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30 luglio 2016
C’è un momento nella vita in cui si ha bisogno di fermare tutto e ragionare. Subito dopo può accadere di cambiare strada, oppure, di ripartire più forti di prima. Mancava un pezzo di strada alla nuova mappa del territorio flegreo, diciamo mancava quel bel pezzo che conduce alle origini, dove tutto ebbe inizio. C’è chi ce lo ricorda, a suon di piedirosso e falanghina!

Un po’ come quei grandi puzzle mancava qualche tassello, di quelli centrali, simili a molti ma i soli perfettamente calzanti lo spazio vuoto. Bene quindi che Salvatore e Gilda riprendessero a fare quello che assieme a tutta la famiglia Martusciello hanno sempre fatto con grande slancio e passione in Grotta del Sole¤, non solo per i Campi Flegrei, negli ultimi trent’anni.
Così dopo il Gragnano¤, l’Asprinio¤, il Lettere, ecco Piedirosso e Falanghina. Sono questi i vini che hanno accompagnato il successo della cucina napoletana e campana in Italia e nel mondo, vini di sovente sottovalutati forse perché immediati, freschi e di grande popolarità, tenuti talvolta fuori dalle guide più per sciatteria dei relatori che per mancanza di riferimenti di pregio. Un vero rompicapo certe volte, sono comunque sopravvissuti alle mode e alle fisime dei ben pensanti ed oggi godono con grande soddisfazione di più ampio consenso e successo commerciale.

Falanghina dei Campi Flegrei Settevulcani 2015 ha una gran verve e invero non poteva essere altrimenti visti i precedenti storici, in questo senso credo sia stato un po’ come ritornare in bici. Ha freschezza da vendere, è agrumato, floreale, puntuto, dal sorso sottile e spigliato. Sembra argomento trito e ritrito ma diversi territori campani e del sud stanno puntando forte su questo vitigno per la grazia e l’immediatezza dei vini, ma il nerbo più verace rimane del tutto appannaggio di quello flegreo.
Piedirosso dei Campi Flegrei Settevulcani 2015 sin dal primo sorso riporta subito in mente l’impronta polputa e piacevolissima dei rossi vulcanici a base piedirosso. Proprio questa etichetta rappresenterà per Salvatore e Gilda la sfida più importante per i prossimi anni. Il piedirosso vive un momento magico, è sulla bocca di tutti e quello coltivato qui nei Campi Flegrei sembra avere grandi margini di crescita sul mercato perché tra i pochi a caratterizzarsi per un territorio così unico ed irripetibile e vini così profondi eppure di grande immediatezza.
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L’Arcante raccomanda di servire questa tipologia di vini con Fresh¤, il nuovo seau a glace di Nando Salemme.
Un ricordo di Gennaro Martusciello¤.
Montegauro 1997, la storia nel bicchiere¤.
Io amo, Piccola Guida ai vini dei Campi Flegrei¤.
© L’Arcante – riproduzione riservata
Tag:campi flegrei, falanghina, grotta del sole, piedirosso, salvatore martusciello, settevulcani
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1 settembre 2015
Mi piace camminare le vigne con Raffaele, mi da tranquillità d’animo, per questo non appena posso lo vengo a trovare e assieme ci arrampichiamo sin lassù le mura del parco degli Astroni, dove le volpi, di notte, quatte quatte, saltano nel bosco dopo aver pizzicato dai grappoli di falanghina e piedirosso. Più che furbe verrebbe da definirle vere buongustaie.

Il posto più suggestivo di Agnanum¤ rimane però il vigneto storico di quasi cento anni che accompagna un po’ tutta la storia antica e moderna della famiglia Moccia. Una storia semplice la loro, di fatica e sacrifici che ha però preservato questo lembo di terra flegrea dove nascono vini a dir poco straordinari, di una stoffa unica, preziosissimi, finalmente riconosciuti in maniera unanime dagli appassionati quanto dalla critica.
Sono passato da lui in questi giorni per sentire il polso della vigna flegrea, si perché nonostante il grande lavoro che in molti fanno e stanno man mano portando avanti per riqualificare il vigneto flegreo – penso a Gerardo Vernazzaro¤, Giuseppe Fortunato¤ e i Di Meo di La Sibilla¤ giusto per citarne alcuni -, Raffaele rimane, per me, il riferimento imprescindibile per cogliere a pieno ‘l’umore’ dell’annata da queste parti.
Ebbene, mentre in molti di questi tempi affilano (di già) le forbici e guardano sempre più attenti il meteo, Raffaele fa spallucce e guarda avanti almeno a metà ottobre, a prescindere: ‘la mia sarà sempre una vendemmi tardiva, così va qui, è l’uva che lo chiede, non sono certo io a decidere quando tirarla giù dalla pianta’. In effetti, da quando ci conosciamo è così, da almeno quindici anni.

Con questo tipo di terreni le sue preoccupazioni invece sono ben altre: ad esempio tenere su i terrazzamenti che rischiano di sprofondare giù dalla collina ad ogni pioggia forte, qua infatti si continua a lavorare solo a mano, con la zappa, impossibile pensare di condurre quassù trattori o ingegni di qualsivoglia genere. ‘Il lavoro mi vince, finito sotto non faccio in tempo a sistemare su in cima che dopo un mese devo ricominciare tutto da capo’.
Il valore di questa fatica lo ritrovi tutto nei bicchieri, Raffaele fa vini di grande personalità e spessore ma estremamente godibili, soprattutto nel tempo. A breve sarà ‘costretto’ a rilasciare sul mercato i suoi 2014 che beviamo assieme in anteprima: ‘sto senza vino da più di un anno e sono sinceramente in difficoltà con i miei clienti, soprattutto all’estero, dagli Stati Uniti e dalla Francia mi chiamano almeno una volta al mese per essere aggiornati. È tutto pronto, gli dico, non appena finiamo la vendemmia 2015 cominceremo ad uscire con i 2014. Sono in bottiglia da qualche mese vanno solo etichettati’. Anche perché oltre allo spazio in cantina servirebbe anche un po’ di tempo in più. Se la ride. Continua…
‘Raffaele Moccia, one of the most popular phlaegrean winegrower produces wines of great personality and thick but extremely enjoyable, especially along time…’.
Le strade del vino dei Campi Flegrei¤.
Piccola Guida ai vini dei Campi Flegrei¤.
© LArcante – riproduzione riservata
Tag:agnanum, campi flegrei, falanghina, napoli, piedirosso, raffaele moccia
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12 agosto 2015
Come più volte ho scritto, lo scorso ottobre 2014 la doc Campi Flegrei ha compiuto 20 anni¤, un traguardo molto importante per una piccola denominazione e per un territorio per lunghi anni devastato dalla speculazione edilizia che proprio grazie al successo di critica e di mercato dei suoi vini ha visto molti ritornare all’agricoltura e sulla strada del rilancio della viticoltura.

Auspicavo, con l’uscita sul mercato della vendemmia 2014, un maggior riguardo per questo avvenimento, quantomeno a un motus capace di unire e rendere maggiore forza e consapevolezza alle decine di produttori che lentamente vanno ritagliandosi con orgoglio e finalmente senza più pregiudizio ruoli da protagonisti in giro per l’Italia e in minima parte anche nel mondo.
Esempi in tal senso non mancano, dai piccolissimi Raffaele Moccia¤ e Giuseppe Fortunato¤ per molti appassionati divenuti vere icone pop, a Cantine del Mare¤, ai Di Meo¤ del Cruna DeLago 2013, primo vino flegreo a strappare il TreBicchieri2015¤ sino a quelli un po’ più grandicelli Farro e Cantine Astroni¤ sempre molto attivi¤, con questi ultimi in piena rampa di lancio e assai propositivi. E con tutta una stregua di nuovi che si stanno affacciando ora sulla scena ma sembrano pieni di entusiasmo, penso ai fratelli Mirabella di Cantine dell’Averno¤ o ai Daniele di Le vigne di Cigliano.
Tant’è, poco o nulla è stato fatto, come se tutti fossero alle prese con altro di meglio da fare. Vero è che il momento economico non è certo dei più felici ma l’intero comparto appare, come non mai, avvitato su sterili personalismi, con poca voglia di stare veramente assieme e forse un’unica grande consapevolezza: sopravvivere alla giornata, prendere per buono quello che viene. Quando viene. E non basta sentirsi un po’ tutti orfani del delicato momento di riflessione della famiglia Martusciello¤, da sempre motore dei Campi Flegrei. Insomma, il Santo è passato e la festa non è mai iniziata, perché?
Le strade del vino dei Campi Flegrei
Piccola Guida ai vini dei Campi Flegrei
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Tag:20 anni di doc, campi flegrei, cantine astroni, contrada salandra, falanghina, farro, grotta del sole, la sibilla, piedirosso
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11 ottobre 2014
L’azienda¤ è nel cuore del parco nazionale del Vesuvio, uno dei luoghi magici di questa nostra amata Campania Felix, con vigne che godono di un terroir unico nel suo genere, con terreni di natura vulcanica – pomici e lapilli qui abbondano, le terre sono scure come la notte -, importanti escursioni termiche ed uve, tutte autoctone, che danno vini sorprendenti e difficilmente ripetibili altrove.

Vincenzo Ambrosio è tra le migliori persone per bene sbarcate nel mondo del vino negli ultimi vent’anni, imprenditore di successo che non ha mai smesso in questi anni, anche in quelli più duri ed incomprensibili dei primi passi di gettare il cuore oltre l’ostacolo. Ha dovuto lottare – più o meno in ordine degli accadimenti, ndr – con tutta una serie di luoghi comuni che qualunque persona per bene con algido ragionamento avrebbe preso come un invito a lasciar perdere.
La poca esperienza in materia, il circo degli avvoltoi del tornaconto, l’ambiente poco abituato a certi slanci, un mercato in perenne crisi, la diffidenza, l’incomprensione, i critici con la pistola fumante, le carezze del Diavolo. Sarà banale, ma chi di questa famiglia ne sa qualcosa¤, chi ha camminato queste vigne, odorato questa terra, chi si è sporcato le mani con questi vini sa che è prevalso il cuore e ha vinto, con quel sentimento mai passito che sta già tutto nel nome dell’azienda, Villa Dora¤.
Il successo di questo bianco non è misurabile coi Diplomi di merito appesi alle pareti dell’ufficio di rappresentanza, non è visibile con il nome stampato a colori sulla Guida ai vini del momento e nemmeno con la classifica imperdibile del fenomeno di turno; il successo del Vigna del Vulcano sta negli occhi della gente, nella contentezza dei loro occhi, nel bicchiere sempre pieno, nelle bottiglie vuote, finite, che poi si passano per mano per capire chi, come, dove.
Perché in fondo è vero, sino a quando non li bevi non si è mai pienamente convinti che da quelle parti possano venire fuori vini così veri, autentici, unici. Quando giovane, stizzito e fresco come questo splendido 2012, tredici gradi di puro godimento, oppure quando maturo, di cinque, sei, dieci anni e ancora in splendida forma (in giro qualche bottiglia se ne trova ancora). Vesuvio, coda di volpe, falanghina, amore: nel nome delle forti emozioni!
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Tag:coda di volpe, falanghina, lacryma christi del vesuvio, terzigno, vigna del vulcano, villa dora, vincenzo ambrosio
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2 Maggio 2014
Non è facile distrarsi dai tramonti e dai colori che soprattutto all’imbrunire, in ogni stagione dell’anno, qui creano uno scenario spettacolare prima che romantico.

Questo pezzo di Anacapri però merita maggiore attenzione e passione. Ho già scritto qualche tempo fa del sentiero dei Fortini¤, una camminata tra le rocce e la macchia mediterranea che qui si chiude al Faro di Punta Carena. Puro spettacolo!
Ma è la Migliera¤ che continua a suscitarmi ogni volta che la cammino una certa emozione. Penso a cosa sarebbe potuto diventare questo pezzo di terra sospeso tra cielo e mare se quelle splendide terrazze vitate a falanghina, biancolella e greco fossero state curate per dare buona uva da vino e non solo come un giardino qualsiasi. Ci penso e non mi rassegno.
Tag:anacapri, biancolella, blu di capri, capri blu, falanghina, greco, Gunnar Adler Karlsson, isola di capri, migliara
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20 aprile 2014
Un caro amico enologo in viaggio studio in Portogallo scrive sulla sua bacheca Facebook di sentirsi sorpreso (ed orgoglioso) che una delle etichette più prestigiose di Graham’s Port si chiami ‘Quinta do Vesuvio¤‘, con un chiaro riferimento al ‘nostro’ vulcano napoletano.

Da qualche tempo prego insistentemente molti amici produttori di vino di crescere da un punto di vista della comunicazione e di sganciarsi definitivamente dall’idea che duemila anni di storia bastino da soli per continuare a vendere vino. Il mercato è in continua evoluzione, una metamorfosi costante ed imprevedibile, non ultimo, in piena crisi di consumi e fatturati. Per un certo segmento più che in altri.
Alcune aziende, un po’ ovunque in Italia, forti della loro struttura per far fronte a questi cambiamenti hanno fatto investimenti importanti per diversificare la propria offerta; un esempio lampante può essere per tutti il fenomeno nero d’Avola in Sicilia, di molto ridimensionatosi in poco meno di un decennio a favore di una crescita esponenziale dei vini dell’Etna. Qui, dacché erano in tre/quattro a fare vino sono arrivati un po’ tutti¤ e non solo dalla stessa Sicilia.

Stiamo parlando chiaramente di grandi vini, tra l’altro a prezzi sostanzialmente di segmento medio alto, vini di cui rimango ogni volta conquistato. Così, senza entrare nel merito della questione qualitativa, ritornando allo stato del mio amico, mi sono tornate in mente quante riflessioni proprio con lui abbiamo speso sulla necessità che un territorio – più che un vino – debba saper emergere grazie al lavoro di valorizzazione di tutta una serie di aziende e non per la singola capacità individuale nel riuscire ad imporre una etichetta o un modello.
Inutile ricordare che è stato così a Barolo e Barbaresco, a Montalcino, in parte anche a Bolgheri, per non parlare – ancora una volta – di quanto fatto oltralpe dai cugini francesi.

Venendo al dunque, non mi stupisce affatto che Donna Antónia Adelaide Ferreira sia rimasta folgorata dal nostro Vesuvio tanto da dedicargli una delle sue più prestigiose tenute, come non mi fa specie che in poco meno di un decennnio i vini dell’Etna vanno affermandosi come ‘Vini del Vulcano’ grazie anche ad una grande intelligenza comunicativa messa in campo.
E invece quelli universalmente riconosciuti dalla storia come tali, quelli del ‘nostro’ Vesuvio per intenderci, faticano ad imporsi nonostante una capacità produttiva soddisfacente ed una domanda mai sopita tant’è che vede impegnati, seppur a fasi alterne, anche i grandi marchi di casa nostra che girano milioni di bottiglie in tutto il mondo.

In breve, mentre qui ci si perde tra chi fa prima e chi è meglio temo stiamo rischiando veramente di non essere nemmeno più riconosciuti per quel tratto d’orizzonte che affascina da sempre milioni di appassionati in tutto il mondo. Di questo prima o poi dovremmo cominciare a discuterne. Anche perché se aspettiamo che a renderne conto siano le istituzioni hai voglia di aspettare…
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Tag:aglianico, caprettone del vesuvio, donna Antonia Adelaide ferreira, etichette, falanghina, lacryma christi del vesuvio, napoli, nerello cappuccio, nerello mascalese, piedirosso, sicilia, vesuvio, vini dell'etna
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24 febbraio 2014
Non è facile reperire in giro testimoni come questa bottiglia, sempre più una rarità da queste parti. Tra l’altro fa il paio con uno splendido piedirosso, pari annata, del quale ho potuto godere là in cantina e del quale grazie a Gennaro vanto un’ultima bottiglia da spendere con qualche buon amico di bevute future.

Annata calda la 2003, perlomeno così raccontano gli annali seppur già da qualche assaggio passato non mi sembra affatto che il giudizio generale possa valere come principio assoluto. Difficoltà climatiche a cui vanno aggiunte ben più complesse difficoltà operative. È l’anno di nascita per Cantine del Mare¤, la prima vendemmia e in cantina c’è giusto l’essenziale e ben poca esperienza, con tutto quello che ne consegue quando le cose non vanno proprio come devono. Tant’è vero che, senza nemmeno troppi giri di parole, il bicchiere qui racconta molto più di quanto ci si aspettasse. Una vera sorpresa!
Gennaro Schiano da qualche anno ha abbandonato completamente i suoi passati impegni professionali e si occupa da circa tre anni, con la moglie Sandra, solo ed esclusivamente dell’azienda di famiglia. In campagna fa gran parte del lavoro da se e basta buttare un occhio alle splendide vigne in conduzione su via Panoramica¤ a Monte di Procida o anche solo quello alle spalle della piccola cantina per avere ben chiaro quanta dedizione, cura ed attenzione ci mette.

Bianco che ha uno splendido colore paglierino, appena maturo sull’unghia del vino nel bicchiere. Il primo naso è concentrico su note idrocarburiche, un classico se vogliamo quando si ha a che fare con vini di una certa età dall’identità minerale così pregnante. Gli basta poco però per farsi cogliere in tutta la sua pienezza, dalla personalità così ancora viva, con accenni di camomilla, fieno, frutta secca e ginger. In bocca è asciutto, teso, affatto magro, naturalmente imperfetto sul finale di bocca ma con piena freschezza, sapido e rimandi balsamici assai gradevoli.
Ha quasi 11 anni, cavolo!, a trovarne di bianchi campani così in splendida forma. Non ne farei certo un feticcio, e nemmeno mi spingo a farne un manifesto territoriale; la falanghina dei Campi Flegrei ha una missione molto precisa e non bisogna menarsela più di tanto. Diciamo che sono di quelli che amano sorprendersi più quando la trovi un po’ per caso una bottiglia del genere che quando ti arriva tra le mani con la solfa che così debba essere. N’est-ce-pas…?
1994-2014, 20 anni dalla doc Campi Flegrei.
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Tag:campi flegrei, cantine del mare, falanghina, gennaro schiano, monte di procida
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3 febbraio 2014
Come già ho avuto modo di scrivere il 2014 sarà l’anno della falanghina e del piedirosso dei Campi Flegrei, a 20 anni dall’istituzione della denominazione di origine controllata, il 3 ottobre del 1994.

Se mi chiedessero quale azienda e quale vino meritino un po’ più di attenzione direi di buttare un occhio qui: eccovi una Piccola Guida che dovreste tenere presente per farvene un’idea. Quasi tutte, previo appuntamento, fanno accoglienza e vendita diretta in cantina.
Agnanum – Raffaele Moccia
Contrada Astroni 3, Napoli
Tel. 0813417004
http://www.agnanum.it
info@agnanum.it
Di particolare pregio: Piedirosso dei Campi Flegrei Agnanum, Piedirosso dei Campi Flegrei Vigna delle Volpi, Falanghina dei Campi Flegrei Vigna del Pino.
Az. Agricola Monte Spina – Antonio Iovino
Via San Gennaro Agnano 63, Pozzuoli
Tel. 0815206719
iovino.an@tiscali.it
Di particolare pregio: Piedirosso dei Campi Flegrei Gruccione.
Cantine Astroni
Strada Comunale Sartania 48, Loc. Pianura – Napoli
Tel. 0815884182
http://www.cantineastroni.com
info@cantineastroni.com
Di particolare pregio: fuori doc Spumante Astro brut, Falanghina dei Campi Flegrei Colle Imperatrice, Piedirosso dei Campi Flegrei Colle Rotondella.
Cantine del Mare
Via Cappella IV traversa 5, Monte di Procida
Tel. 0815233040
http://www.cantinedelmare.it
info@cantinedelmare.it
Di particolare pregio: Falanghina dei Campi Flegrei, fuori doc Spumante Brezza Flegrea brut
Cantine Farro
Via Virgilio 30-36, Bacoli
Tel. 0818545555
http://www.cantinefarro.it
info@cantinefarro.it
Di particolare pregio: Piedirosso dei Campi Flegrei, Falanghina dei Campi Flegrei Le Cigliate.
Cantine Grotta del Sole
Via Spinelli 2, Quarto
Tel. 0818762566
http://www.grottadelsole.it
info@grottadelsole.it
Di particolare pregio: Piedirosso dei Campi Flegrei Riserva Montegauro, Falanghina dei Campi Flegrei Coste di Cuma.
Contrada Salandra
Via Tre Piccioni 40, Pozzuoli
Tel. 0818541661
http://www.dolciqualita.com
dolciqualita@libero.it
Di particolare pregio: Piedirosso dei Campi Flegrei, Falanghina dei Campi Flegrei.
La Sibilla
Via Ottaviano Augusto 19, Loc. Fusaro – Bacoli
Tel. 0818688778
http://www.sibillavini.it
info@sibillavini.it
Di particolare pregio: Piedirosso dei Campi Flegrei Vigne Storiche, Falanghina dei Campi Flegrei Cruna DeLago.
Va detto che ci sono sul territorio altre aziende che lavorano con dedizione e tanta attenzione: tra queste vanno certamente ricordate Carputo di Quarto, tra le prime, subito dopo Grotta del Sole a imbottigliare vino doc, Cantine Federiciane Monteleone, poi Matilde Zasso a Pozzuoli, Masseria del Borro a due passi da Napoli e, più recentemente, Cantine Babbo, Cantine dell’Averno, Cantine Di Criscio, Il Quarto Miglio, Colle Spadaro. Quest’ultima da qualche tempo vende vino esclusivamente presso l’azienda in Contrada Spadari a Pianura.
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Tag:agnanum, angelo di costanzo, cantine astroni, doc campi Flegrei, falanghina, grotta del sole, guida ai vini dei Campi Flegrei, l'arcante, la sibilla, piedirosso, sommelier
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13 gennaio 2014
Coste di Cuma è una piccola stradina di campagna in parte asfaltata in parte sterrata che, a poche centinaia di metri dal popoloso quartiere Monterusciello, taglia dritto in media collina e spunta verso Cuma, sulla costa flegrea, nel comune di Pozzuoli.

Qui la terra ha una chiara impronta vulcanica e si giova anche della vicinanza del mare lontano in linea d’aria appena qualche centinaia di metri. Proprio qui, nel 1994, all’apice dell’urbanizzazione dell’area cominciata qualche anno prima causa anche il secondo massivo piano di evacuazione dell’antico centro storico di Pozzuoli, nei primi anni ’80 nuovamente alle prese con il Bradisismo, la famiglia Martusciello ci piantò una piccola vigna a falanghina che nel tempo è stata destinata a dare uva per il vino di punta dell’azienda Grotta del Sole¤, il Coste di Cuma¤ appunto; 2 ettari circa condotti con una certa attenzione colturale – praticamente in regime biologico seppur mai ostentato – da cui si è riusciti sempre ad ottenere mosti di qualità almeno una spanna sopra alle altre tante vigne vocate di proprietà o ‘gestite’ in giro per i Campi Flegrei.
Che non confondano però i numeri dell’azienda, che certo sono importanti, ma continuano a riguardare una molteplicità di impegni che ormai da 20 anni la vedono impegnata su più fronti, dai Campi Flegrei all’Irpinia, dall’Agro aversano¤ al Vesuvio e alla Penisola Sorrentina, sempre con grande impegno e successo. Ma è qui¤, in terra flegrea, che ci sono le radici più forti e dove, senza nulla togliere agli altri ottimi prodotti sembrano venir fuori i vini di maggiore spessore.
Come questo, che rimane un fiore all’occhiello e che ‘cresce’ ogni anno di più. E continua ad esprimersi a grandi livelli questo duemilaundici: fragrante, sostenuto, sottile e di grande piacevolezza. Preciso il colore paglierino, subito invitante il primo naso di ginestra e pesca, caratterizzato in questo momento anche da una discreta nuance salmastra, come preciso è il sorso, di gran lunga fresco e giustamente sapido. Regala proprio un bel bere. Coste di Cuma ha trovato la sua strada.
1994-2014, 20 anni di doc Campi Flegrei
Tag:campi flegrei, coste di cuma, falanghina, grotta del sole, Licola, martusciello, Monterusciello, piede franco, pozzuoli, quarto
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12 gennaio 2014

Il 2014 sarà l’anno della falanghina e del piedirosso dei Campi Flegrei¤, a 20 anni dall’istituzione della denominazione di origine controllata, il 3 ottobre del 1994. Spero, auspico anzi, che tutti quanti i produttori si diano da fare per ricordare durante quest’anno questo piccolo prezioso traguardo che vedrà la prossima vendemmia 2014 come quella del ventennale.
Per quanto mi riguarda, qui su L’Arcante, durante tutto quest’anno non faremo mai mancare (come sempre del resto) la giusta attenzione a questi vini e all’evento. Stay tuned…
Tag:campi flegrei, doc campi Flegrei, falanghina, piedirosso, strade del vino dei campi flegrei, ventennale doc campi flegrei
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9 gennaio 2014
Quando racconta di Quintodecimo¤ e dei suoi vini appare pieno di se, lo fa però con seria coscienza, mai con saccenza. E a pensarci bene chi, al posto suo, non lo sarebbe? Siamo costretti ogni giorno a sorbirci ovvietà da novelli produttori belli tronfi del proprio quarto d’ora di successo che uno come Luigi, il professore Moio¤, con la storia di famiglia che ha, con quel suo percorso accademico e oltre 20 anni di vendemmie da protagonista alle spalle è un Gran Signore del vino da tutti i punti di vista.

Nasce tutto dalla vigna di proprietà a Mirabella Eclano il Via del Campo¤ 2012. Che buono! mi viene subito da dire. Magia, sim sala bim! direbbe Silvan. Ma qui la prestidigitazione non c’entra, in questa bottiglia non c’è nessun gioco di prestigio, niente fuffa, solo tanta sostanza; c’è studio e ricerca sul varietale, vent’anni di prove tecniche e verifiche su diversi terroir che in questa bottiglia sprigionano un’anima straordinaria che spiega tanto del perché, da tempo, Moio va predicando che la falanghina – non il greco, non il fiano -, è la varietà più interessante tra quelle bianche campane.
Si, falanghina, di quei vini che i masti recensori di sovente scartano a priori, cui non hanno mai abbastanza tempo da dedicare perché un giorno si e un giorno no sono presi a discernere con minuzia dei millimetri di pioggia o la forza acida dei terreni perlopiù tra Summonte e Montefredane, raramente di Lapio che pare conoscano a menadito. E invece, invece si sa, una Falanghina non richiede di appallare la gente con tutta la solfa su annate, rating, disquisizioni teoriche sul portainnesto Paulsen o su quali minerali o precursori aromatici generano i più fini sentori rieslingheggianti, su cui, magari, ricamarci l’ennesimo richiamo di hegeliana memoria (o di Max Pezzali che fa più o meno lo stesso) che dona tanto spessore al curricula.
Chissà che almeno provino a buttarci le narici in questo bicchiere. Luminoso il colore paglierino oro, subito fitto e verticale il primo naso. I sentori più immediati sono di biancospino e frutta a polpa bianca, sollecitati da un abbrivio balsamico di rara eleganza. Così il sorso si fa subito vibrante, teso e lungo con una chiusura di bocca risoluta, gustosa, di finissimo carattere. Certo un difetto ce l’ha, si fa bere con grande slancio nonostante i suoi 14 gradi in alcol. Che dire ancora… ah si, un vino così risveglia profondamente l’orgoglio e l’entusiasmo per averci creduto sempre. Ce ne vorranno i detrattori, ma ci interessa?
Tag:falanghina, laura di marzio, luigi moio, mirabella eclano, quintodecimo, via del campo
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8 agosto 2013
Scrissi di questa nuova piccola azienda lo scorso Febbraio dopo aver provato un insolito pinot nero¤ fatto là sulle colline appena sopra Vico Equense.
Abbazia di Crapolla¤ è una realtà in lento divenire, seguita tra l’altro da un bravo enologo allievo di Luigi Moio, Arturo Erbaggio. Quel primo assaggio fu però contraddittorio, ma forse anche per questo parecchio affascinante. Certo ci vuole coraggio a piantare pinot nero in Campania, mi dissi allora, in quelle zone poi, misconosciute ai più. Meno complicato invece mi apparve subito arrivare alla falangina e al fiano, due grandi varietali che in regione la fanno da padrone e che anche qui – a quanto pare – sembrano venire fuori alla grande.
Conservavo questa bottiglia da qualche tempo ma invero già alcuni colleghi amici mi avevano ben rassicurato sul fatto che forse il bianco più che il rosso avesse più cose da dire. Così armato di tanta curiosità finalmente l’ho aperta. In effetti tutto sembra esser riuscito alla perfezione: l’uvaggio pare ben calibrato, ha franchezza, spinta e buona progressione gustativa, non v’è legno e, bonus, offre una bevibilità senza stress da prestazione. Il Sireo bianco 2011 garantisce insomma proprio un gran bel bere.
Il colore è paglierino appena dorato, luminoso, molto invitante. Il naso è subito un portento: sa di citronella, buccia d’agrumi e nettamente di mela bianca. Un bouquet che si arricchisce con pienezza di fresche note minerali (quasi fumé) molto interessanti, che ritornano di continuo anche sul finale di bocca. Il sorso è vivace, pieno ma non eccessivo, naviga in perfetto equilibrio, piacevolissimo, bello sapido. Un bianco con stoffa e carattere, da tenere a portata di mano soprattutto in queste giornate d’estate. L’avrei volentieri abbinato proprio al fritto¤ di Pasquale Torrente.
© L’Arcante – riproduzione riservata
Tag:abbazia di crapolla, arturo erbaggio, big picture, falanghina, fiano, luigi moio, sireo bianco 2011, vico equense, vino bianco per l'estate
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12 giugno 2013
Aziende come Mustilli pare che te le trovi sempre lì, a portata di mano, nonostante ti perdi qualche passaggio o annata. Una di quelle che non fanno ‘rumore’, né cedono più di tanto alla mondanità o tendenze modaiole che pur stanno imperversando in regione in lungo e in largo da qualche tempo.

E’ là, a Sant’Agata dei Goti¤, uno dei borghi d’Italia più belli e imperdibili. Un vigneto, sparso tra il Sannio e il Beneventano, sempre troppo poco pubblicizzati e attenzionati nonostante oltre ai numeri siano ormai decine le aziende meritevoli di maggiore rispetto.
Una famiglia, quella dei Mustilli¤, che tanto ha fatto e fa per il vino campano. Si deve – forse in molti fanno presto a scordarlo -, proprio all’ing. Leonardo Mustilli l’invenzione della falanghina ‘in bottiglia’, nel 1979. Altri tempi. Gente che lavora sodo insomma e che, nonostante la crisi, toma toma, si permette il lusso, appena in giugno, di aver già esaurito buona parte delle nuove annate in carnet.
E poi c’è Fortunato Sebastiano¤, tra i più bravi e attenti enologi campani che con Anna Chiara Mustilli stanno pian pianino rivoltando come un calzino le vigne e i processi di produzione in cantina. Un lavoro silenzioso, quasi sussurrato, ma che attraverso bottiglie sempre più ‘leggibili’ e fruibili, buone, varietali – in una parolona: tipiche! -, vengono via alla grande. Tra l’altro, se non lo avete ancora fatto, provate pure l’ultimo piedirosso loro: è un portento per rapporto prezzo-qualità!
Che poi non so se questo duemiladodici del Vigna Fontanella sia il più buono di sempre uscito dalla loro cantina, però certo è che viene di una franchezza e piacevolezza davvero uniche. E’ sottile, vivace, invitante al naso, secco ma lentamente scioglievole in bocca. Un bianco che poi si smarca nettamente dall’idea di copiaincollare ciò che si fa in Irpinia, dove il greco assume spesso caratteri sulfurei e terrosi molto marcati, particolari, talvolta inarrivabili per complessità e animosità.
Ecco quindi una versione di più facile approccio forse, immediata ma affatto banale, da spendere a più riprese su qualsivoglia piatto leggero, di mare, da mettere in tavola soprattutto in questo inizio estate.
Tag:annachiara mustilli, beneventano, falanghina, fortunato sebastiano, ing leonardo mustilli, maril' mustilli, mustilli, sannio, sannio greco, sant'agata dei goti, vigna fontanella
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2 Maggio 2013
Il successo del succoso Fiorduva di Andrea e Marisa ha pochi eguali in Campania, tra l’altro ormai universalmente riconosciuto tra i grandi bianchi italiani ogni anno sempre più applaudito.

Un riconoscimento che si fa ancor più grande se si pensa a quei luoghi, a quelle vigne strappate letteralmente alla montagna che ricadono a strapiombo sul mare, visione questa di una suggestione unica e rara che ha pochi equivalenti. Sono gli stessi luoghi dove nasce pure quest’altro piccolo capolavoro di falanghina e biancolella che, opinione del tutto personale, sempre più spesso mi viene addirittura naturale mettere davanti al Fiorduva stesso.
Possiede una straordinaria franchezza espressiva il Furore bianco 2012, lo cogli sin dal primo approccio, appena ci metti il naso nel bicchiere, non appena ti bagni le labbra. Passeremmo ore a discutere davanti ad una vecchia bottiglia di fiano di Avellino di Vadiaperti o di Lacryma Christi bianco di Villa Dora, magari dello stesso Fiorduva se ne trovassimo qualcuna in giro ben conservata.
Sono bianchi questi ultimi capaci di sovvertire luoghi comuni e convinzioni vetuste: profondità, larghezza, spessore sarebbero le parole più gettonate, ne sono convinto, come infinite ritornerebbero le disquisizioni emozionali dinanzi a bottiglie sorprendenti finalmente proiettate nel tempo con la stessa apertura di credito riconosciuta sino a pochi anni fa solo a certune d’oltralpe (Borgogna, Alsazia ecc…).
Talvolta, certe volte, c’è però bisogno di altro: di un sospiro, un piacere, una voluttà immediatamente leggibile, non necessariamente ancestrale, bensì immediata, da stappare al volo e da godere adesso, subito. E’ pure di questo che si ha bisogno, no? Cogliere l’attimo, quel glicine appena in fiore, la mela appena matura, un respiro a ‘pieni polmoni’ affacciati su una terrazza qualsiasi di Furore, ‘il paese dipinto’; la macchia mediterranea, il sale appena accennato, il sole là appena al tramonto. Una goccia in mezzo al mare sì, ma sempre più unica!
Tag:bacco, bianclella, costa d'amalfi, falanghina, fiorduva, furore 2012, luigi moio, marisa cuomo, marisa cuomo gran furore divina costiera, terrazza
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25 febbraio 2013
La mia Campania si conferma una terra straordinaria per il vino, con sorprese che sembrano dietro ogni angolo di posto, ancor più golose ed imperdibili quando lanciate a conquistarsi spazio e memoria nel tempo.

Una piacevole sorpresa sembra arrivare da quel cilindro magico di paradiso dei bianchi che è divenuta in così pochi anni la Costa d’Amalfi; Puntacroce pare iscrivere¤ il suo nome a chiare lettere tra quei vini nuovi da non perdere assolutamente di vista nei prossimi anni. Vien fuori da un assemblaggio di falanghina con biancolella, ginestra ed altre varietà locali fenile, ripolo e pepella, che qualcuno forse già ricorderà grazie ai successi dei ben più noti vini di Andrea Ferraioli e Marisa Cuomo¤ da Furore se non per quelle piccole gemme di Alfonso Arpino¤ e Gaetano Bove¤ da Tramonti.

Tra l’altro, il progetto di Raffaele Palma qui a due passi da Maiori, vicino Capo d’orso, sembra essere di quelli solidi e di grande prospettiva vista la serietà degli intenti e l’enorme sforzo economico sostenuto per rifare, praticamente daccapo e in perfetta armonia col paesaggio rurale circostante, tutti quei bellissimi terrazzamenti a secco che stringono, ferrei, a strapiombo sul mare, le splendide vigne e i rigogliosi limoneti condotti secondo agricoltura biologica.
Tant’è che nel bicchiere sorprende e come questo Puntacroce 2011, soprattutto per l’imponente verticalità che lenta si fa poi dolce e mansueta. Bianco davvero particolare, colorito e vivace, disincantato e invitante: al naso richiama immediatamente sentori agrumati di mandarino ed albicocca confettati, ma anche note più alte e fitte come balsami, resine e tarassaco. Il sorso è asciutto e ben indirizzato, stuzzicante, minerale e giustamente sapido con, in ultimo, un piacevolissimo ritorno mandorlato sul finire di bocca. Da bersi potenzialmente a secchiate.
Tag:agricoltura biologica, biancolella, costa d'amalfi, falanghina, fenile, ginestra, marisa cuomo, monte di grazia, puntacroce, raffaele palma, ripoli, san francesco, vincenzo mercurio
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23 febbraio 2013
I passaggi¤ a Quintodecimo non sono mai ripetitivi, mi portano bene e danno ogni volta quella scossa necessaria per cogliere al meglio quelle nuove prospettive necessarie in un mondo sempre troppo avvitato su se stesso. Il piacere di stare assieme, le storie, la musica, quella dell’anima, alla fine ci salvano tutti!

Ne lascio qualche traccia non per pavoneggiarmi dell’amicizia di Laura e Luigi, persone per bene, disponibili ed intelligenti quanto basta per fare di ogni attento visitatore il migliore degli ospiti possibili, ma per anticipare a quegli stessi appassionati che vorranno andarci prossimamente, una o due cose abbastanza rilevanti con in più un paio di novità da non mancare.
La prima cosa è che l’azienda è sempre più bella, pure quando la vigna è spoglia, con la cantina, ordinatissima e suggestiva, praticamente vuota! Nel senso che a parte le vasche e i legni con le nuove annate in affinamento e le riserve di Taurasi in elevazione, niente, non v’è traccia di bottiglie se non quelle di prossima uscita in Marzo; e l’archivio storico naturalmente, che però, da quanto confessato da Laura, bene farebbe Moio a tenersele sottochiave. In tempo di crisi, direi che non è poco.
La seconda constatazione – che poi sono due – sta nell’aver colto, durante gli assaggi dei cru 2011 in bottiglia e 2012 in affinamento tra vasche e legno, un “alleggerimento” sostanziale del sorso a favore però di una profondità gustativa di notevole rilevanza, così, d’emblé, assai più immediatamente incisiva al primo assaggio che nelle precedenti uscite. Un vero schiaffo!
Ne sono testimonianza, nella loro chiara diversità, la falanghina Via del Campo duemilaundici che sembra avere già tutti i numeri a posto per sparigliare le carte in tavola: luminosa, verticale, ineccepibile e l’Exultet 2012, la cui parte in affinamento in legno sembra chiaramente “urlare” di finire in bottiglia sin d’ora così com’è. Non a torto (nostro).
E’ chiaro che questi ultimi 5 anni sono serviti al Professore per avere piena contezza di quanto dicessero le sue idee e le scelte portate avanti con ragionevole fermezza; che, per coglierne sommariamente una vaga idea basterebbe riassaggiare il sorprendente Exultet 2006¤, il primo, per comprendere a pieno quanto il fiano, ma lo stesso aglianico¤ o il greco, la falanghina nelle mani di Moio avranno tanto da dire soprattutto nei prossimi anni a venire. Una roba da non credersi, un vino in grande forma, sbocciato imperiosamente ed in piena voluttà espressiva.

Dicevo poi delle novità: una è l’arrivo ormai imminente del secondo cru di Taurasi Riserva, il Grande Cerzito¤ 2009 in uscita si pensa il prossimo novembre 2013, di cui però, come sugli altri rossi, scriverò dettagliatamente a breve; l’altra è l’acquisto di tre ettari e mezzo di vigna a greco nel cuore di Tufo, l’anima più antica forse della denominazione che sarà del Giallo d’Arles¤, quel campione di cui da un paio d’anni faccio davvero fatica a stare senza. Cru era, da una sola vigna di Santa Paolina, cru rimarrà, ma ora, finalmente, di proprietà. Che dopo l’impianto di qualche anno fa proprio a Mirabella Eclano di falanghina (il 2011 già reca in etichetta l’Irpinia doc) ed il consolidamento della conduzione in Lapio con la vigna che da vita all’Exultet, sembra chiudersi il cerchio magico dei domaines di Quintodecimo.
Poi vabbè, ci sarebbe da dire di quel Metamorphosis, ma questa è un’altra bella storia non ancora da svelare.
Tag:big picture, falanghina, fiano di avellino exultet, giallo d'arles, grande cerzito, irpinia wines, lapio, laura di marzio, luigi moio, metamorphosis, mirabella eclano, quintodecimo, terra d'eclano, tufo, via del campo, vigna quintodecimo
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21 febbraio 2013
Ponza è un posto magico, vi si dovrebbe passare almeno una settimana l’anno della propria vita; non a luglio o ad agosto naturalmente, mesi in cui la calca dei turisti ingolfa la passeggiata del Porto e la caciara dei natanti le acque antistanti.

Di quei luoghi ho ricordi bellissimi ed un grande unico cruccio, Palmarola, che non son stato capace di visitare, causa mare grosso, entrambe le volte che sono passato sull’isola e per tutta una intera settimana. Da sfigati insomma, ma mi rifarò.
Da uno dei promontori più suggestivi dell’Isola di Ponza, punta Fieno, arriva questo insolito e caratteristico bianco composto in massima parte da biancolella e falanghina, vino dal profumo vulcanico e dal sapore antico. Ci lavorano da un po’ di anni con una certa perseveranza ed ostinazione Luciana Sabino¤ e suo marito Emanuele Vittorio; ne avrete letto tra l’altro già qui¤.

In cantina l’hanno condotto con mano ferma prima il bravo Maurizio De Simone, che ne ha saputo immediatamente leggere ed interpretare l’anima valorizzandone al massimo la “naturalità” espressiva e poi, oggi, con una visione prospettica altrettanto interessante Vincenzo Mercurio¤, capace di sottolinearne al meglio tutta la matrice minerale esaltandone il profilo organolettico decisamente sopra le righe.
Il Fieno bianco 2011 viene fuori da quei 2 ettari di vigna piantati per lo più nel tufo tra le sabbie dei muretti a secco lungo quella piccola collina che lega la splendida Chiaia di Luna al Faro, posto raggiungibile esclusivamente attraverso una stretta mulattiera; un luogo di una suggestione unica, che durante le estati più calde fa registrare temperature vicine ai 40-50 gradi, anche se rinfrescate nella notte da escursioni termiche altrettanto importanti. Ne viene fuori un bianco dal corredo aromatico molto particolare, per lunghi tratti sulfureo, salmastro, che sa di fieno (!) e genziana, dal sorso efficace e sgraziato. Un quadro organolettico certamente non banale e sostanzialmente assai tipicizzante un vino unico nel suo genere, insolito e da provare e riprovare anche nel tempo.
Tag:barbera, biancolella, falanghina, fieno di ponza antiche cantine migliaccio, isola di ponza, lazio wines, luciana sabino, maurizio de simone, montepulciano, palmarola, vincenzo mercurio
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4 febbraio 2013
Il fiordo di Crapolla è un’antichissimo approdo di pescatori poco distante da S. Agata sui due golfi, nei pressi di Torca. Dell’Abbazia di San Pietro non resta che una vecchia cappella votiva intitolata allo stesso Santo, costruita con le stesse pietre dell’antico edificio.

L’azienda Abbazia di Crapolla sta a San Salvatore di Vico Equense, ha una superficie vitata di circa 2 ettari con le vigne dislocate su diverse piane perfettamente integrate a vecchi ulivi e degli orti, con un antico convento che ospita invece la cantina. C’è piantato, di nuovo, a spalliera, del fiano, della falanghina (circa 6500 piante) e del pinot nero (circa 2000 piante) mentre si sono volutamente ripresi alcuni vecchi impianti a tendone di merlot ed uva sabato, messi invece a dimora sin dalla fine degli anni 70.
Il progetto è partito nel 2007, con una scelta sicuramente inusuale ma ben precisa: piantare in quelle vigne, lassù, tra gli altri, del pinot nero; un po’ per la grande passione della proprietà per i grandi rossi di Borgogna, ma anche per la ricerca di una certa originalità trovandosi ad operare in un’areale lontano dai tradizionali circuiti viticoli regionali e con, oltretutto, un particolare microclima che poneva interrogativi riguardo l’adattabilità di varietà a bacca rossa autoctone. In pratica, mi conferma Arturo Erbaggio, che segue da qualche tempo l’azienda, “si è puntato su una varietà precoce, che non ponesse molti problemi di maturità tannica e che conducesse, nel tempo, a delineare un rosso di buona freschezza aromatica, acidità, eleganza”.
L’assaggio del Nero 2011 conferma in tutto e per tutto l’azzardo ma anche l’originalità e il coraggio di una scelta così impegnativa là in Costiera. Luminoso il colore rubino appena trasparente, il calice offre un naso pulito, sottile e fine, brevemente variopinto di sentori floreali e piccoli frutti rossi. Un quadro organolettico abbastanza armonico col varietale, anche invitante. Discreto invece il sorso: asciutto, di buona freschezza, forse solo un poco impreciso, un tantino slegato; eppure lascia in bocca quel sapore dolce-amaro sempre un po’ particolare in una sfida appena cominciata e che non vede, sul breve, vincitori e vinti ma un acceso confronto di studio a colpi da manuale. Poi si sa, nel vino come nella vita gli esami non finiscono mai. Come certe sorprese.
Tag:abbazia di crapolla, arturo erbaggio, azienda agricola abbazia di crapolla, falanghina, fiano, fiordo di crapolla, nero, sant'agata sui due golfi, uva sabato, vico equense
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11 ottobre 2012
Oggi si va in vigna a fare la vendemmia. Poche casse, preziosissime, da un pezzetto di terra letteralmente strappato all’incuria e all’abbandono proprio a due passi dall’albergo dove lavoro, dietro la seggiovia qui in Anacapri. Grazie Raffaele, grazie mille, per ieri, oggi e domani. Poi il report…

Tag:anacapri, biancolella, big picture, ciunchesa, falanghina, foto vigne, joaquin dall'isola, mani, proprietà de tomaso in Anacapri, raffaele pagano, vendemmia 2012, vigne in anacapri
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16 settembre 2012
Dopo il rilancio di Taurasi Vendemmia, il calendario delle rassegne vinicole italiane saluta il ripristino di un evento interamente dedicato ai più importanti vini bianchi della provincia di Avellino.
Ad oltre un lustro dall’ultima edizione, celebrata all’interno della rassegna enogastronomica Terra Mia di Atripalda (Av), ritorna infatti BianchIrpinia, la manifestazione promossa dall’agenzia di comunicazione integrata Miriade & Partners S.r.l. insieme alle aziende partecipanti per presentare a stampa specializzata nazionale ed internazionale e agli operatori di tutta Italia le nuove annate di Fiano di Avellino e Greco di Tufo Docg.
L’evento si terrà in Irpinia (location in via di definizione) da giovedì 15 a domenica 18 Novembre 2012.
Si conferma dunque quel percorso “orizzontale” tra l’azienda promotrice della rassegna e le cantine irpine, formula che tanto successo ha riscontrato negli ultimi due anni e che sta di fatto contribuendo alla costruzione di un modello del tutto nuovo per la provincia di Avellino – ma non solo – che vede protagonisti i veri attori della vitivinicoltura irpina, con un forte rilancio di comunicazione e approfondimento per quella che è di fatto una delle coppie territoriali in bianco più apprezzate al mondo.
Per tutte le informazioni del caso
MIRIADE & PARTNERS SRL
Diana Cataldo – tel. 329.9606793
Massimo Iannaccone – tel. 392.9866587
E-mail: ufficiostampa@miriadeweb.it
Sito internet: www.bianchirpinia.it
Tag:BianchIrpinia 2012, campania felix, eventi degustazioni, falanghina, fiano di avellino, greco di tufo, greco musc', l'arcante, manifestazioni del vino, miriade&partners, vini irpini
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11 agosto 2012
Riflettevo ieri sui tanti episodi che mi capitano durante il servizio, il più delle volte a sera: sapete, la signorina mittiquì con la fisima dello chardonnay o la donnina che senza il pinot grigio…oh… gnente!, e poi quello che il vino campano “mamma li turchi!” ma anche quelli che il vino toscano… “toh, ma continuano a barare?”; insomma ecco, cose così, conversazioni impegnative e meno, con gente da suggestionare, convincere, stimolare, conquistare…
E per farlo bene, conquistarle dico, bisogna essere convincenti per davvero, non necessariamente bravi ma avere argomenti buoni da trattare, bottiglie seducenti oltre ai Barolo e ai Supertuscan – che vuoi o non vuoi godono ancora di quell’appeal che manca agli altri -, vini insomma che hanno qualcosa da raccontare, non solo profumi e sapori ma anche storie cui stare dietro a spiegare. Spiegare, spiegare, spiegare, fino alla noia far sapere cosa c’è in quel bicchiere, magari perché è finito lì nella tua carta, chi ce l’ha fatto fare e dove e come nasce.
Invero non ho molto tempo per scrivere in questi giorni particolarmente intensi e pieni, però sento il dovere di confessare perché ho peccato ancora; sì, l’ho fatto ancora, di sana pianta e per tutta una serata, cominciata alle otto e finita da poco, quasi a mezzanotte. L’ho fatto per vendere vino, per vendere, e tra le altre ancora una bottiglia di Cruna De Lago 2010 della famiglia Di Meo, un Brunello di Montalcino 2006 di Pian dell’ Orino e l’ennesimo Grotte Alte 2006 di Arianna Occhipinti.
Belle bottiglie, ottimi vini, grandi potremmo dire. Talvolta però non basta, ma chi sono? La gente vuole e deve sapere che anche dietro una Falanghina dei Campi Flegrei c’è il lavoro di tutta una vita: un fazzoletto di terra strappato al cemento, un nonno di 80 anni che ancora freme per correre a potare la vigna e un giovanotto di 20 anni che più delle sottane ha subito capito quanto contasse vegliare i mosti per tutta la fermentazione.
E che dire poi di Jan Erbach e Caroline Pobitzer, che barano? Allora fateci due chiacchiere con loro, andate là a Pian dell’Orino, sta a Montalcino dove sta Biondi Santi; lei è una tosta, e tanto basta, di lui si può dire che è un tipo in gamba, germanico, intransigente, con una testa grossa così: parla alle piante e ne ascolta il ciclo vitale, ma non è quello il suo segreto, il suo asso nella manica è l’amore. Così i loro vini vi parlano col cuore, e colpiscono direttamente al cuore.
O di Arianna Occhipinti. E’ vero, ha fatto degli errori (ma chi non ne fa?), i suoi vini hanno sofferto l’inesperienza e la troppa grazia di un movimento in subbuglio (i cosiddetti vini naturali) dove qualunque cosa appena potabile passava per oro colato. E’ forte Arianna, capace, intraprendente, solare come certe sue bottiglie; portare in tavola una di Grotte Alte è come consegnare ai clienti la chiave di uno scrigno, dove dentro ci sta tutto quanto desideri da una bottiglia di vino: la terra, l’orgoglio, l’amore.
Eh si, il sommelier è un po’ così, racconta frottole, inventa storie per vendere vino ma giuro, almeno per quanto mi riguarda, che non è tutta farina del mio sacco, il più delle volte è che me le raccontano proprio così, ed io ci credo. Colpa degli altri insomma.
Tag:arianna occhipinti, biondi santi, brunello di montalcino, campi flegrei, caroline pobitzer, cruna delago la sibilla, di meo, falanghina, grotte alte, jan erbach, nero d'avola, pian dell'orino, sicilia wines, vittoria
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6 febbraio 2012
Via del Campo c’è una graziosa/gli occhi grandi color di foglia/tutta notte sta sulla soglia/vende a tutti la stessa rosa.
Via del Campo c’è una bambina/con le labbra color rugiada/gli occhi grigi come la strada/nascon fiori dove cammina.
Via del Campo c’è una puttana/gli occhi grandi color di foglia/se di amarla ti vien la voglia/basta prenderla per la mano
e ti sembra di andar lontano/lei ti guarda con un sorriso/non credevi che il paradiso/fosse solo lì al primo piano.
Via del Campo ci va un illuso/a pregarla di maritare/a vederla salir le scale/fino a quando il balcone ha chiuso.
Ama e ridi se amor risponde/piangi forte se non ti sente/dai diamanti non nasce niente/dal letame nascono i fior/dai diamanti non nasce niente/dal letame nascono i fiori. (1986, © Fabrizio De André).

A parlar di vino, cos’è la falanghina nell’immaginario comune se non quell’uva – come una puttana, cercata e violentata da molti -, procace e disponibile, appariscente, profumata e “pittata” all’evenienza, talvolta ingrassata sino al ridicolo per attirare orde di clienti il più delle volte coscientemente incapaci di coglierne la benché minima emozione, figuriamoci l’anima. Che nemmeno cercano. Il ché rende le cose molto più semplici a tutti.
Ecco, Luigi Moio¤ è un grande anche in questo. Provate a mettere nel bicchiere questo 2009: c’è chi ha timore della semplicità del varietale, di un indemoniato uso del legno, di un trucco pesante e, non ultimo, quanto tutto ciò costi in soldoni. Bene, mettetela nel bicchiere questa falanghina, fatela provare magari a settanta persone tra appassionati, enologi, sommelier, conformisti e anticonformisti compresi: palati fini – certi finissimi -, ma anche palati meno “allenati”, puri, taluni anche grezzi. E poi statele ad ascoltare, provando a raccogliere le loro opinioni.
No, non serve che aggiunga altro, dire del colore fulgido e luminoso, del naso avvincente, fine e verticale, del sapore fitto, memorabile. Del valore: semplicemente prezioso. Non a caso il Professore sulla falanghina ci lavora da più di vent’anni. E non a caso, dopo vent’anni e più di ricerche, studi, prove, vini, la Sua falanghina, a Quintodecimo, si chiama Via del Campo. Certo non a caso, dicono.
Tag:angelo di costanzo, big picture, canzone via del campo, capania, fabrizio de andré, falanghina, falanghina via del campo 2009 quintodecimo, luigi moio, mirabella eclano, quintodecimo, sommelier, via del campo
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10 dicembre 2011
E’ una bella storia quella di Emilio e Nicola Mirabella, due fratelli che hanno a lungo rincorso questo sogno e che, finalmente, con questo bianco duemiladieci esordiscono sulla scena.

L’azienda è di quelle piccole, minuscole si può dire, ma che conserva tutta la vocazione ultramillenaria di questo piccolo e suggestivo lembo di terra affacciato sul Lago d’Averno a Pozzuoli. Poco meno di due ettari, per lo più piedirosso, con vista sulle rovine del Tempio di Apollo: ma qualcuno forse si ricorderà del vigneto storico Mirabella, uno dei più preziosi del circondario flegreo, per anni curato e valorizzato dalla famiglia Martusciello, Grotta del Sole; ebbene, sono proprio loro, smessi i panni di conferitori hanno deciso di buttarsi nel fuoco. Anima e corpo.

In vigna, di falanghina, appena milletrecento metri, proprio sul lungolago, allevata con il tradizionale sistema a Spalatrone Puteolano; poi un’altra quarantina di quintali arrivano dalle vigne confinanti dei parenti vicini. Davvero un bel bianco questo vino, esordio quindi più che convincente, benedetto in cantina dalle mani esperte di Carmine Valentino e baciato da una giusta evoluzione in bottiglia che disegna caratteri distintivi molto interessanti, per niente banali: il frutto, nonostante l’annata avesse offerto una “coda” piuttosto piovosa, si mostra ben maturo e in piena evoluzione. Il colore è paglierino carico, di vibrante vivacità; il primo naso è subito floreale e fruttato, il palato invece è asciutto, ma a tratti voluminoso, profondo. Molto gradevoli le nuances di ginestra e albicocca, poi, come la bocca conferma, tanta mineralità e avvolgenza sapida. Tredici gradi di estrema godibilità.
A conferma di quanto si voglia fare sul serio, manco ci fossero dubbi sulla qualità della materia prima e la vocazione del terroir, tra le prime opere intraprese dai Mirabella c’è stata quella di rimetttere a nuovo il vecchio cellaio di famiglia e comprare tutti i ferri del mestiere utili e indispensabili a garantire adeguato sostegno in cantina alla buona opera perseguita in vigna. Qui si tende ad un lavoro certosino, ad una lotta integrata per esempio per quanto riguarda “i trattamenti”, per invadere l’ambiente agricolo il meno possibile. Il vigneto è di quelli davvero suggestivi, per lo più terrazzato e di non facile gestione: l’impianto è tradizionale e a piede franco, con viti che viaggiano tra i 40 a i 60 anni d’età, e la raccolta in vendemmia avviene esclusivamente a mano, e il carico viaggia praticamente “a spalla” sino in cantina che è a poche centinaia di metri. Anche qui, senza l’intenzione di sventolare alcuna bandiera, nessun idealismo se non quello di lasciar “parlare” l’uva; si lavora in maniera convenzionale ma senza aggredire, violentare il vino.

Con l’annata appena in cantina si sta, tra l’altro, già lavorando per ottenere un vino ancor più complesso, che esalti ancor più la qualità della materia prima che viene fuori da queste splendide vigne; l’annata 2011 promette bene e i primi assaggi dalle barriques hanno mostrato risultati piuttosto interessanti. Legni vecchi, rigenerati, pensati come contenitori, per lasciare distendere la massa in fermentazione, null’altro. Ma è prematuro parlarne oggi, c’è tempo. Come per il piedirosso anche qui siamo sulle 2.000 bottiglie in tutto, un vin de garage in piena regola, si direbbe oltralpe. Ma restiamo coi piedi per terra, Pozzuoli non è certamente Mersault, ma soprattutto perché si sa, ultimamente coi francesi non è che ci prendiamo un granché!
Questa recensione esce anche su www.lucianopignataro.it.
Tag:campi flegrei, emilio mirabella, falanghina, le cantine dell'averno, nicola mirabella, per e palummo, piedirosso, pozzuoli, vigneto storico mirabella, vini dei campi flegrei
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24 novembre 2011
Ho trascorso buona parte degli ultimi dieci giorni a camminare vigne e cantine qui nei Campi Flegrei. Un bel giro, di ritorno da Capri, per ritrovare vecchi amici, salutarne con piacere dei nuovi e toccare con mano ciò che di bello e nuovo il territorio avesse da esprimere. Piacevoli chiacchiere che unite alle belle passeggiate tra le vigne, alcune di notevole suggestione, ci hanno poi ricondotti in cantina, a cogliere, direttamente dalle vasche, le prime impressioni sulla vendemmia 2011 appena alle spalle.

Si è scritto e detto che in Campania, in via generale, si sia avuta una vendemmia caratterizzata per lo più da alti e bassi, con punte di eccellenza in alcune zone ormai notorie, vedi l’alto casertano, il taurasino, il Cilento, ma anche da risultati non trascurabili in altre microzone di altissima vocazione, come in costiera – per esempio a Tramonti – o a Roccamonfina. In definitiva però va registrandosi un’annata abbastanza difficile da leggere, che a detta di molti enologi saprà riservare sì buone chances ma solo se ben interpretata dal punto di vista tecnico. Ecco, l’aspetto tecnico, quello talvolta fondamentale, altre volte meno.
“In vigna – secondo assoenologi Campania -, sono risultate fondamentali, nella caratterizzazione dei singoli risultati, la gestione viticola e delle operazioni in verde come la palizzatura e la sfogliatura nonché la scelta della data di raccolta in relazione all’obiettivo enologico ed alle possibilità dei singoli vitigni”. Si aggiunge inoltre, nel comunicato diramato pochi giorni fa, che “in cantina un’oculata gestione delle temperature di fermentazione dei mosti da uve bianche, ricche di elementi nutritivi in relazione alla primavera abbastanza benevola, ha permesso buoni risultati con i vitigni più nobili. Per le uve rosse è risultata fondamentale la scelta delle metodiche di macerazione delle bucce per l’estrazione mirata e misurata degli abbondanti composti polifenolici”.
Già, perchè se questa vendemmia è risultata abbastanza omogenea, a fare la differenza sarà il manico, chi dunque ha ben inquadrato cosa si è colto dalle piante e come meglio intervenire in cantina; chi sa insomma cosa fare, con uve o certamente surmature o, per contro, vendemmiate precocemente per non averle. Si dovrà ad ogni modo fare i conti con la propria esperienza.

Detto questo, per quanto riguarda i Campi Flegrei, credo si palesi anche qui una certa eterogeneità qualitativa, soprattutto per i vini bianchi; questa è la mia prima sensazione venuta fuori dagli assaggi di questi giorni. La materia è interessante, con punte di ottimo livello qualitativo, ma ho avuto l’impressione che non ci dobbiamo aspettare vini di particolare profondità, ed eleganza, bensì ben inquadrati sulla tenue spinta olfattiva e la solita, caratterizzante, consueta bevibilità.
Fatte salve giusto una/due cose piuttosto interessanti, pensate da chi ha deciso per macerazioni un po’ più lunghe ma soprattutto da chi ha saputo leggere molto attentamente ognuna delle sue vigne, mi verrebbe da dire ognuno dei propri filari, grappolo su grappolo. E agire di conseguenza in cantina. Poi si sa, i lieviti, le correzioni dei mosti, possono – laddove non si hanno tanti scrupoli – dare una mano, ma alla lunga il risultato lascia il tempo che trova se non ben supportato da un corredo più complesso. Accontentiamoci quindi, ma non escludiamo anche piacevoli sorprese.
Altra storia mi è sembrata quella dei vini rossi, in uvaggio e non, in particolar modo il piedirosso, sicuramente in grande spolvero: teso e concentrato dove si ha avuto il coraggio – o più semplicemente l’intelligenza – di aspettare, assai espressivo in quei luoghi caratterizzati da terreni più complessi e ricchi di minerali. C’è un buon livello di concentrazione quindi, e sicuramente indubbie possibilità di evoluzione, pur augurandomi si tenda a conservare anzitutto lo spirito di un vino da lasciar bere e non che finisca, come tavolta accade, a fare da soprammobile nelle cantine sempre più affollate e impolverate; poi si sa, solo il tempo ci dirà. Da segnalare infine, le interessanti novità sul versante della d.o.c. che di recente ha subito alcune modifiche al disciplinare di produzione: molto interessante per esempio l’idea di un rosato doc Campi Flegrei. In un prossimo post tutte le novità.
Tag:assaggi dalle vasche, assaggi in anteprima, campi flegrei, falanghina, gennaro schiano, gerardo vernazzaro, piedirosso, raffaele moccia, vendemmia 2011, vini dei campi flegrei
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19 novembre 2011
Di cosa aspettarsi dai vini prodotti nella piana quartese ne abbiamo già raccontato tempo fa, quando scrivemmo della giovane ed emergente Cantina Di Criscio e quindi della storica azienda di Franco Carputo. Qui nascono generalmente vini sottili, lievi e di grande piacevolezza gustativa, e molto meglio quando bianchi piuttosto che rossi.

Ci ritorniamo oggi da queste parti, e proprio sorseggiando un finissimo calice di falanghina dei Campi Flegrei, prodotto da una delle aziende più “vecchie” di Quarto, Il Cellaio, che proprio quest’anno taglia l’ambito traguardo dei suoi primi quindici anni di attività. Nata infatti nel 1996 grazie all’impegno delle famiglie Carandente e Marrandino, oggi è nelle mani del giovane Salvatore Carandente Tartaglia, coadiuvato in cantina dall’opera del bravo enologo vesuviano Antonio Pesce, tra l’altro grande conoscitore del terroir flegreo; poco più di tre ettari in tutto, qualcuno in conduzione, e qua e la una minuziosa selezione di altre uve ad ogni vendemmia, per un totale di circa 60.000 bottiglie in prevalenza di vino bianco.

Piccola e suggestiva la cantina di famiglia, situata in via Marmolito, laddove ci si arriva addentrandosi per qualche chilometro da via Campana, sin nel cuore più rurale del comune, in una vasta zona agricola pianeggiante e caratterizzata da terreni perlopiù di tufo giallo e ricchi di minerali; li dove sono ancora palesi tracce delle passate attività vulcaniche a Quarto, soprattutto in località “Punta Marmolite”, e dove è ancora osservabile il cosiddetto “duomo di lava”, sorto a causa di una piccola eruzione nella quale il magma si solidificò non appena uscito dalla bocca eruttiva.
Del vino basti sottolineare una piacevole vivace veste paglierina, limpida e di buona compattezza. Il primo naso è subito floreale, ancora a tratti erbaceo, poi pienamente fruttato, con deliziose sfumature di mandarino e di albicocca. In bocca è secco, di buon corpo e viva bevibilità; è proprio in questo momento dell’anno che va meglio apprezzato l’equilibrio gustativo di un vino come la falanghina dei Campi Flegrei. Smussata infatti la tipica spigolosità acida dei primi mesi dall’imbottigliamento, è proprio dopo un anno dalla vendemmia che si esprime all’apice del suo splendore.
Una piccola azienda che si appresta a tagliare i suoi primi quindici anni di storia, s’è detto; così questa settimana vi raccontiamo, sulle pagine del quindicinale di informazione libera Pozzuolidice, il primo vino della piccola cantina Il Cellaio di Quarto. La ricetta di questa settimana è affidata invece all’estro stagionale della nostra Ledichef.
Tag:antonio pesce, campi flegrei, cantina il cellaio, falanghina, pozzuoli dice, punta marmolite, quarto, via mormolito
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1 ottobre 2011
Questo giovanotto si chiama Andrea Koch, è romano, laureato in filosofia e musicista per vocazione: “faccio una musica particolare, decisamente introspettiva, fatta di chitarra e voce, la mia sola voce (talvolta distorta); effetti naturalmente che pochi comprendono in pieno”. Sua l’azienda Scala Fenicia, intenta a rilanciare la doc Capri bianco.

Qualcuno avrà già letto di questa piacevole novità qui, in un pezzo della collega sommelier Marina Alaimo che l’anno scorso, proprio di questi tempi, prese parte alla prima vendemmia della famiglia Koch in questo splendido e suggestivo luogo a due passi dal porto di Marina Grande a Capri.

Per chi non lo sapesse, l’antica scala fenicia, da cui prende il nome l’azienda, collega la piana a monte di Marina Grande con il ciglio della rupe dove oggi sorge Villa San Michele ad Anacapri. Le scale vere e proprie – fatte una sola volta e solo per metà, circa 800 gli scalini!! -, cominciano dolcemente a salire a partire dal bivio di Torra (73 mt s.l.m.) e poi continuano a salire rettilinee e sempre più ripide attraverso un boschetto fino a quota 150 mt. Qui inizia il tratto tortuoso che in breve conduce fin sulla strada rotabile (siamo a 250 mt) subito dopo aver superato l’antica cappella dedicata a Sant’Antonio da Padova. Un ultimo breve tratto quasi rettilineo conduce fino alla porta d’ingresso ad Anacapri a due passi proprio da Villa San Michele (quota 290 mt).

Poco più di quattromila metri, meno di mezzo ettaro di cui appena un moggio piantato a vigneto. In tutto quattro pezze (così vengono chiamate localmente le terrazze con muretti a secco) con piante allevate perlopiù a pergola; in alcuni punti invece è ancora possibile scorgere vecchi ceppi allevati con il tradizionale spalatrone puteolano, dove si arrampicano qua e là un po’ di biancolella, qui detta san nicola, piedirosso, falanghina e ciunchese, quest’ultimo ritenuto da alcuni contadini vitigno autoctono caprese quando in realtà si tratta praticamente del ben noto greco.
Sistema di “coltura integrata”, nel senso che il regime di gestione del vigneto guarda al biologico, tra l’altro certificato, pur dovendo fare i conti con andamenti climatici piuttosto bizzosi. L’Isola Azzurra in effetti non è proprio luogo ideale per fare una sana e florida viticoltura, però con il giusto piglio e “l’aiuto del Signore” – come ci dice Giggino, il mezzadro ultra settantenne che qui cura la vigna da oltre 50 anni -, si riesce a portare a casa quasi sempre un risultato più che discreto.

In cantina, piccolissima e davvero suggestiva, si lavorano le uve raccolte e cernite esclusivamente a mano con una piccola pressa e diversi piccoli tini in acciaio costruiti su misura su indicazioni dell’enologo che segue Andrea in quest’avventura, Giuseppe Pizzolante Leuzzi. Il vino che ne viene fuori, la prima annata 2010 è composta da ciunchese al 50%, san nicola 30% e per il restante 20% falanghina, matura poi come da protocollo esclusivamente negli stessi tini d’acciaio e quindi in bottiglia sino a maggio dell’anno successivo la vendemmia. Salvo nuove intuizioni.

Il vino di Scala Fenicia, come già anticipato qui da Luciano Pignataro, ha anzitutto un grande valore storico prima che culturale, poiché strappa dall’oblìo una denominazione a rischio di sparizione dal mercato, e rilancia – aggiungo, certo che ce n’è gran bisogno -, l’idea di una nuova e rinnovata visione della vita economica isolana laddove non è più possibile pensare che la vocazione di Capri possa essere legata esclusivamente a quel turismo d’elite che continua sì a far battere cassa ma comincia anche a richiedere sforzi imprenditoriali che né gli amministratori locali né i capresi stessi appaiono disposti – il più delle volte nemmeno capaci -, a pianificare, sostenere, far maturare. Non a caso questa splendida vigna, ma come del resto molte altre sparse qua e là sull’isola, prima dell’intuizione della famiglia Koch, è rimasta, nonostante fosse da sempre tra le più ambite dell’isola, lungamente dimenticata.

Un bianco, il Capri 2010 di Andrea, fragrante, fresco e asciutto, perfettamente calato nel ruolo di sommesso compagno di beva richiestogli. Offre un colore paglierino nitido e cristallino, piuttosto invitante; di primo acchito non esprime un naso particolarmente intenso, perlomeno non in questo preciso momento, articolato com’è essenzialmente su note erbacee e lievi sentori agrumati. E’ in bocca però che offre un bello spunto emozionale, uno schiaffo minerale davvero prezioso.

Il sorso è intenso, asciutto come detto, persistente e intriso di fresca sapidità; svela quindi buona materia prima su cui costruire quantomeno un paio d’anni di fine evoluzione. Un tempo utile, necessario, per ritornarci entusiasti col naso nel bicchiere e per saggiare che scenari possa nuovamente offrire al palato. Anche perchè, pur giustificato da un impegno produttivo importante, più unico che raro, non è di poco conto, almeno per il consumatore medio, l’investimento necessario per portarsi a casa questo vino: più o meno 18 euro in enoteca.
Tag:andrea koch, biancolella, capri bianco, capri doc, ciunchese, falanghina, fattoria rodriguez, giuseppe pizzolante leuzzi, isola azzurra, isola di capri, luciano pignataro, marina alaimo, marina grande, san nicola, scala fenicia, vendemmia 2011 a Capri
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10 settembre 2011
Comincia oggi, e sino al 20 settembre prossimo, la manifestazione ArcheoEnoGastronomica dei Campi Flegrei “Malazè, il cratere del gusto”.

Ma cos’è Malazè? Anzitutto, tutti i vocabolari dialettali ignoravano il sostantivo “malazzè“. E’ di detta origine marinara e, a quanto pare, è presente soltanto a Pozzuoli, anche se le nuove generazioni ne ignorano l’etimologia. Fino agli anni cinquanta del secolo scorso, le case e i locali a piano terra del borgo marinaro, O’ Valjone, non ancora sottoposti alle radicali trasformazioni d’uso, rispondevano a precise esigenze di vita, […] infatti erano depositi di attrezzi per la pesca e diverse abitazioni che si affacciavano direttamente sulla Darsena e verso il Porto, avevano aperture che permettevano l’ingresso delle barche. Erano questi i malazzè: “magazzino-magazzeno-malazzè”. (Raffaele Giamminelli, storico, puteolano doc)
Da qualche anno, con questo nome così evocativo – nato in un freddo pomeriggio dall’intuizione di pochi di noi appassionati sostenitori seduti intorno a un tavolo -, si invitano gli avventori dei Campi Flegrei a vivere il territorio per le sue più splendide bellezze: l’archeologia, quindi la cultura, l’enogastronomia e l’enologia. Avanti tutta quindi e buon Malazè! Per saperne di più sulla manifestazione, curata oggi da Rosario Mattera, cliccate qui, oppure qui per scegliere a quali degli appuntamenti partecipare.
Tag:bacoli, campi flegrei, eventi enogastronomici nei campi flegrei, falanghina, gastronomia nei campi flegrei, il cratere del gusto, malazè, malazzè, napoli, piedirosso, pozzuoli, quarto, vini
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26 agosto 2011
Ne abbiamo già raccontato qui¤; Tramonti è un luogo unico al mondo, suggestivo come pochi, da godere con occhi ben aperti e respirando a forza per portarsi via quanta più aria possibile. E’ vero, ti riempie il cuore!

Chi c’è stato¤ non ha potuto far altro che constatare che quanto dicevamo rappresentava solo in minima parte l’emozione, fortissima, che si prova nel camminare le vigne ultracentenarie immerse tra le montagne che sovrastano, imponenti, la costiera Amalfitana; quanto a noi, quello che abbiamo raccontato di Gigino Reale e Alfonso Arpino¤ per esempio, è già una testimonianza che ha fatto storia su questo blog: le verticali del Borgo di Gete¤ e del Monte di Grazia rosso¤ permangono due tracce indelebili continuamente appetite dai “pasionari” del tintore, mentre la recensione del primo Per Eva 2008¤ passatomi tra le mani, una delle più lette e assiduamente ricercate.
Luciano Pignataro¤, in questo¤ suo interessante post, parla addirittura di “miracolo del vino a Tramonti”; il fatto è che siamo indiscutibilemente di fronte ad un vero e proprio fenomeno enologico, tra i pochi così eclatanti registrati in regione nell’ultimo ventennio; e qui bisogna guardare, con sempre maggiore attenzione per godere del pieno successo del vino made in Campania senza scannarsi con l’annosa, dilaniante questione dei numeri. Certo, il territorio, la denominazione, vanno fermamente salvaguardati, oggi più che mai, per preservarne, unitamente al successo commerciale, l’enorme valore culturale, sociale, identitario, economico, che, come detto, qui rimane più unico che irripetibile.

Ciò che fa dei bianchi di qui veri “pezzi d’artiglieria” per la tavola sono anzitutto le vigne, alcune delle quali piuttosto vecchie e quindi caratterizzate da bassa produttività; starseti centenari allignati per lo più su terreni calcarei, di origine anzitutto vulcanica; poi vi è l’ambiente pedoclimatico che le circonda, particolarmente caratterizzante. In primis le forti escursioni termiche dovute all’altitudine, che in alcuni punti raggiunge i 500 metri sul livello del mare, e il triventum, i tre venti che rinfrescano costantemente tutto l’areale di Tramonti.

Se ne giovano in particolar modo anche le vigne di Gaetano Bove, non a caso i suoi vini bianchi risultano tra i più interessanti del circondario, giocati di sovente, come questo Per Eva, sull’uvaggio di falanghina, il vitigno bianco a maggiore diffusione in regione, ginestra e pepella (vedi foto), autoctoni a diffusione perlopiù locale; combinazioni tra l’altro interpretate in maniera impeccabile da Carmine Valentino.
I
l Costa d’Amalfi bianco Per Eva 2009 splende di un colore giallo paglierino netto con accennati riflessi dorati, vivo e cristallino. Il naso non è così ampio come il precedente duemilaotto, ma è solo questione di tempo; l’annata ha consegnato vini lievemente più austeri ed ermetici, ma di cui non si può non avere ottime aspettative; qui si colgono anzitutto note erbacee, seguite da sentori di frutta a polpa gialla come la pesca nonché continui ritorni agrumati, lievi ma decisivi. In bocca è fulgido, asciutto, fresco, balsamico, ci ritorni volentieri su a berne un secondo, poi un terzo bicchiere, ancor più saporito, minerale. Una bottiglia compagna ideale di certe sere di fine estate, affacciati al balcone a pensare, a contare le stelle e aspettare qualcuno che “…Angelo, è ora di andare”. E l’indomani partire. Ancora una volta.
© L’Arcante – riproduzione riservata
Tag:angelo di costanzo, borgo di gete, carmine valentino, costa d'amalfi, costa d'amalfi tramonti bianco per eva 2009 tenuta san francesco, falanghina, gaetano bove, ginestra, luciano pignataro, monte di grazia, nonsolodivino blog, pepella, sommelier, stefano ghisletta, tintore di tramonti, tramonti, vini della campania
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2 agosto 2011
Il vino dell’estate? Forse. Di certo c’è tutto un mondo da scoprire dietro ognuna di queste etichette; storie di una terra straordinaria, di persone che credono in quello che fanno ma soprattutto in quello che hanno da raccontare attraverso i loro vini. Ringrazio Luciano Pignataro per avermi chiesto di scrivere queste righe, da prendere essenzialmente come sintesi delle bevute più significanti di questa stagione di lavoro.
Nessuna classifica – come del resto son certo vi sia qualcuno dimenticato tra gli appunti -, ma solo un modo come un altro per ribadire quanto la mia terra, i Campi Flegrei, continui ad esprimere vini che meritano sempre più di essere bevuti più che raccontati. Infine un invito ai produttori, soprattutto ai “piccoli”, naturalmente senza la pretesa di essere ascoltato: specializzatevi, e puntate il mercato in senso verticale, non in orizzontale…
Nel pezzo, on line qui sul sito di Pignataro, si parla della Falanghina dei Campi Flegrei Agnanum ’10 di Raffaele Moccia, del Coste di Cuma 2009 di Grotta del Sole, della Falanghina Grande Farnia ’10 di Antonio Iovino; poi di Colle Spadaro, Cantine Astroni e di Cantine Di Criscio, Carputo, Cantine del Mare, Michele Farro, senza dimenticare, dulcis in fundo, lo strepitoso Passio 2007 di La Sibilla.
Tag:antonio iovino, bacoli, campi flegrei, cantine del mare, colline di napoli, contrada salandra, falanghina, falanghina dei campi flegrei, gerardo vernazzaro, grotta del sole, luciano pignataro, luciano pignataro wineblog, martusciello, michele farro, monte di procida, napoli, pianura, piedirosso, pozzuoli, quarto, vigne flegree
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