Posts Tagged ‘angelo di costanzo’

Ho deciso, voglio fare il Sommelier

7 ottobre 2013

Eccomi qua, pronto. Sai, sabato sera, in Veranda, ne abbiamo messi 118 di coperti. Io e Luca, noi due soli. Dalle 20.00 senza manco un respiro, con l’ultimo tavolo, quello degli ‘Angels of Love’ che se n’è andato all’una e mezza. Ma giusto perché dovevano andare a suonare in discoteca. E’ tanto, caspita.

Ti dico: la cantina è quasi pronta, stanno definendo gli ultimi accorgimenti e con Michele abbiamo buttato giù una mezza idea di come organizzarla, ma la roba è tantissima; anche se riuscissimo a mettercela tutta dentro adesso, di qui a qualche mese bisognerebbe scavare ancora. E la frequenza con cui arriva vino non ci aiuta, anzi, è sempre più difficle da gestire. Anzitutto dove lo metto? Poi impellicolare tutte le bottiglie ‘più buone’, catalogarle, farci le etichette; con i ritmi di lavoro che abbiamo è da pazzi. In effetti sono anche un po’ stanco.

Però è una gran soddisfazione. Tutte le sere guardare le sale con tutti i tavoli ognuno con un vino diverso è davvero un piacere. Sto cercando di coinvolgere un po’ tutti con la mia fissa per il vino. Certo il linguaggio per alcuni è incomprensibile ma di meglio al momento non mi riesce. Io stesso devo ancora decifrare per bene tutti quei paroloni che ascolto al corso Ais. A dir la verità mi sembra che nemmeno tra loro (i sommelier dico) a volte si comprendono. Uno dice una cosa, l’altro, appena questi va via, un’altra. E a volte all’opposto di quanto detto prima. Boh…

P.S.: il Gambero Rosso ha cominciato a pubblicarmi le recensioni che gli mando. E’ una bella soddisfazione leggere il mio nome su una rivista così importante. Ho deciso, sai, da grande voglio fare il sommelier!

Sulla cresta dell’onda

6 ottobre 2013

Caro diario, da quanto tempo eh? Sono settimane che provo a mettere giù due righe per raccontarti come va… ma niente da fare. Siamo presissimi, sono finito in un vortice. Il lavoro a La Fattoria del Campiglione va a gonfie vele, anzi, forse pure troppo; credo che un exploit del genere non se l’aspettassero nemmeno loro. Ma forse mi sbaglio.

Il ritmo è incessante, a pranzo siamo ormai fortissimi, a cena praticamente presi d’assalto tutte le sere. E’ una gran soddisfazione. Tra qualche giorno entreranno in staff anche alcuni amici di vecchia data; avevano bisogno di lavoro e noi di gente motivata. Sta nascendo un bel gruppo.

Michele e Nicola stanno pensando di mettere in lista un po’ di ‘vini pregiati’ oltre a quello della casa. Certo bisogna stare attenti per non spostare certi equilibri che sembrano funzionare alla grande ma ogni giorno che passa qui arriva gente sempre nuova ed esigente che, soprattutto a cena, ci chiede bottiglie un poco meglio di quello che serviamo. Ieri mattina abbiamo ritirato i primi centoventi calici da ‘degustazione’.

Frattanto ho cominciato a leggere qualcosa sul vino, non immaginavo ci fosse tutto un mondo dietro una bottiglia. Sto comprando una rivista mensile che mi hanno segnalato alcuni clienti, il Gambero Rosso: è interessante, molto.

P.S.: finalmente mi sono fatto la macchina! Ho comprato quella di mia cognata, la Seat Marbella intendo, finalmente ne avrò una tutta mia. Con Lilly stiamo programmando una minivacanza in Calabria, un paio di giorni, giusto per staccare la spina, raggiungiamo mia sorella che è in vacanza a Torre Melissa, sulla costa Jonica; partiamo domenica appena dopo il lavoro. In tv dànno la finale del Mondiale, ma che me la guardo a fare: finisce 3-0 per il Brasile, e in culo ai francesi!

Anni ruggenti all’orizzonte

5 ottobre 2013

Pozzuoli, Febbraio ’96. Caro diario, ho trovato finalmente un buon lavoro (credo). Da qualche giorno non mi facevo vedere da queste parti ma ho una buona ragione da darti, mancanza cronica di tempo.

E’ un ristorante aperto da poco, se ho ben capito l’hanno inaugurato lo scorso giugno, è dalle parti di via Campana e fa solo carni, comunque una cucina molto tradizionale. In staff hanno tutti più o meno la mia stessa età e credo un po’ tutti manchiamo di una certa esperienza, però c’è una buona intesa. Ieri per la prima volta ho messo sul braccio sino a 5 piatti, adesso, contando gli altri due che tiro su con l’altra mano, riesco ad uscire tutto l’antipasto della casa in un solo viaggio.

P.S.: non vedo Lilly praticamente da una settimana, sabato sera finito qui il lavoro sono andato di corsa a prenderla al lavoro al ristorante; era lì dalle 8.00 del mattino, lo trovo assurdo, era distrutta ma dice che va bene così. Martedì sono di riposo, il ristorante è chiuso e domani sera prendo la mia prima paga settimanale. Le ho promesso che ce ne scappiamo via da qualche parte tutto il giorno…

Cameriere di ventura (ah quel rigore a USA ’94!)

3 ottobre 2013

Finalmente è scoppiato l’amore caro mio diario, pareva imprendibile ed invece era lì, dietro l’angolo. E’ l’estate del ’94, col mondiale mancato d’un soffio da Baggio&co. ed un diploma più o meno sudato in tasca; diciannove anni e nessuna voglia di perdere tempo.

Da qualche mese ho cominciato a fare Catering, i servizi non sono tantissimi ma mi aiutano a sbarcare il lunario ed avere in tasca quattro spiccioli. Mi do da fare per trovare qualcosa di ‘fisso’ ma sembra che nessuno li cerchi camerieri ‘fissi’. Alcuni amici mi hanno detto che per fare il cameriere devi avere il posto fisso, meglio se al comune. ‘Se lo fai come secondo lavoro è meglio, ti prendono subito’, dicono. Ma come? mi domando, che significa come secondo lavoro? E uno che non c’ha nemmeno il primo? Mah, non capisco, proprio non ci arrivo.

La settimana scorsa sono stato invece a fare un extra là sulla Domiziana: mi ci ha portato un’amico, credimi, esperienza allucinante, non ti dico guarda. Tre ore a scaricare un camion di vino¤ e poi a spalmare tartine e tagliare ananas. Infine mi hanno mandato in una sala con tre comunioni, una volta là il maître, un tizio basso, paffuto con grossi baffoni neri ci ha fatto capire subito che aria tirasse: ‘astipatevi* le posate ci ripeteva, almeno fino al secondo, astipatevele come volete – sotto la giacca bianca teneva forchette e coltelli infilati nella fascia che gli conteneva la grossa pancia -, va buono pure accussì ma non ve le fate fregare se no sono guai’. Ho iniziato alle 8.30, senza tregua sino alle 2.00 di notte. Volevo morire, ti giuro che più di una volta durante il servizio ho pensato ‘mo prendo e me ne vado…’.

Martedì prossimo ho appuntamento con Gigi, dice che a Via Napoli c’è una trattoria che cerca un cameriere, fisso, però non è chiaro per quanto tempo. C’ho messo il pensiero, sai, voglio chiedere a Lilly di mettersi con me, e lo voglio fare con un anello…

*Astipare: conservare, mettere da parte.

La prima volta al ristorante (certo non è che l’abbia sognata proprio così, ma tant’è…)

1 ottobre 2013

Luglio 1990, i primi passi. Caro diario, così questo fine settimana è andato via. Sono distrutto. Non pensavo fosse così dura fare il lavapiatti. Che poi ieri quel matrimonio non finiva più, alle due di notte ‘pasta e fagioli con le cozze’: questi sono matti!

A fine serata sono salito in sala, i ragazzi stavano sistemando i tavoli per la comunione di domani, gli ho portato i bicchieri da passare. Non so, ho avuto una strana sensazione. E poi – cavolo! mi sono detto – tra loro ho riconosciuto Alfonsino, gioca i tornei di calcetto nel Rione, lo chiamano El Buitre, è fortissimo!

Ludovico, il capo chef, è una brava persona, almeno così mi sembra; ieri mattina, mentre pulivo le cozze mi ha avvicinato chiamandomi Pino Daniele (dice che gli rassomiglio, boh…) attaccando bottone con me. Ha saputo da uno dei proprietari che papà fa il pescatore, dice di conoscerlo e con lui i miei tre fratelli. Mi ha detto che sono ancora in tempo a lasciar perdere, che questo è un mestiere duro e pieno di sacrifici. Gli ho risposto che per quello che vedo fare a mio padre, Nicola, Vincenzo e Nunzio non c’è da preoccuparsi, loro sì che si fanno il mazzo.

Mamma però ieri s’è rammaricata parecchio, mi ha visto le mani tutte piene di piaghe e mi ha intimato di non tornare al lavoro. Gli ho spiegato che mi si erano rotti i guanti e che la lavastoviglie non funzionava (non ci sono soldi al momento, hanno detto). Tutto però tornerà a posto settimana prossima. E poi vuoi mettere che finalmente non dovrò più chiedergli soldi? Anzi domani gli passo 20.000 lire da quello che ho guadagnato. No, indietro non si torna, non si torna no.

Segnali dal futuro

13 settembre 2013

Segnali dal Futuro - foto l'Arcante

Intervallo| Tempo di vendemmia

11 settembre 2013

La Vendemmia ad Anacapri - foto Alessandro Manna

Time Out!

6 settembre 2013

Non pensavo potesse accadere, almeno non a me. Sia chiaro, nemmeno un pelino in meno di amore, passione, curiosità, voglia di raccontare. Affiora però un timido accenno di stanchezza fisica (tanta) e mentale (pure) che unita a tanto così di rabbia fa sì che sia il caso di darsi una regolata e prendersi un periodo di riflessione. Quanto lungo non so…

Sagacious Palate| Head Sommelier

5 agosto 2013

Il regalo più bello che ti possa fare un cliente è il suo sorriso e la sua viva soddisfazione. Poi se ci scrive su pure qualcosa di così gratificante fa indubbiamente piacere condividerlo…

Sagacious Palate Terrance Mason - foto Terrance Mason

‘First and foremost I wish to thank Angelo for taking time out to show us “La Dolce Vite”, the wine cellar of Capri Palace and for spending time educating us on the wines of Campania, as well as his journey in the wine industry.’

‘I must admit my being in the wine industry has afforded many opportunities to meet wine personalities and visit cellars in an intimate and personalized manner but, the time spent with Angelo was truly one that stands out and will be remembered for a very long time.’ Terrance Mason, blogger.

Se vi va, qui¤ su Sagacious Palate, il suo blog, l’articolo completo con un bel corollario di foto della Dolce Vite del Capri Palace Hotel&Spa.

© L’Arcante – riproduzione riservata

Con queste facce qui!

26 luglio 2013

Siamo noi, siamo questi, con queste facce qui. Chi fa cosa in sala al Capri Palace Hotel. Con calma, non appena possibile, tocca poi ai commis e agli chef de rang. Nell’ordine si va da destra a sinistra…

Lo Staff 2013 al Capri Palace Hotel

Giovanna Ragone, Cava de’ Tirreni, classe ’85. E’ arrivata al Palace nel 2005 come commis de rang. Oggi con Enrico ed Angelo supporta Luca nella direzione del Ristorante. ‘Supporta’ si può leggere sia in italiano che in dialetto napoletano. Beve responsabilmente.

Fabio Raucci con i suoi quasi 37 anni suonati è il veterano, ha vissuto praticamente tutta l’evoluzione del Ristorante L’Olivo e le vicende dell’Albergo sin dal 2001. Ha cominciato come chef de rang, oggi è F&B Manager. Più birra che vino.

Io¤ sono arrivato al Capri Palace nel maggio del 2009 dopo una lunga esperienza per conto mio a Pozzuoli. Qui metto a posto carte, sistemo cartoni, stappo bottiglie (soprattutto). Ogni tanto sciabolo.

Enrico Moschella è di Taormina, classe ’81; è arrivato qui nel 2009, praticamente abbiamo cominciato assieme questa avventura. E’ entrato come chef de rang, dall’anno scorso è Assistant Restaurant Manager. Beve con piacere – dice – a piccoli sorsi.

Angelo Cobucci è di Alfano, una ridente località in provincia di Salerno. E’ stato da queste parti già nel 2005 come chef de rang, poi dopo un po’ di montagne ci è tornato. Anche lui tiene la ‘giacca’. Beve solo roba buona.

Luca De Coro è di Marano di Napoli, ha trent’anni ed è qui dal 2005 quando arrivò come commis de rang. Nel 2010 è stato nominato dalla Leading Hotels of the World¤ – di cui l’albergo fa parte – Employee of the year. E’ il Restaurant Manager de L’Olivo. Ha una gran passione per le bollicine!

© 2013 Capri Palace Hotel&Spa¤ Staff

Professione Sommelier|Il servizio? Quello che i libri non dicono: è appena il 30% del tuo lavoro!

14 luglio 2013

Lo ripeto spesso ai miei più stretti collaboratori. E’ un insegnamento prezioso che mi tengo molto caro: se hai fatto tutto quanto necessario per metterti in linea con le ‘duties’, che tu lavori in un ristorante tradizionale o in un posto gurmé tutto ti viene più facile.

L'OLivo, Cantina del Giorno

Dico: se la carta dei vini è in ordine, con le bollicine, i bianchi e i vini dolci tutti a disposizione in frigo, la cantina del giorno a posto, i bicchieri in mis en place perfettamente puliti e tutto quanto necessario per il servizio pronto per l’uso, non hai da temere impasse.

Certo, c’è l’imprevisto. Una richiesta particolare, un momento durante il servizio che diviene concitato, magari perché un vecchio sughero ti si spezza o una bottiglia che apri non ti convince del tutto. Cosa fai? Niente panico, con la calma si risolve tutto. L’errore ci sta, quando si sta in sala capita di commetterne, ma è come lo si gestisce che fa la differenza. Per dirla con un vecchio adagio pubblicitario ‘la sicurezza è nulla senza il controllo’.

Fare il sommelier significa lavorare duramente da mediano. Quelle due/tre ore in sala non sono altro che l’atto conclusivo di tutto un giorno di lavoro. Quanto si fa in sala, il servizio in senso stretto dico, è appena il 30% del lavoro. Poi vabbé, c’è chi preferisce pensare ad altro, ai lustrini, a sgomitare, sculettare e dipingere iperboli per farsi bello e bravo. Ci sta, a qualcuno piace più stare sul palco che nella realtà…

I racconti del vino|Le lettere che non ho spedito

11 luglio 2013

Fine anni ’90, primi del 2000, anni di gran fermento. Qualcosa nel mio lavoro stava cambiando repentinamente. Poco più che ventenne avevo tra le mani una delle cantine¤ più fornite allora in circolazione dalle mie parti. E la fortuna di vederla girare a mille.

Recensioni mai spedite per il Gambero Rosso - foto A. Di Costanzo

Con Michele e Nicola de La Fattoria del Campiglione¤ a Pozzuoli l’abbiamo scavata con le mani nude quella cantina; stagioni incredibili, dure, di gran sacrificio eppure indimenticabili e di grandi soddisfazioni. Qualcosa stava cambiando nel mio modo di vedere la sala e la gestione della cantina. Uscivano belle bottiglie, ‘importanti’ si dice, che meritavano maggiore attenzione e conoscenza. Era urgente, se non indispensabile, affiancare alle letture e alle bevute propedeutiche una formazione solida e prospettica. Visitare cantine, frequentare altre realtà, tavole da prendere ad esempio sembrava non bastare più. Volevo fare il sommelier.

Veniva Ferragosto, le ferie sino a settembre. L’aspettavano tutti per andarsene in Sardegna o in Spagna – ad Ibiza per dirne una -; io e Lilly partivamo per Guardiagrele per andare a mangiare ‘Pallotte case e ove’ da Peppino Tinari a Villa Maiella e fare una capatina alla scoperta di una nuova cantina, ci dicevano di un certo Gianni Masciarelli. Poi magari più su a conoscere l’estro di Moreno Cedroni a Senigallia. Da lì da Umani Ronchi, poi Lungarotti, Ercole Velenosi, ma anche Tenuta di Nozzole, Castello di Verrazzano, Ruffino, Badia a Passignano, Castello della Sala e bla bla bla… con gli occhi spalancati sempre grandi così!

Ci siamo andati pure noi in Sardegna, mica eravamo così scemi, ma una capatina da Sella&Mosca piuttosto che a bere torbato alla Cantina Cooperativa di Santa Maria La Palma o un Nepente ad Oliena era d’obbligo. Insomma: niente vacanze senza vino e cibo, senza appunti di viaggio. Così siamo ‘cresciuti’.

Poi c’era il Gambero Rosso¤. Quel Gambero Rosso. Era un riferimento assoluto. Sembra un’eternità tanto è cambiata l’epoca così repentinamente. Leggevo Cernilli¤, Sabellico, le scorribande catalane di Bolasco, le ‘sue’ birre, poi il Bastian Contrario Luciano Di Lello. Puntuale, ogni mese, ero lì in edicola. Non me ne perdevo una di uscita. E buttavo giù i miei appunti, le mie prime sensazioni delle cose che bevevo, di certe etichette, scoprendo termini e intuizioni a me nuovi, cercandone di capire il senso in quei bicchieri.

Così, la sera, delle decine di bottiglie ‘buone’ conservavo quelle due dita da assaggiarmi con calma a fine servizio. Mi prendevano per matto: a fine serata invece di andarmene a casa me ne stavo lì, nell’office, a farmi le ‘pippe mentali’. Taurasi ‘88 Mastroberardino la prima volta che provai un sussulto. Montevetrano ’97 il primo grande rosso capace a convincermi che sì, si poteva fare.

Provai a mandare qualche mia recensione alla rubrica ‘Scelti da Voi’: Spett.le Gambero Rosso – via A. Bargoni 8, 00153 Roma. E chi se lo scorda! Cernilli introduceva le recensioni sempre con un suo breve ‘cappello’, a Rosanna Ferraro toccava metterne qualcuna in fila per la pubblicazione. Un mese, poi due, quasi volevo rinunciare. Poi uscì la prima, la seconda, ricordo che una volta (o due mi pare) me ne pubblicarono addirittura più d’una: immaginatevi me, dieci, dodici anni fa, che buttavo giù quattro righe poi pubblicate sul Gambero Rosso…

Ecco, l’altro giorno giocando agli esploratori con Letizia, tra le vecchie cartine geografiche che usavamo per andarcene in giro ho ritrovato alcune vecchie recensioni che non ho mai spedito; credo perché preso ormai da altro, soprattutto dal lavoro una volta aperta l’enoteca, siamo nel 2002, che per almeno 5/6 anni non mi ha fatto più pensare ad altro che portare avanti la baracca.

Poco dopo, nel 2006, l’avvento del web, Luciano Pignataro ed il suo Wineblog¤. Altro tempo, altra esperienza, altra crescita. E non si finisce mai di imparare.

P.S.: scrive Rosanna Ferraro: ‘Quante ne ho lette di tue lettere! Eri diventato un “amico” anche se sconosciuto in un’epoca e con modi di comunicare che adesso sembrano jurassici. All’inizio ti credevo un po’ fuori di testa e pensavo che ti saresti stufato presto e invece… puntuali come cambiali ne arrivavano sempre. Sei stato fedele e costante oltre ogni immaginazione. E ogni volta ti miglioravi. Parola. Non so più quante tue recensioni ho pubblicato, ma tante. Una sorta di precursore degli attuali blogger, quando di “serial writer” (in positivo, ovviamente) ce n’erano pochi e niente!’

Intervallo| Vorrei bere per cent’anni

6 giugno 2013

Copertina Libro

Intervallo| Acqua alta a Capri

24 Maggio 2013

Acqua Alta in cantina

Un tremendo temporale la scorsa notte del 22 Maggio ha provocato l’allagamento di una parte de La Dolce Vite del Capri Palace. Niente di particolarmente grave, la situazione è già rientrata, è tutto sotto controllo e la cantina è più fresca e pulita che mai…

Cuvée Louise Pommery, le mie impressioni…

20 Maggio 2013

Quando mi hanno dato la parola era troppo tardi, quel microfono stava lì tra le mie mani, alla fine non se ne sono pentiti; sino a qualche minuto prima, ascoltando Enrico Bernardo ero ancora convinto che qualcuno di lì a poco se ne uscisse con una frase del tipo ‘Oh, sei su scherzi a parte!’¤.

Venezia, a due passi (d'acqua) da San Marco - foto A. Di Costanzo

Detto questo, più che lanciarmi in una lunga disquisizione tecnica-degustativa dei vari millesimi provati assieme a Maestri degustatori quali Giuseppe Vaccarini, Fabrizio Sartorato ed Ivano Boso – oltre al già citato Bernardo – durante la splendida serata lì al Danieli, val più ribadire quanto, a mio parere, Thierry Gasco¤ sia riuscito negli anni con grande tenacia a tenere ben dritta la bussola nonostante il vortice internazionale lentamente ha risucchiato molte Maisons de Champagne spedendone tante direttamente nell’oblio dell’omologazione assoluta.

Un lavoro straordinario quello di Thierry, mai urlato. Uno stile inconfondibile quello delle Cuvée Louise di Pommery¤, al passo coi tempi, precise, mai sopra le righe, luminose, fragranti, freschissime, contrassegnate da una eleganza sottile e da grande personalità, unite per di più ad una bevibilità fruibilissima¤.

Pommery, copertina

Cuvée Louise 2002 Giuseppe Vaccarini all’overture in anteprima assoluta ne ha dipinto un profilo di grande suggestione, cui va aggiunto ben poco se non sottolinearne la grandeur di un millesimo di grande richiamo per la Champagne ed un tratto gustativo di enorme nerbo, ancora lontano dal rivelarsi pienamente nel bicchiere.

Cuvée Louise 2000 Ne ha viste tante passare tra le sue mani Ivano Boso, head sommelier di lungo corso a casa Pinchiorri¤. Io ne ho trovato un profilo organolettico di giustezza, variegato ma centrato essenzialmente su note agrumate, anche candite, e minerali. Di buonissima trama il sorso che chiude setoso e rinfrancante.

Cuvée Louise 1999¤ Personalmente, appena una spanna sopra il ’90, il migliore della batteria, in perfetto stato grazia nella sua vivacità olfattiva intrisa di rimandi fruttati e tostati ed un sorso di gran nerbo, slanciato, lungo, efficace. Una di quelle cuvée capaci di accompagnare tutto un pasto senza perdere un colpo. L’ha raccontato Fabrizio Sartorato, head sommelier del Ristorante ‘da Vittorio’ in Brusaporto.

Cuvée Louise 1990 Chi volesse può dare una occhiata su facebook sul profilo de L’Arcante¤ dove ho postato il video¤ della magistrale degustazione di Enrico Bernardo, veramente da manuale! Mi va di aggiungere solo che bere uno Champagne di 23 anni e trovarlo così in splendida forma è una di quelle esperienze che rimette tante cose a posto quando a qualcuno, per misconoscenza o supponenza, vien qualche dubbio sul perché proprio là, tra la Montaigne de Reims e la Cote des Blancs nascano vini di così straordinaria qualità.

Cuvée Louise Rosé 2000 - foto A. Di Costanzo

Cuvée Louise Rosé 2000 Il mio vino. Senza tirarla per le lunghe lascio traccia di ciò che è stato il mio intervento. L’approccio a questa cuvée è facile, a patto che si sappia bene cosa si tiene tra le mani. E’ la sintesi tra il vecchio e il nuovo, è storia, centinaia di anni di storia di Champagne che rivivono con tutta normalità il nostro tempo. Un terroir unico, irripetibile, diciamocelo pure, una cultura di indiscutibile vocazione ereditata con rispetto e con altrettanto rispetto consegnata costantemente al futuro. Valori ancestrali preziosissimi questi, riproposti con questa cuvée con una chiave di lettura modernissima: un colore scarno, quasi salmone, un effluvio di sentori e rimandi floreali e fruttati, di pesca e di piccoli frutti di bosco, un sottinteso minerale, un sorso vivace, lungo e gradevolissimo.

Uno stile quasi sussurrato, che vive del grande rispetto per lo straordinario chardonnay di Avize e Cramant e di grande riverenza verso i migliori pinot noir di Aÿ e Bouzy. Il vecchio e il nuovo, che però camminano a braccetto, in assoluta armonia, pensando ad una cucina sempre più spogliata di grassume e quegli ingredienti troppo invadenti. Puro piacere, ‘parfait!’ verrebbe da dire!

Qui¤ in contemporanea anche sul blog di Luciano Pignataro.

Intervallo. Torno subito…

14 aprile 2013

Buona Pasqua!

31 marzo 2013

Lilly Avallone, Angelo Di Costanzo - foto Letizia Di Costanzo

Aglianico del Taburno Ris. Terra di Rivolta 2008

7 marzo 2013

Aglianico del Taburno Riserva Terra di Rivolta 2008 Fattoria La Rivolta. Al netto del nome piuttosto lungo, anche solo da ricordare, non si può dire certo che del Taburno e dei meravigliosi vini che ne vengono fuori se ne parli abbastanza, o almeno quanto ne meriterebbero un così straordinario terroir e certe bottiglie come questa.

Fattoria La Rivolta, autunno 2007 - foto A. Di Costanzo

Se l’Irpinia è la culla del principe dei rossi italiani, quel Taurasi che si va celebrando tra l’altro questo fine settimana a Serino¤ e l’Ager Falernus¤ conserva la memoria storica millenaria in regione, l’areale di Torrecuso, tra i più ‘giovani’ a vedere la ribalta, volge, seppur lentamente, a conquistarsi quello spazio nella storia vitivinicola campana in perenne sospensione tra il vecchio e il nuovo.

Paolo Cotroneo¤ nel ‘97 ci ha investito l’anima in questo progetto, con tutto se stesso. Ed in molti, tra appassionati di vario genere e critici autorevoli ne hanno colto sin da subito tutto lo spirito e gli orizzonti possibili. Ad oggi siamo più o meno a 30 ettari di proprietà tutti a conduzione biologica, con una mano importante agli esordi da uno dei più autorevoli enologi italiani, Angelo Pizzi, e la benedizione proseguita con l’avvento in cantina, recentemente, di Vincenzo Mercurio. Qualche anno dopo, a farla conoscere al grande pubblico al debutto fu l’affermazione commerciale di una sorprendente versione di coda di volpe mai saggiata prima, di grande estrazione, dall’espressività fortemente mediterranea, ricca di polpa, calda e vigorosa: fu un successo memorabile!

Eccetto il ‘Sogno di Rivolta’ che fa storia a se (per l’assemblaggio, il legno) vi si fanno vini bianchi estremamente franchi e quasi mai sopra le righe, con le varie masse criomacerate prima di passare in acciaio e poi messi in bottiglia a conservarne freschezza e tipicità; sui rossi il lavoro è un po’ più articolato ma sono generalmente di carnosa personalità gli aglianico, sottile e piuttosto affabulatore il piedirosso.

Aglianico del Taburno Riserva Terra di Rivolta 2008 Fattoria La Rivolta - foto A. Di Costanzo

E’ un’indomabile Paolo, come la sua terra in contrada Rivolta. Tolto il virtuosismo di spumantizzare il greco di quelle parti è l’aglianico, senza ombra di dubbio il suo fiore all’occhiello, dove viene fuori probabilmente il ‘capolavoro’ a Fattoria La Rivolta¤; e il Terra di Rivolta Riserva ’08 ne è piena testimonianza; un vino risultato di dieci anni di paziente attesa spesi a comprendere palmo a palmo quelle vigne e riconoscerne ogni minimo sussulto in cantina, dallo scarto degli acini scalognati ai giusti tempi e procedure delle fermentazioni e macerazioni, l’affinamento, l’imbottigliamento addirittura.

Un lento progredire che porta oggi nel bicchiere un rosso, dopo quattro anni, che di tutti questi passaggi rivela essenzialmente il solo frutto, lasciando carezzare l’idea della pienezza assoluta senza compromessi ed intermediazioni artificiali. Crudo, nudo, puro. Il naso sa di violetta, prugna e marasca, è balsamico e speziato, profuma di tabacco e caffè tostato. Il sorso è di spessore, intenso, largo, lunghissimo. Una velatura ancora di balsamico ne richiama l’impronta assai territoriale, una sferzata tannica, importante ma affatto invadente, ne sottolinea stoffa e carattere da vendere. Adesso come tra dieci anni, almeno. Un gran bel bere.

Ci tenevamo a dire che abbiamo intenzioni serie

5 marzo 2013

Lo scorso Dicembre, con questo post¤ anticipammo tra il serio e il faceto alcune novità in arrivo per il blog; tra le prime, un poco più di attenzione alle immagini, ormai quasi tutte originali soprattutto per quanto riguarda il lavoro di Lilly¤ in cucina e, per rendere ancora più scorrevole la lettura dei post questo simbolo – ¤ segnalato in grassetto subito dopo una parola che altro non è che l’invito ad aprire un link correlato all’articolo che si legge.

GRaffette-tile

Altra novità è il nuovo dominio, sempre su piattaforma ‘wordpress’ ma autonomo (e più snello): http://www.larcante.com; abbiamo, come spero sia sempre più chiaro, intenzioni molto serie, di trattare a dovere gli argomenti che più ci piacciono, quelli legati al cibo e al vino che ci capitano a tiro; intenzioni tra l’altro supportate da un numero sempre maggiore di appassionati lettori. Che dire: un piccolo passo per L’Arcante, un grande passo per questa comunità.

E’ importante sottolineare che il dominio di questi primi tre anni e mezzo, http://www.larcante.wordpress.com, rimarrà comunque attivo ed automaticamente reindirizzerà chi ci cerca a questo nuovo. Sta per cominciare una nuova bella stagione e, come anticipato¤, il 2013 sarà ancor più una splendida annata!

I racconti del vino| Catene

19 gennaio 2013

La mia prima volta fu un sabato di luglio, mi ci portò un amico incontrato quasi per caso qualche sera prima in piazza ad Arco Felice; sorseggiavo birra dalla mia lattina quando, alzando lo sguardo, lo scovai tra decine di facce avvolte in una nuvola di fumo poco dietro le scale della chiesa. Qualche minuto più tardi mi venne vicino, facemmo quattro chiacchiere, non ci vedevamo da tempo, gli dissi che avevo da poco lasciato il lavoro in Pizzeria. 

Non per altro, ma in tre mesi m’avevano messo sempre a portare le pizze mentre io volevo cominciare a stare sui tavoli, in mezzo alla gente, imparare a fare il mestiere, il cameriere; fare il porta pizze era divertente, tra l’altro nemmeno così faticoso contando il fatto che non mi toccavano compiti di sbarazzo o pulizie generali, ma ormai mi stava stretto, puntavo ad altro. 

Faceva un caldo della madonna quel giorno e sin dal mattino presto s’intuì subito che non sarebbe stata una giornata come le altre; una cappa di umidità sembrava essersi calata su quel lembo di terra, lungo la statale Domiziana, e prometteva di rimanerci a lungo. Non un alito di vento, nemmeno un sospiro dalla vicina costa. Un afa terribile, asfissiante, appiccicaticcia. 

Nemmeno il tempo di posare le borse in uno stanzino che ci chiamarono in tre o quattro per dare una mano ai facchini nel sistemare del vino appena arrivato; con Simone, il mio amico, altri due che ancora non conoscevo più un paio di sguatteri percorremmo un lungo corridoio che sembrava attraversare di netto tutto il complesso. Dietro a una porta un po’ arrugginita, che dava sul retro, l’amara sorpresa: c’era un autotreno cui stavano sciogliendo le briglie dei tendoni e sopra, stipati alla meglio, circa un paio di dozzine di pedane di Castellblanch¤. Guardai gli altri, sorrisi, cercando con gli occhi il rumore di un muletto, ma niente: “Dai guagliù, una mano ciascuno e ci passa la paura” sentii arrivare da qualche parte. Una mazzata esagerata! 

Terminammo di scaricare i cartoni alle 11 e mezza circa, dopo più di due ore di fatiche a tamburo battente. Ne ho fatto di sudate nella vita, ma quella rimane a pieno titolo tra le più incredibili. E guardandomi allo specchio, poco dopo, contavo dalla mia pure una discreta abbronzatura. 

Messa su la divisa, sbrigato un pranzo veloce durante il quale conobbi, oltre i miei compagni di sventura anche un po’ di altre persone del posto, a mezzogiorno e mezza avrei conosciuto la mia destinazione; mi affidarono alla brigata di don Pasquale, alla cerimonia per il battesimo Janniciello, 110 coperti nella “sala Palme”. Qui tenemmo il nostro briefing di pre-servizio. 

Don Pasquale era un tipo tranquillo, me ne aveva già parlato Simone che me lo dipingeva come una persona per bene, un padre di famiglia, che lavorava al comune e collaborava con la proprietà da quasi dieci anni; era, da quanto avessi capito, tra quelle persone che godevano di maggiore rispetto e fiducia nell’ambiente. “Guagliò, tu ti fai 12, 13, 14, 15, 16 e dai una mano a lei all’11; m’arraccumanno, non pensare solo ai fatti tuoi, qua più ci aiutiamo e prima finiamo. Chiaro?”. Furono le uniche parole che mi disse quel giorno, che in effetti mi rimbombarono in mente per tutto il servizio: tenevo 5 tavoli, che si rivelarono quasi 40 coperti, in più lontanissimo dalla cucina e pretendeva che dessi una mano pure alla ragazza con il tavolo dei bambini. Altro che tipo tranquillo, mi dissi. 

Il nostro servizio per fortuna andò avanti abbastanza spedito; in effetti, tenendo conto che iniziammo poco dopo le due del pomeriggio e che la nostra passava in cucina come l’ultima uscita rispetto alle altre 4 cerimonie di quel giorno, tra cui un matrimonio, non potemmo lamentarci di mettere fuori la torta appena poco dopo le otto di sera. Mi sentivo svuotato ma convinto di aver fatto un buon lavoro. Ma dopo una mezz’ora che dedicammo a mettere a posto la sala, don Pasquale ci venne a chiamare perché serviva una mano al matrimonio: i cantanti avevano finalmente terminato le loro esibizioni, così poteva finalmente uscire la torta ma bisognava ancora sbarazzare e pulire i tavoli dalla frutta. 

Eravamo affranti, stanchissimi. E dopo 12 ore di lavoro filato io stavo davvero male, tra l’altro m’erano venute due vesciche al piede destro che sentivo l’ira di Dio ad ogni passo. Ma non ne volle sapere, così lo seguimmo. 

Ci toccarono ancora due ore di lavoro, con la sorpresona della serata che rimandò ancora di un’ora il taglio della torta. Prima il siparietto di un giovanissimo Alessandro Siani¤ con i suoi sketch sguaiati ed irriverenti, regalo del fratello più piccolo di lei, e poi quello un po’ più preoccupante della madre dello sposo che, in preda ad una evidente crisi di nervi per lo scippo del figlio prediletto minacciava addirittura di buttarsi dalle scale non appena uscita sul patio.

Esibizioni esilaranti, scene grottesche, cui don Pasquale, al taglio della torta volle tuttavia mettere un cappello irreprensibile: “In alto i calici signori, che cento catene si possano spezzare ma non questo amore. Evviva gli sposi!”.

© 2013 Angelo Di Costanzo – riproduzione vietata.

I racconti del vino| Lucy

8 gennaio 2013

Le piaceva tanto il tavolo 2, quello che dalla veranda dà direttamente sull’ingresso; non credo lo scegliesse per farsi vedere, mettersi in vetrina, mostrarsi. Anzi. Ricordo però che le piaceva tanto la particolare luce che poco dopo mezzogiorno s’incrociava proprio in quel punto della sala esterna, riflessa dalle grandi vetrate e filtrata, resa tiepida, dai vetri spessi della porta-finestra scorrevole. 

Arrivava quasi sempre un quarto dopo le 12. Sapeva di essere in anticipo ma quella mezz’ora prima di pranzo le serviva per mettere a suo agio chi l’accompagnava. Uomini d’affari principalmente, quasi mai amici, come pochi i personaggi dello spettacolo, e comunque di quelli poco conosciuti. Ricordo una volta un tizio assai infastidito dai miei sorrisi rivolti al tavolo durante la presa della comanda; non ebbe a farmi la scortesia di dirmelo chiaramente, ma era evidente che gli dava un poco di prurito la confidenza con la quale lei si rivolgeva a me raccomandandosi di portare in tavola il meglio che potessi. Seppi qualche mese più tardi chi fosse quel tizio, fu lei a rivelarmelo: un grande attore di prosa, poco conosciuto ai più ma che vantava illustri partecipazioni ad opere piuttosto importanti nonché collaborazioni con registi di fama internazionale. S’irritò perché non riconosciuto, mica per altro. 

Vestiva sempre in maniera sobria. In effetti non ricordo di averla mai vista scollata o con una gonna sopra le ginocchia; o forse sì, magari una volta o due ma sempre senza dare troppo nell’occhio. Blu il suo colore preferito, almeno credo. E blu erano anche i suoi occhi, luminosissimi, profondi, perfettamente centrati su quel viso dalle linee nordiche con qualche lentiggini sottopelle qua e là. Bruni i capelli, lunghi e sciolti, non un filo di trucco se non un po’ di matita chiara qualche volta, poco rossetto. E un neo, poco distante dalle labbra e leggermente spostato verso la guancia sinistra. Insomma, chi l’accompagnava non aveva nessun motivo per distogliere l’attenzione dal tête-à-tête, nessuna distrazione se non quando gli presentavamo i piatti in tavola. 

E sobrio era di sovente il pranzo. Le piaceva poter scegliere tanti piccoli assaggi, piatti fatti con pochi ingredienti ma di sapore, caratteristici. Non poneva divieti, ricordo solo che non amasse particolarmente il riso ed il prezzemolo, soprattutto cotto, anche se tritato finemente e saltato con la pasta. Le si impicciava tra i denti, diceva: “è odioso!”. Invero una volta se ne uscì col riso come contorno al petto di pollo scottato alla brace. Rimasi perplesso, convinto di conoscere le sue preferenze; ma era solo una cortesia verso chi l’accompagnava, un grosso imprenditore del vercellese. Avesse potuto avrebbe mangiato carciofi e pane e melanzane sott’olio a tutte le ore. Adorava qualsiasi zuppa, in stagione sceglieva volentieri delle vellutate di verdure. Impazziva per la pasta e patate, ogni tanto una mezza porzione di paccheri alla genovese, un assaggio di calamaretti spillo fritti, il sarago arrostito, il pollo; e tante insalate, con tutto un po’. Nessuna concessione al dolce, sì al gelato, vaniglia tutta la vita. 

Il vino, nonostante ne capisse abbastanza, preferiva lasciarlo scegliere agli altri. Poche volte l’ho vista bere con sufficienza pur se talvolta sapevo coglierne l’insoddisfazione. Diceva ad esempio che lo Champagne non andava bevuto a tavola: “un piacere così sottile meritava un ambiente ed atmosfere più intime – sottolineava -, candele dappertutto ed un lento lasciarsi andare”. Ci teneva a far assaggiare i nostri vini, così talvolta lasciava fare a me; chiedeva solo, quando mi lasciava consigliare un vino al tavolo, di tenermi su bottiglie poco complicate, con poco legno e prodotte da persone sincere, che facessero quel che facevano con amore e passione, non solo per campare, o per fuggire da qualcosa o qualcuno. 

Una volta, rimasta sola al tavolo per qualche minuto perché lui fuori al telefono, l’ho vista stringere con forza il calice e fissare il vuoto con malinconia; ebbi l’impressione che stesse per piangere. Mi avvicinai facendo finta di niente, con la scusa di tirare via il cestino del pane: le chiesi se andava tutto bene, mi rispose che sì, che era tutto a posto. E regalandomi un sorriso grosso così aggiunse che quel rosso era il più buono che avesse mai saggiato prima.

© 2013 Angelo Di Costanzo – riproduzione vietata.

Vigna Piancastelli 2005 Terre del Principe

3 gennaio 2013

Un formato speciale di 12 litri che se ne stava lì da più di quattro anni a ricordarmi una delle piacevoli soddisfazioni che mi ha regalato questo mestiere, vincere nel 2008 il titolo di Primo Sommelier della Campania.

Angelo Di Costanzo - foto L'Arcante

Icona ingombrante, quasi impossibile conservarla alla giusta maniera, con un paio di traslochi sul groppone, non s’aspettava che l’occasione giusta per farla fuori. E venne il giorno lo scorso 30 dicembre, quando l’abbiamo condivisa, bicchiere più bicchiere meno, con una cinquantina di persone in occasione della prima Festa del Clan®¤. 

Si tratta di pallagrello nero e casavecchia della vigna omonima “Piancastelli” in località Beneficio a Castel Campagnano. E’ il vino di Manuela¤, nel senso che è il suo prototipo: un rosso di caratura importante, grande struttura, non necessariamente votato al lungo invecchiamento perché destinato ad un consumo diciamo sul breve. Così nasce il Vigna Piancastelli, da grappoli selezionati uno ad uno, con una piccola percentuale lasciata addirittura appassire in pianta. Poi legno, nuovi e francesi, con tanti mesi di affinamento in bottiglia, all’incirca diciotto. 

Cosa raccontarvi? Lasciando stare parole troppo impegnative – non eravamo certo in una condizione ambientale assai favorevole ad una degustazione tecnica -, a quanto pare è piaciuto tanto; invero spiazzando molti, che nemmeno immaginavano si potesse osare tanto col pallagrello¤ e il casavecchia¤. Dalla sua, nonostante le ambasce di una conservazione non proprio ortodossa, sicuramente il formato speciale che l’ha aiutato a preservarsi al meglio; trovarlo però così pimpante ci ha rinsavito un po’ tutti: addirittura ancora vinoso, dal naso invitante, ben centrato sul frutto in molte sue declinazioni e sfumature (mirtillo, prugna ma anche melissa e tabacco), senza una sbavatura, con un sorso di spessore, teso e avvolgente e con un finale sì morbido ma piacevolmente setoso e ammiccante. Adesso non mi rimane che portarmi via quel titolo dalla bottiglia, con l’etichetta, bellina, firmata quell’anno da Giovanna Picciau.

Aversa, Alberata, Asprinio. C’è una sola tripla A

28 novembre 2012

“Non c’è bianco al mondo così assolutamente secco come l’asprinio: nessuno. Perché i più celebri bianchi secchi includono sempre, nel loro profumo più o meno intenso e più o meno persistente, una sia pur vaghissima vena di dolce. L’asprinio no. L’asprinio profuma appena, e quasi di limone: ma, in compenso, è di una secchezza totale, sostanziale, che non lo si può immaginare se non lo si gusta… Che grande piccolo vino!” [Mario Soldati]

Avremmo potuto costruirci nell’Agro aversano la nostra piccola Franciacorta, fare dell’asprinio – il nostro autentico, unico, inimitabile vitigno Principe di Aversa – un protagonista incredibile per un vino ma anche e soprattutto bollicine talmente uniche e rare quanto inarrivabili per tipicità, qualità, storia. Per vent’anni invece ci siamo accontentati, e continuiamo a farlo, nel cercare con superficialità, altrove ed ovunque, di fare, con qualsiasi uva, spumantini che appena lontanamente possano somigliare, ricordare, all’evenienza, il Prosecco di turno quando non – velleità delle velleità per qualcuno – vagamente lo Champagne. Intanto la terra è lì che aspetta, le alberate con tutta probabilità andranno a scomparire e, dalle nostre tavole, pure il vino. Se non fosse che…

Torta alla Nutella®

21 novembre 2012

Cadeva il 13 novembre 2009 la messa on line dei primi post qui su L’Arcante. Il 4 è stato il compleanno di Lilly, oggi 21 novembre il mio. Insomma, questo mese ci sono ricorrenze cui far fronte. Così eccovi una bella torta di compleanno, “very easy to do” ma molto, molto… buonissima!

Happy Birthday - foto A. Di Costanzo

Ingredienti:

  • 3 uova (intere)
  • 150 gr di zucchero
  • 160 gr di farina 00
  • 200 ml di latte intero
  • 180 gr di Nutella®
  • 1 bustina di lievito per dolci
  • un pizzico di sale
  • 200 ml di panna dolce

In una boule, aiutandovi con una frusta, lavorate le 3 uova intere con lo zucchero ed il pizzico di sale; unitevi quindi 3 cucchiai di Nutella®, tutto il latte, la farina ed il lievito. Continuate a rimestare sino ad ottenere un impasto uniforme e senza grumi. Imburrate e passate di farina lo stampo che avete scelto e versatevi l’impasto. Mettete in forno caldo e cuocete a 180° per 30 minuti. 

Una volta cotta, lasciatela raffreddare; frattanto, in un’altra boule montatevi la panna. Se l’impasto è cresciuto tanto in cottura (come nel nostro caso), potete optare anche per una torta con doppia farcitura; comunque 2 cucchiai di Nutella® ancora dovrebbero bastare. Tagliate quindi la torta per due volte in orizzontale ottenendo così tre strati alti circa 1 cm di cui due da farcire prima con la panna e poi con la Nutella®. Coprite il tutto con ancora uno strano sottile di panna e, aiutandovi con un sac à poche, con qualche fiocco qua e la. Le briciole che vi rimangono tagliando la torta non buttatele via, usatele come decorazione spolverizzandole sopra, otterrete un ottimo effetto visivo, altrimenti potreste pensare a delle scaglie finissime di cioccolato fondente.

Guide 2013, così la “guida rossa” Michelin

14 novembre 2012

Mancava solo “Lei” all’appello e puntuale è arrivata. E’ stata presentata infatti oggi a Milano l’edizione duemilatredici della seguitissima “guida rossa” della Michelin. Si chiude così ufficialmente la stagione delle Guide ai Ristoranti d’Italia 2013.

  • 4 Cucchiaio&Forchette (luogo di Gran confort)
  • 2 Stelle (Tavola Eccellente)
  • Grappolo Rosso (Specialità e Vini scelti)

Mosaico di mare (preparazione di pesci, crostacei, e frutti di mare crudi, cotti e marinati), Merluzzo Nero al vapore con spinaci, pomodori secchi e spuma al whisky torbato. Dolcezza al caffé con sbriciolato di nocciole e salsa alla liquirizia. Un vasto e raffinato salotto dove illuminazione, tessuti e decorazioni creano un’ineguagliata armonia di stile e benessere; in cucina il giovane Migliaccio si fa portabandiera di piatti mediterranei e creativi, eleganti e sofisticati.

P.S.: con grande soddisfazione salutiamo quest’anno, dopo “la promessa” dell’anno scorso, la prima Stella Michelin al Ristorante & Beach club Il Riccio sulla Grotta Azzurra. Bene, bene, bene! 

Addendum: e come sempre un plauso agli amici Marianna e Pino di Sud che si confermano ancora quest’anno una bella realtà e, naturalmente, tutti quanti gli altri (leggi qui), Due Stelle e Una Stella, che a Napoli e in tutta la Campania portano avanti con grande slancio la buona cultura enogastronomica della nostra splendida terra! [A. D.]

Sulle chiusure “alternative”, l’esperienza di Jean Pierre Frick, che non è proprio l’ultimo arrivato

27 ottobre 2012

Una delle prime cose capitate a tiro durante la splendida due giorni con Pepi Mongiardino è questo documento, ripreso tra l’altro sia sul catalogo cartaceo di Moon Import che sul loro sito on line qui. Si parla di chiusure alternative, dell’esperienza sul campo di uno dei pionieri della Biodinamica in Alsazia, Jean Pierre Frick da Pfaffenheim che, addirittura, chiude le sue bottiglie con un “innovativo” tappo a corona.

“L’eliminazione del tappo in sughero sconvolge l’immaginario quanto ravviva l’odorato e il gusto. Dalla nostra raccolta del 2002 la bottiglia non è piú tappata da sughero ma da capsule coronate in inox. Con un piccolo disco di polietilene che assicura l’impermeabilitá. L’aumento incessante delle deviazioni organolettiche (sapori e aromi) causato dal tappo in sughero, ci ha portati a questa scelta. La diversificazione dei nostri fornitori di tappi e l’acquisto di sughero di qualitá sempre migliore non ha portato a nessun risultato soddisfacente. Al 4-5% del gusto di tappo, facilmente identificabile, si aggiungono almeno altrettante bottiglie “deformate”, influenzate proprio dai tappi. Questa seconda categoria è molto piú sorniona, perché il degustatore attribuisce al vino l’opacità che deriva dal tappo. Il cambiamento del tipo di tappo ha poi altri vantaggi: permette anzitutto l’accrescimento della longevità delle mezze bottiglie; i vini trasportati a temperature troppo elevate, rischiano meno di avere dei disturbi proteici e, ancora, il passaggio dei polifenoli del tappo nel vino può non solamente comunicare un gusto, ma anche far precipitare le proteine del vino”. 

E alle domande che più di sovente vengono naturalmente sollevate quando si parla di questo cambiamento, Jean Pierre Frick risponde così. 

Il tappo ermetico non impedisce al vino di evolversi? “Già da trent’anni Emile Peynaud ha dimostrato che nella bottiglia nessun vino assorbe l’ossigeno dell’aria quando questo è tappato da un eccellente sughero; è proprio perché l’impermeabilità al gas è variabile da un tappo all’altro, che alcuni viticultori mettono della cera sul collo e sul tappo della bottiglia; le capsule di stagno non perforate, a copertura del tappo, assicurano una totale impermeabilità: dalle catene di imbottigliamento e di etichettatura escono qualche volta delle bottiglie con la capsula, ma senza tappo, che non lasciano uscire la minima goccia di vino; gli champagne e i crémant maturano sur latte per anni in bottiglie tappate da capsule. La maturazione del vino è un processo fisico-chimico che non necessita di ossigeno dall’esterno”.

Perché rimpiazzare un prodotto naturale con il polietilene? “Il sughero non viene utilizzato nel suo stato naturale: il lavaggio non si fa più nel cloro, ma con prodotti e procedimenti diversi a seconda del sugherificio e i tappi non pieni subiscono un trattamento di riempimento al silicone, alla paraffina o alla miscela dei due. Il solo fatto di far scivolare il vino sulle tracce di paraffina o di silicone lasciate dal tappo sul collo della bottiglia, modifica il vino in confronto a quello estratto dalla stessa bottiglia con una pipetta. Questo fatto è particolarmente considerevole per i vini che contengono dei residui di zuccheri”. 

Perché non provate a proporre una filiera di sughero biologico? “L’idea di una cultura in bio-dinamica di querce da sughero, non produttivistica, che potrebbe ridurre le influenze del sughero, è interessante, tuttavia noi non abbiamo, anche collettivamente, la forza di influenzare l’ambiente. La domanda di sughero è molto più forte che l’offerta, il giorno che si invertirà questa situazione, i cambiamenti potrebbero suggerire una filiera di quel tipo”. 

“Tra l’altro, per concludere, l’estetica della bottiglia non è assolutamente colpita, il collo della bottiglia aperta si presenta sulla tavola allo stesso modo di una bottiglia di Champagne o di Crémant. D’ora in avanti l’appassionato di vino, che ha diverse bottiglie della stessa cuvée, troverà ogni volta la vera espressione del vino”. Jean Pierre Frick.

Pierre Frick è distribuito in Italia da Moon Import.

© L’Arcante – riproduzione riservata

Intervallo. Tutti a casa, tutte a nanna!

19 ottobre 2012

La giostra delle emozioni si ferma. Inventario terminato. Due mandate alla cantina Dolce Vite, due alla Cantina del Giorno, una al deposito. A presto…

Sorbo Serpico, ho bevuto uno splendido aglianico di rara eleganza ed è giusto che voi sappiate…

16 ottobre 2012

Ieri, di ritorno dal Marennà, pensavo a cosa c’avrei scritto sopra. Ebbene, non saprei come descrivere altrimenti questo vino se non “uno splendido aglianico di rara eleganza”.

Dell’azienda di Sorbo Serpico si sa tutto o quasi. Invero ognuno la vede a suo modo e in tanti ci trovano, da sempre, tutto o niente a seconda della convenienza. Per quanto mi riguarda, al di là delle mille e più considerazioni che uno può fare, non si può non guardare positivamente anche al ruolo dei Feudi di San Gregorio nella definitiva valorizzazione del territorio e dei vini prodotti là in Irpinia.

Uno splendido vino, dicevo. Di rarissima eleganza. Ma c’è tanto di più in una bottiglia di Serpico 2008. C’è la sintesi di anni di ricerca, di investimenti, di prove tecniche, di esperienze che cominciano a prendere forma e sostanza diverse, un’anima e un corpo più incisivi del solito. Ci sono uve delle migliori, da vigne curate con dedizione maniacale, c’è un processo produttivo collaudatissimo, soprattutto vi è un’idea precisa di cosa debba essere e cosa vuole evocare un vino come questo, quel messaggio di modernità che arriva direttamente dal passato, dai “Patriarchi” come li chiamano da queste parti: vivo nel colore e pulito e fine nei profumi; nerboruto, di spessore e sostanza.

E ci riesce bene il Serpico, benissimo già oggi, con franchezza estrema; forse è per questo che mi ha impressionato tanto, per la teatralità con la quale riesce sin da adesso a stupirti. Una rappresentazione talmente ricca di sostanza che te ne accorgi subito. Ti rapisce con quel naso intriso di frutta rossa, spezie, cioccolato; ti conquista già al primo sorso: avvolgente, ostentato, profondo, tanto saporito che quasi non gli stai dietro. Che te ne accorgi solo quando è già bello che andato. Non saprei dirlo con parole meno impegnative, ma ho l’impressione di aver bevuto il miglior Serpico di sempre.

Guide ai ristoranti d’Italia 2013, il Gambero Rosso

13 ottobre 2012

Punteggio: 88due forchette
Cucina: 52
Cantina: 16
Servizio: 18
Bonus: 2

Locale d’eccezione all’interno di un albergo eccezionale. L’Olivo è senza dubbio un posto di lusso, frequentato da una clientela per gran parte internazionale e cosmopolita che ha disponibilità economiche non comuni e aspettative non comuni. Tuttavia la cifra stilistica di questa splendida struttura, e in fondo la ragione per la sua straordinaria fortuna, è sempre stata la solidità, la concretezza. Andrea Migliaccio interpreta con istintiva facilità questa filosofia: la sua è una cucina che trasforma ingredienti di assoluta qualità e li presenta in tavola con un’attenzione estetica inevitabile in un contesto come quello di un hotel in cui gli ospiti e opere d’arte abitano in egual modo gli spazi (bonus), ma ciascun piatto è, per l’appunto, solido e concreto. Di terra o di mare, le proposte dello chef sono tutte costruite a partire dalla centralità del gusto della materia prima e strutturate perché questo gusto giunga intenso alle papille. Uovo con mousse di provolone del Monaco puntarelle e pomodori canditi, risotto al basilico con seppie pomodori brasati e bottarga, merluzzo nero con spinaci pomodori secchi e spuma di whisky, solo per dare qualche indicazione dal menu. Servizio di altissima classe e professionalità, carta dei vini importante e ben costruita, “seguita” dall’ottimo sommelier Angelo Di Costanzo. Bonus per l’attenzione ai bambini, cui è dedicato un menu apposito. (da I Ristoranti d’Italia 2013 del Gambero Rosso)