Posts Tagged ‘aglianico’

Assaggi| Baciami ancora estate…

1 luglio 2013

Io me li porterei sempre dietro prima di partire per una vacanza. Anche solo appuntati su di un foglietto. Pochi vini, giusto qualche etichetta che non riesco a fare a meno di segnalare come i vini di questa mia estate (di lavoro) 2013. A cominciare da qualche buon assaggio di rosati 2012…

Speciale turismo estate

Sono proprio questi¤ quelli da bere con semplicità, magari in compagnia e senza troppe fisime; quei vini capaci di sollazzare il palato, accompagnare a dovere quattro chiacchiere ed una cucina che in estate si alleggerisce parecchio senza però perdere il gusto della precisione e della territorialità.

Uno di quelli da mettere nero su bianco con una certa sottolineatura è il rosato di quest’anno di Marisa Cuomo e Andrea Ferraioli. Il loro Costa d’Amalfi 2012 è fine ed elegante, ha un naso avvincente di viola e di ciliegia; è secco, piacevolissimo, soave sul finale di bocca. E rimanendo da queste parti non male anche il rosato di Tenuta San Francesco, su a Tramonti, solo un poco più ‘carico’ e asciutto, con quel pizzicore amaro sulla chiusura di bocca.

Molto buoni continuano imperterriti ad essere il Negroamaro rosato di Rosa del Golfo, ormai una certezza assoluta per chi beve rosati da anni come pure il Chiaretto Rosamara di Costaripa. Là in Salento la formula è immutata: un vino schietto e verace con tutto il sapore dolce e croccante dei frutti rossi della bella stagione. Mattia Vezzola invece l’ha indovinata ancora una volta e il suo Chiaretto si può dire ormai a tutti gli effetti il vero antagonista ai classici provenzali: dal colore tenue, ha naso sottile ed intrigante intrecciato persino di aromi lievemente speziati ed un sapore avvenente e delicato, tanto da richiamare continuamente il sorso.

Poco più su, in Alto Adige – ne ho già scritto qualche tempo fa -, m’è parsa una bella scoperta La Rose 2012 di Manincor¤. Un vino dalle tante sfumature eppure essenziale e piacevolissimo. Sempre sugli scudi il Pinot Nero Rosé di Franz Haas, già al terzo anno di successi con la vendemmia 2012 e, da segnalare, la buona uscita del Lagrein Rosé 2012 di Terlan.

Ritornando ai ‘nostri’¤, qualche appunto in chiusura: Peppino Pagano, San Salvatore, ha tirato fuori un Vetere 2012 un po’ più alleggerito; sinceramente mi è piaciuto meno del 2011 (per non dire dello strepitoso 2010¤), va detto però che tiene bene la freschezza e la gradevolezza della beva. Tra i tanti altri campani mi riservo invece di dedicare più attenzione alle bevute del Vado Ceraso 2012 di Vestini Campagnano, del Pedirosa 2012 di Vincenzino Di Meo e, non ultimo, il Rosalice¤ 2012 di Maria Felicia Brini, ‘versione aglianico’ stavolta, di cui conservo ancora buoni ricordi sin dal suo esordio. Il loro primo assaggio mi è parso assai interessante, d’altronde l’estate è appena cominciata…

Taurasi Pago dei Fusi ’06 Terredora. Parliamone!

27 Maggio 2013

Per quanto mi riguarda continuerò con molta probabilità a preferirgli il Fatica Contadina, senza alcun dubbio tra i Taurasi di maggior spessore in circolazione, in certe uscite davvero memorabile, vera e propria pietra miliare.

Taurasi Pago dei Fusi 2006

Con circa 200 ettari di vigneto di proprietà sparsi qua e là in Irpinia Terredora è certamente un riferimento di tutto rispetto, una di quelle aziende capaci di riuscire a coniugare grandi numeri a bottiglie in grado di strapparti comunque compiacimento e soddisfazione.

Etichette sulla bocca di tutti ma non sempre in prima pagina; una famiglia, quella dei Mastroberardino, tra l’altro abituata a tenere un profilo basso nonostante la dimensione produttiva attuale faccia pensare ad altro, ed una conduzione aziendale che rimane a misura familiare, con papà Walter saldamente alle redini e Daniela e Paolo a correre qua e là in giro per stare appresso alle pubbliche relazioni ed al mercato ormai chiaramente di livello internazionale.

Rimarcare la forte impronta territoriale dei suoi vini era anche una prerogativa del lavoro del compianto Lucio, il terzo dei fratelli Mastroberardino purtroppo prematuramente scomparso ad inizio di quest’anno. Persona che ha lasciato dietro di sé un grande ricordo, serbato con affetto e stima da tutti, da coloro che l’hanno conosciuto di persona a quelli come me che ne hanno solo sentito parlare in bene, per le sue capacità umane prima che professionali.

Lucio Mastroberardino

I suoi bianchi ad esempio non hanno mai ceduto al fascino della barriques, e i rossi mai sono stati spinti sopra le righe per piacere a tutti i costi, soprattutto i Taurasi, il Fatica Contadina, il Campore Riserva e, per l’appunto, il Pago dei Fusi, uscito la prima volta nel 2003 con l’intento di dare lustro alle vigne di proprietà in Pietradeifusi. Un 2006 dal colore rubino intenso, quasi ombroso, con un naso che è tutto un rincorrersi di fiori passiti e frutti rossi, ciliegia matura, susina, poi nuances tostate, ma anche spezie dolci e tabacco bagnato. Il sorso è gratificante, ricco di materia, asciutto ed appena tannico. Proprio quel vino spesso utile a chi si avvicina per la prima volta al Taurasi.

Intervallo|L’amore non si vende né si compra. L’amore si regala…

26 Maggio 2013

Carta dei Vini de L'Olivo del Capri Palace Hotel

I love Falernum, Masseria Felicia. Il ritorno e il desiderio dell’abitudine di Maria Felicia Brini

9 Maggio 2013

Camminare a passi lenti e brevi tra i filari e lasciarsi cogliere da un sorriso, quasi una smorfia della bocca che si trasforma in mezzaluna, e illuminare l’aria. Questa semplice azione che poi si è trasformata in abitudine, è quella che mi ha spinto a viverci tra queste vigne e questi uliveti. Il ritorno e il desiderio dell’abitudine.

Maria Felicia Brini

Anno zero – Io, sei/otto anni, tra il 1982 e 1984. Le Scale. Gioco sulle scale di marmo dai morbidi profili della casa di mia nonna, anzi della casa di cui lei era il colono. Quella in cui ora vivo. Paura e meraviglia nello stesso tempo, erano queste le emozioni che mi attraversavano salendo quelle scale di pietra lisce. Per arrivare al primo piano. Nella stanza delle bambole intoccabili, con gli occhi di vetro. L’odore forte del pane le domeniche mattina, di olio, di alloro affumicato per spazzare via la cenere dal forno, la luce accecante contro il buio della cantina di tufo e le scale rotte “che non devi scendere altrimenti cadi!”, e quel sentore di umido e la fragranza del sasso gocciolante. Mai scesa fin lì, per me territorio inesplorato. Oggi un giorno sì e un’altro giorno pure. L’abitudine che non c’era, ma il desiderio di goderne, sì.

Masseria Felicia, cantina (le scale)

Anno zero – Vigna Etichetta Bronzo, 1995. Ancora quelle Scale. Papà (Alessandro Brini): tu te la sentiresti di fare il vino? Se proviamo con la cantina mi dai una mano? Che dici, facciamo la cantina qui? Sotto quelle scale. Si riscendono quelle scale, si risalgono, quelle rozze scale della cantina in tufo a nove metri, si sorride. Si guarda fuori, c’è quella meraviglia di Monte Massico. Che protegge da tutto, anche dai pensieri cattivi. affascina e coinvolge. Non per la sua storia, ma per la sua attualità. Per la sua veridicità. Per quello che oggi potrebbe diventare domani. Per la sua vicinanza al vulcano di Roccamonfina, prolungamento, meravigliosamente possente, dei ricordi lavici. Casa comprata. Terra comprata.

Ancora Maria Felicia da piccola

Poi viene il 17 gennaio, le ore 17. Mia nonna è morta, si torna alle origini, l’attuale Masseria Felicia era stata persa a carte dal nonno di mio marito. Comprata da una baronessa che amava il Monte Massico, la mia seconda nonna era diventata colei che la gestiva, (da scriverci un romanzo d’appendice). In anni non li ho mai visti tornare. Si fa il vino, anzi si continua, anzi no, si comincia con una nuova vigna, il Falerno, aglianico e piedirosso. Con i dettami della tradizione. Impiantiamo và!

Anno uno – Io, è il 2000. Gli Esami. Frequentare lettere e imbattersi/sbattersi per l’esame di latino e scoprire che si parla proprio di quella terra dove mi rinchiudo per studiare e da dove, dal balconcino, vedo la vigna e il monte apre l’anima e innesca progetti, pensieri, possibilità, che vedi crescere dopo ogni mese, dalle foglie ai germogli vivi vivissimi. Materici sogni che attecchiscono. Forse, e dico forse, e oggi dico, che è vero: la terra ti dice quello che è giusto. Troppe intuizioni, troppe interferenze emotive e storiche, non si può lasciare andare così un progetto nato dal cuore, dalla carne di mio padre, di mia madre? Perché si viene a studiare qui? Perché è isolato, perché non ci sono sovrapposizioni, nemmeno la televisione. Perché si è soli e soli si rimane. Questo è un grande problema. Ma c’è possibilità di esprimersi, di creare da zero. Di dare voce a questa terra. Darle un nome.

Anno uno – vigna Etichetta Bronzo, 1999/2002. Ancora Esami. E’ il 1999¤, la prima vendemmia. La vigna ci parla di lei. Da sola. Senza ausili. Con tenerezza, come l’odore della pelle di un bambino appena nato. Solforosa? Malolattica? No. Castagno, botticella, torchio a mano con mattoni sporchi. Eccolo il suo primo figlio! Vero. Vulcanico, sanguigno. E’ un Falerno, senza legno, no barrique. E quello che vedo fuori i vetri. E’ quello che viene dalle braccia di mio padre, dai miei occhi indecisi, su quanto si faccia sul serio. E sul serio si fa a Vinitaly nel 2002. Con l’annata 2000, ma senza rendersene ancora conto. Dopo anni il territorio si muove, una nuova cantina si presenta con due etichette, anche questo un caso. Etichetta color Bronzo, Etichetta color Senape. Falerno del Massico Masseria Felicia¤ barrique e quello che non “c’entrava” corre in acciaio. L’esame, quello con la gente, quello con i giornalisti. Chiunque si avvicini ai nostri calici è uno sconosciuto; è, per noi, curiosità di intenti, quello che rotea il bicchiere e che fa roteare i nostri occhi. E’ andata. Che si fa?

Alessandro Brini con Alice

Anno vero – Io, nel 2004. Determinazioni. Mi sono trasferita, è nata mia figlia qui, quest’anno. Le scale sono cambiate, si studia su due binari, la tesi da finire, e il vino da comprendere, stesso Massico protettore, alla finestra, e quella domanda nella testa che sbatte sulle pareti inconsistenti di un piccolo spazio visivo: dove possiamo arrivare? Eccolo il mio lavoro. Unico, si cambia tutto. Eccoli mio padre, mia madre, Fabrizio mio marito, che investono tempo, cuore, anima e corpo soprattutto.

Anno vero – Le vigne, 2001/2003/2005. Ancora Determinazioni. Nel frattempo, la Vigna dell’Etichetta Bronzo¤ cresce, altro non c’è che un vino che piano piano ridefinisce la sua fisionomia, un vino che “attrezza” il suo altare. Altre due vigne impiantate, Ariapetrina, quella che è la voce della vita terrena di questo posto, e la vigna del futuro Falerno del Massico¤ e la nuova conduzione della vecchia vigna del nonno, un piedirosso vecchio, ma vecchio quanto lui. Vendemmia 2004, con Alice qua nel marsupio.

Maria Felicia Brini

Anno canovaccio – Io, è già 2006/2008. Presa di coscienza. Ritorna il 17. Mi sono laureata il 17 febbraio. È il mio numero, lo so. Non sono nemmeno emozionata, né nervosa. Rilassata, forse perché la cosa più importante della mia vita l’ho “già fatta”, quella per cui le foglie delle palme, degli ulivi, della vite, cantano dalla finestra e insieme si ascoltano, al vento d’autunno, ed è Alice che le intende e che da un significato a quelle scale, a quegli esami.

Anno canovaccio – Le vigne, sempre là tra il 2006 e il 2008. Altra presa di coscienza. E’ ora di crescere, di cambiare, di imparare. Di rinunciare alla coincidenza e prendere decisioni, farsi una ragione del perché la strada che da Napoli che conduce a Sessa non sia più percorsa. Perché stare lì. Perché il Falerno e la sua terra è diventata una ragione di vita. Una bottiglia di vino è diventata fondamentale, diventata interlocutrice da comprendere, e da rispettare. L’incontro, voluto, con Vincenzo Mercurio¤ che cambia le prospettive, la progettualità non invasiva, la richiesta di cooperazione, il patto che qui si entra in famiglia, si fa vivo e rinnova con l’annata 2008 la ricerca con la coscienza del fare.

Maria Felicia in cantina

Oggi – Insieme, quasi un tutt’uno. Crescere in maniera naturale, senza alcun tipo di filtri e di barriere mentali o di sovrastrutture che ti appesantiscano un terreno (un territorio), viverlo, sentirne i colori e i profumi, questo è un inizio vero, familiare, questo sta vivendo mia figlia. Questo ho vissuto io. La sua storia, l’immensa consapevolezza che arriva con lo studio, con un ‘assimilazione spinta dalla curiosità, con la cognizione di avere anni di passato alle spalle e sulle braccia fatica umana e sacrificio economico – “narrazione latina” e avvicendamenti familiari, rendono il nostro lavoro molto difficile emotivamente e progettualmente.

Oggi sei i vini. Amo i loro nomi portatori di storie nate singole e rimaste individuali: Etichetta Bronzo¤, Ariapetrina, Falerno del Massico, Anthologia, Sinopea, Rosalice¤, per tre vigne e le loro piccole parcellizzazioni; sono conosciuti, richiesti, ma soprattutto rispettati. La gente viene e ci sorride e percorre con noi quella vigna, vede il Massico, gli raccontiamo una storia che parte dai poeti latini e arriva alla fatica contadina, per essere oggi dimostrazione che c’è del buono, del sano, del vero a Caserta, in quell’Ager Falernus non ancora nominato fin ora: per profondo pudore nel doversi confrontare con così tanto, perché c’è la necessità di doversi reinventare oggi e non “campare di allori antichi”. Per sorridere. Perché siamo fortunati. E bravi, e sì, siamo bravi, ma più importante, felici.

di Maria Felicia Brini, Faccia da Falerno – L’Arcante 2013.

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Pare sentirla la voce di Maria Felicia mentre scrive questo post, raccontare questo pezzo di storia di famiglia. Manco una virgola mi son permesso di spostare. Quale modo migliore per raccontare una terra, un vino, persone se non quello di starle ad ascoltare¤? [A. D.]

Il territorio nel vino: suggestione o realtà?

2 aprile 2013

C’è una Campania che va, fa ed affascina come pochi. E’ quella che centinaia di produttori cercano di mettere nelle proprie bottiglie nel miglior modo possibile e che tanti di noi appassionati, sommelier, cronisti del vino tentiamo poi di descrivere, raccontare, far rivivere con parole proprie talvolta a centinaia di chilometri di distanza. E’ tutta suggestione o ché?

Locandina AISSA convegno Vinitaly

A Verona, il prossimo 8 aprile, si tenterà di fare chiarezza sull’argomento con un convegno ad hoc che si presenta tra i più affascinanti fra quelli messi in calendario¤ al prossimo Vinitaly 2013:  ‘Il territorio nel vino: suggestione o realtà?’¤ (si apre un pdf).

Promotore e primo relatore del convegno sarà Fabio Terribile¤, Ordinario di Pedologia dell’Università Federico II di Napoli nonché Presidente della Società Italiana Pedologi (SIPE), da anni impegnato col suo gruppo scientifico in diversi progetti di zonazione di successo (Soave, Etna, ecc…) e, in via sperimentale, sul monitoraggio di alcuni varietali a noi particolarmente cari (aglianico, piedirosso). Insomma, se state in zona, non mancate!

Paestum Aglianico Jungano 2010 San Salvatore

25 marzo 2013

Senza esagerare e perderci in troppi rivoli sempre complicati da navigare a vista diciamo che il Jungano incarna, è proprio il caso di dire, quel rosso di grande polpa che fa (quasi) sempre piacere ritrovare nel bicchiere: un aglianico del nostro tempo con tanta sostanza, tessuto e ciccia necessaria per stare in tavola, volendo, anche tutti i giorni.

Giungano, San Salvatore - foto A. Di Costanzo

E’ un vino di prorompente vivacità, anche immediato, di quelli che non hai bisogno del manuale d’istruzione per capire da dove cominciare. Ma attenzione però a non confondere questa chiarezza espressiva con la solita solfa di vini comuni a tutto tondo, anzi. Il Jungano 2010 è solo il primo giro di serratura che va spalancando le porte all’aglianico di questo sorprendente pezzo di terra sopra Paestum. Un rosso di gran carattere ma che sa toccare le corde giuste. 

Non ci metti molto a capirlo, è un rosso dal frutto incredibilmente piacevole, nero, teso, gioviale, che cede poco alla terziarizzazione, te ne accorgi tenendolo a lungo nel bicchiere, anche per un giorno intero: è un continuo riecheggiare di mora e rimandi balsamici che spiegano a pieno quanto potenziale possiede questo straordinario varietale quando sboccia stretto nella morsa di un terreno avido e minerale com’è da queste parti. Sapientemente interpretato.

Jungano 2010 - foto A. Di Costanzo

Non dimentichiamoci infatti la grande sostanza del progetto di Peppino Pagano che non si è certo lanciato in quest’avventura da sprovveduto, o solo per inseguire quella moda tanto cara – in tutti i sensi – agli imprenditori di successo in altri campi di fare vino per hobby. San Salvatore¤ è anzitutto un’azienda agricola a 360°, biologica non per manifesto ma per vocazione e che gira a palla sin dal suo debutto commerciale, non a caso in appena una manciata di vendemmie è già riuscita a smarcarsi proprio grazie alla forte personalità dei suoi vini bianchi¤ quanto più dei suoi due rossi¤.

Taurasi Vendemmia 2013| A chiudere, la sorpresa dei miei Taurasi e Taurasi Riserva 2008 preferiti

19 marzo 2013

Si chiude con quest’ultimo post il report sugli assaggi seriali di Taurasi Vendemmia 2013. Come anticipato qui¤, il ritorno sull’annata 2008 ha riservato tante piacevoli sorprese, concendendo tra l’altro a chi non era stato presente l’anno scorso, per un motivo o per un’altro, di proporsi con grande slancio ed efficacia. Non a caso proprio da questi i sussulti migliori. Chiudo infine col segnalarvi le tre etichette 2007 che più mi sono piaciute!

Servizio 'coperto' dei Taurasi

***** Taurasi Coste 2008 Cantine Lonardo, Taurasi – Valle Centrale/Riva destra del Calore. Non a caso ha messo tutti d’accordo, esperti e meno esperti che l’hanno provato e riprovato quasi increduli dinanzi a tanta sostanza espressa in maniera così pregevole. Secondo me solo una spanna o due sopra il Macchia dei Goti di Caggiano. Colore rubino fitto, poco trasparente, tinge di viola il calice. Naso ineccepibile, didattico mi verrebbe da dire, si concede a tratti ed ogni volta assai diverso e più intenso: amarena, mirtillo, cuoio, terra, sottobosco, anche dell’animale prima di finire dolce e balsamico. Sorso di grande sostanza, vigoroso, carnoso, con tanta materia, nerbo che s’allungano e allargano un palmo in più ad ogni passaggio in bocca. E’ un cru ‘annata’, non un Riserva come erroneamente riportato da alcuni¤, fatto solo quando possibile con le migliori uve colte dalle vigne di proprietà intorno Taurasi.

***** Taurasi Macchia dei Goti 2008 Caggiano, Taurasi – Valle Centrale/Riva destra del Calore. ‘Un aglianico di grandissima levatura’. Preso dall’entusiasmo per ciò che avevo nel bicchiere così chiudevo i miei appunti di degustazione appena dopo riassaggiato il campione n. 43. Invero mi sembra di ricordarlo preciso com’era ancora adesso che ne trascrivo le note, meraviglioso, non c’è che dire! Assente a Taurasi Vendemmia 2008¤, l’anno in bottiglia sembra avergli regalato quella compostezza che sinceramente da un po’ mancavo di trovare così nitidamente nel Macchia dei Goti. Ha uno splendido colore rubino vivace, un naso invitante, franco, di frutti rossi polposi e balsami, liquerizia. Sorso di grande respiro, caldo, ammanta quasi il palato con una impronta territoriale di grande fascino, slanciato, lunghissimo. 

****/* Taurasi Riserva Piano di Montevergine 2008 Feudi di San Gregorio, Sorbo Serpico – Valle Centrale/Riva destra del Calore. 12.000 bottiglie di pregevolissimo aglianico che rimangono testimonianza di quanto una grande azienda oltre ai numeri sappia far quadrare anche il bilancio storico che la vede sicuramente portabandiera, con poche altre, dell’affermazione dei vini irpini nel mondo. Il Riserva Piano di Montevergine è il gioiello di casa Feudi, per me, da sempre, il miglior rosso, checché sappia ‘raccontare’ in certe annate il loro Serpico¤. Bello il colore di questo 2008, rubino appena sgranato sull’unghia del vino nel bicchiere. Naso molto invitante, variopinto, sa anzitutto di amarena e prugna, poi di pepe, liquerizia, un tocco di caffé a chiudere. Sorso di buonissima sostanza, teso, giustamente tannico, con un allungo sul finale marcatamente balsamico. 

**** Taurasi Vigne d’Alto 2008 Cantine Lonardo, Taurasi – Valle Centrale/Riva destra del Calore. E’ chiaro che la scelta fatta dai Lonardo di venire fuori con tante diverse etichette¤ secondo quanto gli viene consegnato da madre natura ogni anno va applaudita e seguita con sempre maggiore attenzione nei prossimi anni, soprattutto per far comprendere meglio queste diversità a chi non sia proprio incline alle vicende aglianiciste taurasine. Vigne d’Alto, a differenza del fratello gemello Coste, viene fuori da piante vecchie, in media di 60-100 anni site in contrada Case d’Alto, a Taurasi. Anche qui il colore rubino è ben espresso, fitto e vivace. Ha un naso ciliegioso e speziato di pepe nero, anche un po’ cinerino. Il sorso è asciutto, austero, col tannino appena un po’ più pronunciato. Impeccabile esecuzione comunque. 

**** Taurasi Riserva Terzotratto¤ Etichetta Bianca 2008 I Favati, Cesinali – Assemblaggio. E’ un impegno costante ormai quello ‘rossista’¤ dei fratelli Favati e Rosanna Petrozziello, per la prima volta in campo addirittura con un Taurasi Riserva. Da uve provenienti da San Mango sul Calore e Venticano una manciata di bottiglie, appena 4.000, che sapranno però farsi ben valere tra le più conosciute ed apprezzate ‘Etichetta Bianca’ di casa, i cru di greco di Tufo¤ e fiano di Avellino. Mostra un bel colore rubino maturo di buona integrità. Ha un naso delicato ma di buona fittezza, ne viene fuori frutta matura, anche sottospirito ma soprattutto uno speziato molto invitante e curioso. Sorso austero di buon peso, sostenuto da una trama carezzevole e piacevolmente balsamica. 

**** Taurasi Nero Nè 2008 Il Cancelliere¤, Montemarano – Versante Sud/Alta Valle. Sembrerebbe che alla fine dovremo rinunciare a vedere in giro bottiglie di Taurasi Nero Né 2007. Oppure no, chissà. Tant’è che ancora quest’anno rimane lì in cantina a Montemarano, lontano da occhi indiscreti. Su questo 2008 poco o nulla da aggiungere, è uno splendido rosso austero assai tipico, di cui tra l’altro trovate qui¤ una più ampia ed accorta recensione, se vi va. 

**** Taurasi 2008 Perillo¤, Castelfranci – Versante Sud/Alta Valle. Un’altra grande interpretazione che mancava all’appello lo scorso anno a Montemiletto, a ragione evidentemente. Davvero riconciliante questo assaggio, il tempo speso in bottiglia gli ha solo giovato. Colore rubino concentrato, naso di buonissima espressività: c’è viola, ciliegia sottospirito, pepe, con note tostate appena dolci sullo sfondo. Sorso di buona levatura, ha tannino di carattere ma ben integrato, è dritto e sgraziato quanto ci si aspetta. 

Per chiudere questa bellissima pagina di assaggi seriali tenuti a Taurasi Vendemmia 2013, mi piace infine lasciare traccia dei miei preferiti anche tra quelli proposti nella batteria dei 2007, tra i quali mi son tanto piaciuti più di tutti tre vini: il Taurasi Riserva Radici 2007 Mastroberardino ****/*, Assemblaggio, dal colore rubino di buona trasparenza ed un naso estremamente fine, con un sorso di bella fattura ma sottile, tutto giocato in sottrazione, risoluto, sapido. Il riferimento¤! 

Il Primum Riserva 2007 di Guastaferro ****/*, da TaurasiValle Centrale/Riva destra del Calore. Un rosso di pregevole fittezza, di grande levatura, invitante, intenso, nitido che sa di prugna e piccoli frutti neri e riesce a regalare un sorso di grande sostanza ma non più così debordante, anche affaticato, come qualche passaggio sembrava consegnare talvolta in passato. 

E, per la sua composta interpretazione, il Taurasi Riserva Il Vicario 2007 di D’Antiche Terre ****/* Quadrante Nord/Riva Sinistra del Calore. Un rosso delizioso, dal colore rubino piuttosto fitto, con un naso di grande precisione, molto invitante, sa di frutta rossa matura e note dolci che aprono ad una bevuta di buona stoffa e concentrazione. Credo tra l’altro non costi nemmeno tanto per essere un Riserva, insomma un vero affarone.

***** Eccellente **** Ottimo  *** Buono ** Suffic. * Mediocre

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Articoli correlati: Taurasi Vendemmia 2009¤|Taurasi Vendemmia 2008¤|Taurasi Vendemmia 2007¤|Anteprima Taurasi 2005¤.

Tu chiamale se vuoi distrazioni… con Riserva

17 marzo 2013

E’ chiaro che nulla cambia sulla sostanza della faccenda, il Coste 2008 dei Lonardo è un grandissimo vino, forse proprio lui il migliore tra i 64 vini assaggiati all’anteprima di Serino, con tutte le potenzialità per rimanere lì per tantissimi anni avanti. 

Se ne sono accorti proprio tutti, ma soprattutto oltre oceano premiandolo giustamente con punteggi altissimi, quanto merita. Mi fa specie però che una critica¤ di tale ‘portata’ non verifichi particolari nella forma così importanti per quanto riguarda l’etichetta di un vino, presentandolo come Taurasi Riserva (come pure il gemello diverso Vigne d’Alto) quando in realtà non lo è. Semmai è un cru ‘annata’ che esce però sul mercato un po’ più in là rispetto agli altri, una selezione cui i Lonardo destinano – lo fanno da poco e solo nelle migliori annate¤ – la raccolta di quei grappoli migliori dalle vigne tutto intorno Taurasi, le ‘coste’ appunto. 

Ma allora che è successo? C’è stata cattiva informazione in merito? A Taurasi Vendemmia¤ sicuramente no! Tutti i vini erano chiaramente esplicitati nelle due liste (una alla cieca ed una nominale) consegnate a ciascuno dei degustatori presenti. Per quanto riguarda Parker¤ invece si possono solo supporre probabili ‘giustificazioni’: i vini gli saranno stati presentati così magari dall’importatore cui s’è rivolto, con un po’ di confusione sulla traduzione dei termini Selezione, Riserva o Cru. Ma perché non approfondire la questione vista poi l’altissima valutazione? 

Insomma, per farla breve e venire al dunque, è chiaro che il fissato sono solo io, ci mancherebbe, ma si trascura un effetto ahimè non proprio trascurabile di un certo modo di fare: una critica così autorevole e seguita, si rivolge ad una platea ampia che, nonostante i luoghi comuni tendono a liquidare frettolosamente come ‘internazionale’ e disinteressata a certi vini di spiccata personalità è invece particolarmente attenta ed esigente, ha passione e non di meno disponibilità tali da spostare sensibilmente i consumi. Ma possiede di sovente anche il piglio e la spocchia necessari per mandarti indietro una bottiglia dove non c’è scritto sopra Taurasi Riserva Coste come si aspetta di trovare. E non sarà certo Parker ad aver sbagliato!

Taurasi Vendemmia 2009| Le mie degustazioni

13 marzo 2013

Con ogni probabilità la 2009 è di quelle vendemmie cui bisognerà attendere almeno due/tre anni ancora prima di capire a pieno quale possa essere una sua reale prospettiva nel tempo. Non mi sorprenderebbe nemmeno, alla luce degli assaggi fatti e quanto scritto poi qui¤, che sia tra quelle annate cui servirà, a torto o a ragione, metterci un bell’asterisco ‘in attesa di revisione’.

Carta geografica del Taurasi docg - foto L'ArcanteFrattanto, queste che seguono, sono le mie personali considerazioni sugli assaggi fatti là a Serino. Tutti i vini di varia provenienza¤ sono stati serviti ‘alla cieca’ – anche quando è stato necessario riassaggiarli – dai sommelier dell’Ais Avellino, cui va il mio personale ringraziamento per qualità del lavoro svolto. Così la mia valutazione:

***** Eccellente **** Ottimo  *** Buono ** Suffic. * Mediocre

Appena 16 i Taurasi 2009 in degustazione, e solo uno ‘da botte’. In entrambi i casi, se non sbaglio, credo sia il numero più basso di etichette mai presenti all’anteprima; affiancate però da un fortunato corollario di secondi vini a denominazione di ricaduta come l’Irpinia Aglianico e l’Irpinia Campi Taurasini ed arricchita da una formidabile sessione di rilettura dei 2008, 2007, 2006.

***/* Taurasi Principe Lagonessa 2009 Amarano, Montemarano – Versante Sud/Alta Valle. E’ Montemarano, con Mirabella Eclano, dati climatici e meteorologici alla mano, che scandisce l’andamento sinusoidale della vendemmia 2009. Proprio a Montemarano si è registrato tra l’altro l’indice più alto di piovosità stagionale con anche diverse problematiche prima e durante la raccolta. Da Montemarano però, strano a dirsi, forse il migliore assaggio tra quelli in batteria. Viene dai 7 ettari in Contrada Torre di Amarano, della famiglia Romano, è il Principe Lagonessa¤. Colore rubino quasi porpora, molto invitante, con un ventaglio olfattivo variegato e abbastanza verticale: frutta rossa matura ma anche segnali iodati, terragni e nuances di caffé e cioccolato. Sorso meno vigoroso del solito ma ben avviato, ha tannini di buona fittezza e notevole lunghezza. L’aspettiamo però più avanti, con un legno più digerito.

***/* Taurasi Radici 2009 Mastroberardino¤, Atripalda – Assemblaggio. Viene in parte dalle vigne storiche di proprietà in Montemarano e in parte da quelle del nuovo suggestivo insediamento a Mirabella Eclano. Colore rubino porpora di rara luminosità. Ha naso franco e dolce, assai invitante, con rimandi ciliegiosi ma anche di mora, con note balsamiche appena sussurrate. Solido il richiamo di frutto al palato, che pare aggraziato e lineare, senza spigolature. Sorso di buonissima fattura, sostenuto da tannini sottili e medio corpo. Tra i migliori assaggi di questa tornata.

***/* Taurasi Mater Domini 2009 Rocca del Principe, Lapio – Assemblaggio. L’azienda di Ercole Zarrella si fa notare negli ultimi anni anzitutto per lo splendido fiano di Avellino¤ di Lapio, ma a quanto pare le intenzioni sono tra le più serie anche con l’aglianico. Buono, nonostante un’annata non proprio sorridente questo duemilanove. Dalla cernita dei 6 ettari di vigna di proprietà per metà a Paternopoli e metà a Taurasi. Colore rubino un poco cupo, naso di pregevole fattura tutto centrato su marasca e viola passita, appena accennate le sfumature speziate. Sorso inizialmente un po’ sospeso, secco e sapido, alla lunga rivela buona fittezza e morbidezza; non graffia ma regala un sorso assai piacevole.

*** Taurasi 2009 Feudi di San Gregorio, Sorbo Serpico – Assemblaggio. Ho ancora sotto al naso e continuo a masticare il Riserva Piano di Montevergine 2008 quando mi decido a riassaggiare, ancora alla cieca, il campione n.18, il 2009 dei Feudi. Inutile stare a spiegare il divario tra i due, ma la chiave di lettura rimane univoca: c’è uno slancio notevole rispetto anche al recente passato nelle ultime uscite degli aglianico, quale che sia il suo posizionamento di mercato, dalla cantina di Sorbo Serpico. Bello il timbro cromatico violaceo, di buona vivacità; naso gioviale, invitante, ciliegioso, con accenni appena speziati. Sorso asciutto, di buona progressione, non particolarmente profondo ma chiaramente ben messo. Da bere.

*** Taurasi 2009 Villa Raiano, San Michele di Serino – Versante Sud/Alta Valle. Dalle vigne in Castelfranci una buona lettura alleggerita e di pronta beva del principe dei rossi italiani. Messa così, analisi dell’annata alla mano, va più che bene, anzi, quasi un lusso. Colore rubino con velate trasparenze, dal naso invitante, sottile, piuttosto varietale e persuasivo: sa di viola, amarena, con accenni tostati ed un timido richiamo di grafite. Sorso pacato, di buona fittezza, dal finale piacevolmente sapido. Da mettere già nei bicchieri.

*** Taurasi 2009 Urciuolo, Forino – Versante Sud/Alta Valle. Questo aglianico viene dai 6 ettari di proprietà divisi tra Contrada Terrone a Montemarano e Contrada Candriano di Castelfranci, vigne di età media tra gli 8-12 anni. Buono il colore rubino fitto ed invitante, corredo aromatico fruttato ed essenzialmente officinale, con allunghi di tabacco e cioccolato. Di buona taglia anche il sorso, polposo, ben tessuto. Ancora un tantino invadente il legno. Opportuno riassaggiarlo tra qualche mese per coglierne a pieno la buona sostanza.

*** Taurasi 2009 Poliphemo Tecce, Paternopoli – Versante Sud/Alta Valle. E’ notoria l’impronta che Tecce tenta di dare ai suoi vini, un’idea forse anche unica da queste parti di pensare l’aglianico. Rimane tuttavia l’ennesima esperienza del vino più difficile da ‘leggere’ all’anteprima tra tutti i 64 campioni in degustazione. Stranamente però, anche il più ‘facile’ da riconoscere alla cieca; non sono bastate infatti tre bottiglie per svelarne a pieno tutte le sfumature. Ossidato il primo assaggio, il secondo appena al limite ma tremendamente segnato da una volatile fuori controllo, alla terza bottiglia punto e a capo. Ce lo siamo potuto godere a pieno solo al banco d’assaggio (durante la pausa pranzo) dove la bottiglia, aperta tra l’altro à la volée ha svelato tutta la buona tessitura e il buon frutto in primo piano; ciononostante però in divenire, da aspettare.

*** Taurasi 2009 Di Prisco, Fontanarosa – Assemblaggio. Meno incisivo del solito il primo assaggio dell’anno del Taurasi che verrà di Pasqualino Di Prisco, convincente però molto più di altri in batteria. Dalle vigne in Fontanarosa e conferimenti da Castelfranci un rosso di colore rubino con buona vivacità. Naso chiaramente un po’ timido, come sovrapposto perciò inespresso ma comunque di buon auspicio: è anzitutto floreale e fruttato di susina e amarena, balsamico in divenire, chiudendo quasi iodato. Sorso di buona grana, secco e di discreta lunghezza. Sapido.

*** Taurasi Opera Mia 2009 Tenuta Cavalier Pepe, Sant’Angelo all’Esca – Valle Centrale/Riva destra del Calore. L’azienda di Milena Pepe conta 40 e più ettari di vigne di cui ben 20 piantati ad aglianico. Nonostante un’annata così così l’enologa di origini belghe ha ben saputo dove e come intervenire portando in bottiglia comunque un buon risultato. Colore rubino di buona integrità con appena accenni di maturità, sgranato sull’unghia del vino nel bicchiere. Naso però molto interessante, accattivante, sa di ciliegia, è balsamico con anche spunti empireumatici. Sorso caldo, avvolgente, di buon nerbo. Mai così ‘leggibile’ all’anteprima il vino della bravissima Milena nonostante fosse ancora una volta un campione da botte.

*** Taurasi 2009 Pietracupa, Montefredane – Quadrante Nord/Riva Sinistra del fiume calore. Conosciuta dai più per i suoi meravigliosi bianchi vibranti e fuori dal tempo Pietracupa continua con una certa buona costanza anche un discreto lavoro sull’aglianico. Da circa un ettaro a Torre Le Nocelle, Sabino Loffredo prova a venir fuori da un millesimo abbastanza controverso, con non pochi chiaroscuri. Non mancano un bel colore rubino e un naso assai mediterraneo, maturo ma elegante, dolce, a tratti quasi confettato. Al palato è pacato, forse un poco troppo ‘caldo’ nonostante si distingua soprattutto per il nerbo chiaramente minerale.

**/* Taurasi Passione 2009 Masseria Murata, Mercogliano – Versante Sud/Alta Valle. Tra le ultime nate in zona, 2005, con uve provenienti da Montemarano, propone una versione forse un po’ comune negli ultimi anni come Taurasi ma di certo non scontata. Vino che ha bisogno anzitutto di un poco di tempo per digerire un legno in questa fase un tantino invadente soprattutto in bocca. Rimane però di buona trama il colore, rubino vivace ed il naso dal timbro efficace, piuttosto invitante: floreale, fruttato, appena dolce e speziato. Manca forse di un po’ di spessore.

**/* Taurasi 2009 Bambinuto, Santa Paolina – Versante Sud/Alta Valle. Il 2009 ci ha consegnato buonissimi Greco di Tufo e da queste parti ne sanno qualcosina visto che il Picoli¤, il bianco di punta di Marilena Aufiero non è passato certamente inosservato alla critica. Così come la voglia di continuare a cimentarsi anche con l’aglianico. Proviene da conferimenti in Montemarano e Castelfranci, ha colore rubino di rara luminosità ed un naso essenzialmente varietale, centrato sul frutto, ma troppo soverchiato dal legno in questo momento. Ne risente il sorso, oggi poco leggibile. Tra qualche mese forse più godibile.

**/* Taurasi 2009 Donnachiara, Montefalcione – Quadrante Nord/Riva Sinistra del fiume calore. Da segnalare un primo passaggio nel bicchiere poco felice, con una chiara predominanza di note ‘ossidative’. Il riassaggio ha invece rimescolato le carte, convinto un po’ di più, rimettendo in primo piano polpa e discreta tessitura. Colore rubino poco trasparente, con accenni subito balsamici, poi di prugna, amarena, tabacco, terra bagnata. Conta riassaggiarlo.

** Taurasi Alta Valle 2009 Colli di Castelfranci¤, Castelfranci – Versante Sud/Alta Valle. Al solito colore piuttosto ricco e vivace, quasi imperturbabile dalle trasparenze. Naso timido, lungamente atteso, anche qui con qualche problema iniziale di volatile troppo alta e lieve predominanza di stucchevoli note di rovere. Sorso caldo, anche intransigente, di grana ruvida, dalla chiusura però un poco amara. Assolutamente da aspettare.

** Taurasi Santa Vara 2009 La Molara, Luogosano – Valle Centrale/Riva destra del Calore. Altro passaggio poco convincente, cui aggiungo una mia personale evidente sorpresa data l’ammirazione per tante passate uscite di Taurasi Santa Vara¤. Ne ho colto un naso un po’ fuori traccia, molto avanti, surmaturo quasi, timidamente terragno ma che non spiega però quali altri sensazioni inseguire. In bocca si offre sgraziato, con un ritorno anche piacevolmente tabaccoso se non fosse per il finale fin troppo amaro. Da ritornarci su al più presto.

** Taurasi Albertus 2009 Di Marzo, Tufo – Versante Ovest/Le Terre del Fiano. Da Lapio, da vigne di 25 anni, una visione abbastanza ‘leggiadra’ della tipologia. Il colore pare infatti un po’ spoglio, quasi aranciato sull’unghia del vino nel bicchiere, col naso giocato inizialmente su sentori di piccoli frutti rossi maturi e da un floreale quasi vellutato. Sorso diluito, poco incisivo, difficile coglierne l’anima in questo momento.

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Qui Taurasi Vendemmia 2008¤.

Qui Taurasi Vendemmia 2007¤.

 Qui Anteprima Taurasi 2005¤.

Taurasi Vendemmia 2013| Una critica autorevole

12 marzo 2013

Non si dica che la manifestazione non sia guardata con sempre maggiore attenzione da parte dei giornalisti del vino di un certo spessore. Mi è parso, anzi, piuttosto ispirato il parterre di questa edizione 2013 di Taurasi Vendemmia¤, cui ho avuto ancora una volta il piacere di prendere parte. Ispirato e pure di un certo respiro ‘internazionale’ quest’anno.

Alla sempre nutrita schiera di giornalisti e blogger italiani si è unito quest’anno anche Daniele Cernilli¤, senza dubbio tra i palati più fini in circolazione. Come sempre molto appassionato invece Carlo Macchi¤, come del resto Gigi Brozzoni del Seminario Veronelli, Monica Coluccia¤ di Bibenda e tanti altri ancora particolarmente accorti nel seguire da vicino le vicende dell’aglianico, dell’Irpinia e della Campania tutta.

A guardare poi attentamente in giro, davvero suggestivi gli accrediti ai giornalisti stranieri. Mi confermano che c’erano, nell’ordine: Benjamin Weinberg¤ di In Vino Veritas – Usa, Tom Maresca¤ di Decanter – Usa, Tom Hyland¤ di The World of Fine Wine, Sommelier Journal e Decanter – Usa, Anders Levander di Livets Goda dalla Svezia, Kuba Janicki¤ dalla Polonia, Wolfgang Schedelberger di Gast.at dall’Austria e Walter Speller¤ per Jancis Robinson blog.

Embè, non so se ne abbiano contezza i produttori, e più in generale il territorio, di quanto sia una rara opportunità una così qualificata finestra sul mondo. Io però una parolina di entusiasmo per chi ci sta mettendo la faccia e tanto duro lavoro di comunicazione in tutto questo la spenderei a prescindere. Forza e complimenti ragazzi, avanti così!

Taurasi Vendemmia 2009| Impressioni a caldo

10 marzo 2013

Forse sarà ancora più chiaro dopo quest’altra bella edizione messa su da Miriade&Partners¤: dove non arrivano per manifesta incapacità le istituzioni e la politica, può riuscire – e bene – il privato, soprattutto quando motivato da grande sensibilità, professionalità e serietà, ancor più quando sostenuto con forza ed entusiasmo da tutto il sistema, dalle aziende in primis.

Taurasi Vendemmia Edizione 2013 - foto Livia Cosentino (tratta dal web)

Ma veniamo al dunque, o a quelle prime impressioni a caldo cui seguiranno poi le mie personali note di degustazione.

Taurasi, l’abbiamo detto e scritto più volte, vuol dire eterogeneità e il duemilanove sembra a grandi linee confermarlo a pieno. Come pure che il Taurasi ha ancora tanta strada da fare e che i produttori si devono mettere bene in testa, una volta per tutte, che son finiti i tempi belli di una volta dove tutto ciò che si faceva comunque si vendeva e bene. Per emergere, imporsi sul mercato, debbono decidere cosa vogliono fare da grandi.

Sì perché fare vino con l’aglianico è cosa molto seria e fare Taurasi come Dio comanda, farlo bene per davvero intendo, rimane ancora affare per pochi. Non basta affatto affidarsi all’enologo di grido, o a protocolli assoluti per mettere la testa davanti. L’autoconvincimento di saperci fare poi, le brochures patinate, i listini ‘copia incolla’ possono forse darla a bere a qualche ultimo sprovveduto ma il bicchiere, quello ahimè non mente. E da bel un pezzo.

Insomma, annata interlocutoria quindi la 2009. Con tanto caldo a maggio e poi in agosto, ma anche tanta pioggia nella seconda parte dell’anno che a fasi alterne ha creato non pochi problemi anche solo per entrare in vigna a lavorarci, soprattutto in settembre e in ottobre quando, verso metà del mese, è cominciata per molti la raccolta delle uve, protrattasi in alcuni areali, un po’ per tradizione o per necessità, con non poche difficoltà, sino a novembre inoltrato.

Problemi fito-sanitari, uve ingrossate dall’acqua, marciume addirittura in qualche caso. Si è salvato chi ha potuto giocare d’anticipo o permettersi rese bassissime o cernite maniacali. Anche per questo, tenuto conto pure di alcuni altri assaggi fatti da me fuori da questa manifestazione (Quintodecimo¤, Joaquin¤) l’impressione è che sembrano venirne fuori meglio anzitutto i cosiddetti ‘migliori’ (sparsi a macchia di leopardo qua e là in tutte e quattro le macro-aree), ma anche i vini ‘da assemblaggio’ – Rocca del Principe, Feudi di San Gregorio, Mastroberardino giusto per citarne alcuni -, così detti perché fatti con uve provenienti da diversi areali della docg e chi ha saputo leggere attentamente l’andamento climatico, facendo scelte piuttosto nette, sin dai primi interventi in vigna ma soprattutto successivamente in cantina.

Che poi, dato affatto trascurabile, non a caso in diversi hanno addirittura rinunciato a fare Taurasi 2009, favorendo secondi e terzi vini e denominazioni di ricaduta (Benito Ferrara, Il Cancelliere, Clelia Romano ad esempio) contribuendo a far registrare, per il terzo anno consecutivo, una sensibile diminuzione della produzione di Taurasi e Taurasi Riserva con 227 denunce effettive su 296 ettari iscritti alla docg*.

Naturalmente è presto per esprimersi definitivamente, molti vini saggiati infatti sono apparsi decisamente ‘in ritardo’ quando non ‘contratti’, come fossero imbrigliati; un dato poco convincente invece, che non depone sicuramente a favore di certi produttori, chiaramente un mezzo passo indietro, è la poca pulizia olfattiva e gustativa di alcuni vini in batteria. Ancora troppi infatti quei vini con sovrabbondanza di ‘legno’, o riduzioni eccessive oppure volatili insopportabilmente alte. Come se l’aglianico, ancor più l’annata, continuassero ad essere per taluni argomenti del tutto subalterni alla propria idea di vino, talvolta visionaria, talvolta solo confusa.

Per chiudere, belle conferme invece dalla ‘rilettura’ del 2006, dei 2007 (Guastaferro, ancora Mastroberardino col Radici Riserva) e 2008 (I Favati, Terredora, Lonardo, Il Cancelliere, un sontuoso Macchia dei Goti di Caggiano) presenti in degustazione, alcuni anche con versioni Riserva di pregevole spessore e finezza. Qui c’è stato veramente tanto buon lavoro da fare per scegliere i migliori assaggi, ma in generale c’è stato un gran bel bere tra tanta integrità, profondità e piacevolezza. Ne parleremo senz’altro.

* fonte Taurasi Vendemmia Ed. 2013¤.

Aglianico del Taburno Ris. Terra di Rivolta 2008

7 marzo 2013

Aglianico del Taburno Riserva Terra di Rivolta 2008 Fattoria La Rivolta. Al netto del nome piuttosto lungo, anche solo da ricordare, non si può dire certo che del Taburno e dei meravigliosi vini che ne vengono fuori se ne parli abbastanza, o almeno quanto ne meriterebbero un così straordinario terroir e certe bottiglie come questa.

Fattoria La Rivolta, autunno 2007 - foto A. Di Costanzo

Se l’Irpinia è la culla del principe dei rossi italiani, quel Taurasi che si va celebrando tra l’altro questo fine settimana a Serino¤ e l’Ager Falernus¤ conserva la memoria storica millenaria in regione, l’areale di Torrecuso, tra i più ‘giovani’ a vedere la ribalta, volge, seppur lentamente, a conquistarsi quello spazio nella storia vitivinicola campana in perenne sospensione tra il vecchio e il nuovo.

Paolo Cotroneo¤ nel ‘97 ci ha investito l’anima in questo progetto, con tutto se stesso. Ed in molti, tra appassionati di vario genere e critici autorevoli ne hanno colto sin da subito tutto lo spirito e gli orizzonti possibili. Ad oggi siamo più o meno a 30 ettari di proprietà tutti a conduzione biologica, con una mano importante agli esordi da uno dei più autorevoli enologi italiani, Angelo Pizzi, e la benedizione proseguita con l’avvento in cantina, recentemente, di Vincenzo Mercurio. Qualche anno dopo, a farla conoscere al grande pubblico al debutto fu l’affermazione commerciale di una sorprendente versione di coda di volpe mai saggiata prima, di grande estrazione, dall’espressività fortemente mediterranea, ricca di polpa, calda e vigorosa: fu un successo memorabile!

Eccetto il ‘Sogno di Rivolta’ che fa storia a se (per l’assemblaggio, il legno) vi si fanno vini bianchi estremamente franchi e quasi mai sopra le righe, con le varie masse criomacerate prima di passare in acciaio e poi messi in bottiglia a conservarne freschezza e tipicità; sui rossi il lavoro è un po’ più articolato ma sono generalmente di carnosa personalità gli aglianico, sottile e piuttosto affabulatore il piedirosso.

Aglianico del Taburno Riserva Terra di Rivolta 2008 Fattoria La Rivolta - foto A. Di Costanzo

E’ un’indomabile Paolo, come la sua terra in contrada Rivolta. Tolto il virtuosismo di spumantizzare il greco di quelle parti è l’aglianico, senza ombra di dubbio il suo fiore all’occhiello, dove viene fuori probabilmente il ‘capolavoro’ a Fattoria La Rivolta¤; e il Terra di Rivolta Riserva ’08 ne è piena testimonianza; un vino risultato di dieci anni di paziente attesa spesi a comprendere palmo a palmo quelle vigne e riconoscerne ogni minimo sussulto in cantina, dallo scarto degli acini scalognati ai giusti tempi e procedure delle fermentazioni e macerazioni, l’affinamento, l’imbottigliamento addirittura.

Un lento progredire che porta oggi nel bicchiere un rosso, dopo quattro anni, che di tutti questi passaggi rivela essenzialmente il solo frutto, lasciando carezzare l’idea della pienezza assoluta senza compromessi ed intermediazioni artificiali. Crudo, nudo, puro. Il naso sa di violetta, prugna e marasca, è balsamico e speziato, profuma di tabacco e caffè tostato. Il sorso è di spessore, intenso, largo, lunghissimo. Una velatura ancora di balsamico ne richiama l’impronta assai territoriale, una sferzata tannica, importante ma affatto invadente, ne sottolinea stoffa e carattere da vendere. Adesso come tra dieci anni, almeno. Un gran bel bere.

Castelfranci, Taurasi Riserva Alta Valle 2007

5 marzo 2013

Anche per il Taurasi l’annata 2007 è ben nota a tutti per essere stata tra le ultime più calde, eppure sembra consegnarci, soprattutto in aree così chiaramente caratterizzate da un microclima particolare, vini abbastanza equilibrati, con un frutto ben espresso, sempre in primo piano, se vogliamo quindi immediatamente leggibili ma anche dalle buonissime prospettive evolutive.

Taurasi Riserva Alta Valle 2007 Colli di Castelfranci - foto A. Di Costanzo

Colli di Castelfranci¤ è una solida realtà nel panorama irpino, con un vigneto di proprietà di circa 25 ettari di cui ben 20 piantati ad aglianico; siamo sul versante Sud della denominazione, nell’areale forse più particolare della docg con vigne che proprio tra Castelfranci, Montemarano e la vicina Paternopoli vanno sfiorando tranquillamente i 650 metri sopra il livello del mare, con condizioni climatiche, come accennato, assai particolari, quasi da viticoltura di montagna.

Dell’azienda è presto detto: è giovane, dinamica, molto aggressiva sul mercato. La pulizia e la franchezza espressiva dei loro bianchi, a me piace molto ad esempio anche come lavorano il fiano di Avellino, fa il paio con rossi talvolta ruvidi, arcigni ma pur sempre di ragguardevole fruibilità degustativa, tra l’altro tutte le volte riconoscibilissimi e proposti con un rapporto qualità-prezzo molto fortunato. Non a caso proprio il loro Taurasi “base” rimane tra i più interessanti di quelli a buon mercato.

Di notevole levatura è anche questo Riserva Alta Valle 2007, dal naso ricco di fascino e dalle spalle belle larghe per sopportare, secondo me con una certa tranquillità, tanti anni a venire. Il timbro è quasi violaceo, fitto e profondo. Dai primi sentori di prugna, poi marasca e ribes nero si va quasi subito su note più intransigenti di tabacco bagnato, caffé in polvere e liquerizia. Il sorso è ricco di sostanza, poderoso e lungo, con un ritorno assai costante sul frutto; il tannino poi, ruvido e graffiante com’è sembra quasi masticarlo nonostante il controcanto dei 15 gradi in alcol. Va bevuto con attenzione questo Taurasi, forse anche con moderazione, magari ben accompagnato in tavola, ma senza dubbio va bevuto, e con grande piacere.

© L’Arcante – riproduzione riservata

Una settimana con oltre 200 sfumature di rosso!

2 marzo 2013

Sfogliando il mio calendario mi accorgo di tanta bella carne al fuoco per la prossima settimana. Mi ci vuole proprio!, direi, dopo dieci giorni di passione vera pur segnati da tanta, ma tanta nuova energia: ho il cuore alle stelle e l’animo serenamente in pace, e son certo che il 2013 sarà una splendida annata!

Logo Taurasi Vendemmia 2013 - courtesy Miriade&Partners

Ma cominciamo dall’imminente edizione 2013 di Taurasi Vendemmia¤, anteprima dedicata ai Taurasi 2009 e alle nuove uscite irpine con al centro il principe dei rossi italiani, l’aglianico. Ci sarà, tra le altre, anche l’opportunità di una rilettura meditata dei 2008 protagonisti lo scorso anno.

E’ indubbio che la kermesse, quest’anno anticipata da un’altra bella iniziativa, Campania Stories¤ a Telese Terme, va confermandosi come un momento di prezioso approfondimento e ragionamento sul territorio, occasione imperdibile per tutti gli appassionati e la stampa specializzata che guardano alla Campania ed al distretto produttivo irpino con sempre maggiore attenzione ed aspettative. Insomma, ci si vede sabato 9 marzo a Serino, non mancate.

Come ogni anno non farò mancare una mia riflessione sugli assaggi che farò, che vi segnalerò al solito seguendo l’usuale Legenda che accompagna ormai da sempre le mie incursioni tra le anteprime e i banchi d’assaggio: ***** Eccellente – **** Ottimo – *** Buono

Maggiori informazioni le trovate qui:
MIRIADE & PARTNERS SRL
Diana Cataldo – tel. 329.9606793
Massimo Iannaccone – tel. 392.9866587
mail: segreteria@miriadeweb.it
www.taurasivendemmia.it
www.bianchirpinia.it
www.campaniastories.com

Coming soon| Campania Stories a Telese Terme, più in qua Taurasi Vendemmia 2013 a Serino

15 febbraio 2013

Sembra tutto pronto per “Campania Stories”, la nuova rassegna messa in campo da Miriade&Partners per promuovere il meglio della produzione enoica campana nelle province di Caserta, Benevento, Salerno e Napoli; l’evento, previsto nel Sannio per il 6 e il 7 Marzo, anticiperà di qualche giorno il sempre attesissimo “Taurasi Vendemmia”, alla sua decima edizione che andrà invece in scena a Serino (Av) l’8 e 9 Marzo prossimi, dedicato come sempre al principe dei rossi irpini. Dal 6 al 10 Marzo quindi, dedicate un po’ del vostro tempo alla nostra storia!

Logo Taurasi Vendemmia 2013 - courtesy Miriade&Partners

Per tutte le informazioni del caso
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Diana Cataldo – tel. 329.9606793
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Te lo consiglio io un Fiano di Avellino, prendi ad esempio il Refiano 2011 Tenuta Cavalier Pepe

23 gennaio 2013

Continuerò a preferire tra i bianchi di Milena Pepe il suo Bianco di Bellona, coda di volpe dai vigneti di proprietà a Carazita, sul versante sud di Luogosano. Un bianco in terra di Taurasi spesso sfrontato e mai banale.

Milena Pepe con il suo Refiano 2011 - foto A. Di Costanzo

Negli ultimi anni, come forse è più giusto che sia, non so – ultimamente sono davvero confuso, ci rimango talvolta addirittura male su certi pregiudizi -, tutti preferiscono stare sul carro dei vincitori, sicché di quasi tre milioni di bottiglie di fiano di Avellino in giro ogni anno, cassa più cassa meno, sembra si guardi ormai solo a quelle dei cosiddetti piccoli artigiani, e si scrive solo di loro, o quasi.

Così va a finire, per assurdo, come il fatto che tutti ormai sembrano possedere solo vigne sopra i 600mt s.l.m., che chi, non avendo vigne di proprietà in determinate aree e compri le uve limitandosi a vinificarle, sembra dover subire sistematicamente poca considerazione da parte della critica, nonostante lavori con grande impegno, abnegazione e tiri fuori costantemente vini di ottima fattura e rappresentazione territoriale. 

Non basta? Ok, è vero. Piccolo è meglio. Tuttavia non è sempre così. Non sono il paladino di nessuno, e non ho da difendere nessuna posizione di rendita, scrivo di ciò che bevo, che mi colpisce o piace, che il più delle volte mi cerco, mi capita a tiro e vale la pena far sapere che è buono; talvolta più che buono, un ottimo affare. Come questo Refiano 2011 della Tenuta Cavalier Pepe¤. 

Lo troverete in splendida forma, intrigante, snello, slanciato. Il colore è paglierino con ancora nuances verdoline sull’unghia del vino nel bicchiere. Viene fuori subito con grande energia, il naso si smarca immediatamente, verticale, iodato, sulfureo. Sa di pietra bagnata e pomice ma basta poco che vira, molto lentamente a dire il vero, accennando sentori aromatici agrumati e tostati di più chiara lettura varietale. Il sorso è assai fresco, sgraziato, decisamente secco ma ben fluido in bocca grazie ad una perfetta fusione dell’acidità con la matrice sapida del vino. Un vino ben elaborato, senza mancanze e con, tra l’altro, un buon potenziale evolutivo nei prossimi anni.

Giungano, Spumante Brut Rosé ’10 San Salvatore

15 gennaio 2013

Vi fosse ai giochi olimpici una categoria Triatlon per gli imprenditori, Peppino Pagano punterebbe a giocarsi il titolo sino all’ultimo colpo; su quel podio poi, ci starebbe volentieri solo sugli scalini più alti.

Spumante Brut Rosé San Salvatore

Il suo successo più evidente è da sempre quello nel ramo turistico-alberghiero. Patròn di due strutture a Paestum, il Savoy Beach Hotel¤ ed il confinante Esplanade¤, una decina d’anni fa ha cominciato ad occuparsi anche dell’allevamento di Bufale da latte. Così, negli stessi anni, si convince anche a riprendere l’attività in campo agricolo e vitivinicolo, imprese che a lungo hanno caratterizzato la storia di famiglia prima che arrivassero in Cilento dal natìo areale vesuviano. 

Senza entrare troppo nel merito, cosa che farò volentieri con calma nei prossimi giorni, dico subito che Pagano è chiaramente un personaggio sorprendente, di grande energia, vulcanico si direbbe, nonché padrone di una capacità comunicativa fuori dall’ordinario; impressionano oltretutto la scioltezza e la cognizione di causa con le quali passa dal disquisire di ospitalità, ristorazione e architettura a pratiche e normative di profilassi zootecniche piuttosto che agronomia ed enologia: “Senza curiosità e voglia di imparare, crescere, non si può fare impresa” chiosa sorridente. 

Invero, su queste pagine trovate già qualche buon appunto a riguardo dell’azienda agricola San Salvatore¤, realtà che seguo con particolare attenzione sin dai suoi primi passi. I bianchi Trentenare e Pian di Stio¤, o il rosato Vetere¤ tanto per dire, sono quelli di cui subito raccontammo; ma ci tornerò su volentieri, per fare il punto della situazione, dopo due anni, con importanti conferme nel bicchiere, dall’aglianico a qualche buona novità; a partire da questo Spumante Brut Rosé 2010, dal gradevole colore cerasuolo tenue, intriso di piacevoli rimandi di frutta rossa e con una impronta che sa di aglianico a tutto tondo, di gran carattere ma che non vuole strafare né scimmiottare alcunché. Appena 3.300 bottiglie quest’anno, sboccate dopo 18 mesi di maturazione sui lieviti: “se tutto va bene diverranno 6.600 il prossimo anno, ma non una in più per il futuro”, precisa Peppino. Poco ma buono!     

Taurasi Riserva Primum 2006 Guastaferro

10 gennaio 2013

Difficile immaginare cosa potesse essere oggi Taurasi se si fosse cominciato a fare sul serio col vino un po’ di anni prima. Quanti? Beh, magari quindici, vent’anni prima che ci si accorgesse dell’enorme patrimonio che rappresentano quel territorio, i suoi vini, per il mondo del vino, sotto le luci della ribalta solo da poco più di una quindicina d’anni.

Taurasi Riserva Primum 2006 Guastaferro

Senza scomodare avi e generazioni che si racconta facessero viticoltura da sempre (e non vini di qualità come siamo tutti d’accordo di saper riconoscere oggi) o urtare la suscettibilità di qualche nome storico, di grandissima levatura certo ma che giocavano il campionato praticamente da soli, oggi potremmo contare dalla nostra tanti elementi in più da poter rilanciare ai quattro venti; non ultimo, ad esempio, che bottiglie come queste siano realmente capaci di attraversare il tempo nonostante le angustie di un’annata, a quanto pare, non proprio favorevole.

Annata complicata la duemilasei, “calda, capricciosa, eterogenea, con i migliori potenti e nervosi, da aspettare” per dirla con l’almanacco di “Taurasi Vendemmia¤” sottomano. Una di quelle che convince i più a non farne un Riserva costringendo invece i migliori, quelli cioè con vigne ed uve in zone particolarmente vocate e numeri con al massimo tre zeri, a dare valore aggiunto, slancio al loro peggior difetto: l’incapacità, o l’impossibilità di affidarsi a giochi di prestigio in vigna e soprattutto in cantina. 

E il Primum¤ Riserva 2006 di Raffaele Guastaferro¤ (10 ettari a Piano dell’Angelo a Taurasi) svela addirittura quanto sia inutile tentare la natura, sovrapporle un manico eccessivo, facendo delle sue piccole imperfezioni – una volatile un po’ alta, il timore dei 15 gradi in alcol, un naso non proprio finissimo – un pregio assoluto che esaltano invece il varietale, un grande frutto, sempre al centro dell’attenzione ed una bevibilità incredibile per un vino di tale estrazione, sostenuta da una freschezza invidiabile, tannini docili ed una sapidità di finissima levatura.

Montemarano, Taurasi Nero Né ’08 Il Cancelliere

13 novembre 2012

A volergli bene a Soccorso Romano ci metti davvero poco, basta uno sguardo tutt’intorno la casa lì a Montemarano e farsi un’idea di quanto lavoro, quanta fatica ci mette là in vigna.

Il suo lavoro però, dice, si ferma lì, sulla soglia della piccola e minuta cantina proprio sotto la casa, ricavata da un vecchio cellaio sistemato alla meglio per contenere, per quanto è possibile, tutti i piccoli e grandi carati in legno. Un po’ più in là, poco dopo il cortile, c’è invece l’area di vinificazione, a ridosso di un’altro piccolo capanno rimesso completamente a nuovo qualche tempo fa. “Da qui in poi… – ripete, indicandomi genericamente la nuora -, ci mettono le mani loro…” che invero vuol dire Antonio di Gruttola, i figli e quindi proprio lei, Rita Pizza, infaticabile donna di casa, nuora di Soccorso ma ormai cantiniera tout court nell’azienda di famiglia. 

Lui non ne vuole sapere di metterci le mani tra i tini, le vasche e le botti. Il suo lavoro è in mezzo alla terra, portare la vigna e i suoi frutti al compimento del suo ciclo biologico intervenendo quel poco o nulla che serve, o come solo lui sa; per avere una pianta stressata il giusto, grappoli sanissimi e un frutto integro, sino a quando è necessario per una perfetta maturazione fenolica. Da quelle piante, da quell’uva, dalle cassette che lui stesso non manca di montare in spalla sino in cantina, c’è – sempre – il meglio che si potesse ottenere quell’anno. “Poi sono tutti fatti loro…” chiosa orgoglioso.E di un vino del genere si può solo essere orgogliosi. Questo Taurasi 2008 è il manifesto di un intero areale, quello di Montemarano, di straordinaria vocazione. Nero Né in tutto e per tutto. Il colore è vivissimo, puro inchiostro nero, con accentuate nuances viola sull’unghia del bicchiere del vino. Il naso è subito un portento, è necessario però lasciarlo respirare, si porta dietro ancora una nota fumé/dolce di un legno ancora non del tutto digerito; ma gli bastano pochi minuti nel bicchiere, ancor meno se ci si preoccupa di caraffarlo per tempo.

E’ un aglianico di straordinaria intensità, con un felicissimo slancio fruttato, buccioso, tabaccoso, che si arricchisce di sfumature di liquirizia, cioccolato, pepe nero in grani. In bocca è polposo, croccante, senti il frutto ammantare le gengive, tingere il palato, mentre i tannini lavorano ai fianchi e risolvono il sorso: fresco, pulito, che sa di amarena e mirtilli appena morsicati. Non vorrei esagerare, ma ci tengo proprio a farlo: un piccolo grande capolavoro, non solo per il mio cuore!   

Sorbo Serpico, ho bevuto uno splendido aglianico di rara eleganza ed è giusto che voi sappiate…

16 ottobre 2012

Ieri, di ritorno dal Marennà, pensavo a cosa c’avrei scritto sopra. Ebbene, non saprei come descrivere altrimenti questo vino se non “uno splendido aglianico di rara eleganza”.

Dell’azienda di Sorbo Serpico si sa tutto o quasi. Invero ognuno la vede a suo modo e in tanti ci trovano, da sempre, tutto o niente a seconda della convenienza. Per quanto mi riguarda, al di là delle mille e più considerazioni che uno può fare, non si può non guardare positivamente anche al ruolo dei Feudi di San Gregorio nella definitiva valorizzazione del territorio e dei vini prodotti là in Irpinia.

Uno splendido vino, dicevo. Di rarissima eleganza. Ma c’è tanto di più in una bottiglia di Serpico 2008. C’è la sintesi di anni di ricerca, di investimenti, di prove tecniche, di esperienze che cominciano a prendere forma e sostanza diverse, un’anima e un corpo più incisivi del solito. Ci sono uve delle migliori, da vigne curate con dedizione maniacale, c’è un processo produttivo collaudatissimo, soprattutto vi è un’idea precisa di cosa debba essere e cosa vuole evocare un vino come questo, quel messaggio di modernità che arriva direttamente dal passato, dai “Patriarchi” come li chiamano da queste parti: vivo nel colore e pulito e fine nei profumi; nerboruto, di spessore e sostanza.

E ci riesce bene il Serpico, benissimo già oggi, con franchezza estrema; forse è per questo che mi ha impressionato tanto, per la teatralità con la quale riesce sin da adesso a stupirti. Una rappresentazione talmente ricca di sostanza che te ne accorgi subito. Ti rapisce con quel naso intriso di frutta rossa, spezie, cioccolato; ti conquista già al primo sorso: avvolgente, ostentato, profondo, tanto saporito che quasi non gli stai dietro. Che te ne accorgi solo quando è già bello che andato. Non saprei dirlo con parole meno impegnative, ma ho l’impressione di aver bevuto il miglior Serpico di sempre.

Montemarano, Taurasi Vigna Cinque Querce 1992 Salvatore Molettieri. E’ successo già ieri…

7 ottobre 2012

La prima cosa che viene in mente è che trovare in giro Taurasi di vent’anni è sempre impresa non da poco; tolto infatti Mastroberardino – che rimane l’unica azienda a possedere un archivio storico liquido di un certo spessore – e qualche appassionato della prima ora sparso qua e là nel mondo, viene proprio difficile reperire bottiglie a testimonianza di quegli anni a cavallo tra gli ottanta e i novanta.

Anzitutto per questo ho trovato sensazionale questa bottiglia, rivelatasi perfettamente integra e sinceramente appassionante sorso dopo sorso, capace, un passaggio dopo l’altro, di una suggestione organolettica unica ed insolita, importantissima.

Aggiungerci del mio serve a ben poco, volendo potrei cucirci sopra la più “alta” delle recensioni effimere. Mentre non ci provo nemmeno a pensare cosa fosse nel ’92 l’azienda di Salvatore Molettieri, in quale condizioni la sua cantina; meno m’importa sapere di rese, fermentazioni e macerazioni più o meno lunghe. Ciò che ho raccolto, immediatamente, è l’anima del varietale, cresciuta e arricchitasi col tempo: quell’essenza ruvida, sgraziata, agli occhi di molti imperfetta eppure autentica più che mai in quel tempo, che negli anni però si è fatta finissima eleganza e che si fa, quando succede, molto di rado, esperienza di rara bellezza. Irripetibile.

Chiacchiere sotto l’ombrellone, tra sconosciuti

2 agosto 2012

Capita una mattina di ritrovarsi sotto l’ombrellone a fare due chiacchiere sulla sera prima: l’aperitivo al tramonto, l’atmosfera unica al Faro di Anacapri, le grasse risate per quel vassoio rovesciato – l’imbarazzo della cameriera per aver rovinato quel vestito di Prada è impensabile! -, ma soprattutto l’ottima cena e, immancabili, le buone bottiglie bevute. Bottiglie per una volta sconosciute. E sorprendenti…

Quando si ha una idea precisa di cosa sia o cosa possa divenire nel tempo uno Champagne, anche un assaggio controverso può rivelarsi invece una bella scoperta da appuntare subito sul taccuino, ovvero mettere subito in rete. Sconosciuta e sorprendente era l’etichetta Prestige Brut 2003 di Jacques Picard, récoltantmanipulant a Berru, un paesino di poche anime appena fuori Reims; i protagonisti, ancor più sconosciuti, sono José Lievens e sua moglie Corinne Picard, che dalle loro migliori vigne tirano via uva per circa 8.000 bottiglie di questo ottimo haut de gamme, una piccolissima fetta di quella immensa torta che è il mercato dello Champagne, una fetta però dolcissima e imperdibile.

Ecco perché ci ritornerò su volentieri, non appena possibile; per adesso val bene segnalarvi che trattasi di una bella storia d’amore sbocciata tra le vigne, di agricoltura sostenibile e di uno stile champenois tagliente e implacabile – controverso, appunto – e di prezzi vivaddìo più che umani.

E sconosciuta era la bottiglia di Vita Menia 2011, rosato da piedirosso e aglianico prodotto nelle vigne a Raito, minuscola frazione sopra la costiera amalfitana, sopra il mare di Vietri per intenderci. Panorama mozzafiato, la vigna qui è tutta a conduzione biologica. Di questo sottile e profumato rosato se ne fanno appena seicento bottiglie l’anno, Patrizia Malanga ha voluto mandarmene qualcuna; un pensiero prezioso, almeno quanto il vino saggiato.

Bello e invitante il colore cerasuolo, il naso è ciliegioso ma anche un po’ marino, mentre il sorso è secco, leggiadro e sapido. Il frutto ritorna perentorio in bocca, aggraziando il palato sollazzato da una beva fresca e gradevole. Andatela a trovare Patrizia, siete ancora in tempo per sposare il mare alla vigna che lì, dalle quelle parti mi dicono essere entrambi bellissimi. 🙂

Un piatto, il suo vino: Braciola di Bufala con Taurasi Riserva Piano di Montevergine 2004

27 Maggio 2012

Nel dialetto napoletano il termine “braciola o bracioletta” non indica, come avviene in altre parti d’Italia, una fetta di carne (generalmente ricavata dalla lombata), ma viene utilizzato più che altro per riferirsi all’involtino, sia esso di carne, di pesce o di verdure.

Il termine è in effetti molto antico e veniva già utilizzato da Ippolito Cavalcanti, Duca di Buonvicino, nella sua “cucina teorico-pratica” dove compare in alcune ricette, una imperdibile “Braciolette di tonno in umido” e ancora in quella delle “Braciolette di cappucce farsite*.

Andrea Migliaccio, in occasione dell’evento con Feudi di San Gregorio dello scorso 18 Maggio – apertura della stagione enogastronomica L’Olivo DiVino qui al Capri Palace -, ne ha voluto riprendere le linee con questo piatto, un omaggio sincero alla cucina napoletana e ai sapori indimenticati di certe domeniche partenopee; eccovi quindi la “Braciola di Bufala con scarola e calzoncini fritti”, servita per l’occasione con il Taurasi Riserva Piano di Montevergine 2004.

Un aglianico di notevole spessore, probabilmente tra i migliori Taurasi mai usciti dalla cantina di Sorbo Serpico (alla pari, o magari anche superiore – seppur stilisticamente diverso – solo al P.d.M. 1997): diciotto mesi di legno, almeno altri ventiquattro in bottiglia, ha colore nerastro e ricco; il naso è un concentrato di frutti rossi e neri maturi (prugna, amarene e more), tabacco e spezie, ma anche cuoio, caffé tostato e cioccolato. Il sorso è asciutto, materico, ha spalle ossute e larghe, un tannino ancora vibrante che offre spigolature tipiche affatto intollerabili. Un bellissimo vino, tra l’altro, forse, nel suo momento ideale per essere goduto a pieno e rappresentare così, al meglio, l’aglianico e la sua massima espressione del terroir irpino. 

*farsite, farcite.

Furore, Ravello rosso Riserva ’07 Marisa Cuomo

17 aprile 2012

Leggi Marisa Cuomo e pensi subito all’ennesima recensione del suo Fiorduva. Ed invece no. Tra l’altro, almeno per quanto mi riguarda, sono almeno quattro/cinque anni che gli preferisco – di gran lunga – il Furore “base”: si mostra, anche quando con un paio d’anni alle spalle, decisamente più fresco, dinamico, imprevedibile, in particolar modo al palato.


E’ bene però fare un paio di precisazioni. Oggi l’azienda è senza dubbio tra le più conosciute e riconosciute della regione, ormai le bottiglie di Marisa e Andrea Ferraioli svettano meritatamente nell’olimpo dell’enologia italiana. E gran merito è senz’altro del loro Furore bianco Fiorduva che ha contribuito senza dubbio alcuno a spostare definitivamente l’attenzione ai vini bianchi italiani quaggiù alle nostre latitudini: altro che Collio e chardonnay langaroli. A questo va aggiunto poi il contesto che ne alimenta il mito: appare quasi incredibile che su queste rocce si facciano vini di tale suggestione, si è cioè talmente pazzi da coltivare vigna strappandola letteralmente alla montagna e ai dirupi e gli strapiombi sul mare della Costiera. Sì perché le vigne da queste parti vivono praticamente sdraiate sulle rocce a picco sul mare. Bene quindi l’azienda, ma decisamente straordinario il territorio!

Il circondario se vogliamo è anche abbastanza circoscritto, rimane però molto complicato e disagevole spostarsi anche da una sola vigna all’altra proprio per le particolari condizioni ambientali in cui si fa viticoltura. Ecco perché si parla di Vini Estremi. Poi ci sono i varietali, taluni assolutamente unici, altri praticamente rinvigoriti proprio da questo terroir così straordinario. Pensate ad esempio ai bianchi fenile, ginestra e pepella; il primo è un vitigno che dona vini di rara eleganza, ma necessità di cure maniacali a causa della sua particolare sensibilità alle muffe. La ginestra, spesso confusa ed associata alla più conosciuta falanghina per la sua abbondanza colturale trova qui, in Costa d’Amalfi, una particolare integrità olfattiva che sa, appunto, di ginestra. La pepella invece rappresenta la memoria storica del territorio: poche vigne, piuttosto vecchie ma di estrema funzionalità all’assemblaggio finale dei vini.

Poi ci sono i rossi, c’è anzitutto il piedirosso o per’ e palummo, così chiamato dal rosso dei pedicelli degli acini che richiama il colore vivo delle zampette dei colombi. Sappiamo bene come va col vitigno (leggi qui), eppure certi vini qui in costiera montano caratteristiche davvero incredibili. Vale la pena poi ricordare lo sciascinoso, o il tintore di cui spesso ho già raccontato su queste pagine (ad esempio qui) e del tronto, altra varietà locale spesso però sovrapposta al più tradizionale aglianico.

Ma veniamo a questo bel rosso, insolito da trovare sulle carte ma senza dubbio fortunato e raccomandato con gran piacere. L’idea è quella di valorizzare l’intero territorio delle sottozone della Costa d’Amalfi, così dalle uve raccolte nei comuni di Ravello e Scala, dai migliori grappoli e quando l’annata lo consente, nasce questa questa Riserva. Da un punto di vista strettamente colturale cambia ben poco, le uve rimangono il piedirosso e l’aglianico per il 70% e 30%, la differenza sostanziale con il Furore rosso Riserva sta nell’affinamento, laddove per questo Ravello rosso Riserva infatti vengono, per scelta, utilizzate solo barrique nuove di media tostatura. Pur pagandone sull’immediato una qualche insistenza boisé di troppo, debbo dire che alla lunga – l’ho riassaggio oggi dopo un anno e mezzo dalla sua commercializzazione, ndr – viene fuori un varietale abbastanza ben definito e di gran piacere degustativo.

Il colore conserva una splendida veste rubino-granata con ancora qualche sfumatura porpora. Il naso è intenso, piuttosto ampio ed intriso di note floreali e confettura di prugna e piccoli frutti neri; l’accompagnano poi note di caffé appena macinato e brevi sussulti un po’ salmastri e un po’ terragni. In bocca è asciutto, forse brevilineo ma decisamente appagante. Non punta certo a scolpire il palato, è evidente, ma la beva, al secondo e poi al terzo passaggio regala ogni volta un sorso invitante e ben risoluto, di finissima fattura e lauta piacevolezza gustativa. Io lo riberrei, anche subito.

Montevetrano, Turandea 2007 Tiziana Marino

10 aprile 2012

L’anno scorso ne avevo comprato qualche bottiglia – duemilasette e duemilaotto -, lasciandole però in cantina a riposare, “en vieillissement” (o élevage) come dicono i francesi. Le avevo messe lì con la promessa di metterle in carta quest’altro anno; così è stato. Che bella rivelazione.

Poco più di due ettari di vigna sotto il Castello di Montevetrano, tutti ad aglianico. Sì, avete letto bene, siamo proprio lì a due passi da quella splendida azienda che tutto il mondo già conosce e ci invidia da tempo, Montevetrano di Silvia Imparato. E tutto cominciò un po’ così, seguendo proprio le tracce della “Silvia nazionale”, con l’idea però di rinunciare all’ormai noto blend internazional-regionale perseguendo invece la valorizzazione del solo autoctono aglianico.

Così le vigne sono state lentamente convertite: via la barbera, via il montepulciano, mentre la conduzione è rimasta sempre la stessa, fedele all’idea di una agricoltura sana e naturale già patrimonio della famiglia Marino da almeno un paio di generazioni. In cantina arriva Fortunato Sebastiano, l’enologo paladino della vigna viva che dopo la prima vinificazione del 2006 ha sin da subito la sensazione di trovarsi tra le mani qualcosa di veramente interessante; difficile che sia un caso con tanta cernita in pianta, vinificazione accorta, fermentazioni lunghe e legni grandi di 7 e 5 ettolitri. Niente filtrazioni e bassissimo contenuto di solfiti. Questo è Turandea 2007, il nuovo grande rosso campano da non perdere.

Bellissimo vino, già il colore ti conquista per vivacità e luminosità. Poi il naso: intenso, sferzante con quei sentori di visciola, mora di rovo e arancia rossa che si rafforzano con la sinuosità di sottili note balsamiche, pepe nero e nuances dolci di tostatura e legno di sandalo. Un tutt’uno di una freschezza e di una eleganza davvero ammirevoli. Il sorso è di rara piacevolezza, succoso, teso, deliziosamente fresco e gratificante, con un continuo ritorno di frutto che sospinge freneticamente a riprenderne il calice tra le dita. Un rosso, quello di Tiziana, appena sbocciato ma con ancora parecchio tempo davanti, che rifugge sovrastrutture e cose incomprensibili del genere e conferma l’enorme potenzialità di questo pezzo di terra continuamente da scoprire e raccontare.

Montemarano, Campi Taurasini Malambruno 2008 Amarano: l’aglianico sopra tutto!

26 marzo 2012

Chi segue le vicende aglianiciste avrà notato quanto fossero trasversali – per non dire contrastanti – diversi giudizi sui Taurasi passati in rassegna durante la scorsa edizione di “Taurasi Vendemmia 2008”. Una delle voci critiche più ricorrenti nei giorni a seguire le varie degustazioni sottolineava quanto certi vini soffrissero ahimè ancora troppo l’incidenza – leggi uso eccessivo – del legno. Ecco, l’incidenza del legno.

Così durante i miei giri da quelle parti ho pescato qua e là un po’ di bottiglie duemilaotto non Taurasi, denominate Campi Taurasini o tuttalpiù prodotte in quelle zone da chi certamente non lesina qualità sui suoi secondi vini, garantendo, pur con etichette sostanzialmente di ricaduta, una qualità assoluta di materia prima e serietà produttiva.

Lo scopo? Verificare quanto con una minore “contaminazione” del legno (generalmente 9-12 mesi al massimo) si potesse avere del millesimo un quadro organolettico ancor più chiaro e prospettico. Debbo dire che non sono mancate delle belle sorprese, e con un po’ di pazienza spero di potervele raccontare tutte, soprattutto in virtù di quanto vini come questo Malambruno 2008 di Amarano riescono ad offrire, a prezzi estremamente onesti ed alla portata praticamente di tutti, delle gran belle esperienze degustative; quantomeno per chi va alla ricerca di una certa specificità di gusto ed armonia di beva. Qui, quasi impagabile.

Giusto per chi non lo sapesse, l’areale Campi Taurasini indicato su certe bottiglie come sottozona della doc Irpinia rientra praticamente, fatte salve alcune poche altre località, nell’intero territorio protagonista della stessa docg Taurasi: quindi Bonito, Castelfranci, Castelvetere sul Calore, Fontanarosa, Lapio, Luogosano, Mirabella Eclano, Montefalcione, Montemarano, Montemiletto, Paternopoli, Pietradefusi, San Mango sul Calore, Sant’Angelo all’Esca, Taurasi, Torre le Nocelle, Venticano con in più Chiusano San Domenico, Grottaminarda, Gesualdo, Nusco, Melito Irpino, Torella dei Lombardi e Villamaina. E come detto, chi decide di farlo, sa di dover garantire massima espressività, talvolta nemmeno tanto lontana da certi Taurasi.

Dell’azienda ne ho già raccontato ampiamente qui, conquistato dai suoi Taurasi nerboruti e sapidi, così vado sottolineandovi ancora solo quanto valga la pena stappare quest’altro loro rosso. Ricco il colore, rubino limpido e vivace, e ricco il quadro olfattivo, ampio ed insistente su deliziose note di frutta matura: amarena, mora di rovo, prugna; poi lievi note tabaccose e di cioccolato. Il sorso è invitante, succoso, asciutto, sapido e persistente, centrato sul frutto, una sottile venatura tannica e sostenuto di giustezza dai 13 gradi d’alcol. Del legno nessuna traccia, perfettamente “digerito”, con il millesimo che si conferma in grande spolvero e ci consegna un rosso davvero imperdibile, quadrato e di gran valore: appena 6 euro e cinquanta franco cantina. Un affarone!  

Intervallo. Solide radici

18 marzo 2012

Montemarano, il territorio, un po’ di storia, un vino: l’aglianico Gioviano 2008 de Il Cancelliere

12 marzo 2012

Il territorio è di antica vocazione, dopo Taurasi, e subito prima di Paternopoli, il vigneto ad aglianico più grande d’Irpinia: 161 ettari iscritti all’albo suddivisi tra 116 conduttori, con vigne prevalentemente esposte a nord, con terreni compositi – sostanzialmente argillosi ma ricchi di scheletro e lapilli vulcanici – ed altimetrie che variano dai 400 agli 800 metri, praticamente come fare un salto dal paradiso direttamente all’inferno.  

Un gran peccato aver cominciato a goderne i frutti così tardi. I miei primi ricordi vanno alla prima metà degli anni novanta, quando la parola “Montemarano” cominciai a leggerla su qualcuna delle vecchie bottiglie di Taurasi dei Mastroberardino, che poi, molto poi, imparai non essere una consuetudine ma vera e preziosa rarità per i vini dell’epoca; solo che a quel tempo certe bottiglie, capitate lì sicuramente per caso, quando non finivano scolorite e impolverate sulle mensole del bar della Pizzeria Serapide dove prestavo le mie prime esperienze tra cucina e sala, di sicuro sarebbero andate allungate al meglio con la Coca-cola. Venti, forse ventidue anni fa, altri tempi.

Non più tardi di cinque/sei anni dopo cominciai a capire dove realmente si trovasse Montemarano. Lavoravo adesso a La Fattoria del Campiglione, sempre a Pozzuoli – una gran cantina tra le mani e bella gente a cui dare da bere -, di tanto in tanto mi capitava di ascoltare alcuni clienti confabulare tra loro su quanto si stava bene, e pagava poco, al Gastronomo, un certo ristorante tipico proprio di quelle zone. Il Gastronomo, a Montemarano dicevano. “Ci devi andare Angelo, ci devi andare mi ripetevano, per te che ami il vino poi…”. “Fanno una cucina sana, di territorio, semplice, e c’è in cucina un giovanotto niente male che fa dei primi buonissimi”. Chissà mi domandavo io, ci capiterò prima o poi (vedi qui).

Tant’è, tornando a noi, e al vino, i ricordi si fanno certamente più loquaci con le primissime bottiglie maneggiate di Salvatore Molettieri: l’aglianico base – ve lo ricordate quanto erano sorprendenti le prime uscite? -, ma anche i Taurasi, il ’94, ’96, e poi a seguire quelli che hanno segnato definitivamente il passo, il ’99, ’00 e ’01 su tutti; stiamo parlando più o meno di una dozzina d’anni fa. Eh si, Molettieri, indubbiamente è toccato a lui fare da apripista, Montemarano l’ha fatto conoscere alla critica, cominciato ad imporlo come un indirizzo nuovo e diverso da quel di Atripalda, Sorbo Serpico o contrada Sala a Taurasi, giusto per citarne qualcuno di quelli più conosciuti all’epoca.

Poi, come spesso accade, negli ultimi dieci anni sono arrivati tanti altri, così anche i Romano, con una storia agricola solida che rimanda addirittura alla fine dell’800, ma che vede solo nel 2005 il compimento vitivinicolo definitivo, con i primi imbottigliamenti per conto proprio; nasce allora infatti Il Cancelliere, prendendo spunto dal soprannome di Soccorso Romano e in ricordo di suo nonno, come lui riconosciuto tale “o’ cancelliere”.

Il Gioviano è il loro primo vino, da sempre considerato un gran bel vino, dal rapporto prezzo-qualità ineccepibile, di quelli che difficilmente dimentichi di aver bevuto; e questo duemilaotto, probabilmente il migliore di sempre, quasi a voler far paio con lo splendido Taurasi Nero Né (leggi anche qui) della stessa annata, che arriverà però sul mercato solo il prossimo inverno, si mostra in tutto il suo splendore degustativo, dal primo all’ultimo sorso, esaltando tra  l’altro un millesimo all’epoca preso con le molle ma ogni giorno più apprezzato di quanto se ne pensasse appena raccolto.

Ma a dare un valore aggiunto a tutto sono proprio loro, i Romano, che splendide persone! E che meravigliosa persona è Soccorso: parlarci, starci dietro nei ricordi è uno spasso, verace, fiero, ironico e ruspante, proprio come te lo aspetti; lui preferisce occuparsi della vigna, sette splendidi ettari di aglianico che girano tutto intorno casa, e quasi non ne vuole sapere cosa accade in cantina, dove tra l’altro Antonio di Gruttola pare metterci più l’anima che le mani, limitandosi ad osservare ciò che accade piuttosto che ad intervenire.

Il segreto? Uve sanissime, solo lieviti naturali, macerazioni per almeno una ventina di giorni, legni, piccoli e grandi generalmente già usati, talvolta anche di terzo passaggio. E pensate che sino ad un paio d’anni fa qui si lavorava ancora col torchio, sostituito solo di recente con una più moderna e funzionale pressa pneumatica di ultima generazione. Il colore di questo duemilaotto è un bel rubino carico, nerastro, eppure vivo e luminoso; il naso è un susseguirsi, piacevolissimo, di riconoscimenti di frutti neri, spezie, balsami, tabacco, cuoio, terra. In bocca è secco, avvolgente, caldo, succoso, ha discreta acidità ma ancor più un tannino di spessore, eppure ben fuso, disteso, tutt’uno col corpo del vino. Insomma, un grande rosso quotidiano, decisamente imperdibile.

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Montemarano, dopo l’anteprima ottime conferme dal Taurasi Principe Lagonessa 2008 di Amarano

9 marzo 2012

E’ proprio il caso di dire che in mezzo scorre il fiume, il Calore, al di là del quale c’è Castelfranci. Siamo a Montemarano, con Taurasi il vigneto ad aglianico più grande d’Irpinia, e senza dubbio alcuno uno dei grand cru per eccellenza della denominazione, dove il vitigno ha da sempre una marcia in più.

E qui c’è Amarano, una delle ultime venute fuori, nel 2004, e già tra le prime coi suoi vini, il Taurasi Principe Lagonessa anzitutto. L’azienda è per la verità in continuo divenire – diciamo pure un cantiere aperto -, ma le premesse per fare cose buone ci sono tutte; anzitutto il vigneto, di più o meno 12 anni e collocato, come detto, in uno degli areali più vocati di tutta l’Irpinia, proprio nel mezzo di contrada Torre, a Montemarano per l’appunto. E proprio qui dopo i primi timidi passi si è anche riusciti a ricavare una funzionale sede di vinificazione ed imbottigliamento, in uno dei capannoni dell’altra azienda di famiglia che si occupa però di edilizia e macchine agricole. I legni invece sono ancora alloggiati nella “cantina” di casa, un tempo la tavernetta di mamma Lucia, da qui distante un centinaio di metri e dove tra l’altro insiste anche un altro bel pezzo di vigna, in parte ad aglianico e parte, circa due ettari, di recente conversione e che verranno invece destinati alla coda di volpe, rinvigorendo quindi quell’antica vocazione locale che voleva questo vitigno, prima di qualsiasi altro, come contraltare al rosso irpino per antonomasia. 

Poi vabbé, c’è l’entusiasmo di Adele Romano, ragazza in gamba, una laurea in economia, una passione per le letture romantiche e la pazza idea che sì, tra un biberon e l’altro si poteva fare anche questo. Ha convinto così il papà a seguirla in questa avventura, tanto che Michele nel ’99 è dovuto volare sin negli Stati Uniti per andare a comprare i terreni da un tizio di Castelfranci che se n’era andato là qualche anno prima. Ancora oggi le difficoltà continuano ad esser tante, e in tutta onestà i tempi sono quelli che sono, non aiutano certo a facili entusiasmi, però lo scenario è suggestivo, la materia prima in cantina indiscutibile e le idee cominciano anche a convergere su obiettivi più concreti e razionali, come concentrarsi sull’aglianico, il Taurasi e magari coda di volpe, senza troppi altri grilli per la testa per inseguire un mercato che in fin dei conti è ancora tutto da scoprire.

Gli assaggi, ci mancherebbe, confermano in tutto e per tutto il grande spessore dell’aglianico di queste terre: nerboruto, voluttuoso, fitto. E il naso di questo 2008, tra l’altro ancora da imbottigliare – uscirà solo in autunno -, fatte salve le inevitabili tracce di legno che ancora lo carezzano, è un manifesto implacabile, intriso di sentori di frutta ed estremamente varietale, con quella nota succosa di amarena che alleggerisce, e bene, prospettive certamente ancora più profonde, voluttuose, in piena evoluzione; un ventaglio olfattivo sfrontato, che conserva addirittura una certa vinosità, fresco e vibrante, che accompagna anche il sorso, asciutto, copioso, di notevole sapidità. Caratteristica che si coglie ancor oggi, con disarmante semplicità, in tutti i Taurasi di Amarano, dal 2004 – l’esordio, ancora ossuto e polposo -, sino al 2010 appena in botte. Insomma, la scoperta è felice e saprà farsi conferma. Noi glielo auguriamo di tutto cuore!

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