturo, ampio al naso e vibrante al palato. Le uve di questo angolo della Costa cumana coltivate a poche centinaia di metri in linea d’aria dal mare, sanno donare vini di personalità e caratterizzati da tanta freschezza, pienezza e sapidità, a questo giro, in questo vino, particolarmente centrate.

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Stanno tutti bene ma non tutto va bene

4 gennaio 2019

Nelle ultime settimane abbiamo passato in rassegna un bel po’ di assaggi delle ultime annate prodotte dalle nostre parti qui nei Campi Flegrei, dobbiamo dire in larga parte tutti i vini si sono rivelati davvero molto interessanti e proiettati nel futuro con l’approccio giusto per franchezza, freschezza e leggerezza  espressiva. Non mancano certo piccoli capolavori¤, ma questi solo il tempo li rivelerà del tutto. E’ proprio il caso di dire che stanno tutti bene.

Di alcuni ve ne abbiamo già dato conto¤, e non può che farci piacere notare come certi nomi¤ apparentemente sottovalutati negli ultimi anni, vadano rapidamente recuperando lustro e ritornino in mente anche alla critica più gettonata, ne siamo molto felici, ciò non può che fare bene al racconto di un territorio straordinario che ultimamente pare però un po’ avaro di nuovi protagonisti.

Nelle prossime settimane ne racconteremo delle belle, frattanto invece, tronfi di averci messo le mani tra i primi e certi di non aver mai smesso si sostenere, spronare, scrivere di tutti i produttori coinvolti ci viene quasi spontaneo far notare – lo sappiamo è un fatto di una banalità unica – come l’apprezzamento quasi unanime dei vini dei Campi Flegrei¤ non vada suscitando in nessun modo almeno un pizzico di orgoglio per le Amministrazioni e gli Enti Locali che poco o nulla fanno per la salvaguardia delle aree vocate e dei luoghi in prossimità di vigneti e cantine. Posti che dovrebbero richiamare enoturisti a frotte o quantomeno suscitare un certo rispetto ambientale ma che invece versano il più delle volte nel totale degrado ed abbandono, come dire Coscienza Ambientalista zero!

Condurre qui degli appassionati, un gruppo qualsiasi di enostrippati per alcuni è diventata una partita persa a tavolino, senza nominare tutte le difficoltà di chi deve accogliere clienti, importatori, giornalisti non senza disagio. Un territorio ampio e complesso quello flegreo, ne riconosciamo le difficoltà, il più delle volte definito odiosamente da molti “un conurbio suburbano”, cela però anche  bellezze e paesaggi suggestivi e struggenti, spesso misconosciute persino da chi ci vive figuriamoci cosa ne possa sapere chi lo visita e ne subisce superficialità e disinteresse pubblico. Peggio è, talvolta, intorno a quelle cosiddette ”vigne metropolitane” che dovrebbero rappresentare oasi di cultura e valori da preservare ad ogni costo, degli avamposti a salvaguardia di un patrimonio dal valore inestimabile ma che, ahinoi, rischiano di divenire spot di propaganda e niente di più. Questo non va per niente bene!

Senza andare troppo in là sognando modelli tipo “La Strada del Vino dell’Alto Adige¤” ci sentiamo in dovere di ricordare a questi signori Amministratori e rappresentanti di Enti Locali che ci sono voluti oltre vent’anni di grandi sacrifici in vigna e in cantina per portare in bottiglia vini degni di raccontare una storia credibile, dalle origini fortissime e uniche, i protagonisti di questa lunga maratona li conosciamo tutti, dalla famiglia Martusciello¤ ai vari Varchetta, Babbo, Farro, dai Palumbo ai Quaranta, Zasso o i Carputo sino agli ultimi Moccia¤, Di Meo¤, Schiano e Fortunato, ecco non lasciamoli soli, mai più soli. 

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Pozzuoli, Piedirosso dei Campi Flegrei Pro-Polis 2011 Contrada Salandra

23 Maggio 2016

Mai il piedirosso ha ricevuto tante attenzioni come negli ultimi 4 o 5 anni e mai così tanti appassionati e addetti ai lavori appaiono letteralmente innamorati ogni giorno di più di questo straordinario rosso finalmente apprezzato in tutto e per tutto quel che rappresenta per storia, tradizione, vocazione e bontà!

Piedirosso dei Campi Flegrei Riserva Pro-Polis 2011 Contrada Salandra - foto L'Arcante

Per tanti anni misconosciuto e relegato ai soli confini metropolitani nonostante le origini antichissime del varietale ed un ruolo da prezioso co-protagonista riconosciutogli in molte denominazioni campane di forte richiamo territoriale come Taurasi, Falerno e Vesuvio su tutte. E naturalmente Campi Flegrei¤ di cui è invece padrone indiscusso. Apologia silente capace oggi di mettere tutti d’accordo.

Una denominazione di appena vent’anni quella flegrea caratterizzata però da una storia antica unica ed affascinante, che da sola vale il viaggio per vigne e cantine sparse sul territorio tra la costa, le colline baciate dal sole, i laghi e vecchi e nuovi crateri. Luoghi dove l’uva e il vino si mischiano continuamente al Mito e alle contraddizioni del nostro tempo. Una doc che molto deve al lavoro della famiglia Martusciello¤ e che oggi vanta numerosi interpreti ognuno dei quali capace a suo modo di essere un riferimento di qualità, proprio come Peppino Fortunato.

Qui, una quindicina di anni fa, tra la costa vicino Cuma e Licola Peppino ha preso a fare vino riportando a nuova vita un vecchio vigneto di famiglia di circa due ettari piantato a metà anni ’90. Oggi sono circa 4 e mezzo gli ettari, in tutto 18.000 bottiglie divise tra falanghina e piedirosso. I suoi vini, quelli di Contrada Salandra¤ hanno sempre un profilo organolettico austero, sono vibranti di personalità, minerali e ricchi di tensione gustativa, sono generalmente vini ”da aspettare” quindi poco avvezzi alle necessità di mercato tant’è che entrambi vengono abitualmente commercializzati dopo almeno un anno o due di affinamento in bottiglia.

Pro-Polis 2011 va ben oltre questi precetti, è un cru di per ‘e palummo che celebra a suo modo un millesimo¤ di particolare pregio qui nei Campi Flegrei; annata straordinaria che ci ha già regalato ad esempio il Vigne Storiche¤ di Vincenzino Di Meo e lo splendido Tenuta Camaldoli¤ di Gerardo Vernazzaro.

Un anno, il 2011, che ha visto tra l’altro riscrivere parte della denominazione¤ con l’introduzione nel disciplinare di alcune novità importanti, tra le quali la creazione della doc Campi Flegrei bianco e rosso proprio in virtù di una più ampia visione produttiva che guardi con maggiore attenzione alle mille peculiarità del territorio più che alla coltura varietale spesso relegata ufficialmente al solo binomio falanghina-piedirosso, una grande sfida per i prossimi anni. 

Un piedirosso quello di Peppino dal colore rubino scuro, dal naso inizialmente timido ma che si eleva su sentori ciliegiosi, balsamici e speziati, di incenso e polvere. Rigoroso al palato, si distende con estrema franchezza varietale, regala una beva piacevole, vivace e rotonda sul finale di bocca appena asciutto. Da bere adesso non senza la curiosità di ritrovarlo fra dieci anni, affermazione questa che appena 4/5 anni fa poteva suonare per molti come una vera e propria bestemmia, ma per fortuna i tempi cambiano.

Il naso, i napoletani e l’apologia del Piedirosso #1¤.

Il naso, i napoletani e l’apologia del Piedirosso #2¤.

Le strade del vino dei Campi Flegrei¤.

Piccola Guida ai vini dei Campi Flegrei¤.

L’Arcante raccomanda di servire questa tipologia di vini con Fresh¤, il nuovo seau a glace di Nando Salemme.

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I Campi Flegrei e i suoi vent’anni di doc: passato il Santo non è mai iniziata la festa, perché?

12 agosto 2015

Come più volte ho scritto, lo scorso ottobre 2014 la doc Campi Flegrei ha compiuto 20 anni¤, un traguardo molto importante per una piccola denominazione e per un territorio per lunghi anni devastato dalla speculazione edilizia che proprio grazie al successo di critica e di mercato dei suoi vini ha visto molti ritornare all’agricoltura e sulla strada del rilancio della viticoltura.

Pozzuoli, Lago d'Averno, Vigneto Storico Mirabella - Piedirosso Campi Flegrei

Auspicavo, con l’uscita sul mercato della vendemmia 2014, un maggior riguardo per questo avvenimento, quantomeno a un motus capace di unire e rendere maggiore forza e consapevolezza alle decine di produttori che lentamente vanno ritagliandosi con orgoglio e finalmente senza più pregiudizio ruoli da protagonisti in giro per l’Italia e in minima parte anche nel mondo.

Esempi in tal senso non mancano, dai piccolissimi Raffaele Moccia¤ e Giuseppe Fortunato¤ per molti appassionati divenuti vere icone pop, a Cantine del Mare¤, ai Di Meo¤ del Cruna DeLago 2013, primo vino flegreo a strappare il TreBicchieri2015¤ sino a quelli un po’ più grandicelli Farro e Cantine Astroni¤ sempre molto attivi¤, con questi ultimi in piena rampa di lancio e assai propositivi. E con tutta una stregua di nuovi che si stanno affacciando ora sulla scena ma sembrano pieni di entusiasmo, penso ai fratelli Mirabella di Cantine dell’Averno¤ o ai Daniele di Le vigne di Cigliano.

Tant’è, poco o nulla è stato fatto, come se tutti fossero alle prese con altro di meglio da fare. Vero è che il momento economico non è certo dei più felici ma l’intero comparto appare, come non mai, avvitato su sterili personalismi, con poca voglia di stare veramente assieme e forse un’unica grande consapevolezza: sopravvivere alla giornata, prendere per buono quello che viene. Quando viene. E non basta sentirsi un po’ tutti orfani del delicato momento di riflessione della famiglia Martusciello¤, da sempre motore dei Campi Flegrei. Insomma, il Santo è passato e la festa non è mai iniziata, perché?

Le strade del vino dei Campi Flegrei

Piccola Guida ai vini dei Campi Flegrei

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La Falanghina dei Campi Flegrei e i dieci vini da non perdere… refresh your mind, right now!

2 agosto 2011

Il vino dell’estate? Forse. Di certo c’è tutto un mondo da scoprire dietro ognuna di queste etichette; storie di una terra straordinaria, di persone che credono in quello che fanno ma soprattutto in quello che hanno da raccontare attraverso i loro vini. Ringrazio Luciano Pignataro per avermi chiesto di scrivere queste righe, da prendere essenzialmente come sintesi delle bevute più significanti di questa stagione di lavoro.

Nessuna classifica – come del resto son certo vi sia qualcuno dimenticato tra gli appunti -, ma solo un modo come un altro per ribadire quanto la mia terra, i Campi Flegrei, continui ad esprimere vini che meritano sempre più di essere bevuti più che raccontati. Infine un invito ai produttori, soprattutto ai “piccoli”, naturalmente senza la pretesa di essere ascoltato: specializzatevi, e puntate il mercato in senso verticale, non in orizzontale…

Nel pezzo, on line qui sul sito di Pignataro, si parla della Falanghina dei Campi Flegrei Agnanum ’10 di Raffaele Moccia, del Coste di Cuma 2009 di Grotta del Sole, della Falanghina Grande Farnia ’10 di Antonio Iovino; poi di Colle Spadaro, Cantine Astroni e di Cantine Di Criscio,  CarputoCantine del Mare, Michele Farro, senza dimenticare, dulcis in fundo, lo strepitoso Passio 2007 di La Sibilla.

Il naso, i napoletani e l’apologia del piedirosso #2

7 giugno 2011

Una faccenda simile a quella descritta nel finale del post precedente, che vuole cioè difetti originati da una cattiva gestione del vigneto o della vinificazione nonché dell’affinamento, proposti ed insidiati nell’immaginario collettivo come tipicità, è stata per anni propinata raccontando del nostro piedirosso dei Campi Flegrei, che ha, guarda caso, una spiccata tendenza sia alla riduzione, durante le fasi di lavorazione in cantina e, se le uve raccolte non godono di perfetta maturazione, al vegetale.

I napoletani e l’apologia del piedirosso. Per lungo e troppo tempo abbiamo sentito affermare che la puzzetta del piedirosso è un tratto caratteriale tipico del vitigno, o del territorio: affatto! Il carattere vegetale poi, come detto, è riconducibile solo ed esclusivamente ad una non corretta maturità dell’uva, derivante da una non ottimale gestione del vigneto (pirazine), mentre la riduzione è dovuta dalla produzione di idrogeno solforato (uova marce) e metantiolo (acqua stagnante, straccio bagnato) ad opera del lievito, sia esso indigeno o selezionato, quando è in condizioni di particolare stress per carenza di ossigeno o per carenza di azoto. I suoli vulcanici composti principalmente da sabbie sono terreni sciolti, poveri di azoto, tale macroelemento è indispensabile per il corretto metabolismo del lievito, quindi avendo valori di azoto prontamente assimilabile (APA) bassi – in media tra 80-120 mg/l quando solitamente ne occorrono circa il doppio -, non è difficile decifrare quale fosse l’origine del male di certi piedirosso sempre troppo sospesi tra l’inferno ed il purgatorio. A questo aggiungiamoci certe pratiche enologiche che definire scorrette è poco, dalla cattiva gestione dell’ossigeno, o un eccesso di anidride solforosa in fase di ammostamento, alla noncuranza delle uve in fase di pre-lavorazione con il doppio effetto negativo di produzione di esenoli – note erbacee – e l’eccessiva produzione di feccia vegetale che tende a sottrarre ossigeno al lievito. Bisogna fare pertanto attenzione quando si parla di tipicità e soprattutto di territorio. Il territorio negli ultimi quarant’anni ha subito notevoli trasformazioni, per di più il clima è cambiato, le buone pratiche di campagna abbandonate e le stalle, quelle vere, scomparse.

Il sovescio per esempio, veniva applicato sistematicamente in tutte le vigne del circondario flegreo, e qualcuno ancora riesce a mantenere, con non poca fatica, questa tradizione; consiste nel seminare in autunno leguminose, in modo particolare favino e lupinella, per interrarle poi in primavera; un sistema naturale atto ad arricchire il terreno anzitutto di azoto, ma anche di ferro grazie alla congiunta semina del rapestone. Il letame proveniente dalle stalle, stabulato e maturato, arricchiva il suolo di sostanza organica e carbonio, aumentandone così capacità di scambio cationico (C.S.C), cioè la capacità intrinseca del terreno di rendere disponibile i macro e i microelementi all’apparato radicale delle piante. Il letame, inoltre, ripristinava ogni anno la carica batterica del suolo fondamentale per rendere “vivo” il terreno.

Anziani contadini delle mie parti di sovente mi raccontano che il vino piedirosso presentava al tempo colore rubino brillante e spesso gradazioni alcoliche sostenute e buona struttura tannica, ovviamente il tutto in zone vocate e in particolare da vini prodotti con uve da viti vecchie.

Oltretutto le temperature erano più fresche e di conseguenza anche l’acidità era più alta ed il Ph più basso, ciò era molto interessante per tutte le ricadute microbiologiche e chimico-fisiche e per la capacità del vino di tenere nel tempo. Inoltre, il mosto veniva fermentato in tini di legno aperti con grande disponibilità di ossigeno per i lieviti indigeni, aspetto di fondamentale importanza per quanto detto prima. Infine, l’affinamento, anzi, a quel tempo era un mero stoccaggio in previsione di un trasporto che avveniva generalmente in fusti di castagno e ciliegio, non certo quindi per velleità ma per necessità; tra l’altro, il ciliegio a poco alla volta andava sostituito nel corso del tempo dal castagno, a causa della sua elevata porosità e quindi incidente sulla diminuzione di quantità di vino. In ogni modo anche questi legni conferivano tipicità al prodotto.

Il castagno, se ben stagionato, conferiva struttura e probabilmente al primo passaggio anche una nota amarognola e mentolata, con il tempo di sicuro il suo contributo migliorava perché meno aggressivo e comunque restava la capacità di ossigenare il vino attraverso il cocchiume e le doghe, cosa sicuramente positiva per l’evoluzione. Il ciliegio, fintanto che è stato presente nella filiera, in perfetto equilibrio con il castagno, donava dolcezza e frutto. Oltre a queste perdite naturali che hanno definito in passato la cosiddetta tipicità del piedirosso, un forte aggravio lo si è avuto dall’introduzione dell’acciaio in cantina. Il vitigno, si può dire quindi, è vittima del mal d’acciaio. Essendo l’acciaio un contenitore inerte, non traspirante, incide notevolmente sulla tendenza che ha il vitigno alla chiusura ed alla riduzione, talvolta irreversibile se non si ha l’accortezza di gestire bene i travasi, oppure adoperando la tecnica della micro ossigenazione; il per e’ palummo vinificato in acciaio è come un uomo stretto da una morsa al collo, che ha non poche difficoltà a respirare.

Come si evidenzia da quest’ultimo breve periodo, tante cose sono cambiate, ma una appare chiaramente non mutata nel tempo, la fretta del napoletano. Il napoletano è fast, comprende poco o nulla della cultura Slow, vive di precarietà da secoli e l’aforisma Carpe Diem pare cucitogli addosso in maniera calzante: poco, maledetto e subito!

Così per il vino, un prodotto da consumare subito, entro l’anno. Per fortuna oggi c’è qualche segnale di cambiamento, c’è qualcuno, qualche mosca bianca che inizia a rallentare ad andare più Slow, a sperimentare quell’arte di “saper attendere” anche sulla produzione dei vini. Questi segnali sono più che evidenti nell’ultimo decennio, tangibili nelle aziende storiche flegree come pure in quelle piccole realtà venute fuori negli ultimi tempi; di questi ci sono alcuni piedirosso, nomi e cognomi alla mano, La Sibilla, Contrada Salandra, Agnanum, dei quali godere appieno, e nessuno di questi caratterizzato, pur rappresentati come espressioni tipiche del territorio, da quella “tipica puzzetta” fastidiosa e certamente ben lontana, per quanto detto, dal varietale e dai Campi Flegrei; evidentemente quindi tutti lavorati bene e figli della scienza e di una enologia pulita. Si, perché dietro ad ognuna di queste aziende c’è un bravo enologo: a Bacoli, a La Sibilla c’è il giovane e bravo enologo di famiglia Vincenzo Di Meo, Giuseppe Fortunato di Contrada Salandra si avvale dei preziosi consigli di Antonio Pesce, che tra l’altro con i vini delle sabbie vulcaniche ha grande dimestichezza, mentre Raffaele Moccia, Agnanum, ha potuto beneficiare dell’imprinting iniziale dello start-up del vulcanico, competente ed estroso Maurizio De Simone.

In definitiva, il piedirosso incarna forse anche la marginalità di Napoli, a volerlo dire con una espressione greca usata nelle scritture apocalittiche, Napoli e il piedirosso si trovano sempre Parà ta éscheta ovvero prossimi ai limiti estremi, vicini alle cose ultime, sull’orlo dell’abisso, in bilico, sempre a un passo dalla resurrezione ma anche ad un passo dal precipizio. Infatti, uno dei grandi problemi irrisolti di questo vitigno è la scarsa produttività e quindi la definizione di un modello viticolo moderno, capace di esaltarne le peculiarità limitandone le avversità; intanto i contadini, proprio per questo motivo lo stanno estirpando, sostituendolo nella migliore delle ipotesi con la falanghina, di certo più plastica e generosa; quindi è d’obbligo lanciare un appello al mondo della ricerca, della produzione e della comunicazione, per lavorare uniti al fine di preservare il valore assoluto di questo straordinario vitigno, l’orgoglio agricolo nonché ancora di salvezza, rinascita viticola della nostra città. Save the piedirosso!

 Qui “Il naso, i napoletani e l’apologia del piedirosso” – parte prima.

Qui l’articolo in versione integrale  su www.lucianopignataro.it.

Quarto, Campi Flegrei Falanghina Quartum ’10

23 aprile 2011

Un grande valore della rinascita vitivinicola dei Campi Flegrei, avviata nella prima metà degli anni novanta dalla storica famiglia Martusciello, è senz’altro la giovane età dei protagonisti che vi si affacciano di continuo e vanno affermandosi con la loro dinamicità e voglia di fare.

Lo è stato allora, quando poco più che ventenni debuttavano in società, a Grotta del Sole, i giovanissimi Salvatore e Francesco, innescando un processo virtuoso di passaggio generazionale assolutamente non trascurabile, culminato con l’ingresso in cantina a pieno titolo di regia del giovane (e bravo!) Francesco jr sulle orme dello stimatissimo zio Gennaro; un salto questo seguito tra l’altro negli anni da altri validissimi giovani produttori ed enologi flegrei, impegnati in prima linea nella guida delle aziende di famiglia o di nuove proprie; penso per esempio a Vincenzino Di Meo di La Sibilla, a Gerardo Vernazzaro di Cantine Astroni, a Peppino Fortunato di Contrada Salandra, giusto per citarne alcuni tra i più bravi di cui abbiamo raccontato in precedenza su queste pagine.

Così è stato per i giovani fratelli Di Criscio, Francesca Adelaide, Rosa e Luigi, che dopo gli studi hanno preferito recuperare e valorizzare un’antica tradizione familiare che vedeva, più o meno cento anni fa, i loro nonni, e prima ancora già i bisnonni, impegnati nelle campagne quartesi e di rimbalzo nella ristorazione locale. Due ettari e poco più di vigna nel pieno centro a Quarto, l’azienda produce poche altre bottiglie di aglianico e di un rosato del beneventano, ma personalmente spero che in futuro l’ideale rimanga quello di puntare tutto sulla valorizzazione dei soli vitigni flegrei; perché mai no? Francesca Adelaide, tra l’altro, è da qualche tempo presidente de Le strade del vino dei Campi Flegrei, l’associazione nata per mettere assieme le tante anime dell’enoturismo locale che dopo diversi anni di difficile gestazione, si spera possa finalmente avviarsi a camminare con le proprie gambe, e far girare ai turisti le splendide vigne flegree; per questo confido personalmente nel suo entusiasmo e nella sua notoria caparbietà.

Ma veniamo al vino, questo è solo il primo assaggio di falanghina duemiladieci che vi propongo; ho scelto Quartum una sera a cena dall’amico Rino del Ristorante Il Rudere, “è appena arrivato…” mi dice: “assaggiamolo subito..!” gli rispondo. La luce che attraversa il mio bicchiere evidenzia subito l’espressione più docile del varietale, tipica delle uve coltivate nelle campagne quartesi, il colore è di un paglierino tenue, di discreta vivacità; il primo naso è lieve, sono ancora evidenti in primo piano le note vinose post fermentative, ma un leggero aroma erbaceo ne accompagna un primo sorso fresco, subito franco, leggero, gradevolissimo. Sarà così sino all’ultima goccia, bottiglia che in due va via che è un piacere, poco più di dodici gradi alcolici ben sorretti da una discreta acidità; da portare con se al prossimo invito a cena per offrirla agli amici come benvenuto!

Questo articolo è stato appena pubblicato questa settimana sul quindicinale di informazione libera Pozzuolidice nella nostra rubrica di enogastronomia dove, come sempre, potrete trovare una nuova ed interessante ricetta della nostra Ledichef Lilly Avallone. Questa settimana vi rendiamo anche conto del significato della nostra valutazione in “stelle” dei vini proposti.

Bere il territorio, per esempio i Campi Flegrei

24 dicembre 2010

Un territorio in forte ascesa, una terra votata al vino che nonostante le mille difficoltà, ambientali, sociali, amministrative sta maturando quel salto di qualità estremamente necessario per ritagliarsi uno spazio importante nel mondo del vino. I numeri, quelli seri e chiari, ci consegnano una realtà con un potenziale di crescita incredibile, laddove le vigne più vocate sono giustamente indirizzate alla specializzazione e dove chi fa il vino ha ben compreso che il tempo delle farse è finito e che il consumatore, quello attento, quello più esigente, non si accontenta più della denominazione ma ha voglia di conoscere e capire cosa c’è dietro una etichetta. Ecco, con questo scenario, capace di lasciarci affermare con tutta certezza che finalmente dire Campi Flegrei non è più semplicemente vantare una viticoltura astratta, vi offriamo un breve corollario delle migliori bottiglie passateci per mano in quest’ultimo anno; Ci teniamo a sottolineare che, con questo elenco, non ci si vuole certo arrogare la pretesa di una infallibile lista di vini, ma potete stare certi che, bicchiere alla mano, con questi nomi si può istruire un viaggio decisamente entusiasmante attraverso alcune, se non le migliori, vigne flegree.

 Malazè spumante di Falanghina Cantine Babbo. Camminare le vigne dello Scalandrone a Pozzuoli può risultare addirittura salutare, pare infatti che salire e scendere le ripide rive dei costoni che incorniciano da un lato il lago d’Averno e dall’altro il piccolo salmastro lago Fusaro risulti un esercizio fisico non indifferente. Malazè, il cui nome trae ispirazione dalla tradizione marinara flegrea (è la traslazione dialettale della parola magazzino) è prodotto da uve falanghina dei Campi Flegrei con il tradizionale metodo charmat: esprime un vino franco, leggero e gradevole al naso quanto nella beva, sottile e beverino è ideale come aperitivo. Una dritta, provatelo come base spumante per offrire ai vostri ospiti un leggiadro Kyr! € 10,00

Brezza Flegrea spumante di Falanghina Cantine del Mare, altro lavoro ben riuscito sulla spumantizzazione della falanghina. Qui la materia prima proviene da una delle aree viticole più vocate dei Campi Flegrei e meno conosciuta ai più, le coste di Monte di Procida, molte terrazze delle quali a strapiombo sul mare del canale di Procida. Gennaro Schiano, noto imprenditore del luogo, ha deciso di occuparsi a tempo pieno dell’azienda, coadiuvato dal giovane e bravo enologo Gianluca Tommaselli, e questo spumante rimane il fiore all’occhiello della sua produzione: naso assai fragrante, frutta a polpa bianca e reminescenze minerali per un vino dalla beva vivace e baldanzosa e mai stancante, a dirla tutta, un piccolo capolavoro di equilibrio gusto-olfattivo. € 14,00

Falanghina dei Campi Flegrei 2009 Antonio Iovino. A Pozzuoli, a due passi dal centro storico, c’erano un tempo terre vocatissime alla viticultura, con gli anni lasciate sventrate dalle due più grandi sciagure che possano capitare al mondo, lo sciacallaggio dell’uomo innamorato pazzo del cemento, e peggio, l’idiozia di chi dovrebbe amministrare la nostra vita sociale. Tantè che le coste d’Agnano, quelle che nel cuore della città s’innalzano dal mare del golfo sino al vulcano Solfatara, celano ancora pezzi di terra, letteralmente strappati alla speculazione, che continuano ad offrire frutti prelibati. Antonio Iovino, da almeno un decennio cura le sue vigne cercando di risanare queste ferite, ne vengono fuori vini leggiadri e ricchi in minerali. Piacevolissimo iniziare un pasto con un vino di tal piacevolezza: naso erbaceo, a tratti sulfureo e palato fresco, lievemente citrino con piacevoli sfumature salmastre. € 8,00  

 Falanghina dei Campi Flegrei Colle Imperatrice 2009 Cantine Astroni, i Campi Flegrei, terra dei fuochi. Si potrebbe dire, altra zona, altro vulcano; Le uve provengono in buona parte da una vigna di circa dodici anni allocata a circa 230 m/slm sulla collina degli Spadari a Pianura, in cantina il vino viene lavorato solo in acciaio e dopo circa tre mesi di affinamento sulle fecce fini finisce in bottiglia. Una vigna in città quindi, a due passi dal cratere spento degli Astroni, il polmone della città di Napoli. Un vino dalla graffiante verve gustativa e dalla beva composta, acidità particolarmente interessante quasi subito smorzata dalla giustezza sapida,  ideale compagno a tutto pasto per i palati più esigenti. € 8,00  

Falanghina dei Campi Flegrei Coste di Cuma 2008 Grotta del Sole, ancora un salto tra le maglie di una terra unica e rara. L’azienda non ha bisogno certo di presentazioni, la famiglia Martusciello rimane la memoria storica dei Campi Flegrei e questo vino, il Coste di Cuma il suo testimone più fedele; Nato per la verità sull’onda dell’entusiasmo dei bianchi passati in legno di metà anni novanta, ha superato brillantemente le prime fasi di una non precisa identità territoriale esprimendo nell’ultimo lustro uno dei più convincenti lavori sul vitigno flegreo, e questo grazie anche al pregevole lavoro dell’enologo Francesco Jr Martusciello. Dai profumi deliziosi di fiori bianchi e frutta a polpa gialla impregnati di note salmastre, regala sempre una beva di discreta consistenza e profondità. Perfetto su tutti i piatti di pesce salsati, non disdegna accostamenti azzardati come formaggi freschi e carni bianche, anche grigliate. € 13,00

Campania rosato Pedirosa 2009 La Sibilla, bere leggero non significa per forza di cose bere vini inconsistenti, tutt’altro. Se tra i bianchi, conosciuto come vitigno per vini leggiadri e risoluti, la falanghina è capace anche di esprimere vini di indubbio carattere, il piedirosso tra le uve a bacca nera è forse il più convincente e poliedrico dei vitigni campani. Luigi Di Meo, con il figlio Vincenzo, sono ormai un riferimento nei Campi Flegrei, e quando si parla di falanghina non si può certo dimenticarsi di loro. C’è poi un insolito ed avvincente studio-sviluppo sul vitigno marsigliese, giunto ormai al decennale di sperimentazione nonchè alla quinta vendemmia, che ne fanno veri e propri fautori di un nuovo “illuminismo” territoriale. Così, dopo alcuni anni passati ad aggiustare il tiro, anche questo rosato prodotto da uve piedirosso sembra esprimersi con una veste nuova e, fatte le dovute proporzioni, decisamente appassionante. Dal colore buccia di cipolla, offre un naso piacevolmente floreale ed un gusto asciutto e delicatamente persistente, perfetto per chi vuole bere leggero ma non si accontenta per questo di bere vini bianchi. € 8,00

 Piedirosso dei Campi Flegrei 2008 Contrada Salandra, ci siamo occupati proprio nelle ultime settimane di questo piccolo produttore flegreo. Giuseppe Fortunato con la moglie Sandra iniziano finalmente a raccogliere i frutti tanto appassionatamente seminati negli ultimi anni. Dalle vigne in conduzione biologica di Cuma-Licola vengono fuori poche bottiglie di fresca e beverina falanghina nonchè di questo sorprendente e delizioso piedirosso: ai più, il colore rubino-granato ricorderà subito i pinot nero dell’Alto Adige ma il naso timbrato da nuances floreali e così marcatamente minerali è assolutamente figlio della sua terra flegrea. Un rosso da spendere a tutto pesce giocando intelligentemente con la temperatura di servizio, da comprare e bere e da serbare per le prossime migliori occasioni dove leggerezza ed unicità siano argomenti topici. € 10,00

 Piedirosso dei Campi Flegrei Agnanum Viticoltori Moccia, bere i vini di Raffaele Moccia è come succhiare dal seno di una mamma, dove il vino sta al latte e il seno per i Campi Flegrei. Non poteva chiudersi altrimenti questa carrellata dedicata a “bere il territorio flegreo”, un invito che ci sentiamo di fare, oggi più che mai, con la consapevolezza che questa terra sia veramente capace di stupire i suoi avventori, anche i palati più esigenti, con vini – questi vini – straordinariamente evocativi e di qualità indubbiamente superiore. Il per e’palummo di Raffaele è un vino delizioso, che offre un colore purpureo, vivo, caratterizzato da buona concentrazione; Al naso, superate le prime note di evidente riduzione, in molti casi una caratteristica peculiare del varietale, dei vini di Raffaele in particolare, già dopo qualche minuto si riescono ad apprezzare un susseguirsi di sfumature piuttosto invitanti che evidenziano un frutto polposo e speziato, quasi terroso. In bocca è fresco, asciutto, avvincente ed avvolgente pur rimanendo sempre leggiadro e godibilissimo dal primo all’ultimo sorso. Una scoperta per taluni, la storia per altri. € 10,00

I prezzi sono indicativi e riferiti a quelli probabili in enoteca, rilevati non più di due settimane fa. ( A. D.)

Pozzuoli, del Piedirosso 2008 di Contrada Salandra e di come nulla il tempo possa smentire

10 dicembre 2010

Pozzuoli, autunno 2003. Vanno via gli ultimi clienti, rimaniamo in cinque o sei, forse qualcuno in più, ma comunque solo buoni amici; abbiamo ancora voglia di bere, brindare, non di festeggiare, ma di fissare bene nella memoria questo giorno, l’inizio di una nuova, splendida avventura nel fantastico mondo del vino: nasce così, dopo un anno di intenso rodaggio, “Amici di Bevute”, e non poteva trovare, a L’Arcante, una casa migliore.

Tra i pochi rimasti, Sandra e Giuseppe Fortunato, conosciuti già qualche anno prima per i loro deliziosi mieli flegrei. Peppino, timidamente, chiede di poterci far assaggiare il suo vino, prodotto artigianalmente e frutto del duro lavoro di recupero della vigna di famiglia di via Tre Piccioni, sulla litoranea che da Pozzuoli conduce alla marina di Licola (per capirci, in zona coste di Cuma), un posto baciato dalla natura ma come spesso accade dalle nostre parti sventrato dall’abusivismo edilizio dilagante degli anni ottanta e novanta. Tant’è che ci arrivano sul tavolo, nella curiosità generale, due bottiglie di per e’palummo.

Ne apriamo una prima, bello il colore vivace, ma il vino al naso è marcato da una decisa nota di riduzione che non lascia spazio a molto altro, se non al piacevole e coinvolgente racconto; dissertiamo infatti, con ampie premesse, su cosa ci si aspetta da quel pezzo di terra fortemente voluto preservare ma che deve in qualche modo trovare una sua dimensione, soprattutto per evitare di finire nel limbo dell’abbandono, o peggio, della cementificazione. Su questo Peppino ha sempre avuto le idee molto chiare, lui e Sandra sono da sempre fortemente sensibili alla salvaguardia dell’ambiente ed hanno imparato, girando per fiere con i loro mieli, che seppur lento, c’è un ideale che puntualmente ritorna, in ogni generazione, a spazzare via ogni conquista qualunquista: è il valore assoluto della terra, per cui vale la pena lottare!

Frattanto decidiamo di aprire la seconda bottiglia, i tratti espressivi non si discostano più di tanto, è chiaro che c’è una mano poco esperta in cantina, eppure non manca di frutto, di carattere; la passione e l’amore per ciò che si fa non sono tutto e Peppino ne è consapevole, ma a parte gli evidenti difetti di manico cerchiamo, con gli accoliti, di comprendere l’anima ribelle di quel frutto che deve pur sfociare nella realizzazione di un sogno, ma è solo l’inizio, ed il tempo si sa, è un gran dottore; qualcuno tra noi chiosa, con poche parole ma che ci aiutano a ben sperare: “ha quel sapore d’uva che mi ricorda il vecchio per e’palummo sopra Cigliano, quello o’vero”. Risata a parte, li ricordo anch’io quei vini, ruvidi, austeri, squilibrati, che piacciono – quando piacciono – più alla pancia che alla bocca, eppure non mentono mai, anche quanto allontanano!

Da allora sono passati sette anni, Peppino Fortunato, silente e riflessivo come è nella sua natura, ha continuato nella sua opera di recupero e valorizzazione della vigna di famiglia, ha chiamato ad aiutarlo in cantina quella mano di cui tanto aveva bisogno, quell’Antonio Pesce che tanto conosce di piedirosso e che tanto ha imparato a rispettarlo e valorizzarlo, così appena messo piede in cantina si è subito cambiato registro. Ottimo fu il 2005, il primo millesimo di riferimento assoluto per Contrada Salandra; ricordo ancora come fosse ieri, l’amichevole “scontro” verbale avuto proprio quell’anno con Peppino, che impaurito dalle prime difficoltà commerciali, aveva deciso di declassare buona parte della vendemmia precedente per meglio collocarlo – come igt – sul mercato locale ad un prezzo decisamente appetibile: “scellerato, gli dissi, non te ne curare, i tuoi obiettivi sono altri!”.  

Il 2008 è la rappresentazione esemplare di quegli obiettivi, prima la terra, poi l’uva, quindi l’uomo, capaci di interagire ma in nessun modo di superarsi; un millesimo, qui come altrove nei Campi Flegrei, specchio di quell’anima, tutta flegrea, appannaggio di pochissimi sul territorio che del territorio ne hanno tessuto la storia e si propongono oggi più che mai di salvaguardarla e valorizzarla. E parlo dello storico, fondamentale coinvolgimento della famiglia Martusciello, del silenzioso ma efficacissimo lavoro dei Di Meo piuttosto che la maniacale ricerca di Gerardo Vernazzaro, ma anche della rincorsa dei vari Antonio Iovino o di Cantine del Mare. Oggi il piedirosso sembra avviato ad arrivare sulla bocca di tutti, o meglio, da più parti si spinge affinchè sia proprio questo rosso tutto nostrano a soppiantare il fallimento – solo temporale – del più nobile dei vitigni campani, l’aglianico. E’ il piedirosso o dover riscaldare gli animi, a fare da apripista al ben più austero e longevo aglianico, il chiavistello da insinuare nelle maglie, sempre più intricate, di un mercato in persistente agonia e perennemente oppressivo sulle esigenze che hanno invece certi rossi da invecchiamento.

Per qualcuno insomma, la cosiddetta manna dal cielo, ma si badi bene, e questo è un monito, non un semplice invito, non si tenti di fare di questo straordinario vitigno un figlio di puttana qualunque da prostrare ai piedi dell’ignorante di turno, soprattutto perchè è in terra flegrea, dove giace in gran parte ancora a piede franco, che meglio riesce, più di qualunque altro luogo in Campania, ad esprimere la sua verità varietale.

Il Piedirosso 2008 di Contrada Salandra esprime un gran bel vino, e più di ogni altra parola val la pena veramente di berlo, quasi ascoltato in ognuno dei sorsi che suggerisce. Una eccellenza frutto di un lavoro durato almeno cinque anni, secondo me già sfiorata, di una o due spanne, nel 2007, ma qui, oggi, decisamente colta nel segno. Le uve sono state raccolte il 25 e 26 ottobre nei vigneti di Monterusciello e Licola, dopo la diraspapigiatura hanno subito criomacerazione a 4 – 5°c per circa 24 -36 ore; successivamente all’avvio del processo di fermentazione la stessa è stata prolungata per circa 22 gg, con rimontaggi leggeri più o meno ogni 8 ore (tre al giorno!). E’ un vino che non è stato chiarificato, ma filtrato, ha fatto solo acciaio ed è stato imbottigliato solo lo scorso giugno 2010. Il colore, rubino scarico, ricorda la ciliegia in via di maturazione, vivace e particolarmente luminoso.

Il primo naso è volto a sensazioni molto sottili e fini di fragranti fiori e frutti rossi, molto gradevole anche la vinosità, pacata e ben fusa al quadro olfattivo generale, che spesso caratterizza il per e’palummo flegreo. In bocca è secco, pervade il palato con una decisa sensazione di freschezza e nonostante gli oltre 13 gradi e mezzo non sembra affatto soffrire di alcuna pesantezza gustativa, offre infatti una beva costantemente pulita e fine, con un ritorno di frutto, anche sul finale, piacevolmente minerale. Un rosso di estrema piacevolezza, da pochi giorni commercializzato, da non far mancare alla vostra tavola natalizia. Avete presente gli spaghetti col ragù di polpo?

Ancora sulla vendemmia 2010, note sparse…

21 settembre 2010

Concludiamo con questo post (forse), il viaggio nelle cinque province campane alla ricerca della vendemmia 2010 perfetta! Abbiamo dato, durante tutta una settimana, la parola a chi il vino lo fa, agli enologi, a coloro cioè che vivono costantemente, durante tutto il ciclo biologico annuale della vite, le ragioni dell’essere di una vigna, dal ciclo vegetativo a quello riproduttivo, e di una azienda, dalla raccolta dell’uva dalla pianta a quello che sarà, con ogni probabilità, vino autentico e piena soddisfazione dei nostri lieti calici. Noi de L’Arcante, ce l’abbiamo messa tutta, di certo non si potrà dire che non ve l’avevamo detto raccontato: Benvenuta (generosa) vendemmia 2010!

Francesco Martusciello Jr, enologo a Grotta del Sole e Foglie di Amaltea, il nuovo gioiello di famiglia in terra flegrea, ci da una seconda chiave di lettura sui Campi Flegrei. La vendemmia in Campania è piuttosto in ritardo, per cui anche dalle nostre parti soffriamo di questa problematica legata al fatto che la stagione invernale si è protratta sino alla prima settimana dello scorso giugno, con un’altalena meteorologica che ha rallentato moltissimo la maturazione. Le uve per contro si presentano tutte sanissime, abbiamo in effetti registrato solo pochi problemi fitosanitari; Le rese  per ettaro relative alla falanghina sono più alte rispetto allo scorso anno di circa un 7-8 %, ma comunque nella media dell’ultimo triennio. Per quanto concerne il piedirosso, le rese sono certamente più basse rispetto alla media degli ultimi due anni poichè le piante nella fase di pre-allegagione sono state esposte ad un periodo di forti piogge e vento, durato un paio di settimane, che ha influenzato sensibilmente la fioritura; Per cui ha allegato meno, in particolare nelle aree più alte (c.a. 230-250 mt slm), e comunque, per il momento le uve presentano buone acidità e una discreta concentrazione con un rapporto polpa/buccia decisamente a favore della buccia: se le prossime settimane saranno, come mi auguro, ricche di sole si può prevedere una qualità dei nostri mosti ottima-eccellente. In più c’è da considerare un aumento in ricchezza aromatica, considerando le buone escursioni termiche che si stanno registrando, spesso superiore agli 8-9°c.   

Così Antonio Pesce, enologo consulente per diverse aziende campane tra le quali Casa Setaro sul Vesuvio, Quarium in Irpinia e Contrada Salandra nei Campi Flegrei.  Bene, in generale la vendemmia, come già ampiamente trattato sarà certamente posticipata, la situazione è più o meno come qualche anno fa, quando si vendemmiava a fine settembre, o meglio ancora ad ottobre inoltrato. Tutto ciò è dovuto al freddo, alle forti piogge e al ritardo della ripresa vegetativa della pianta; Le vigne nelle quali si è lavorato bene, sia dal punto di vista sanitario che produttivo, sicuramente risponderanno alla grande; Le uve che ho analizzato fino a stamattina (20 settembre, ndr) rispondono alla perfezione per il rapporto fra zuccheri, pH ed acidità. In conclusione credo che i vini bianchi beneficeranno di una particolare ricchezza aromatica, i rossi inevitabilmente con una struttura importante. Molto probabilmente le “mie” vendemmie cominceranno nei Campi Flegrei il 27 settembre, prima con la falanghina e poi, qualche settimana dopo, con il piedirosso; Sul Vesuvio, dove tutto procede nel migliore dei modi, credo di arrivare sino alla prima settimana di ottobre, in Irpinia se ne parla sicuramente dopo il 10 ottobre, dapprima con il Greco, poi il Fiano e solo dopo il 4-5 di novembre con l’aglianico di Taurasi.

A Vincenzo Mercurio, tra i più attivi winemaker campani e grande interprete della vitienologia regionale, abbiamo chiesto invece di relazionarci – visto il suo gran da fare in Campania sulla tipologia – su uno dei trend in maggiore crescita negli ultimi anni: lo spumante da vitigno autoctono.

Si parte con il Giacarando, lo spumante rosè da uve aglianico di Cantine San Paolo di Atripalda: abbiamo vendemmiato il 20 settembre, uve sanissime, dalle prime rilevazioni abbiamo una gradazione alcolica più bassa rispetto allo scorso anno, siamo sugli 8 gradi. La falanghina dei Campi Flegrei per il Malazè, lo spumante di Cantine Babbo di Pozzuoli, l’abbiamo vendemmiata, vincendo la superstizione, lo scorso venerdì 17 settembre: abbiamo in cantina un’ottima materia prima, con un’acidità record pari a 8, 5 di pH. Il colore dei mosti è particolarmente brillante e fa presagire, tra l’altro, ad una buona longevità. A Torrecuso invece, nelle vigne di Paolo Cotroneo a Fattoria  la Rivolta, il Greco sarà raccolto tra qualche giorno, contiamo di iniziare il 27 settembre, l’acidità è più elevata dello scorso anno, le uve sono anche qui sanissime e ci aspettiamo, grazie alle forti escursioni termiche degli ultimi giorni, una maggiore concentrazione di note aromatiche rispetto all’anno scorso.

In Irpinia, da I Favati, il Cabrì spumante da uve fiano di avellino si vendemmia questo fine settimana. Le uve sono molto ricche e proprio per questo abbiammo deciso di dare vita anche ad un secondo vino spumante, questa volta un extra dry “etichetta bianca” con uno stile decisamente diverso dal primo. In ultima analisi, oltre che affermare con certezza che siamo di fronte ad un’ottima annata per gli spumanti, rimaniamo un po preoccupati per i rossi: abbiamo ancora una buccia sottile, con i rischi annessi e siamo forse troppo in ritardo in quanto a maturazione, perciò decisamente attaccati alla speranza a che le condizioni climatiche delle prossime settimane riescano a fare la differenza. Per i vini bianchi invece è decisamente una bella annata, ho avuto modo di registrare dati analitici di acidità record e spiccate mineralità, il che ci fa ben sperare anche in virtù di un mercato bianchista che si sta dimostrando sempre più avvezzo a tendenze stravaganti e più vicino ad interpretazioni autentiche, territoriali, che fanno finalmente preferire vini freschi e minerali a vini surmaturi e burrosi!

Qui le impressioni dei vignerons Antonio Papa e Tony Rossetti che ci presentano il millesimo nella terra dell’Ager Falernus.

Qui il polso della provincia di Caserta, Gennaro Reale su le Terre del Volturno e Roccamonfina.

Qui la vendemmia 2010 nei Campi Flegrei illustrata da Gerardo Vernazzaro.

Qui la vendemmia 2010 in Cilento, Irpinia e provincia di Benevento analizzata da Fortunato Sebastiano e Massimo Di Renzo.


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