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Un grande Classico, l’Asprinio d’Aversa Extra brut Riserva Grotta del Sole

18 febbraio 2014

Difficile trovare in giro qualcosa di simile per storia e tipicità, soprattutto quando si va alla ricerca di uno spumante metodo classico prodotto con uve autoctone.

Asprinio d'Aversa Extra Brut Riserva Grotta del Sole - foto A. Di Costanzo

Il lavoro ventennale della famiglia Martusciello ha dimostrato che nel lungo periodo l’asprinio sa comportarsi da grande vino, è capace di maturare senza invecchiare, affinare senza disperdersi ed offrire, in certe annate, attraverso anche una meticolosa cuvée, bevute davvero profonde e coinvolgenti.

Si sa che quando il gioco si fa serio chi ha masticato più a lungo certi argomenti riesce a mettere in campo sempre la migliore esperienza. Le bollicine vanno forte ultimamente, soprattutto hanno sempre più appeal a tutto pasto e non più solo da stappare come aperitivo o di accompagno per le feste; una tendenza che ha spinto molti altri produttori a cimentarsi con la tipologia, chi con sapiente maestria chi affidandosi a terzi specializzati.

La recente sboccatura di questa cuvée propone un Extra brut dallo stile più immediato rispetto al recente passato, diciamo un segno di discontinuità, che se da un lato sottolinea la distanza dalla maturità e la complessità a cui ci eravamo abituati dall’altro strizza l’occhio al varietale, rinverdendo quei rimandi erbacei ed agrumati di solito più leggibili nel metodo Martinotti che nel Classico eppure così ancora in primo piano. Nel mezzo circa 24 mesi di attesa, l’assemblaggio di tre annate (2009/2010 e parte del 2011) e nessun dosaggio, ovvero le bottiglie una volta sboccate sono state ricolmate con lo stesso vino. Asprinio tout court quindi, per una bevuta immediata, franca e piena di freschezza.

© L’Arcante – riproduzione riservata

Bevitore naturale sarà lei…

13 febbraio 2014

Passare dieci giorni in beauty farm non sta bene se poi fai una vita di merda ed ogni sera ti ritiri solo dopo i soliti tre Dirty Martini bevuti a canna. Correre al parco due ore al giorno per stare bene con se stessi non serve a una mazza se poi ti fumi due pacchetti di sigarette, pure se Slim. Mangiare lattuga e cotoletta di soia un giorno si è l’altro pure non ti salverà se continui a buttare giù ampi sorsi di vino pieno zeppo di chimica e additivi. Devo continuare?

La solita solfa insomma. Eh già. Ma no, c’è dell’altro, non è l’ennesimo pezzo contro il vino naturale, l’ho letto su Intravino¤mi verrebbe da dire più semplicemente che mi pare la dissacrazione più totale dei Vinnaturisti: dei produttori furbetti, dei bevitori fighetti, dei venditori opportunisti, assolutamente non in linea eticamente con ciò che rappresenta l’ideale, il movimento, ma sopratutto rei di oltrepassare la sacra linea invalicabile del consumismo. Così fan tutti ormai.

Perché se è vero com’è vero che bisogna avere una certa rettitudine nel portare avanti le proprie idee c’è sempre, dietro l’angolo, il diavolo che ci mette le corna: tentatore, affabulatore, che ti invita a palazzo non perché te lo meriti o magari te lo sei conquistato ma per metterti a nudo davanti alla bella società. Sei produttore di vini naturali? Bono, ci servi, però guardati intorno, che ci fai qua dentro, qui in mezzo a noi? Posate sta roba e… pussa via!

Poi ti poni una domanda, una sola, che forse c’hai pure la risposta. Ma che stanno a dì? Anzi, ma che stanno a fa? Ci avete rotto i maroni per anni perché nessuno se li filava abbastanza e adesso, adesso che fate? Ah ecco, finché le fiere le fanno in culo al mondo, bene, l’Excelsior di via Veneto però no! Suvvia…

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Primitivo di Manduria Sessantanni 2010 (Magnum) Feudi di San Marzano

12 febbraio 2014

L’impressione che ho ogni qualvolta mi ritrovo a bere un primitivo così buono è che sia stato fatto in pochi anni tutto quanto sembrava impossibile nei precedenti 30: ridare dignità ma soprattutto rinnovata identità ad un vitigno che sa dare vini davvero impressionanti.

Primitivo di Manduria 60 anni 2010 Feudi San Marzano - foto A. Di Costanzo

La culla com’è noto rimane la Puglia, il Salento, più in particolare il versante tarantino e l’areale qui storicamente più conosciuto qual è Manduria. Da queste terre asciutte, di origine calcaree e coperte da argille rosse viene fuori il 60 anni di Feudi di San Marzano, un Signor primitivo.

Il 2010 è forse un po’ meno carnoso dei passati assaggi¤ ma l’impronta olfattiva è piacevolissima, avvenente ricca espressione di piccoli frutti neri e note balsamiche e speziate. Certo il formato Magnum ne aiuta la lenta maturazione; il sorso ha slancio e buona progressione, un po’ più sottile come accennavo pocanzi, se così si può dire nonostante la stoffa e il buon tenore alcolico, più fruibile, maggiormente godibile azzarderei.

L’epoca dei rossi abboccati e grossolani è finita da un pezzo, è vero, il Primitivo di Manduria oggi è tutta un’altra storia, eppure val bene chiedersi se, in fin dei conti, prima dei signori vini a cui ci stanno abituando i vari Attanasio, Fino, MilleUna¤, la stessa Feudi di San Marzano giusto per citarne solo alcuni, bevessimo ‘veramente’ lo stesso vino oppure chissà cos’altro.

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Falciano del Massico, Falerno del Massico Primitivo Campierti 2011 Cantina Zannini

11 febbraio 2014

Diciamolo subito: non ha l’opulenza e la complessità a cui ci aveva abituato nelle passate uscite ma il Campierti della famiglia Zannini si conferma un valido riferimento e senz’altro meritevole di una menzione tra i preziosi primitivo dell’Ager Falernus.

Falerno del Massico Primitivo Campierti 2011 Cantina Zannini - foto A. Di Costanzo

L’impressione è che da queste parti il 2011 sia stato un millesimo così così, con poche velleità di sfidare il tempo e buono quindi per farne vini da un consumo più immediato o comunque da cogliere a pieno entro i primi cinque/sei anni dalla vendemmia.

Il colore ha buona verve ed il naso, concedendogli il giusto tempo, non risparmia interessanti spunti floreali e fruttati. Il sorso è sincero, asciutto, caldo, dovessi farne le pulci ciò che pare mancare penso sia la spalla solida delle annate passate, quel pizzico di profondità celata da buona freschezza ma un po’ troppe spigolature. L’azienda, come detto, rimane però un buon riferimento da seguire con attenzione nei prossimi anni.

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Antonio Papa, l’artigiano del Primitivo

10 febbraio 2014

È sempre un piacere venire da queste parti a trovare Antonio Papa¤ nella sua piccola cantina a Falciano del Massico, nel cuore dell’Ager Falernus, sentire come vanno le cose a lui che fa uno dei migliori primitivo in circolazione.

Falciano del Massico - foto A. Di Costanzo

La sua famiglia coltiva la terra sin dal 1900 e basta buttare un occhio in giro qua è là per cogliere tanti piccoli segnali di una tradizione qui molto forte e radicata. Nei primi anni novanta la svolta e qualche anno più tardi, con l’ingresso di Antonio in azienda, si ha la definitiva consacrazione con le prime bottiglie di Campantuono¤ che spostano immediatamente l’attenzione di appassionati e critica da queste parti.

Scelte drastiche ed incisive, da vero artigiano del vino, di quelle che una volta fatte non si torna indietro. Dimezzare la resa per ettaro sino agli attuali 45-50 quintali non è stato certo facile, men che meno ‘vivere’ delle appena 12/15.000 bottiglie l’anno (quando tutto va bene); ma in fin dei conti, a questo punto della storia, ad ascoltare le parole di Antonio, mi pare che si sia raggiunto un buon equilibrio e che poco o nulla cambierà in futuro.

Antonio Papa - foto A. Di Costanzo

Anzi, a dire il vero qualcosa sembra bollire in pentola, ma Antonio ci sta ancora lavorando, tenendo conto di tutti gli aspetti produttivi che di anno in anno gli si stanno presentando in cantina: l’idea è di eliminare completamente il legno. Che poi qui il primitivo¤ è cosa seria, infatti non è che se ne faccia un uso massiccio, tutt’altro, tant’è che di millesimo in millesimo non se ne coglie nemmeno più il breve passaggio, ma la maturità raggiunta dalle vigne, la bontà dei frutti, ad ogni vendemmia sempre migliore consigliano da tempo di limitarne ancor più l’utilizzo. Così chissà che i prossimi Campantuono, diciamo già col 2010 visto che il 2009 forse non esce nemmeno, potremmo ritrovarceli in bottiglia dopo aver fatto solo acciaio.

Le etichette di Papa - foto A. Di Costanzo

Ci salutiamo con qualche assaggio dalle vasche: annata solida la 2012, matura bene, il 2013 invece mi pare sia stata un’annata così così, sottile, non così polposa ma in fin dei conti i vini sembrano maturare bene ed avere un certo appeal sin da subito. Tra un paio di mesi si deciderà il da farsi, i vari assemblaggi ecc., di certo, frattanto, si ha di che bere, il Conclave 2011 per esempio, il secondo vino di Antonio, che ha buona forgia e la giusta intensità per appassionare palati fini e meno esperti.

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Cesinali, straordinario il riassaggio del Greco di Tufo Terrantica Etichetta Bianca ’09 de I Favati

9 febbraio 2014

La fierezza, la dignità dell’appartenenza, la sottile malinconia di valori tanto radicati quanto talvolta facilmente ignorati. Non si può produrre vino prescindendo dai primi due elementi appena citati, non ha senso invischiarsi nell’impresa di fare vino se non credi nel valore della tua terra, men che meno se la ignori in virtù del solo fine di produrre reddito.

Greco di Tufo Terrantica 2009 I Favati

Rosanna Petrozziello è una vera Signora del vino. No, il titolo di Clelia Romano¤, la ‘Signora del fiano’, non è assolutamente in discussione, non corre alcun pericolo nonostante oggi pare sgomitino in parecchie per raccoglierne il testimone. Rosanna no, non vive di queste velleità, a dire il vero un po’ come Clelia Romano appare molto poco in giro e quando lo fa sa essere garbata e dimessa, preferisce mettere avanti il suo lavoro, i suoi vini, sempre più dei piccoli capolavori.

Del Terrantica 2009 ne ho scritto già qualche tempo fa qui¤ su lucianopignataro.it – sembra ieri -, dopo una mia visita alla piccola cantina di Cesinali. Qualche giorno fa il riassaggio, davvero straordinario anche se non mi sorprende più tanto vivendo con un certo entusiasmo la crescita dell’azienda dei Favati ormai da quasi un decennio.

L’Etichetta Bianca¤ è un greco di Tufo fatto come Dio comanda, greco che si conferma impressionante per come riesce a sospendersi nel tempo. Il colore è oro puro, cristallino, il naso ha un’avvenente timbrica di camomilla ed erbe officinali, sa di mela cotogna con qualche tono appena balsamico; il sorso è notevole, asciutto, ancora sferzante, lungo, senza alcun cenno di cedimento, nessun ammiccamento. Fiero e autentico capolavoro: cavolo verrebbe da dire, una Signora del fiano che sa fare grande pure il greco!

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Quarto, Accademia del Pane

8 febbraio 2014

Via Marmolito taglia nel pieno della campagna quartese, di solito la percorri velocemente e generalmente gli occhi li tieni ben aperti sulla strada. Ma giusto a metà strada, sulla destra, al n. 69, ci trovi questo piccolo forno dove la famiglia Di Falco ci fa il pane da tre generazioni.

Accademia del Pane - foto A. Di Costanzo

Il punto vendita è molto ben organizzato: parcheggiata l’auto, non appena sull’uscio si viene immediatamente avvolti dal profumo fragrante del buon pane cotto a legna, inebriati e avvinti dalla vista di tante piccole leccornie dolci e salate in bella mostra nel banco.

Ci sono tanti formati di pani prodotti con varie farine e metodi; ma anche pizze, focacce, rustici e tutto quanto di buono ci si può attendere dalla buona tradizione, con i dolci delle ricorrenze e i manicaretti classici delle feste comandate. Insomma, dei veri piccoli artigiani del gusto che, notizia non trascurabile, lavorano bene e a prezzi pienamente centrati.

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Accademia del Pane – Forno
di Francesco Di Falco
Via Marmolito 69, Quarto (Na)

 

E poi c’è lo Chardonnay 2011 Tasca d’Almerita…

7 febbraio 2014

Dimenticate l’opulenza e la burrosita’ di certe uscite passate, se avete voglia di bere uno chardonnay che abbia tensione e sostanza questo qui di Tasca d’Almerita rimane tra le ultime migliori espressioni del varietale trapiantato un Italia.

Chardonnay 2011 Tasca d'Almerita - foto A. Di Costanzo

Spesso additato, odiato dai più, non è che lo chardonnay se la passi un gran bene nell’indice di gradimento della critica più attenta, eppure fuori dal nostro paese i più grandi vini bianchi in circolazione nel mondo continuano ad essere in larga parte a base proprio di chardonnay.

Che poi, presi dalle infinite discussioni su vocazione, legni, affinamenti, sommersi da luoghi comuni e banalizzazioni delle più esotiche, in fondo si conosce veramente ben poco dei tratti distintivi di un vino che più di tutti ha sconvolto gli equilibri colturali nel mondo.

Ha un bellissimo colore oro questo 2011, un naso subito avvincente, verticale ed intrigante. Le prime sensazioni sono di buccia di limone, narciso ma anche ananas, che si fanno dopo un po’ più complesse, gessose quasi, e salmastre. Il sorso è gustoso, sostenuto, ben lontano, manco a dirlo, da certi stereotipi stucchevoli come talvolta capita di riscontrare in certe interpretazioni. A dirla tutta lo metto appena una spanna sotto il 2010 che ricordo un tantino più vibrante anche se questo appare più compiuto.

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I love Falernum| Prossimo passo la docg!

4 febbraio 2014

Chi bazzica l’ambiente sa bene che da sola la docg non è di per se il paradiso, però il fatto che si stia lavorando per alzare l’asticella qualitativa dei vini prodotti nell’Ager Falernus non può che farmi un gran piacere vista la grande passione per i vini di queste terre e l’amicizia e la stima che mi lega a molti dei più bravi produttori in zona.

Qualche giorno fa ho fatto un breve giro da quelle parti: il momento, a dire il vero, non è certo dei più facili, anzi, mi è parso che alcune realtà siano praticamente inchiodate al palo mentre qualcuno di recente ha persino rinunciato a vinificare per abbattere un po’ di costi restando fermo un giro. C’è però chi, come sempre, ha lavorato duramente e saputo mantenere la barra ben dritta, questi supererà tranquillamente questa fase di empasse e ne uscirà più forte di prima, ne sono convinto; frattanto però un po’ tutto il comparto paga pegno alla crisi che, direttamente o indirettamente, sembra non aver risparmiato proprio nessuno.

Tornando alla docg, ho sentito un po’ di voci sulla discussione in atto riguardo alcuni punti caldi del nuovo disciplinare: sul tavolo pare ci siano una possibile zonazione colturale, l’idea di consentire l’imbottigliamento dentro e fuori l’areale, l’abbassamento delle rese, un affinamento più lungo anche sul primitivo. Temi scottanti insomma, con tante buone intenzioni e sacrosante ragioni.

Personalmente non entro nel merito, auspico però fermezza ma soprattutto rispetto della vocazione e della tradizione territoriale, e senza troppi suggestivi voli pindarici, il più delle volte solo fini a se stessi. Tradotto: per favore non ci mollate là in mezzo l’ennesimo q.b. di merlot con la solita scusa dei mercati internazionali. Per farla breve: pensate in grande, ma senza strafare!

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Io amo|Piccola Guida ai vini dei Campi Flegrei

3 febbraio 2014

Come già ho avuto modo di scrivere il 2014 sarà l’anno della falanghina e del piedirosso dei Campi Flegrei, a 20 anni dall’istituzione della denominazione di origine controllata, il 3 ottobre del 1994.

Angelo Di Costanzo Sommelier dell'anno L'Espresso 2014 - foto L'Arcante

Se mi chiedessero quale azienda e quale vino meritino un po’ più di attenzione direi di buttare un occhio qui: eccovi una Piccola Guida che dovreste tenere presente per farvene un’idea. Quasi tutte, previo appuntamento, fanno accoglienza e vendita diretta in cantina.

Agnanum – Raffaele Moccia
Contrada Astroni 3, Napoli
Tel. 0813417004
http://www.agnanum.it
info@agnanum.it
Di particolare pregio: Piedirosso dei Campi Flegrei Agnanum, Piedirosso dei Campi Flegrei Vigna delle Volpi, Falanghina dei Campi Flegrei Vigna del Pino.

Az. Agricola Monte Spina – Antonio Iovino
Via San Gennaro Agnano 63, Pozzuoli
Tel. 0815206719
iovino.an@tiscali.it
Di particolare pregio: Piedirosso dei Campi Flegrei Gruccione.

Cantine Astroni
Strada Comunale Sartania 48, Loc. Pianura – Napoli
Tel. 0815884182
http://www.cantineastroni.com
info@cantineastroni.com
Di particolare pregio: fuori doc Spumante Astro brut, Falanghina dei Campi Flegrei Colle Imperatrice, Piedirosso dei Campi Flegrei Colle Rotondella.

Cantine del Mare
Via Cappella IV traversa 5, Monte di Procida
Tel. 0815233040
http://www.cantinedelmare.it
info@cantinedelmare.it
Di particolare pregio: Falanghina dei Campi Flegrei, fuori doc Spumante Brezza Flegrea brut

Cantine Farro
Via Virgilio 30-36, Bacoli
Tel. 0818545555
http://www.cantinefarro.it
info@cantinefarro.it
Di particolare pregio: Piedirosso dei Campi Flegrei, Falanghina dei Campi Flegrei Le Cigliate.

Cantine Grotta del Sole
Via Spinelli 2, Quarto
Tel. 0818762566
http://www.grottadelsole.it
info@grottadelsole.it
Di particolare pregio: Piedirosso dei Campi Flegrei Riserva Montegauro, Falanghina dei Campi Flegrei Coste di Cuma.

Contrada Salandra
Via Tre Piccioni 40, Pozzuoli
Tel. 0818541661
http://www.dolciqualita.com
dolciqualita@libero.it
Di particolare pregio: Piedirosso dei Campi Flegrei, Falanghina dei Campi Flegrei.

La Sibilla
Via Ottaviano Augusto 19, Loc. Fusaro – Bacoli
Tel. 0818688778
http://www.sibillavini.it
info@sibillavini.it
Di particolare pregio: Piedirosso dei Campi Flegrei Vigne Storiche, Falanghina dei Campi Flegrei Cruna DeLago.

Va detto che ci sono sul territorio altre aziende che lavorano con dedizione e tanta attenzione: tra queste vanno certamente ricordate Carputo di Quarto, tra le prime, subito dopo Grotta del Sole a imbottigliare vino doc, Cantine Federiciane Monteleone, poi Matilde Zasso a Pozzuoli, Masseria del Borro a due passi da Napoli e, più recentemente, Cantine Babbo, Cantine dell’Averno, Cantine Di Criscio, Il Quarto Miglio, Colle Spadaro. Quest’ultima da qualche tempo vende  vino esclusivamente presso l’azienda in Contrada Spadari a Pianura.

© L’Arcante – riproduzione riservata

San Giorgio a Cremano, Pizzeria Salvo

1 febbraio 2014

Non è difficile trovare una buona pizzeria a Napoli¤ e provincia, da queste parti si vive praticamente di pizza e mai come negli ultimi anni si fa un gran parlare di tradizione, materia prima, impasti, lievitazioni.

Pizzeria Salvo

E a dir la verità è proprio vero che la pizza non è mai stata così buona come negli ultimi anni grazie anche alla sensibilità delle nuove generazioni di pizzaiuoli che hanno saputo valorizzare al meglio il mestiere, la storia, i segreti e cominciato a metterci anche tanta testa nel lavoro oltre alla naturale vocazione, spesso familiare, e al talento.

Attenzione alla materia prima, alle lavorazioni, ai tempi dicevo; ma anche ai particolari per far star bene alle proprie tavole i propri clienti.  Ho consociuto Francesco e Salvatore Salvo¤, anzi Francesco&Salvatore, e più che parlarvi della bontà della loro eccellente offerta vi segnalo l’intelligenza con la la quale si sono messi in testa di cambiare le cose, riuscendoci anche parecchio bene. Come? Andateli a trovare a San Giorgio a Cremano, non ve ne pentirete!

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Pizzeria Salvo
Francesco&Salvatore
Largo Arso 10-16, San Giorgio a Cremano (Na)
Tel. 081275306
info@pizzeriasalvo.it
http://www.salvopizzaioli.it

Barolo Bussia 2009 Giacomo Fenocchio

31 gennaio 2014

Cannubi in Barolo, Villero a Castiglione Falletto, Bussia a Monforte d’Alba. Chi mastica un po’ di Langa non può non riconoscere in questi tre terroirs tre grandi espressioni di Barolo.

Barolo Bussia 2009 Giacomo Fenocchio - foto A. Di Costanzo

Quella dei Fenocchio¤ non è certo un’azienda di grido, anzi, viene persino difficile trovarne in giro delle bottiglie se non fosse per piccole distribuzioni che hanno cominciato a buttarci un occhio grazie al passaparola tra appassionati.

Grande attenzione in vigna, agricoltura sostenibile, vinificazioni perlopiù tradizionali in acciaio e legno (grande), lunghi tempi di affinamento sono i principi che caratterizzano un po’ tutte le etichette messe in bottiglia, quasi tutti veri e propri crus.

Ma veniamo al Bussia 2009, Barolo che avrà sicuramente tempo per venire fuori in maniera più compiuta. Adesso l’approccio è un po’ scontroso, sgraziato direi, però di gran nerbo e vivacità come del resto ci si aspetta da un rosso di questa statura e questa età.

Il naso ha bisogno di un po’ di tempo per cominciare a regalare note un tantino più intriganti ma c’è l’ha, così anche il sorso diviene più piacevole, tannico sì, austero, però di grande stoffa e lunghezza. Certo è un 2009, un vino del genere prima dei dieci anni è sempre difficile da comprendere a pieno. Ma a dirla tutta quest’anima un po’ rude, graffiante quasi, al giorno d’oggi fa più piacere di tante morbidezze artificiali e stucchevoli.

Il Signore del vino campano nel mondo

29 gennaio 2014

Sono sempre in grande difficoltà quando mi tocca postare una notizia come questa, tant’è che spesso preferisco non farlo. Stanotte però è venuto mancare il dott. Antonio Mastroberardino, forse il personaggio più illustre che la viticoltura campana potesse contare agli occhi del mondo. Le radici di un po’ tutti noi. Alla famiglia tutta le mie e le nostre più sentite condoglianze. R.I.P.

Taurasi Contrade di Taurasi 2001 Cantine Lonardo

15 gennaio 2014

Chi segue queste pagine e lucianopignataro.it¤ ricorderà quando scrissi del Taurasi Contrade di Taurasi 2001 messo a confronto con un’altro grande rosso italiano, il Barolo Runcot 2001 di Elio Grasso.

Taurasi 2001 Cantine Lonardo - foto L'Arcante

Di quello scritto val bene ricordare qualche passaggio: anzitutto che siamo proprio nel cuore del paese omonimo che dà il nome alla docg, a circa 400 metri d’altitudine dove le vigne, parte impiantate a guyot (le più giovani hanno in media 20 anni) e parte, quelle vecchie di 50 e più anni con ancora il tradizionale “starseto” taurasino, insistono su terreni di chiara origine vulcanica frammisti ad argilla e sedimenti calcarei. La poca uva raccolta, una sessantina di quintali in tutto quell’anno, è rimasta in macerazione per più di un mese, poi il vino ha fatto circa 2 anni in tonneau, quindi in bottiglia per almeno 12 mesi; senza trattamenti, stabilizzazioni e filtrazione.

Qualche giorno fa, a distanza di due anni, ci sono tornato su senza indugio. Il colore tiene botta, sono solo un po’ più accentuate quelle sfumature granato sull’unghia del vino nel bicchiere. Il naso conserva ancora tanta verve unendo a un buon frutto tante piccole nuances di sottobosco, frutta secca, tabacco e pepe in grani.

Pure il sorso non ha ceduto di un millimetro, puro e arcigno, ancora ruvido ma di piena soddisfazione; quel tannino lì, così fitto sembra inamovibile, asciugante quasi. Al momento di stapparlo ricordate che è un vino non filtrato, se preferite tenetelo pure in bottiglia avendo però buona cura nel versarlo, tuttavia credo opportuno decantarlo con attenzione. Dispiace infatti dover rimettere al tempo quasi due dita di vino a causa di un deposito abbastanza consistente. A dirla tutta però, pagare pegno non è mai stato così piacevole.

Quasi dimenticavo, a proposito del Piedirosso dei Campi Flegrei Vigne Storiche 2011 La Sibilla

14 gennaio 2014

Il bel post sul cru di piedirosso dei Di Meo pubblicato ieri da Franco Ziliani qui¤ su Vino al Vino mi ha fatto tornare in mente che avevo anch’io qualcosa da dire in merito tenuto però distrattamente in coda da tempo.

Piedirosso dei Campi Flegrei Vigne Storiche 2011 La Sibilla

Anzitutto un bel cambio di passo, atteso devo dire e finalmente tangibile anche sul piedirosso, dopo alcuni anni di discontinuità quasi a sottolineare la vocazione principalmente bianchista dell’azienda La Sibilla¤, ma anche i primi frutti del lungo viaggiare del giovanissimo Vincenzo in giro per vigne e cantine in Italia e per il mondo a vedere cose e fare esperienza la cui mano sicura è sempre più evidente.

A quanto racconta Ziliani, così in maniera entusiastica, è bene solo aggiungere una piccola raccomandazione, un consiglio più che altro per chi legge: fate attenzione alle etichette poiché in attesa di un restyling che li differenziasse per bene, a causa della necessità di ‘uscire’, per il 2011 sia il piedirosso ‘base’ che questo, il cru ‘Vigne Storiche’ appunto, sono in giro praticamente con la stessa veste grafica se non fosse che il secondo reca in alto a destra dell’etichetta un piccolo adesivo simbolo dell’associazione ‘Viticoltori del Tempo’ che ha, grazie al progetto diretto da Raffaele Beato dell’Osservatorio Appenino Meridionale dell’università di Salerno, selezionato tutta una serie di vini che nascono da vigne cosiddette ‘monumentali’ di particolare pregio storico.

Non che il vino ‘base’ non sia degno di attenzione, ma questo qui ha sicuramente una marcia in più, una maggiore ampiezza e tensione degustativa che ne fa davvero un piccolo gioiello del rosso flegreo tanto amato dagli appassionati.

1994-2014, 20 anni di doc Campi Flegrei

Falanghina dei Campi Flegrei Coste di Cuma 2011

13 gennaio 2014

Coste di Cuma è una piccola stradina di campagna in parte asfaltata in parte sterrata che, a poche centinaia di metri dal popoloso quartiere Monterusciello, taglia dritto in media collina e spunta verso Cuma, sulla costa flegrea, nel comune di Pozzuoli.

Coste di Cuma 2011 Grotta del Sole - foto L'Arcante

Qui la terra ha una chiara impronta vulcanica e si giova anche della vicinanza del mare lontano in linea d’aria appena qualche centinaia di metri. Proprio qui, nel 1994, all’apice dell’urbanizzazione dell’area cominciata qualche anno prima causa anche il secondo massivo piano di evacuazione dell’antico centro storico di Pozzuoli, nei primi anni ’80 nuovamente alle prese con il Bradisismo, la famiglia Martusciello ci piantò una piccola vigna a falanghina che nel tempo è stata destinata a dare uva per il vino di punta dell’azienda Grotta del Sole¤, il Coste di Cuma¤ appunto; 2 ettari circa condotti con una certa attenzione colturale – praticamente in regime biologico seppur mai ostentato – da cui si è riusciti sempre ad ottenere mosti di qualità almeno una spanna sopra alle altre tante vigne vocate di proprietà o ‘gestite’ in giro per i Campi Flegrei.

Che non confondano però i numeri dell’azienda, che certo sono importanti, ma continuano a riguardare una molteplicità di impegni che ormai da 20 anni la vedono impegnata su più fronti, dai Campi Flegrei all’Irpinia, dall’Agro aversano¤ al Vesuvio e alla Penisola Sorrentina, sempre con grande impegno e successo. Ma è qui¤, in terra flegrea, che ci sono le radici più forti e dove, senza nulla togliere agli altri ottimi prodotti sembrano venir fuori i vini di maggiore spessore.

Come questo, che rimane un fiore all’occhiello e che ‘cresce’ ogni anno di più. E continua ad esprimersi a grandi livelli questo duemilaundici: fragrante, sostenuto, sottile e di grande piacevolezza. Preciso il colore paglierino, subito invitante il primo naso di ginestra e pesca, caratterizzato in questo momento anche da una discreta nuance salmastra, come preciso è il sorso, di gran lunga fresco e giustamente sapido. Regala proprio un bel bere. Coste di Cuma ha trovato la sua strada.

1994-2014, 20 anni di doc Campi Flegrei

1994-2014, 20 anni fa la doc Campi Flegrei

12 gennaio 2014

Angelo Di Costanzo - foto Marina Sgamato

Il 2014 sarà l’anno della falanghina e del piedirosso dei Campi Flegrei¤, a 20 anni dall’istituzione della denominazione di origine controllata, il 3 ottobre del 1994. Spero, auspico anzi, che tutti quanti i produttori si diano da fare per ricordare durante quest’anno questo piccolo prezioso traguardo che vedrà la prossima vendemmia 2014 come quella del ventennale.

Per quanto mi riguarda, qui su L’Arcante, durante tutto quest’anno non faremo mai mancare (come sempre del resto) la giusta attenzione a questi vini e all’evento. Stay tuned…

Sua Maestà la Falanghina| Via del Campo 2012

9 gennaio 2014

Quando racconta di Quintodecimo¤ e dei suoi vini appare pieno di se, lo fa però con seria coscienza, mai con saccenza. E a pensarci bene chi, al posto suo, non lo sarebbe? Siamo costretti ogni giorno a sorbirci ovvietà da novelli produttori belli tronfi del proprio quarto d’ora di successo che uno come Luigi, il professore Moio¤, con la storia di famiglia che ha, con quel suo percorso accademico e oltre 20 anni di vendemmie da protagonista alle spalle è un Gran Signore del vino da tutti i punti di vista.

Via del Campo 2012 Quintodecimo - foto A. Di Costanzo

Nasce tutto dalla vigna di proprietà a Mirabella Eclano il Via del Campo¤ 2012. Che buono! mi viene subito da dire. Magia, sim sala bim! direbbe Silvan. Ma qui la prestidigitazione non c’entra, in questa bottiglia non c’è nessun gioco di prestigio, niente fuffa, solo tanta sostanza; c’è studio e ricerca sul varietale, vent’anni di prove tecniche e verifiche su diversi terroir che in questa bottiglia sprigionano un’anima straordinaria che spiega tanto del perché, da tempo, Moio va predicando che la falanghina – non il greco, non il fiano -, è la varietà più interessante tra quelle bianche campane.

Si, falanghina, di quei vini che i masti recensori di sovente scartano a priori, cui non hanno mai abbastanza tempo da dedicare perché un giorno si e un giorno no sono presi a discernere con minuzia dei millimetri di pioggia o la forza acida dei terreni perlopiù tra Summonte e Montefredane, raramente di Lapio che pare conoscano a menadito. E invece, invece si sa, una Falanghina non richiede di appallare la gente con tutta la solfa su annate, rating, disquisizioni teoriche sul portainnesto Paulsen o su quali minerali o precursori aromatici generano i più fini sentori rieslingheggianti, su cui, magari, ricamarci l’ennesimo richiamo di hegeliana memoria (o di Max Pezzali che fa più o meno lo stesso) che dona tanto spessore al curricula.

Chissà che almeno provino a buttarci le narici in questo bicchiere. Luminoso il colore paglierino oro, subito fitto e verticale il primo naso. I sentori più immediati sono di biancospino e frutta a polpa bianca, sollecitati da un abbrivio balsamico di rara eleganza. Così il sorso si fa subito vibrante, teso e lungo con una chiusura di bocca risoluta, gustosa, di finissimo carattere. Certo un difetto ce l’ha, si fa bere con grande slancio nonostante i suoi 14 gradi in alcol. Che dire ancora… ah si, un vino così risveglia profondamente l’orgoglio e l’entusiasmo per averci creduto sempre. Ce ne vorranno i detrattori, ma ci interessa?

Dogliani Vigna dei Prey 2011 Francesco Boschis

8 gennaio 2014

Dogliani Superiore Vigna dei Prey 2011 Boschis Francesco - foto A. Di Costanzo

Non posso dire di esserne rimasto rapito ma ci tenevo lo stesso a segnalarvelo questo vino poiché credo valga la pena provarlo. Ha stoffa, è fatto bene e per chi va di tanto in tanto alla ricerca di qualche buon dolcetto qui trova piena soddisfazione.

Ha una bella forgia porpora ed un naso abbastanza interessante, assai vivo e polposo: sa principalmente di prugna, mora e mirtillo. Il sorso è sostanzialmente godurioso, non aspettatevi però un Dogliani sovraestratto e muscoloso, anzi, tuttalpiù un po’ rustico e fin troppo teso nonostante i suoi 14 gradi e più. Da una delle più vecchie vigne dell’azienda¤, fa solo acciaio e bottiglia.

Monforte d’Alba, Langhe Nebbiolo 2011 Parusso

7 gennaio 2014

Argomento delicato il nebbiolo di Langa, ancor più delicato quando passano per le mani bottiglie come queste, ben fatte, estremamente pulite al naso e con il sorso calibrato a puntino, di ‘facile’ lettura e di vocazione sicuramente più internazionale che nostrana.

Nebbiolo 2011 Parusso - foto A. Di Costanzo

Azienda solida e di chiara impronta contemporanea quella di Tiziana e Marco Parusso¤, stimati produttori a Monforte d’Alba e artefici tra gli altri di buonissimi Barolo. Modernismi a parte nulla da ridire sul principio che pare secondo me donare ancor più sostanza a una tipologia di vino entry level nemmeno più tanto ‘importante’ per certe aziende ma che rappresenta invece, molto bene, l’idea, nemmeno tanto celata, di piacere immediatamente a chi ne capisce poco o nulla del nebbiolo o vi si avvicina per la prima volta.

Va detto però che il naso affascina parecchio anche chi pensa di capirne qualcosina; curioso e spiazzante infatti sa dapprima di polvere di castagna, poi di tartufo, sottobosco infine di un invitante ed insistente profumo di rosa e, assai gradevole, al limite del ruffiano, di fragola. Legno nuovo o no il palato sembra giovarsene tanto, il vino scorre via che è un piacere, sottile e dolce senza manco una sbavatura o stortura acido tannica. Piacerà a chi piace, insomma, ecco perché vale la pena tenerne conto.

Il vino e la liturgia della domenica

5 gennaio 2014

Per noi del sud la domenica ha sempre un sapore particolare, con quel profumo di cucina che invade la casa sin dal primo mattino: il ragù sul fuoco, le polpette cullate nella salsa densa, il coniglio a marinare pronto per l’appuntamento con il piennolo.

Andando indietro nel tempo non ricordo tracce di bottiglie di vino indimenticabili, almeno per me, se non in tempi moderni. Da piccolo, sul tardi, mi toccava scendere dal contadino sotto casa, qualche volta recando con me un po’ di pesce che mamma aveva piacere di regalare loro per contraccambiare la cortesia delle ‘uova fresche’ o dell’infornata del casatiello o della pizza nel ruoto. Piaceri che non avevano un prezzo se non il mero rispetto. Altri tempi.

Difficile rievocare a parole quelle atmosfere, diciamo pure impossibile. Ringrazio il Dio per averle vissute, assaporate, me le porto dentro come un valore straordinario. Come le chiacchierate con loro, Sabatino¤ ad esempio, o i gesti muti con suo fratello, don Antonio, che dal lunedì al venerdì ci era nemico e ci bucava ogni pallone che finiva nel suo terreno dal nostro campetto d’asfalto sotto casa ma che al sabato e la domenica era costretto a fare buon viso a cattivo gioco quando ci mandava mamma a prendere la frutta e il vino.

Già, il vino. Nei loro cellai, nei silo di vetroresina ci stava quasi sempre montepulciano, comprato a buon mercato e rivenduto ‘caro e amaro’, diceva mamma, a casa nemmeno troppo apprezzato. Invece, nelle botti grandi, il piedirosso, la per ‘e palumm, spesso mischiato a barbera e a falanghina, di produzione propria da quei pochi ma abbondanti filari conservati nei campi tra scarole, pomodori e frutteti. La falanghina vinificata da sola era un miraggio, poco redditizia; il bianco in effetti valeva poco, tant’è meglio 6 o 7 damigiane di buon trebbiano del beneventano da stipare giusto per l’estate (quando ci arrivava a l’estate, ndr).

A quei tempi tanto bastava. Mamma cucinava per ore, non aveva particolari segreti ma la capacità, con pochissimo, di fare cose straordinarie, raramente eravamo meno di 8 o 9 a tavola, oltre la pancia ci ha sempre riempito gli occhi di gioia e di vita.

Là, sulla tavola, col pane, le zuppiere di pasta e i piatti di fritto di pesce non mancava mai il fiasco di vino. Guardavo papà e i miei fratelli berlo dai bicchieri con un certo gusto, desideravo imitarli ma in fondo pensavo che non mi sarebbe piaciuto. Invero sopportavo poco anche solo andarlo a comprare ma assistere al travaso, col succhiarolo*, dalle botti al fiasco però mi piaceva; era, se vogliamo, un momento particolare, con quel profumo di mosto e vino che si sprigionava forte nell’aria. Oggi gli do un grande valore liturgico a quel momento, niente a che vedere col tirare via dalla mia cantina la bottiglia da bere adesso. Certo però io bevo meglio, forse.

* cannula da travaso, detta anche cantabruna.

Appunti e virgole per il 2014

4 gennaio 2014

Col nuovo anno ci si prepara belli carichi ad affrontare un anno intenso di lavoro; tra le prime tante cose si ha che fare con molte scartoffie piene zeppe di appunti, numeri, dati da cui trarre indicazioni sul da farsi. Qua e là qualche parola sottolineata o segnata col rosso.

Programmazione. Le aziende ci passano notti insonni ma è ormai un parolone vuoto caduto in disgrazia. Sommelier, ristoratori, agenti un tempo orgogliosi di poter contare su una programmazione coi fiocchi oggi vivono praticamente alla giornata.

Prodotto in assegnazione. Ai bei tempi non è che avesse mai avuto un senso sensato ma per molti era un appiglio per suscitare languore ed acquolina. Certe aziende se ne crogiolavano, alcuni rappresentanti avevano imparato a farne arma letale. Caduto in disuso è ormai prassi dire semplicemente ‘non so se è ancora disponibile’.

Premiato col Tre Bicchieri. ‘Datemi un Tre Bicchieri e ci solleverò il mondo’. Non è ancora dato sapere chi fu il primo a dirlo ma certo per anni ci hanno marciato in molti. Un riconoscimento è un riconoscimento ed è giusto goderselo fino in fondo e quale che sia l’opinione che si ha di questa o quella guida poco importa, mai nessun premio ha mai portato con se una carica di adrenalina tale come quello del Gambero. Checché se ne dica per anni è stato manna dal cielo per molte aziende, rappresentanti e, diciamolo a chiare lettere, per enotecari e sommelier di ogni dove.

Rapporto Qualità-Prezzo. Questo sconosciuto. Per molti appena in piazza bastava guardare cosa facesse il vicino per determinare i propri prezzi, certe volte appena qualche centesimo in meno per sentirsi ‘avanti’ o 50/60 in più non tanto per essere temerari ma più semplicemente per autoreverenza: ‘perché io valgo’. Nessuna indagine di mercato particolare, studio dei costi, del mercato, del proprio prodotto, niente. Tuttalpiù ci avrebbe poi pensato il 10 a 2 o il 6+4 a rimettere le cose a posto.

Caldaro, Cassiano ’11 Manincor: il rosso morbido, esotico e biodinamico del Conte Goess-Enzenberg

3 gennaio 2014

Nonostante il grande successo commerciale i vini altoatesini sembrano avere ancora larghi margini di conquista del mercato. Soprattutto per quanto riguarda i vini rossi.

Cassiano 2011 Manincor - foto A. Di Costanzo

I bianchi si sa, da quando sono sbarcati perentori sul mercato italiano conquistandosi ampie quote perlopiù a discapito dei friulani, riscuotono successo quale che sia il varietale, dai già conosciuti pinot grigio bianco agli chardonnay e sauvignon, dall’impronunciabile gewurztraminer al gentile müller thurgau; sui rossi invece, fatte le dovute eccezioni su certi cabernet, si fa ancora una gran fatica ad andare oltre al pinot nero.

Certo esistono ottimi lagrein, gradevoli espressioni di schiava ma rimangono vini dal profilo più o meno basso che, fatto salvo qualche exploit sembrerebbero mancare di quel appeal necessario per consacrarsi pienamente. E col clima che cambia sembra ci sia una ragione in più perché, colturalmente, a queste uve nei nuovi impianti vengano sistematicamente preferite sempre più varietà ‘esotiche’.

Il Cassiano, chiarisco subito, non è certo il ‘mio’ vino preferito tra quelli di Manincor¤, però credo meriti attenzione poiché potrebbe piacere invece a molti. Ci si fa un gran lavoro sperimentale ma soprattutto è uno dei tanti vini che vedono trionfare una filosofia e un metodo di produzione sano e pulito tanto cari al Conte Goess-Enzenberg¤, produttore a Caldaro molto stimato e apprezzato trasversalmente sia da appassionati esperti che comuni bevitori.

Tornando al vino, è un merlot al 50% con un saldo importante di cabernet franc e piccole percentuali di cabernet sauvignon, syrah, petit verdot e tempranillo; uve coltivate in regime biodinamico (Demeter) così come tutto il processo realizzativo segue pari pari una ferrea disciplina di sostenibilità etica ed ambientale.

Vivace e luminoso il colore rubino porpora, scuro e profondo. Il naso è un trionfo di sentori e riconoscimenti di fiori, frutta e note balsamiche che ne amplificano il respiro e la complessità. Il sorso è ruffiano, tutto tondo e polposo con qualche piccola nerbatura – più acida che tannica – solo sul finale di bocca comunque saporito e ben bilanciato.

Ristoranti sempre aperti per le feste, una reale opportunità o l’ennesimo fardello della crisi?

2 gennaio 2014

Un fenomeno evidente seppur dibattuto poco o niente vede la ristorazione attraversare un periodo di enorme frenesia soprattutto sotto Natale e durante le festività.

In tempo di crisi in molti hanno deciso da tempo di prendere la situazione di petto, come un’opportunità. Fanno bene? Chissà, tant’è che non ricordo, da che ho memoria, una proposta così vasta (sul mio territorio sicuramente non c’è mai stata) per le cene della Vigilia, il pranzo di Natale e il brindisi dell’ultimo dell’anno. Tra l’altro veramente per tutte le tasche.

In passato, molte attività – dalle mie parti, a rischio di ripetermi, quasi tutte -, chiudevano il 22/23 dicembre per almeno 10/12 giorni. Qualcuno riprendeva subito dopo Capodanno, il 2, il 3 Gennaio, molti altri tiravano sino all’Epifania. Il Cenone, i pranzi delle feste, erano quasi esclusivamente affare delle grandi strutture per ricevimenti che, da ‘tradizione’, legavano mangiate infinite a ‘ricchi premi e cotillons‘ a prezzi (per la verità) abbastanza centrati. La differenza naturalmente la facevano le attrazioni, le locations eccetera ma da qui non ci si scappava. Fatti salvi i postumi.

Per quanto visto in giro quest’anno invece quasi nessuno ha chiuso per le feste, tutti al lavoro e alle prese con cene e pranzi d’autore. D’autore sì, perché tantissimi di questi sono ristoranti di un certo spessore (qualcuno per la verità già da qualche anno in linea con la nuova tendenza) che hanno preferito restare aperti anche per le festività natalizie. Una scelta condivisibile dove però pro e contro non mancano mai, come qualche critica a chi non consente di mangiare alcuni piatti dalla carta o a menu tradizional-popolari preconfezionati per qualcheduno triti e ritriti. Per non parlare del rischio no-show che in alcuni casi, specie per i piccoli locali, sono un vero e proprio cazzotto nello stomaco. 

Non entro nel merito della convenienza economica, e nemmeno di come si faccia a tenere in equilibrio e ben motivata la brigata di sala e cucina perché me l’immagino da me. Il conto da pagare alla crisi, allo stato, a quei soci più o meno ‘occulti’ che si presentano puntualmente con gabelle esose e raccomandate incomprensibili è diventato sempre più alto e, ahimè, salato e diciamo pure insostenibile; ciò detto, la situazione va analizzata con attenzione soprattutto dal punto di vista sociale dove l’idea di stare aperti per spirito di servizio si scontra col fardello che si sta in piedi solo così. Senza scampo e zero spazio a ripensamenti.

Ancora una volta una sonora palla al piede alla nostra generazione che lentamente va coinvolgendo addirittura anche chi potrebbe permettersi di stare fermo qualche giro ma che, timorato dal perdere chissà che giro di affari preferisce restare pure lui aperto. Pazzesco!

Non ne scrivo tanto per farlo, ci pensavo proprio durante queste feste: io ci sono stato dentro fino al collo, quando da dipendente mi godevo le mie agognate ferie di Natale e in Agosto che mi aiutavano a riprendere le redini della mia vita sempre costantemente tesa al lavoro e quando, da piccolo imprenditore quale sono stato per dieci lunghissimi anni tenevo davanti agli occhi sempre e soltanto le serrande della mia attività, con appena 6/7 giorni l’anno di riposo tra l’altro il più delle volte spesi a letto per curare malanni di stagione.

Insomma, è vero che chi fa il nostro lavoro fa del sacrificio virtù e del riposo un vizio da spendere con parsimonia, mi piacerebbe però sapere come stanno veramente le cose, augurandomi che serva, soprattutto mi chiedo se è questo il modello di ristorazione di qualità che consegneremo a chi viene dopo di noi.

Serpico 2001 (magnum) dei Feudi di San Gregorio

1 gennaio 2014

Pochi vini campani sanno essere evocativi di una così antica tradizione ma al contempo moderni e capaci di attraversare i nostri giorni con la stessa forza del Serpico dei Feudi di San Gregorio¤.

Irpinia Aglianico Serpico 2001 Feudi di San Gregorio - foto A. Di Costanzo

Negli ultimi dieci anni, da che ho memoria degli assaggi in maniera diciamo così un po’ più rilevante, ricordo pochissimi passaggi minori – forse solo uno, il 2003, ça va sans dire – di questo splendido aglianico da vigne vecchie del comprensorio taurasino. Per il resto, vini sempre centrati, autentici e dal profilo organolettico preciso, di fine struttura, ossuti e tesi e di grande prospettiva.

In effetti il Serpico¤ io l’ho veduto sempre un po’ così, fuori dalla mischia, da quella lotta compulsiva che soprattutto negli anni duemila ha visto l’azienda al centro di un vero boom che non gli ha risparmiato una vera e propria lotta di quartiere in quartiere per conquistare quote mercato. Una crescita non priva di fraintendimenti, certo, eppure Feudi, come poche altre aziende in Italia, nonostante grandi numeri, vanta un buon numero di vini, al di là di Diplomi e Coccarde varie, capaci di sorprendere a distanza anche di parecchi anni. Come ad esempio questo.

Nel mezzo, o frattanto, tanti anni di ricerca e studio che sono serviti a far quadrare il cerchio o perlomeno a selezionare il migliore aglianico¤, in parte da vigne centenarie, misurare l’affinamento più o meno ideale per consegnare ai bicchieri vini sempre più espressivi di un varietale ed un territorio che, non mi stancherò mai di ripeterlo, non hanno assolutamente nulla da invidiare agli altri ‘grandi’ italiani.

Duemilauno, magnum, 12 anni, ad avercene. Preciso il colore rubino appena sgranato sull’unghia del vino nel bicchiere e bene il primo naso, speziato e balsamico. Il tempo nel decanter gli dà slancio e spazio: prugna e liquirizia, pepe e cioccolato, tabacco e sottobosco. Tannino sottile e ancora frutto sul finale di bocca. Il sorso si fa agile e carezzevole, le papille ringraziano. Io pure.

Intervallo|Chapeau et Applause Vincent Girardin

31 dicembre 2013

Vincent Girardin Corton Charlemagne Grand Cru 2005 - foto L'Arcante

Non so se una sola immagine (vinosa) possa sintetizzare tutto un anno, anzi, forse proprio no, ma vi fosse un vino, dico uno solo che si possa insegnare, prendere a modello, io non avrei alcun dubbio. Le mie impressioni? Ssss… per una volta no, stiamo solo ad ascoltare.

vincentgirardin.com

L’ultimo post dell’anno

30 dicembre 2013

Anzitutto augurarsi il meglio per questo nuovo anno. Tocca farlo, certo che si. Augurarsi buona salute, un lavoro sicuro – che da soli fanno il 99% della serenità -, buone bevute. Per se e per tutti gli altri, soprattutto coloro i quali si vuole bene.

Siamo soddisfatti del lavoro svolto sin qui. On line gira sempre più tanta roba, sul vino intendo, per non parlare del cibo che ormai, dopo aver monopolizzato tutti i Social, impazza pure in tv: dalla mattina alla sera assistiamo a un magna magna infinito. Prima o poi (si spera) toccherà anche al vino. O no? Boh, forse.

Di buono c’è che anche il più scettico e restio dei migliori critici enoici ci mette del suo per avvalorare i contenuti in rete, tanti gli indirizzi sempre più qualificati e all’altezza della migliore carta stampata. Segnali di un cambiamento significativo, del resto la pubblicità da tempo ha spostato gli interessi.

Ciononostante l’insidia che chi, tra questi, prenda a scrivere dal piedistallo e lo faccia solo ed esclusivamente ad indirizzo accademico, come mero esercizio di stile per se e per compiacere i suoi simili, sta dietro l’angolo. Come petit fours un complimento tira l’altro, tra loro; storie uniche, le loro, come unici ed infallibili i loro palati, immortali, d’amianto, come i loro taccuini, appena ingialliti e dalla copertina in finta pelle, dove sono rimasti impressi gli appunti delle più grandi bevute dei più grandi vini al mondo con i più grandi degustatori di tutti i tempi in circolazione. E manco Una Tantum.

Se la suonano e se la cantano, insomma. Tra loro. Con un linguaggio spesso sonante, ricercato, ‘alto’. Troppo. Difficile essere alla loro altezza. Ma siamo proprio sicuri che ne valga la pena?

Ieri, alle 18.08, non appena consegnato questo post alla programmazione del blog, la terra qui in Campania ha preso a tremare, per ben 40 lunghissimi secondi. Tanta paura ma per fortuna niente di peggio. Poi alle 20.49 ancora un sussulto. Dio mio, non era questo il segnale che ti avevo chiesto…

L’Arcante Wine Award® 2013 |Ecco i migliori assaggi del Sommelier dell’Anno

27 dicembre 2013

L'Arcante Wine Award 2013 - by A. Di Costanzo

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Torniamo come ogni anno a fare i conti con quanto di (più) buono è passato su questo blog. Inutile sottolineare che  diviene sempre più difficile, per fortuna. Prendeteli per quelli che sono, appunti in evidenza tra decine e decine di buoni consigli e belle persone. Cliccando su questo simbolo – ¤ – ci trovate di volta in volta un più ampio racconto.

Fiano di Avellino 2011 Rocca del Principe - Foto A. Di Costanzo

Miglior vino bianco. Fiano di Avellino 2011 Rocca del Principe¤. Un bianco che strappa applausi, per intensità e lunghezza di beva, più un rapporto qualità prezzo tra i più interessanti d’Italia. 

A. Adige La Rose de Manincor - foto A. Di Costanzo

Miglior vino rosato. La Rose de Manincor 2012¤. Un grande lavoro in vigna e tutta la maestria possibile in cantina per un rosè finemente cesellato e nelle corde di tutti gli appassionati della tipologia.  

Vino Nobile di Montepulciano Antica Chiusina 1998 Fattoria del Cerro - foto L'Arcante

Miglior vino rosso. Vino Nobile di Montepulciano Antica Chiusina 1998 Fattoria del Cerro¤Difficile reperirne ancora in giro ma se tanto mi da tanto viene davvero un piccolo capolavoro puntare su questo straordinario Nobile quale che sia l’annata. Un riferimento!

Franciacorta Collezione Grandi Cru 2007 Cavalleri

Miglior vino spumante. Franciacorta Collezione Grandi Cru 2007 Cavalleri¤. I grandi spumanti andrebbero commercializzati solo ed esclusivamente in magnum. L’idea mi piace, mi convince sempre più e ne traggo continuamente conferme. Eccezionale metodo classico italiano!

Moscato di Saracena 2011 Milirosu Masseria Falvo - foto A. Di Costanzo

Miglior vino dolce. Moscato di Saracena Milirosu 2011 Masseria Falvo 1727¤. Tra i primissimi assaggi dell’anno e subito scolpito nella memoria. Un grande bianco da meditazione.

Echezeaux Grand Cru 2011 Liger-Belair

Miglior vino straniero. Echezeaux Grand Cru 2011 Liger-Belair¤. Ti piace vincere facile? E perchè no se a fare scuola sono bottiglie del genere. C’è dentro tutta la magia evocativa della Grande Borgogna e del pinot noir in questa bottiglia.          

Manuela Piancastelli e Peppe Mancini di Terre del Principe

Cantina/Produttore dell’anno. Terre del Principe, Campania¤. Perchè quella di Manuela Piancastelli e Peppe  Mancini viene sempre dipinta come una favola eppure non c’è mai stata così tanta sostanza in un progetto vino come il loro. Bere i loro vini per credere, ci trovi dentro ad ogni sorso una profondità incredibile.

Giulio Ferrari 1995, particolare del Collezione - foto L'Arcante

Enologo dell’anno. Mauro Lunelli, Cantine Ferrari F.lli Lunelli¤. Poche persone ci avrebbero pensato a mettere da parte per così tanto tempo delle bottiglie per vedere cosa ne sarebbe uscito di lì a… 18 anni! Intuizione, coraggio, colpo di fortuna, non so, certo è che il Collezione ’95 è solo l’ultimo dei suoi capolavori, un colpo da maestro che lo consacra definitivamente alla storia enologica italiana. E alla nostra memoria.

Angelo Di Costanzo, Sommelier dell’Anno¤.

Aglianico del Vulture Il Repertorio 2010 Cantine del Notaio, si fa molto presto a dire buono…

20 dicembre 2013

Altro ‘porto sicuro’ per gli appassionati è Il Repertorio di Gerardo Giuratrabocchetti, ormai a pieno titolo tra i grandi classici vulturini.

Aglianico del Vulture Il Repertorio 2010 Cantine del Notaio - foto L'Arcante

Torno con grande piacere a scrivere di Cantine del Notaio folgorato da questo 2010 davvero impeccabile, di grande piacevolezza ma anche ricco di complessità e profondità.

Se le annate passate sembravano avere bisogno di un po’ più di tempo per sbocciare e rivelarsi a pieno, qui tutto appare molto chiaro e godibile sin da ora e con significativo equilibrio.

È un rosso di considerevole vitalità già al naso, dove emerge perentorio il varietale in tutta la sua franchezza: sa di prugna e amarena, con rimandi balsamici che si fanno poi di succosa liquirizia; quindi, in bocca, si allunga conciso e saporito ad ogni sorso.

Incanta questo aglianico, ha struttura ma anche armonia, figlio di un’annata buona ma non indimenticabile pare invece baciato dalla sapiente interpretazione che vive, è proprio caso di dirlo, dell’esperienza ormai quasi ventennale del connubio Giuratrabocchetti-Moio.

© L’Arcante – riproduzione riservata

Aglianico del Vulture Synthesi 2009 Paternoster

18 dicembre 2013

I primi ricordi vanno a dodici/tredici anni fa, alle prime scorribande là a Barile alla scoperta di un piccolo nuovo produttore, Michele Cutolo¤ (Basilisco) e il desiderio di camminarci assieme le vigne di questa straordinaria terra.

Aglianico del Vulture Synthesi 2009 Paternoster - foto L'Arcante

Memorabile fu poi un pranzo alla Locanda del Palazzo¤, il luogo dei sogni, il ritorno a casa di Lucia e Rino Botte dove ci siamo tornati molto volentieri più volte negli anni a seguire. La scusa era sempre la stessa, stare là davanti a quello spettacolo naturale della Via delle Cantine¤ e andar per vigne con gente vera, autentica come i loro vini nerboruti, schietti, saporiti. Bellissimo!

Dai Paternoster ci siamo stati più volte, alla cantina storica proprio nel cuore del centro città e quella nuova, imponente, moderna di Podere Villa Rotondo in Contrada Valle del Titolo. Una famiglia che ha contribuito tantissimo alla crescita della denominazione grazie a capolavori come il Don Anselmo ma anche e soprattutto con vini come questo Synthesi 2009 capace di conquistare già al primo sorso.

Rosso dal bel colore rubino vivo, salta subito al naso tutta la matrice vulcanica, poi il frutto, poi ancora rimandi balsamici e terragni. Il sorso è delizioso, l’ingresso è asciutto ma non incalzante, pieno di buona materia ma non pomposo, anzi, ha una bella anima sottile e sapida. Un vero campione!