Archive for the ‘FATTI, PERSONE’ Category

Con queste facce qui!

26 luglio 2013

Siamo noi, siamo questi, con queste facce qui. Chi fa cosa in sala al Capri Palace Hotel. Con calma, non appena possibile, tocca poi ai commis e agli chef de rang. Nell’ordine si va da destra a sinistra…

Lo Staff 2013 al Capri Palace Hotel

Giovanna Ragone, Cava de’ Tirreni, classe ’85. E’ arrivata al Palace nel 2005 come commis de rang. Oggi con Enrico ed Angelo supporta Luca nella direzione del Ristorante. ‘Supporta’ si può leggere sia in italiano che in dialetto napoletano. Beve responsabilmente.

Fabio Raucci con i suoi quasi 37 anni suonati è il veterano, ha vissuto praticamente tutta l’evoluzione del Ristorante L’Olivo e le vicende dell’Albergo sin dal 2001. Ha cominciato come chef de rang, oggi è F&B Manager. Più birra che vino.

Io¤ sono arrivato al Capri Palace nel maggio del 2009 dopo una lunga esperienza per conto mio a Pozzuoli. Qui metto a posto carte, sistemo cartoni, stappo bottiglie (soprattutto). Ogni tanto sciabolo.

Enrico Moschella è di Taormina, classe ’81; è arrivato qui nel 2009, praticamente abbiamo cominciato assieme questa avventura. E’ entrato come chef de rang, dall’anno scorso è Assistant Restaurant Manager. Beve con piacere – dice – a piccoli sorsi.

Angelo Cobucci è di Alfano, una ridente località in provincia di Salerno. E’ stato da queste parti già nel 2005 come chef de rang, poi dopo un po’ di montagne ci è tornato. Anche lui tiene la ‘giacca’. Beve solo roba buona.

Luca De Coro è di Marano di Napoli, ha trent’anni ed è qui dal 2005 quando arrivò come commis de rang. Nel 2010 è stato nominato dalla Leading Hotels of the World¤ – di cui l’albergo fa parte – Employee of the year. E’ il Restaurant Manager de L’Olivo. Ha una gran passione per le bollicine!

© 2013 Capri Palace Hotel&Spa¤ Staff

I racconti del vino|Le lettere che non ho spedito

11 luglio 2013

Fine anni ’90, primi del 2000, anni di gran fermento. Qualcosa nel mio lavoro stava cambiando repentinamente. Poco più che ventenne avevo tra le mani una delle cantine¤ più fornite allora in circolazione dalle mie parti. E la fortuna di vederla girare a mille.

Recensioni mai spedite per il Gambero Rosso - foto A. Di Costanzo

Con Michele e Nicola de La Fattoria del Campiglione¤ a Pozzuoli l’abbiamo scavata con le mani nude quella cantina; stagioni incredibili, dure, di gran sacrificio eppure indimenticabili e di grandi soddisfazioni. Qualcosa stava cambiando nel mio modo di vedere la sala e la gestione della cantina. Uscivano belle bottiglie, ‘importanti’ si dice, che meritavano maggiore attenzione e conoscenza. Era urgente, se non indispensabile, affiancare alle letture e alle bevute propedeutiche una formazione solida e prospettica. Visitare cantine, frequentare altre realtà, tavole da prendere ad esempio sembrava non bastare più. Volevo fare il sommelier.

Veniva Ferragosto, le ferie sino a settembre. L’aspettavano tutti per andarsene in Sardegna o in Spagna – ad Ibiza per dirne una -; io e Lilly partivamo per Guardiagrele per andare a mangiare ‘Pallotte case e ove’ da Peppino Tinari a Villa Maiella e fare una capatina alla scoperta di una nuova cantina, ci dicevano di un certo Gianni Masciarelli. Poi magari più su a conoscere l’estro di Moreno Cedroni a Senigallia. Da lì da Umani Ronchi, poi Lungarotti, Ercole Velenosi, ma anche Tenuta di Nozzole, Castello di Verrazzano, Ruffino, Badia a Passignano, Castello della Sala e bla bla bla… con gli occhi spalancati sempre grandi così!

Ci siamo andati pure noi in Sardegna, mica eravamo così scemi, ma una capatina da Sella&Mosca piuttosto che a bere torbato alla Cantina Cooperativa di Santa Maria La Palma o un Nepente ad Oliena era d’obbligo. Insomma: niente vacanze senza vino e cibo, senza appunti di viaggio. Così siamo ‘cresciuti’.

Poi c’era il Gambero Rosso¤. Quel Gambero Rosso. Era un riferimento assoluto. Sembra un’eternità tanto è cambiata l’epoca così repentinamente. Leggevo Cernilli¤, Sabellico, le scorribande catalane di Bolasco, le ‘sue’ birre, poi il Bastian Contrario Luciano Di Lello. Puntuale, ogni mese, ero lì in edicola. Non me ne perdevo una di uscita. E buttavo giù i miei appunti, le mie prime sensazioni delle cose che bevevo, di certe etichette, scoprendo termini e intuizioni a me nuovi, cercandone di capire il senso in quei bicchieri.

Così, la sera, delle decine di bottiglie ‘buone’ conservavo quelle due dita da assaggiarmi con calma a fine servizio. Mi prendevano per matto: a fine serata invece di andarmene a casa me ne stavo lì, nell’office, a farmi le ‘pippe mentali’. Taurasi ‘88 Mastroberardino la prima volta che provai un sussulto. Montevetrano ’97 il primo grande rosso capace a convincermi che sì, si poteva fare.

Provai a mandare qualche mia recensione alla rubrica ‘Scelti da Voi’: Spett.le Gambero Rosso – via A. Bargoni 8, 00153 Roma. E chi se lo scorda! Cernilli introduceva le recensioni sempre con un suo breve ‘cappello’, a Rosanna Ferraro toccava metterne qualcuna in fila per la pubblicazione. Un mese, poi due, quasi volevo rinunciare. Poi uscì la prima, la seconda, ricordo che una volta (o due mi pare) me ne pubblicarono addirittura più d’una: immaginatevi me, dieci, dodici anni fa, che buttavo giù quattro righe poi pubblicate sul Gambero Rosso…

Ecco, l’altro giorno giocando agli esploratori con Letizia, tra le vecchie cartine geografiche che usavamo per andarcene in giro ho ritrovato alcune vecchie recensioni che non ho mai spedito; credo perché preso ormai da altro, soprattutto dal lavoro una volta aperta l’enoteca, siamo nel 2002, che per almeno 5/6 anni non mi ha fatto più pensare ad altro che portare avanti la baracca.

Poco dopo, nel 2006, l’avvento del web, Luciano Pignataro ed il suo Wineblog¤. Altro tempo, altra esperienza, altra crescita. E non si finisce mai di imparare.

P.S.: scrive Rosanna Ferraro: ‘Quante ne ho lette di tue lettere! Eri diventato un “amico” anche se sconosciuto in un’epoca e con modi di comunicare che adesso sembrano jurassici. All’inizio ti credevo un po’ fuori di testa e pensavo che ti saresti stufato presto e invece… puntuali come cambiali ne arrivavano sempre. Sei stato fedele e costante oltre ogni immaginazione. E ogni volta ti miglioravi. Parola. Non so più quante tue recensioni ho pubblicato, ma tante. Una sorta di precursore degli attuali blogger, quando di “serial writer” (in positivo, ovviamente) ce n’erano pochi e niente!’

Comment Card

23 giugno 2013

Certi giorni metti assieme tante di quelle ore di lavoro che nemmeno ti accorgi che giorno è. Poi però ti rendi conto che è così che deve andare.

Comment card

Le tue 12/13 ore (di media) non saranno mai paragonabili alle 15/16 necessarie per arrivare e tornare – chennesò – dalle parti del Quebec, in Canada. E conta poco o nulla chi fosse in servizio quella sera: quel sorriso carico di soddisfazione, quelle calorose strette di mano, quegli abbracci ripetuti, sinceri, sono per tutti. E di tutti! Nero su bianco. 🙂

Oggi me ne vado al mare, se trovo i doposci…

16 giugno 2013

Entrando dal fruttivendolo noto subito delle bellissime pesche bianche. Chiedo quanto vengono al chilo e, se possibile, la loro provenienza. ‘Guardi, non saprei dirle, io tra l’altro sono Geometra, di frutta non ci capisco granché, ma vanno via a ‘due lire’ e col vino, come aperitivo – mi creda -, c’ho preso il diploma, ci stanno alla grande!’.

Frutta e Verdura

Avevo male a un dente. Un molare per la precisione. Un po’ di carie, ma soprattutto mancavo di fare una pulizia decente da qualche anno, insomma la solita abitudine a sottovalutare la prevenzione. Chiedo a un amico, Gerardo – un caro amico -, se conosce qualcuno che mi possa aiutare. Mi porta dall’avvocato: ‘scusa, ma che ci facciamo dall’Avvocato?’. ‘Non ti preoccupare: chillo è avvocato? E sta bene. Sa il fatto suo…, poi ci diamo una cassa di vino – quello ci capisce – e tutto si aggiusta!’

L'Avvocato

La mia macchina viaggia per i 204.000 chilometri. Peugeot 206, del ’99. Consuma un po’- olio soprattutto -, gli ho appena rinfrescato il motore con due litri, ieri l’altro. Da qualche settimana però mi fa le bizze, anzi, mi fischia. Saranno i freni, mi son detto. Sono i freni. ‘Uno di questi giorni sarai costretto a frenare coi piedi per terra, mi sfotte Nando (un amico). E portala a vedere da un Veterinario; quello che ci mette, dieci minuti, ci fa un check-up e via! Mo’ se preso pure il diploma…’.

Il Veterinaio

Vabbè dai. Fermiamoci qui. Potrei continuare all’infinito. Si, sono tutti sommelier. E sono tutti i nuovi clienti del tuo ristorante e di questo dove lavoro io. Clienti, quelli di oggi, con la ‘C’ maiuscola: che conoscono, che bevono, che fanno i ‘laboratori’, i ‘seminari’, che sanno. Però, ogni tanto mi viene lo stesso da domandarmelo: ma che c’entra il Geometra, l’Avvocato, il Veterinaio, l’Assicuratore, l’Otorinolaringoiatra, il Segretario (comunale, amministrativo, con varie attitudini) col mio mestiere? E dire che hanno studiato, talvolta sono finissimi intellettuali, si sono dannati l’anima per non finire a fare, come me, il cameriere; e poi…

Angelo Di Costanzo, Sommelier

Eh già, quello che s’atteggia sarei io. Troppo serio. Anzi, ‘quello che si prende sul serio’. Ebbene si, è vero, io faccio il Sommelier. Solo quello so fare. Il Sommelier, solo quello mi va di fare. Seriamente!

Assente con giustifica

8 giugno 2013

Non che siano mancati argomenti e bottiglie interessanti da segnalarvi, anzi, ma sono giorni davvero molto, molto intensi qui a Capri. Tra l’altro qualche giorno fa m’è pure venuta in mente una cosettina non da poco pensando di ricatalogare tutte e diecimila le bottiglie sistemate in cantina. E solo quelle per fortuna. A ‘bere’ assieme però ci torniamo presto, promesso. Capita ogni tanto di dover fare un lungo respiro…

Intervallo| Vorrei bere per cent’anni

6 giugno 2013

Copertina Libro

Intervallo|L’amore non si vende né si compra. L’amore si regala…

26 Maggio 2013

Carta dei Vini de L'Olivo del Capri Palace Hotel

Enrico Bernardo, il miglior sommelier del mondo… con cui è uno spasso andare a pesca!

19 Maggio 2013

Finalmente ho conosciuto Enrico Bernardo: che splendida persona, che stile! Sarò franco, mi viene sempre difficile pensare ad un maestro o a un idolo per quanto mi riguarda; negli anni ho conosciuto tante persone che nella vita privata come nel lavoro mi hanno insegnato tanto e tanto hanno significato per me, per quello che sono oggi. Ma maestri no, sinceramente credo proprio di non averne avuti.

Enrico Bernardo - foto A. Di Costanzo

Uno dei riferimenti come sommelier in quanto tale però è certamente lui: sveglio, intelligente, non sgomita, non ama blaterare a vanvera e, soprattutto, non ricordo di averlo mai colto a sculettare :-). Ha classe e stile da vendere Enrico, l’ho ammirato a lungo in passato in alcune sue degustazioni e performance, di tanto in tanto preso appunti su quanto facesse in giro là in Francia. Ammirazione tanta, talvolta un pizzico di invidia pure, senza malizia però, o colpo ferire. Giovedì scorso, a Venezia¤, il piacere di condividere una splendida serata in occasione del gran galà Pommery Italia. Iniziata così, indimenticabile. Perché con uno come lui si potrebbe andare tranquillamente anche solo a pesca!

I love Falernum, Papa. Un tempo, la storia del mio Falerno del Massico di Antonio Papa

13 Maggio 2013

La Viticoltura, come arte per attingere al valore originario della vita e per affermare valori profondi e segreti. Uno strumento di contatto con i ricordi e con la realtà del presente, che parte da una volontà di partecipazione al flusso della natura e della storia in contrapposizione all’imbarbarimento della società.

Antonio Papa, da piccolo

Nasco come viticoltore nel 2000, quando intrapresi gli studi in Lettere Classiche, mi accorsi della straordinaria contemporaneità delle tradizioni. Dopo un’adolescenza dominata da un senso di distacco dalla vita agreste, mi resi conto della sublime arte, appena raggiunta l’indipendenza intellettuale. “Ahimè, come sarebbe bello, vivere tra i filari, avendo con sé solo una donna e i propri segreti!”

Mi accorsi – poi – della difficoltà di decidere, quando cominciarono i primi “assemblaggi”: quattro vigneti, ubicati in quattro zone profondamente distinte per natura, creano un subbuglio nello stomaco, ma riuscire – poi – ad accoppiare i sapori, gli umori della terra, i colori, le gioie, i dolori di un anno, è cosa sorprendente ed impegnativa, ma sublime.

Nel 2002 la prima vinificazione con l’enologo che mi segue tuttora, Maurilio Chioccia. “Cambio vita” … si dice. I segni del tempo assumono una fisionomia geometrica. Appare subito chiaro, di non voler snaturalizzare il “canto del terreno”, ma modificare sensibilmente lo spartito è necessario. Gli impianti in vigna e il “modus operandi” in cantina subiscono un rinnovo che ha traghettato il vino (Campantuono¤ in primis), inizialmente materico, in un vino “misterico”, collocandolo nella prospettiva di un prodotto di nicchia e dando voce ad una cultura del vino, capace di assumere caratteri fino ad allora inosservati.

Antonio Papa, oggi

L’apertura a questo mondo – grazie soprattutto a mio padre – ha sì aperto in me anche interrogativi sulla civiltà contemporanea, sui limiti, sui valori di questi anni e del tempo, anche nei suoi aspetti più inquietanti. Però la straordinarietà del vino, sta nel fatto di essere impegno fisico diuturno e travaglio dei sentimenti più nascosti.

“Poetica dell’oggetto” che si muove, sì in direzioni contrastanti ma al momento del suo definirsi è comunque vita ed autocoscienza di poesia. Questa nozione di poesia si realizza con una serie di trasformazioni nei vari momenti dell’attività e naturalmente c’è da dire che questo “travaglio” è ancora in atto, anche attraverso la continua ricerca di “toni nuovi”: intensi, precisi, più dei precedenti opachi e incerti. Rompere una campana di vetro, quella in cui era rinchiuso un paese intero, tristemente opacizzato nel suo definirsi.

Campantuono Papa - foto Altissimo Ceto

Dare nuova linfa al luogo d’origine è pura poesia. Scrivere gli “accordi” per una nuova canzone¤ – quella che canteremo presto (spero)- partendo in primo luogo dalla ricerca di un linguaggio, il cui modello più vicino è ancora il mondo dell’Epos e dell’ormai riconosciuto insediamento Romano in Agro Falerno (Ager Falernus III/II sec. A.C. – II/III sec. D.C.).

Ne risulta un originalissimo equilibrio, tra meditazione esistenziale e definizione del paesaggio, una meditazione appassionata, magniloquente, che come movimento incessante e ripetuto del mare, poggia sulla costa aspra e rocciosa i segni di una vita, la vite appunto!

di Antonio Papa¤, Faccia da Falerno – L’Arcante 2013.

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C’è tanta mediocrità in giro, te ne accorgi al primo sorso di vino, talvolta ancor prima di levare il tappo, certe altre ancor prima di mettere gli occhi sull’etichetta. Le bottiglie di Antonio annullano qualsiasi aspettativa, quale che sia la presunzione, la convinzione con cui credi di sapere tutto di Falerno e di Primitivo. Una continua scoperta, il suo Falerno! (A. D.)

I love Falernum, Masseria Felicia. Il ritorno e il desiderio dell’abitudine di Maria Felicia Brini

9 Maggio 2013

Camminare a passi lenti e brevi tra i filari e lasciarsi cogliere da un sorriso, quasi una smorfia della bocca che si trasforma in mezzaluna, e illuminare l’aria. Questa semplice azione che poi si è trasformata in abitudine, è quella che mi ha spinto a viverci tra queste vigne e questi uliveti. Il ritorno e il desiderio dell’abitudine.

Maria Felicia Brini

Anno zero – Io, sei/otto anni, tra il 1982 e 1984. Le Scale. Gioco sulle scale di marmo dai morbidi profili della casa di mia nonna, anzi della casa di cui lei era il colono. Quella in cui ora vivo. Paura e meraviglia nello stesso tempo, erano queste le emozioni che mi attraversavano salendo quelle scale di pietra lisce. Per arrivare al primo piano. Nella stanza delle bambole intoccabili, con gli occhi di vetro. L’odore forte del pane le domeniche mattina, di olio, di alloro affumicato per spazzare via la cenere dal forno, la luce accecante contro il buio della cantina di tufo e le scale rotte “che non devi scendere altrimenti cadi!”, e quel sentore di umido e la fragranza del sasso gocciolante. Mai scesa fin lì, per me territorio inesplorato. Oggi un giorno sì e un’altro giorno pure. L’abitudine che non c’era, ma il desiderio di goderne, sì.

Masseria Felicia, cantina (le scale)

Anno zero – Vigna Etichetta Bronzo, 1995. Ancora quelle Scale. Papà (Alessandro Brini): tu te la sentiresti di fare il vino? Se proviamo con la cantina mi dai una mano? Che dici, facciamo la cantina qui? Sotto quelle scale. Si riscendono quelle scale, si risalgono, quelle rozze scale della cantina in tufo a nove metri, si sorride. Si guarda fuori, c’è quella meraviglia di Monte Massico. Che protegge da tutto, anche dai pensieri cattivi. affascina e coinvolge. Non per la sua storia, ma per la sua attualità. Per la sua veridicità. Per quello che oggi potrebbe diventare domani. Per la sua vicinanza al vulcano di Roccamonfina, prolungamento, meravigliosamente possente, dei ricordi lavici. Casa comprata. Terra comprata.

Ancora Maria Felicia da piccola

Poi viene il 17 gennaio, le ore 17. Mia nonna è morta, si torna alle origini, l’attuale Masseria Felicia era stata persa a carte dal nonno di mio marito. Comprata da una baronessa che amava il Monte Massico, la mia seconda nonna era diventata colei che la gestiva, (da scriverci un romanzo d’appendice). In anni non li ho mai visti tornare. Si fa il vino, anzi si continua, anzi no, si comincia con una nuova vigna, il Falerno, aglianico e piedirosso. Con i dettami della tradizione. Impiantiamo và!

Anno uno – Io, è il 2000. Gli Esami. Frequentare lettere e imbattersi/sbattersi per l’esame di latino e scoprire che si parla proprio di quella terra dove mi rinchiudo per studiare e da dove, dal balconcino, vedo la vigna e il monte apre l’anima e innesca progetti, pensieri, possibilità, che vedi crescere dopo ogni mese, dalle foglie ai germogli vivi vivissimi. Materici sogni che attecchiscono. Forse, e dico forse, e oggi dico, che è vero: la terra ti dice quello che è giusto. Troppe intuizioni, troppe interferenze emotive e storiche, non si può lasciare andare così un progetto nato dal cuore, dalla carne di mio padre, di mia madre? Perché si viene a studiare qui? Perché è isolato, perché non ci sono sovrapposizioni, nemmeno la televisione. Perché si è soli e soli si rimane. Questo è un grande problema. Ma c’è possibilità di esprimersi, di creare da zero. Di dare voce a questa terra. Darle un nome.

Anno uno – vigna Etichetta Bronzo, 1999/2002. Ancora Esami. E’ il 1999¤, la prima vendemmia. La vigna ci parla di lei. Da sola. Senza ausili. Con tenerezza, come l’odore della pelle di un bambino appena nato. Solforosa? Malolattica? No. Castagno, botticella, torchio a mano con mattoni sporchi. Eccolo il suo primo figlio! Vero. Vulcanico, sanguigno. E’ un Falerno, senza legno, no barrique. E quello che vedo fuori i vetri. E’ quello che viene dalle braccia di mio padre, dai miei occhi indecisi, su quanto si faccia sul serio. E sul serio si fa a Vinitaly nel 2002. Con l’annata 2000, ma senza rendersene ancora conto. Dopo anni il territorio si muove, una nuova cantina si presenta con due etichette, anche questo un caso. Etichetta color Bronzo, Etichetta color Senape. Falerno del Massico Masseria Felicia¤ barrique e quello che non “c’entrava” corre in acciaio. L’esame, quello con la gente, quello con i giornalisti. Chiunque si avvicini ai nostri calici è uno sconosciuto; è, per noi, curiosità di intenti, quello che rotea il bicchiere e che fa roteare i nostri occhi. E’ andata. Che si fa?

Alessandro Brini con Alice

Anno vero – Io, nel 2004. Determinazioni. Mi sono trasferita, è nata mia figlia qui, quest’anno. Le scale sono cambiate, si studia su due binari, la tesi da finire, e il vino da comprendere, stesso Massico protettore, alla finestra, e quella domanda nella testa che sbatte sulle pareti inconsistenti di un piccolo spazio visivo: dove possiamo arrivare? Eccolo il mio lavoro. Unico, si cambia tutto. Eccoli mio padre, mia madre, Fabrizio mio marito, che investono tempo, cuore, anima e corpo soprattutto.

Anno vero – Le vigne, 2001/2003/2005. Ancora Determinazioni. Nel frattempo, la Vigna dell’Etichetta Bronzo¤ cresce, altro non c’è che un vino che piano piano ridefinisce la sua fisionomia, un vino che “attrezza” il suo altare. Altre due vigne impiantate, Ariapetrina, quella che è la voce della vita terrena di questo posto, e la vigna del futuro Falerno del Massico¤ e la nuova conduzione della vecchia vigna del nonno, un piedirosso vecchio, ma vecchio quanto lui. Vendemmia 2004, con Alice qua nel marsupio.

Maria Felicia Brini

Anno canovaccio – Io, è già 2006/2008. Presa di coscienza. Ritorna il 17. Mi sono laureata il 17 febbraio. È il mio numero, lo so. Non sono nemmeno emozionata, né nervosa. Rilassata, forse perché la cosa più importante della mia vita l’ho “già fatta”, quella per cui le foglie delle palme, degli ulivi, della vite, cantano dalla finestra e insieme si ascoltano, al vento d’autunno, ed è Alice che le intende e che da un significato a quelle scale, a quegli esami.

Anno canovaccio – Le vigne, sempre là tra il 2006 e il 2008. Altra presa di coscienza. E’ ora di crescere, di cambiare, di imparare. Di rinunciare alla coincidenza e prendere decisioni, farsi una ragione del perché la strada che da Napoli che conduce a Sessa non sia più percorsa. Perché stare lì. Perché il Falerno e la sua terra è diventata una ragione di vita. Una bottiglia di vino è diventata fondamentale, diventata interlocutrice da comprendere, e da rispettare. L’incontro, voluto, con Vincenzo Mercurio¤ che cambia le prospettive, la progettualità non invasiva, la richiesta di cooperazione, il patto che qui si entra in famiglia, si fa vivo e rinnova con l’annata 2008 la ricerca con la coscienza del fare.

Maria Felicia in cantina

Oggi – Insieme, quasi un tutt’uno. Crescere in maniera naturale, senza alcun tipo di filtri e di barriere mentali o di sovrastrutture che ti appesantiscano un terreno (un territorio), viverlo, sentirne i colori e i profumi, questo è un inizio vero, familiare, questo sta vivendo mia figlia. Questo ho vissuto io. La sua storia, l’immensa consapevolezza che arriva con lo studio, con un ‘assimilazione spinta dalla curiosità, con la cognizione di avere anni di passato alle spalle e sulle braccia fatica umana e sacrificio economico – “narrazione latina” e avvicendamenti familiari, rendono il nostro lavoro molto difficile emotivamente e progettualmente.

Oggi sei i vini. Amo i loro nomi portatori di storie nate singole e rimaste individuali: Etichetta Bronzo¤, Ariapetrina, Falerno del Massico, Anthologia, Sinopea, Rosalice¤, per tre vigne e le loro piccole parcellizzazioni; sono conosciuti, richiesti, ma soprattutto rispettati. La gente viene e ci sorride e percorre con noi quella vigna, vede il Massico, gli raccontiamo una storia che parte dai poeti latini e arriva alla fatica contadina, per essere oggi dimostrazione che c’è del buono, del sano, del vero a Caserta, in quell’Ager Falernus non ancora nominato fin ora: per profondo pudore nel doversi confrontare con così tanto, perché c’è la necessità di doversi reinventare oggi e non “campare di allori antichi”. Per sorridere. Perché siamo fortunati. E bravi, e sì, siamo bravi, ma più importante, felici.

di Maria Felicia Brini, Faccia da Falerno – L’Arcante 2013.

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Pare sentirla la voce di Maria Felicia mentre scrive questo post, raccontare questo pezzo di storia di famiglia. Manco una virgola mi son permesso di spostare. Quale modo migliore per raccontare una terra, un vino, persone se non quello di starle ad ascoltare¤? [A. D.]

Pochi post per tanto lavoro

29 aprile 2013

Aprile è un mese da sempre abbastanza tosto da far conciliare con gli impegni di questo blog con tutti voi lettori, che poi nonostante la poca ‘ciccia’ messa in rete in queste settimane non avete comunque mollato un attimo la presa. Che dire, grazie, grazie assai.

L’assenza di continuità di questi giorni è dovuta principalmente al tanto lavoro speso in cantina qui a Capri, a rimettere le cose in linea con i nostri standards e soprattutto con le aspettative di una stagione che si prefigura tra le più importanti degli ultimi anni. Un lavoro determinato che consentirà però di raccogliere buoni frutti sin da questa settimana; c’è infatti già tanta carne sul fuoco, nerboruta e succulenta, che fa poco fumo e tanto arrosto: c’è da raccontare di alcuni nuovi assaggi ma anche e soprattutto delle prime impressioni sulle nuove uscite degli ormai grandi classici, campani in primis. Stay tuned!

Intervallo. Torno subito…

14 aprile 2013

Franco Biondi Santi, l’autentico gentiluomo

7 aprile 2013

Così oggi se ne va, a 91 anni suonati, ‘l’ultimo fedele guardiano intransigente della tradizione del Brunello’, quel Franco Biondi Santi¤ da tutti quanti riconosciuto qual vero e autentico gentiluomo d’altri tempi. Appena due anni fa ne raccontammo qua¤, fu un momento a dir poco indimenticabile! R.I.P..

Franco Biondi Santi - foto A. Di Costanzo

Buona Pasqua!

31 marzo 2013

Lilly Avallone, Angelo Di Costanzo - foto Letizia Di Costanzo

Tu chiamale se vuoi distrazioni… con Riserva

17 marzo 2013

E’ chiaro che nulla cambia sulla sostanza della faccenda, il Coste 2008 dei Lonardo è un grandissimo vino, forse proprio lui il migliore tra i 64 vini assaggiati all’anteprima di Serino, con tutte le potenzialità per rimanere lì per tantissimi anni avanti. 

Se ne sono accorti proprio tutti, ma soprattutto oltre oceano premiandolo giustamente con punteggi altissimi, quanto merita. Mi fa specie però che una critica¤ di tale ‘portata’ non verifichi particolari nella forma così importanti per quanto riguarda l’etichetta di un vino, presentandolo come Taurasi Riserva (come pure il gemello diverso Vigne d’Alto) quando in realtà non lo è. Semmai è un cru ‘annata’ che esce però sul mercato un po’ più in là rispetto agli altri, una selezione cui i Lonardo destinano – lo fanno da poco e solo nelle migliori annate¤ – la raccolta di quei grappoli migliori dalle vigne tutto intorno Taurasi, le ‘coste’ appunto. 

Ma allora che è successo? C’è stata cattiva informazione in merito? A Taurasi Vendemmia¤ sicuramente no! Tutti i vini erano chiaramente esplicitati nelle due liste (una alla cieca ed una nominale) consegnate a ciascuno dei degustatori presenti. Per quanto riguarda Parker¤ invece si possono solo supporre probabili ‘giustificazioni’: i vini gli saranno stati presentati così magari dall’importatore cui s’è rivolto, con un po’ di confusione sulla traduzione dei termini Selezione, Riserva o Cru. Ma perché non approfondire la questione vista poi l’altissima valutazione? 

Insomma, per farla breve e venire al dunque, è chiaro che il fissato sono solo io, ci mancherebbe, ma si trascura un effetto ahimè non proprio trascurabile di un certo modo di fare: una critica così autorevole e seguita, si rivolge ad una platea ampia che, nonostante i luoghi comuni tendono a liquidare frettolosamente come ‘internazionale’ e disinteressata a certi vini di spiccata personalità è invece particolarmente attenta ed esigente, ha passione e non di meno disponibilità tali da spostare sensibilmente i consumi. Ma possiede di sovente anche il piglio e la spocchia necessari per mandarti indietro una bottiglia dove non c’è scritto sopra Taurasi Riserva Coste come si aspetta di trovare. E non sarà certo Parker ad aver sbagliato!

Taurasi Vendemmia 2013| Una critica autorevole

12 marzo 2013

Non si dica che la manifestazione non sia guardata con sempre maggiore attenzione da parte dei giornalisti del vino di un certo spessore. Mi è parso, anzi, piuttosto ispirato il parterre di questa edizione 2013 di Taurasi Vendemmia¤, cui ho avuto ancora una volta il piacere di prendere parte. Ispirato e pure di un certo respiro ‘internazionale’ quest’anno.

Alla sempre nutrita schiera di giornalisti e blogger italiani si è unito quest’anno anche Daniele Cernilli¤, senza dubbio tra i palati più fini in circolazione. Come sempre molto appassionato invece Carlo Macchi¤, come del resto Gigi Brozzoni del Seminario Veronelli, Monica Coluccia¤ di Bibenda e tanti altri ancora particolarmente accorti nel seguire da vicino le vicende dell’aglianico, dell’Irpinia e della Campania tutta.

A guardare poi attentamente in giro, davvero suggestivi gli accrediti ai giornalisti stranieri. Mi confermano che c’erano, nell’ordine: Benjamin Weinberg¤ di In Vino Veritas – Usa, Tom Maresca¤ di Decanter – Usa, Tom Hyland¤ di The World of Fine Wine, Sommelier Journal e Decanter – Usa, Anders Levander di Livets Goda dalla Svezia, Kuba Janicki¤ dalla Polonia, Wolfgang Schedelberger di Gast.at dall’Austria e Walter Speller¤ per Jancis Robinson blog.

Embè, non so se ne abbiano contezza i produttori, e più in generale il territorio, di quanto sia una rara opportunità una così qualificata finestra sul mondo. Io però una parolina di entusiasmo per chi ci sta mettendo la faccia e tanto duro lavoro di comunicazione in tutto questo la spenderei a prescindere. Forza e complimenti ragazzi, avanti così!

Quintodecimo, a casa di Laura e Luigi

23 febbraio 2013

I passaggi¤ a Quintodecimo non sono mai ripetitivi, mi portano bene e danno ogni volta quella scossa necessaria per cogliere al meglio quelle nuove prospettive necessarie in un mondo sempre troppo avvitato su se stesso. Il piacere di stare assieme, le storie, la musica, quella dell’anima, alla fine ci salvano tutti!

Luigi Moio, Quintodecimo - foto A. Di Costanzo

Ne lascio qualche traccia non per pavoneggiarmi dell’amicizia di Laura e Luigi, persone per bene, disponibili ed intelligenti quanto basta per fare di ogni attento visitatore il migliore degli ospiti possibili, ma per anticipare a quegli stessi appassionati che vorranno andarci prossimamente, una o due cose abbastanza rilevanti con in più un paio di novità da non mancare.

La prima cosa è che l’azienda è sempre più bella, pure quando la vigna è spoglia, con la cantina, ordinatissima e suggestiva, praticamente vuota! Nel senso che a parte le vasche e i legni con le nuove annate in affinamento e le riserve di Taurasi in elevazione, niente, non v’è traccia di bottiglie se non quelle di prossima uscita in Marzo; e l’archivio storico naturalmente, che però, da quanto confessato da Laura, bene farebbe Moio a tenersele sottochiave. In tempo di crisi, direi che non è poco.

Quintodecimo, passaggio in cantina - foto A. Di Costanzo

La seconda constatazione – che poi sono due – sta nell’aver colto, durante gli assaggi dei cru 2011 in bottiglia e 2012 in affinamento tra vasche e legno, un “alleggerimento” sostanziale del sorso a favore però di una profondità gustativa di notevole rilevanza, così, d’emblé, assai più immediatamente incisiva al primo assaggio che nelle precedenti uscite. Un vero schiaffo!

Ne sono testimonianza, nella loro chiara diversità, la falanghina Via del Campo duemilaundici che sembra avere già tutti i numeri a posto per sparigliare le carte in tavola: luminosa, verticale, ineccepibile e l’Exultet 2012, la cui parte in affinamento in legno sembra chiaramente “urlare” di finire in bottiglia sin d’ora così com’è. Non a torto (nostro).

E’ chiaro che questi ultimi 5 anni sono serviti al Professore per avere piena contezza di quanto dicessero le sue idee e le scelte portate avanti con ragionevole fermezza; che, per coglierne sommariamente una vaga idea basterebbe riassaggiare il sorprendente Exultet 2006¤, il primo, per comprendere a pieno quanto il fiano, ma lo stesso aglianico¤ o il greco, la falanghina nelle mani di Moio avranno tanto da dire soprattutto nei prossimi anni a venire. Una roba da non credersi, un vino in grande forma, sbocciato imperiosamente ed in piena voluttà espressiva.

Fiano di Avellino Exultet 2006 Quintodecimo - foto A. Di Costanzo

Dicevo poi delle novità: una è l’arrivo ormai imminente del secondo cru di Taurasi Riserva, il Grande Cerzito¤ 2009 in uscita si pensa il prossimo novembre 2013, di cui però, come sugli altri rossi, scriverò dettagliatamente a breve; l’altra è l’acquisto di tre ettari e mezzo di vigna a greco nel cuore di Tufo, l’anima più antica forse della denominazione che sarà del Giallo d’Arles¤, quel campione di cui da un paio d’anni faccio davvero fatica a stare senza. Cru era, da una sola vigna di Santa Paolina, cru rimarrà, ma ora, finalmente, di proprietà. Che dopo l’impianto di qualche anno fa proprio a Mirabella Eclano di falanghina (il 2011 già reca in etichetta l’Irpinia doc) ed il consolidamento della conduzione in Lapio con la vigna che da vita all’Exultet, sembra chiudersi il cerchio magico dei domaines di Quintodecimo.

Poi vabbè, ci sarebbe da dire di quel Metamorphosis, ma questa è un’altra bella storia non ancora da svelare.

Il primo post dell’anno

1 gennaio 2013

Siamo sopravvissuti alle feste, ne usciamo vivi e già questo dovrebbe farci strare allegri e ben sperare per questo nuovo anno che abbiamo appena cominciato a camminare; leggo in giro di tanti buoni propositi, bene, a me, sul tema vino e cibo, mi saltano in mente una o due cose così…

Primate

Di vino c’è sempre più tanta roba in giro, buoni e cattivi a non finire, mi auguro piuttosto un approccio molto meno snob da parte di tutti. Sì, perché talvolta si è andati oltre, è vero, e mi sta bene un richiamo alle origini, a certe cose semplici; ciononostante trovo inverosimile, per quanto davvero snob, mettere tra i propri migliori assaggi dell’anno “quel memorabile” vino sfuso, sia pure di quel Valentini da Loreto. Ed è ancora più snob – sottolineo – farlo mettendo le mani avanti. Perché va bene darsi una regolata, ma non esageriamo, per piacere. 

Non frequento e non mi piace Masterchef¤. La cucina, cuochi, camerieri e sommelier come Soap, veline e tronisti? No, per favore no. Poi si sa, un ristorante è più e molto altro che una trasmissione televisiva, ahimè però solo sino a quando non ci finisci dentro a fare la star. E’ un po’ come tenersi fra i denti la fortuna di questo o quello “solo perché conoscerebbe quel tale o è amico del giornalista”; poi succede che quel tale, o quel giornalista, te lo ritrovi alla tua tavola e diventa pure amico tuo. 

E a proposito di Guru e affini: guardate che non sono Dio, ma se ci credete così ciecamente non dite poi in giro, vi prego, che è tutta colpa loro!

Repetita iuvant

26 dicembre 2012

Dico a voi appassionati, professionisti, fanatici, capiterà pure a voi di stare in tavola con commensali curiosi della vostra passione e dover ritornare di tanto in tanto su “ma che bello il vino, ma come si fa a capirci qualcosa?”; bene, facciamo così, facciamogli vedere, ancora una volta, come si fa.

Rookie

Anzitutto riempiamo il bicchiere per circa un terzo e puliamoci tutti la bocca con un boccone di mollica di pane o, se preferite, un cracker non salato. Alzate il calice all’altezza degli occhi, guardateci poi dentro, piegatelo, cercando laddove ci sono, tutte le sfumature del colore (è vispo o è spento, è luminoso o cupo?). Alla vista soffermatevi sulla limpidezza, il colore del vino, la vivacità¤, cercatevi magari indicazioni sull’età, la ricchezza, il corpo (è concentrato o l’attraversa la luce?). 

All’olfatto prendete tempo, buttateci il naso dentro per pochi secondi e, senza esagerare, se necessario tornateci su più volte durante l’assaggio; non bisogna trascurare la benché minima sfumatura se desiderate coglierne tutta l’anima, o fare un’attenta valutazione di ciò che avete nel calice. Fategli fare magari un paio di giri, la percezione di certi profumi si esalta facendo roteare il vino sulle pareti del bicchiere. Mettetevi alla prova, suvvia, cosa ci trovate? Sa di fiori, di frutta¤, vi ricorda qualche odore in particolare? Provateci, cercate poi di fissarlo bene in mente, non abbiate timore, altrimenti non imparerete mai. 

E’ quindi necessario fare piccoli sorsi ma al contempo non perdersi in troppi rivoli; una piccola quantità di liquido in bocca permette la percezione del gusto vero e proprio, ma anche avere conferme del profumo, attraverso le vie retronasali della bocca. Cercate di spostare il vino in bocca in tutta la cavità orale, in modo da sollecitare tutte le papille gustative della lingua. In questa fase si percepisce una prima sensazione d’attacco (è secco, magari pungente, alcolico ecc…) una variazione continua di gusto¤, l’evoluzione ed infine il retrogusto, quando il vino ha lasciato la bocca. E poi ancora un piccolo sorso, per un ultimo esame in bocca, prima di deglutirlo. 

Ecco, non è necessario essere dei maghi, degli espertoni, se un vino non vi ha convinto dopo tutto potete ancora concedergli un’altro assaggio; ma un vino che ha qualità, stoffa, carattere, al di là che sia o no nelle vostre corde a questo punto vi avrà già conquistato. Oppure no. Adesso però sapete come fare a riconoscerlo, quello buono¤, e non vi resta che provare, provare e riprovare e, mi raccomando non solo a Natale o all’ultimo dell’anno.

Segnali per il futuro (nuovo listino prezzi)

20 dicembre 2012

Fine anno vuol dire anche guardare con entusiasmo al nuovo che arriva; nessuna novità rilevante da segnalarvi se non che L’Arcante, quest’anno cresciuto in maniera esponenziale, con nostra grande soddisfazione, continuerà la sua marcia epistolare come al solito, con lo spirito e la curiosità che ci accompagnano da tre anni e la sincerità che ci lascia raccontare le nostre esperienze col vino e col cibo con tutto l’amore possibile.

L'Arcante 2013

Invero qualcosina di nuovo lo stiamo già facendo da qualche settimana, avrete notato infatti che le immagini, ormai quasi tutte originali, sono sempre più numerose e chiare, soprattutto per quanto riguarda il lavoro di Lilly¤ in cucina. C’è sempre però da migliorarsi: così, sin da ora e nei prossimi post, per rendere ancora più scorrevole la lettura potreste ritrovarvi talvolta dinanzi a questo simbolo – ¤ segnalato in grassetto subito dopo una parola: non è altro che l’invito ad aprire un link correlato all’articolo che state leggendo.

Quasi dimenticavo. Qui di seguito, per fugare ogni dubbio, eccovi un aggiornamento al 2013 del nuovo listino prezzi con ulteriori parole che entrano a far parte del carnet a disposizione degli operatori del settore. Ci teniamo a sottolineare di aver ribassato notevolmente il costo dei termini “buono, buonissimo” per venire incontro alle tante richieste pervenuteci. Diciamo che è l’unica concessione che ci sentiamo di fare al libero mercato e agli ormai tantissimi competitors, che poi si sa, la trasparenza è la nostra formula vincente! 

  • Intenso e persistente (in coppia o singolarmente): €ur 2,80 + iva.
  • Azienda modello: €ur 4,50 + iva.
  • Buono, buonissimo: €ur 1,50 + iva. anziché €ur 4,40 + iva
  • Equilibrio, e. magistrale: €ur 3,00 + iva più €ur 3,50 per magistrale.
  • Ficcante: €ur 2,60 + iva.
  • Manico pregevole: €ur 2,90 + iva.
  • Monumentale, vino m.: €ur 6,80 + iva.
  • Raro, rarità: €ur 5,85 + iva.
  • Splendido: €ur 4,10 + iva.
  • Unico: €ur 5,80 + iva. 

Come sempre il dizionario completo con tutti i termini e le valutazioni relative è a vostra disposizione contattandoci privatamente su larcante@libero.it.

Vini che servono a Natale

18 dicembre 2012

Non è mica sempre necessario stilare una classifica di quali siano i vini migliori o i più buoni da servire in tavola durante le festività di Natale e l’ultimo dell’anno. Quest’anno dai, fatela facile…

Auguri

Invero talvolta basterebbe pensare a quali servano effettivamente in giorni durante i quali tutti rincorrono la migliore bottiglia possibile solo ed esclusivamente in funzione del prezzo e del blasone che si portano dietro; stupire ed impressionare sembrano gli unici aspetti della faccenda, facendo cadere la scelta su idee non sempre azzeccate purché funzionali alla sorpresa. Ma in tempo di crisi, e con budget ridotti, val bene ragionarci su per non sprecare tempo e soprattutto denaro. 

Per i regali qualche buon consiglio ve l’abbiamo dato qui, ma ci ritorno su volentieri col dirvi che per gli acquisti giusti affidatevi alle enoteche specializzate, oggi più che mai, perché al di là di congetture e stereotipi, chi sopravvive a questa crisi è veramente appassionato al suo lavoro e sa come si fa, come accontentarvi sul serio. Inoltre, altra arma a vostro favore, sempre più cantine si aprono al pubblico con la vendita diretta: un motivo in più per fargli visita, conoscere persone, toccare con mano e magari risparmiare qualche euro. 

Tornando alla tavola, la sera della Vigilia ed il pranzo di Natale, come pure il cenone dell’ultimo dell’anno, rappresentano momenti di rara familiarità, ricerca di serenità e quiete; un aspetto questo da non sottovalutare nello scegliere cosa mettere in tavola, che non disdegna un poco di distrazione, un approccio, tanto per dire, facile e disinvolto. Una leggerezza che non troviamo certo nei menu delle feste, con una sequela di stuzzichini, quasi antipasti, antipasti, primi piatti, inframezzi, secondi, pause e dolci e coccole che sembrano non finire mai e che, in realtà, non finiscono proprio mai. Tutto ciò vorrebbe, esige, vini non troppo impegnativi.

L'Abbondanza

Ritengo infatti questo periodo fortemente a favore di bianchi giovani, gradevoli e leggeri al palato: della buona falanghina¤ o coda di volpe, l’asprinio¤ per i più audaci, tanto per pescare in Campania dove però non bisogna dimenticarsi di certi fiano di Avellino e greco di Tufo sempre interessantissimi. Io però, tra i bianchi, quest’anno metterò in tavola i primi, alcuni anche in versione spumante. 

Sui rossi confido in che sia un momento di rilancio per uno dei miei vini del cuore, il Taurasi¤, anche se per cosa e quanto si mette in tavola soprattutto il giorno di Natale mi sento di propendere più per certi Falerno del Massico¤ che per il rude aglianico taurasino. Non mancheranno certo bottiglie di Piedirosso dei Campi Flegrei¤, e qualche buon rosso da fuori regione ma, anche qui, come per i bianchi, prima di aprire etichette un po’ più impegnative ci penserò due volte. Così è in effetti, gira che ti rigira non è mai questo il momento indicato per tirare il collo ai “gioielli di famiglia”. Per lo Champagne¤ sto ancora a pensarci. 

Cioè, sia chiaro, nulla vieta di stappare Signore bottiglie, un grande vino lo è sempre, purché gli si conceda un parterre adeguato e la giusta attenzione. Per farla breve, diciamo che aprire un Puligny-Montrachet¤ o un Brunello Riserva¤ di Soldera non è mai occasione sprecata purché non serviti sull’insalata di rinforzo o quando, in tavola, è tempo di noccioline americane, il cosiddetto “spasso”!

Vino vecchio 

Così un consiglio chiaro e immediato sarebbe quello di bere cose semplici, interessanti certo ma comprensibili a tutti i commensali. Tanto va a finire sempre che inzuppi il Roccocò¤ nell’ultimo bicchiere di rosso e che, sugli Struffoli¤, ti ricordi di quel Moscato d’Asti lasciato là sotto al mobile del salone da almeno tre quattro anni. Naturalmente inopportuno. E che rimetti al suo posto perché sicuramente imbevibile. 

Serene festività a tutti voi quindi, buon Natale e che il 2013 sia, finalmente, un buon anno davvero.

Siamo tutti con Gianfranco Soldera

4 dicembre 2012

Ieri una brutta notizia ci ha resi tutti un po’ più poveri, tolto il fiato, lasciati increduli. Arrivava da Montalcino, luogo simbolo del vino italiano.

Gianfranco Soldera - foto A. Di Costanzo

Nella notte del 2 dicembre scorso dei malviventi – perché tali sono, altro che vandali – si sono introdotti nella cantina di Gianfranco Soldera a Case Basse aprendo tutti i rubinetti delle botti in cantina con il vino in elevazione. Sono andati persi 626 ettolitri di Brunello delle annate dal 2007 al 2012 appena raccolto. Un disastro incredibile! 

Un gesto assurdo che ha però un valore simbolico molto preoccupante per tutto l’areale, per tutti quanti i produttori di Montalcino; così mi sento di appoggiare a pieno l’invito lanciato da Carlo Macchi su Winesurf ai produttori ilcinesi tutti ed al Consorzio di Tutela per dare sin da subito un messaggio forte per non lasciar passare l’idea che il fatto, di per se gravissimo, colpisca uno solo e non tutti quanti lì a Montalcino. 

Ben vengano naturalmente altre iniziative in tal senso, Soldera sarà anche inviso a molti ma è un riferimento assoluto per il territorio quanto per gli appassionati, ma quella di Carlo di creare un’etichetta  di Brunello “Montalcino per Soldera” dove tutti i produttori mettano un certo numero di litri del loro miglior vino potrebbe essere un modo serio e concreto per far capire che quei rubinetti sono stati aperti in tutte le cantine, quelle botti vuote sono di tutti e tutti contribuiranno a riempirle.

P.S.: l’azienda ha appena messo in rete sul proprio sito questo comunicato stampa.

Addendum del 7 Dicembre: gira in rete sempre su iniziativa di Carlo Macchi di Winesurf, qui sul sito di Pignataro, l’invito ad inviare una mail al Consorzio del Brunello per sostenere l’invito a creare un Brunello “Montalcino per Soldera”; se vi va, se anche voi volete far sentire anche la vostra “voce” inviate una mail a info@consorziobrunellodimontalcino.it  scrivendo “Vogliamo il Brunello “Montalcino per Soldera”.

Aggiornamento del 18 Dicembre: come riporta il sito de La Nazione ci sono aggiornamenti importanti sulla faccenda che pare sia riferibile ad una iniziativa solitaria di un ex dipendente dell’azienda che per questo è stato arrestato. 

Il silenzio degli innocenti

18 novembre 2012

Monforte d’Alba, Barolo Riserva Monfortino ’01 Conterno. Ma… a che ora è la fine del mondo?

24 ottobre 2012

La mente umana non può aspirare all’oggettività, pertanto quella che viene spacciata per tale è solo una chimera. A parlar di vino ancor di più. E questo viene sempre più chiaro.

Ora, se in un rapporto causa-effetto quindi tutto accade unicamente in maniera soggettiva, l’idea stessa di ritenere collegati i due fenomeni non avrebbe alcun fondamento logico, ma nascerebbe cioè da un istinto di abitudine, dovuto al fatto di vederli usualmente accadere in sequenza. 

Così chi oggi azzardasse mettesse avanti  i 100/100 per il Monfortino 2001 di Giacomo Conterno lo farebbe partendo da un assunto strettamente soggettivo, anticipando di gran lunga i reali valori in campo, rimettendoci, a suo rischio e pericolo, la faccia oltreché il buon nome; 100/100 che, dopo iersera, diventano un giudizio più che opinabile e, al momento, almeno per i molti che ancora rimuginano attorno a quella bottiglia lì a La Ciau del Tornavento, assai disatteso.

Guide ai ristoranti d’Italia 2013, il Gambero Rosso

13 ottobre 2012

Punteggio: 88due forchette
Cucina: 52
Cantina: 16
Servizio: 18
Bonus: 2

Locale d’eccezione all’interno di un albergo eccezionale. L’Olivo è senza dubbio un posto di lusso, frequentato da una clientela per gran parte internazionale e cosmopolita che ha disponibilità economiche non comuni e aspettative non comuni. Tuttavia la cifra stilistica di questa splendida struttura, e in fondo la ragione per la sua straordinaria fortuna, è sempre stata la solidità, la concretezza. Andrea Migliaccio interpreta con istintiva facilità questa filosofia: la sua è una cucina che trasforma ingredienti di assoluta qualità e li presenta in tavola con un’attenzione estetica inevitabile in un contesto come quello di un hotel in cui gli ospiti e opere d’arte abitano in egual modo gli spazi (bonus), ma ciascun piatto è, per l’appunto, solido e concreto. Di terra o di mare, le proposte dello chef sono tutte costruite a partire dalla centralità del gusto della materia prima e strutturate perché questo gusto giunga intenso alle papille. Uovo con mousse di provolone del Monaco puntarelle e pomodori canditi, risotto al basilico con seppie pomodori brasati e bottarga, merluzzo nero con spinaci pomodori secchi e spuma di whisky, solo per dare qualche indicazione dal menu. Servizio di altissima classe e professionalità, carta dei vini importante e ben costruita, “seguita” dall’ottimo sommelier Angelo Di Costanzo. Bonus per l’attenzione ai bambini, cui è dedicato un menu apposito. (da I Ristoranti d’Italia 2013 del Gambero Rosso)

Ora basta!

3 ottobre 2012

Non v’è più ragione che tenga dopo l’ennesima – maledettissima – bottiglia “di tappo”. Ora basta! Non se ne può più. Lo dico da tempo e lo ribadisco oggi ancora una volta con maggiore fermezza: per certe bottiglie è arrivato il momento di passare alle chiusure alternative, il tappo a vite su tutte!

E i produttori di vino dovrebbero essere i primi ad incavolarsi; tanta fatica, tanto lavoro in vigna e in cantina buttati lì nel lavandino per cosa, per nulla. Ecco, sono proprio loro le prime vittime di una bottiglia che sa “di tappo”. Quest’anno poi per qualcuno, spiace solo pensarlo, è stato proprio un gioco al massacro. Insopportabile!

Certo loro che possono farci, si dice. Bene, io come sommelier ci metto la faccia lì davanti al tavolo; loro, in più di una occasione, ci rimettono la reputazione (e non solo al cospetto del cliente). Di quella etichetta ne posso tessere le lodi, magari ci ricamo su un sentimento di appartenenza, ne esalto quando posso le peculiarità, l’originalità, talvolta l’unicità del prodotto. Poi, l’irreparabile, la beffa, tutto pare svanire in uno stappo: corked! bouchonné! tappo!

Sono cose che capitano, si dirà, l’incidenza tra l’altro è di poco superiore al 2-3%. Beh, io non ci sto lo stesso! Invero mi sono proprio stufato di buttare all’aria tempi e servizio (più i soldi) per un tappo di sughero da niente. E dover rincorrere magari una “impasse” che rischia, come mi è capitato almeno due/tre volte solo quest’anno, di diventare “orrore” a causa di due bottiglie di seguito di tappo allo stesso tavolo. Vaglielo a spiegare a quello che voleva bere Cloudy Bay mentre tu gli hai promesso la visione della Madonna in vacanza in giro per la Costiera!

Ora basta! Fate qualcosa, facciamo qualcosa. Subito!

Intervallo. Marina Piccola, sembra l’altro ieri…

23 settembre 2012

Chiacchiere distintive, di Angelo Gaja ed altre cose di questo mondo: la storia, il vino, il web

10 settembre 2012

E’ qui per fare vacanza, starsene tranquillo con l’amata Lucia e trascorrere le primissime ore del mattino a passeggiare alla Migliara ad Anacapri. Poi però cede alla tentazione lanciatagli iersera tra una chiacchiera e l’altra: “Le va di raccontare un po’ di storia della famiglia Gaja ai ragazzi dello staff, sarebbero onorati della sua presenza?”. “Manco a chiederlo Angelo, a che ora ci vediamo?”.

Inutile ricordare quanto sia bravo a tenere banco. Non è la prima volta che gli siedo davanti, ma oggi è più piacevole che mai. Il ricordo dei fondatori dell’azienda è un intercalare appassionato, poi si emoziona visibilmente quando parla di nonna Clotilde Rey*, della sua figura di donna severa e determinata, autoritaria ed esigente, di quanto sia stata fondamentale nella storia della famiglia. Cala il capo, prima di esplodere in un sorriso carico d’affetto, quando cita suo nonno Angelo che verso la fine dei suoi anni gli ricordava di sovente: “ad un uomo può anche capitare di sposare una donna più brava di lui, una in gamba, tosta. Ci pensi su ed arrivi alla conclusione che o la uccidi, o la segui. Io ho scelto di seguirla…”.

E’ una lunga storia, a tratti epica e ricca di sfumature. E’ orgoglioso quando rivendica le sue scelte, che ammette anche non essere state proprio tutte azzeccate ma ci tiene a riprenderle, una ad una, spiegandocele ognuna per bene.

Si va dalle prime occasioni mancate di comprar vigna in Barolo all’idea di andare in Toscana, sull’onda della grandeur dei Supertuscans; si passa poi dalla scelta, secondo lui obbligata – “per mille ragioni, ci dice” – di passare alla Langhe Nebbiolo coi suoi Grand Crus a quell’indimenticato “Darmagi!” esclamato da suo papà dopo aver piantato cabernet in terra di nebbiolo. Lo fa con orgoglio dicevo, sentimento che vira in felicità quando ci racconta dell’acquisto delle Cascine Marenca e Rivette a Serralunga d’Alba – dove si fa lo Sperss** -, avvenuta nell’88 e salutata quasi come una liberazione. Un omaggio al padre che proprio lì, in gioventù, aveva condotto le sue prime vendemmie; e di Ca’ Marcanda, che porta nel nome tutta la sua personale ostinazione che l’ha portato a sbarcare finalmente a Bolgheri dopo mesi di estenuanti tira e molla e trattative infinite con la vecchia proprietà.

E’ un fiume in piena Angelo Gaja, tantissimi gli argomenti toccati che non basterebbe una giornata per discutere di tutto e riportarne la cronaca; così, anche per questo, ci siamo dati appuntamento a fine ottobre lì a Barbaresco.

Ad alcune domande, tra le ultime, risponde con parole forti: lo fa su chi, dalle sue parti, continua a professarsi – autonomamente – conservatore della tradizione langarola quando “la storia nemmeno li ha sfiorati”. E non disdegna, più in generale, di condannare con fermezza la voracità della vetusta politica italiana, oltreché l’ostinazione di certi suoi esponenti intenti a guardare solo il proprio orticello più che l’interesse del paese. Un invito infine ai giovani, ad imparare sin da subito l’inglese e spostare, se necessario, le proprie ambizioni sin oltre i confini nazionali.

A pensarci bene è fatto proprio così, non si schermisce Angelo Gaja, non nasconde per esempio nemmeno di essere un vanitoso, e di essere inviso a diversi, eppure la percezione è che anche per coloro i quali il gradimento è ai minimi sopportabili rimanga un’istituzione per il mondo del vino italiano; e di certo lui non si fa mancare, di tanto in tanto, di ricordarlo in giro. Dice di farlo a modo suo, ne parla molto coi suoi clienti ma anche con i tanti (troppi!, cit.) “opinion leaders” di settore sparsi qua e là nel mondo eppure sempre proprio dietro l’angolo.

A tal proposito ci tengo a chiedergli ancora giusto un altro paio di cose sulla sua ultima uscita. Mi sorride, mi stringe forte al petto e prendendomi poi sotto braccio mi fa: “guarda che è tardi, facciamo tardi, tu hai da lavorare. Ci pensa due secondi su… “Vabbé dai, forza, sputa il rospo!”. E’ un grande!

Bene. In questi giorni è in giro sul web un suo pensiero sulla vendemmia 2012 e su come affrontare i cambiamenti climatici in atto. E’ lì la vera sfida del futuro per chi fa vino? Viviamo un tempo di grandi sfide, bisogna raccoglierle e fare del nostro meglio per affrontarle fino in fondo. Un tempo bastava consolidare la tradizione ereditata dalla famiglia, impegnandosi laddove possibile nel rilanciarla, affermarla, farla crescere. Oggi è diverso, non basta più solo quello, è necessario tirar fuori dalla storia nuovi orizzonti, scoperte, obiettivi.

E per far questo di cosa c’è bisogno secondo lei, tenendo conto del momento che converrà non essere proprio esaltante? Anzitutto la terra. Abbiamo in Italia ampie risorse per ricostruire un percorso di crescita economica virtuoso e proiettato nei lunghi termini. L’agricoltura ha bisogno di grande attenzione, innovazione, cura. E dare fiducia ai giovani, parlo soprattutto di noi vecchi che dobbiamo essere lì ad indicargli la via, non imporgliela, metterli sulla strada giusta e ricordargli la storia. Ma questi devono avere i mezzi per potersi mettere in gioco. In questo c’è bisogno di un grande slancio a livello istituzionale.

I cambiamenti climatici saranno quindi decisivi tanto da dover sviluppare una nuova agricoltura? Ma certo. L’Agricoltore, il vignaiolo per quanto ci riguarda, avranno un ruolo sempre più determinante. Solo chi vive la vigna sa di cosa ha bisogno in un determinato momento. Ma dovrà sapersi adeguare alle nuove occorrenze; certe malattie (della vite, ndr), ad esempio, a causa delle variazioni climatiche vanno scomparendo ma ne arrivano altre che bisogna saper affrontare.

Di concreto quindi c’è bisogno di tanta ricerca; possiamo anche immaginare l’abbandono di certe colture a favore di altre più adatte alle nuove “occorrenze”? Di certo c’è che con tutto il caldo di queste estati quelle che soffrono di più sono le varietà precoci. E’ necessario quindi imparare a “leggere” l’annata sin da subito, intervenire costantemente in vigna, con potature adeguate, defogliazione, ripensare l’irrigazione di soccorso, e avere naturalmente persone preparate per farlo al meglio.

Specializzazione insomma. Ma è lecito quindi pensare che la cantina, in senso stretto, acquisirà sempre maggiore importanza? Non si rischia così quell’omologazione di cui un po’ tutti fanno fatica anche solo a nominare? La cantina ha sempre avuto un ruolo importante, tuttavia ciò che la ricerca deve garantire sempre più è che il lavoro fatto in vigna venga interpretato al meglio senza stravolgerne l’essenza. Sicuramente chi può contare sulle giuste tecnologie ha una carta in più da giocare. Si può essere artigiani del vino senza essere necessariamente degli sfigati.

Per finire Sig. Gaja, ritornando ad internet e blog vari. Molti le imputano di usarli spesso come corrieri dei suoi pensieri, lei però si guarda bene da una vera interazione con i suoi frequentatori. Perché? Non è necessario, o non lo è quasi sempre. Poi, mettiamola così, io sono all’antica, c’ho 72 anni, ho bisogno di tempo per ragionarci su certi argomenti. Lì, nella rete o come diavolo la chiamate voi bloggers, tutto corre così velocemente che spesso tanti buoni argomenti, che andrebbero ragionati ed articolati, si perdono tra tante piccole fesserie.

* Alla nonna paterna Clotilde Rey (e alla prima figlia Gaia) è dedicato lo Chardonnay Gaia&Rey, un nome che volle essere un omaggio alla tradizione e al contempo uno slancio nel futuro.

** Sperss un tempo era Barolo Docg, oggi come tutti in Grand Crus di Gaja è un Langhe Nebbiolo. Quel luogo, le Cascine Marenca e Rivette in Serralunga, erano un vecchio pallino, scelto seguendo le orme del papà che in gioventù, per tre anni, lì ci aveva fatto vendemmia.

Qualcosa si muove (sul tappo a vite)!

5 settembre 2012

In ritardo ma con un certo buon umore apprendo delle ultime buone notizie che ci arrivano dal Palazzo, come ci segnala il buon Angelo Peretti sul suo Internet Gourmet. Incrociamo le dita.

“Le novità contenute nel nuovo decreto sull’etichettatura e presentazione dei vini Dop e Igp e altri prodotti vitivinicoli (leggi qui), sono, ancora una volta, una dimostrazione del lavoro attento e continuo che il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali svolge nei riguardi dei produttori, degli operatori e di tutti gli attori della filiera vitivinicola. L’adozione delle disposizioni normative, volte a tutelare le nostre produzioni, è una misura indispensabile per proteggere le nostre eccellenze nel modo adeguato”. [Mario Catania, Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali].

Cari Produttori, state in allerta che è il popolo che ve lo chiede! [A. D.]