Archive for the ‘DIARIO FOTOGRAFICO’ Category

Intervallo. Il vino, il sogno di una vita, la felicità

4 settembre 2011

Innovazione e Tradizione| Italia-Russia a tavola

6 agosto 2011

Un report per immagini che parla (quasi) da solo dell’evento enogastronomico tenutosi qui a L’Olivo lo scorso 15 luglio in collaborazione con il Varvary restaurant di Mosca dello chef Anatoly Komm e Moon Import di Pepi Mongiardino. Per dire: innovazione e tradizione, di gran fascino!

L’invito per la cena di gala a quattro mani, per l’occasione preceduto da un delizioso happening – immancabile – in cantina La Dolce Vite…

I protagonisti, Anatoly Komm, chef russo di indiscusso talento e tecnica, inserito tra l’altro dalla Lista San Pellegrino tra i primi 50 chef al mondo…

L’innovazione: azoto liquido, per la preprazione base di uno dei piatti più caratteristici della proposta culinaria di Komm, la Borscht; praticamente la rivisitazione di uno dei fondamentali della cucina rurale di madre Russia, la zuppa di Barbabietola…

La tradizione: la manualità classica richiesta dalla cucina mediterranea, qui nella preprazione di uno dei piatti must di Andrea Migliaccio, la Triglia farcita…

Prato estivo, di Anatoly Komm. Una misticanza di verdure cotte e crude con uovo hi-tech e salsa al tartufo bianco di Alba…

La Triglia con patè di olive nere e crema di cavolfiori alla vaniglia, uno dei piatti del nostro Andrea Migliaccio già divenuto un must…

Borscht con foie gras e vodka Kauffman Luxury vintage 2005; è richiesta una lunga preparazione per questo piatto, particolarmente scenografico e dai gusti piuttosto accesi e profondi; che a dire il vero non mi è affatto dispiaciuto, anzi…

Il Torrone ghiacciato con marmellata di pompelmo, mandorle tostate e balsamico, con le Farfalle con gamberetti, cocco, asparagi di mare e alici alla colutra le due novità di mezza stagione in carta a L’Olivo presentate in anteprima proprio quella sera…

Su tutto, le sublimi bollicine di Philipponnat, Il Royale Reserve Pure Cuvée 243 ed il setoso Grand Blanc, distribuite in esclusiva per l’Italia da Moon Import.

Luoghi, vigne e cantine nella memoria del tempo

4 dicembre 2010

Un omaggio, uno dei tanti, alla mia terra. Luoghi di memoria lunghissima fissati in immagini che non hanno tempo, un gioco, innocente, di mani poco esperte, tentano di offrirvele con un tocco di suggestione che non manca certo alla loro vergine naturalità. (A. D.)

Tramonti, località Madonna delle Grazie, una delle vigne centenarie di tintore di Tramonti di Alfonso Arpino. Forse il vigneto più suggestivo dell’areale da dove nascono vini di una autenticità a tratti imbarazzante. Conservare questa biodiversità vale da solo un encomio all’opera di uomo ormai totalmente assorbito dal suo sogno di vedere materializzati i suoi sentimenti per la sua terra.

Parco di Roccamonfina, località S. Carlo di Sessa Aurunca, Fontana Galardi. Luogo di dimora di uno dei rossi più preziosi partoriti dalla nostra terra, il Terra di Lavoro; Ambìto, ricercato, osannato, riposa in affinamento in questo locale ricavato nella storica cantina della bellissima tenuta di famiglia dei cugini Selvaggi-Catello. Arrivare qui è non volere più ripartire…

S. Castrese, Ager Falernus, vigne di aglianico. Sulla strada provinciale che discende dal vulcano spento di Roccamonfina si levano sino all’orizzonte impianti fitti e composti di nuovi insediamenti da vitigno autoctono. Il futuro è dietro l’angolo…

Altro luogo consacrato alla storia viticola della nostra amata Terra Felix, Falciano del Massico. Questa è una parte dei vari piccoli appezzamenti da cui nascono i vini di Antonio Papa, giovane e dinamico produttore in terra di Falerno di voluttuosi Primitivo dalla non poca capacità emozionale. Luoghi strappati all’incauta lenta memoria dell’uomo e consacrati alla storia!

Marina del Cantone, La Taverna del Capitano #2

13 agosto 2010

“Ci sono scrigni in Campania che aspettano solo di essere rivelati, tesori celati, lontani dal clamore del tam tam voyeristico dei molti per rimanere appannaggio dei pochi in cerca di rifarsi con la propria anima.” Così il 9 novembre scorso esordivo nel raccontare la bella giornata trascorsa in Costiera, in verità la cronaca era di un viaggio precedente – di alcuni mesi prima – che avevo avuto già modo di raccontare altrove ma che non poteva mancare, a memoria storica, sul neonato diario di un sommelier (qui l’articolo completo). Così invece, lo scorso 31 Luglio…

La Taverna del Capitano rimane un riferimento assoluto della buona tavola campana, e la famiglia Caputo con la loro locanda, una garanzia della sana e cordiale ospitalità familiare, senza se e senza ma. Marina del Cantone però nel frattempo è cresciuta, più che altro è cresciuto il caos, o anche solo la sua percezione, in più i ristoranti sono diventati nel tempo almeno undici, qualcuno più qualcuno meno (di ristorante nel vero senso della parola, intendo) in appena cinquecento metri (!) tanto che non è difficile rimanerne praticamente imbrigliati; Ma non si può fare di tutta un’erba un fascio e soprattutto chi viene alla Locanda, quindi alla Taverna, sa bene cosa cerca e cosa trova, certo di non confondersi. 

La cucina di Alfonso conserva il segno indelebile di mamma Grazia, quella linea retta tracciata nel dna che trova la sua origine direttamente nella memoria storica della famiglia e che si lancia nel futuro in maniera instancabile, perpetua, ogni giorno protesa ad una nuova emozione cullando nella semplicità, nella purezza degli ingredienti, una esplosione di profumi e sapori indentitari unici, inconfondibili, straordinari. Prendete ad esempio “O’ Cuoccio” – la zuppa di pesce secondo Alfonso – un piatto incredibile, che eccelle in tutto e per tutto per la sua infinita lunghezza gustolfattiva, il suo sapore sembrerà non lasciarvi mai, nemmeno dopo il secondo bicchiere di vino; Ho provato, quest’anno, lo stesso godimento palatale solo al cospetto della Minestra di pasta di Gragnano di Gennaro Esposito, a conferma, se ce ne fosse stato bisogno, che le origini, per chi fa cucina a certi livelli “gurmè” rappresentano una grande opportunità e non un intralcio al successo globale, come qualcuno, più di una volta, ha voluto far passare come messaggio negli ultimi tempi.

Sono quindi profumi e sapori inconfondibili quelli che accompagnano tutti i piatti presenti in carta alla Taverna, e non si fanno sconti, né sulla qualità della materia prima e nemmeno su quello che io percepisco e definisco col termine “ricerca-non ricerca” di rimanere legati al proprio territorio, che sia esso il mare che s’infrange sulla battigia sotto la terrazza o la terra che si arrampica, in maniera tortuosa, viscerale, su per le montagne che sovrastano Marina del Cantone. Un piatto dalla semplicità disarmante è per esempio il Fusillo acqua e farina con uova di pesce e ricci di mare, i primi sono tirati a mano praticamente al momentoforgiati alla vecchia maniera, col ferretto, il piatto nell’insieme si presenta di buona pasta e risulta oltretutto ben legato, paga però una esecuzione un po sotto tono, un tantino troppo sapido per conciliare il bel vedere con il sano gusto; Di buon appeal anche gli Spaghetti bianchi e neri con zucchine, che con il Filetto di Pesce azzurro e melenzane sono ancora un richiamo, fortissimo, al territorio, a quel legame terra-mare che qui, in questa conca stretta tra Punta Campanella ed il Golfo di Salerno pare ineludibile, un po’ come accade per chi ama, da sempre, crogiolarsi in riva al mare cristallino della baia di Ieranto, che per arrivarci non può esimersi dal sorbirsi almeno 50 minuti di sentiero sterrato. 

Pensereste mai di mangiare il piatto di carne più buono dell’anno, in riva al mare? Beh, direi che non è poi così difficile, soprattutto se sei in un due stelle Michelin, ma quantomeno può capitare inaspettato. Ecco presentarsi al nostro cospetto l’ottimo agnello di razza Laticauda, servito in tavola ancora scoppiettante, in un piatto enorme, sopra un sasso di mare rovente con tanto di foglie di alloro e patate stufate, altro che profumi d’alta quota…

La chiusura è affidata al più classico dei dessert regionali, il Babà, servito però con una bagna a base di rhum agricole che gli conferisce un po di carattere e un po meno suggestione, che arriva invece con il plateau delle piccole leccornie di fine cena: tanti piccoli assaggi di gustose gelatine di frutta e scorzette di arance e limoni (del posto) candite.  Un paio di considerazioni, infine, sull’ambiente e sul servizio: vivere certi luoghi ti fa apprezzare, attraverso le persone che li animano, il legame, forte, che ti tiene stretto alla tua terra.

L’amenità di gran parte dell’anno, la dedizione – non necessariamente maniacale – al singolo particolare, la disponibilità tout court potrebbero nel tempo, risultare un lento procedere monotono e stancante, da cui sperare di prima o poi di allontanarsi. Così non è stato per la famiglia Caputo, che ha saputo nel tempo rinnovarsi e crescere rimanendo sempre fedele a se stessa, una famiglia come una ricetta – si potrebbe dire – delle più tradizionali ma capace allo stesso modo di sfidare il tempo  ed i suoi interpreti. Una ricetta prelibata, nel quale elenco degli ingredienti non possono mancare la cordialità e la professionalità che mettono in campo Claudio e la stessa Mariella, quest’ultima tra gli altri nota sommelier della prima ora, sempre capaci di offrirvi un sorriso ed un giusto consiglio: insomma, otterrete sicuramente un bel risultato su cui puntare per la vostra prossima tappa gurmè in Campania.

Taverna del Capitano
& Locanda del Capitano
Piazza delle Sirene 10/11
Località Marina del Cantone
80061 Massalubrense (Na)
Telefono 081 808 10 28
Fax 081 808 18 92

Vosne-Romanée, qui pulsa l’anima del Pinot Noir

7 luglio 2010

Certi post(i) non hanno bisogno di parole per essere compresi, buttare giù centinaia di melense parole, anche ben legate tra loro, di trama e grammatica, potrebbero aiutare a capire quanto amore si possa profondere per alcuni luoghi, non cosa significhi per un appassionato camminarli, viverli!

Vosne-Romanée è appena fuori Nuits St Georges, appena prima di Vougeot sulla strada per Gevrey Chambertin e la capitale della Borgogna, Digione. Il terreno del vigneto è piuttosto eterogeneo ma poggia tutto su una roccia calcarea abbastanza solida che arriva ad avere, in cima alla collina che abbraccia i Grands Crus, uno spessore piuttosto importante lasciando invece in superficie, a vari substrati, altri conglomerati di natura sedimentaria frammista ad argilla. L’Appellation Village Vosne-Romanée è estesa su oltre cento ettari circostanti il comune omonimo è possono fregiarsi di tale denominazione anche parcelle allocate in altri comuni o ricadenti in appellations locali come per esempio alcune vigne della vicina Flagey a nord o Nuits St Georges a sud.

Benvenuti nel cuore della Borgogna più ambita, ricercata, apprezzata; Vosne è sinonimo di rara eleganza, di preziosa finezza, ne sono testimoni i grandissimi e costosissimi vini che nascono nelle vigne a La Tache, Richebourg, Romanée Conti, La Romanée, ma non di meno nella Romanée St Vivant ed Echezeaux. Se la grandezza di questi ultimi è spesso offuscata (ma non più di tanto) dall’immensità dei primi, i vini che vengono fuori nella vigna de La Grande-Rue, divisa da La Tache proprio da una minuscola stradina sterrata poco asfaltata, esprimono di quest’ultimo l’alter-ego, naso empireumatico e palato, ci raccontano, marcato da una nerbatura acido-tannica molto lontana dalla voluttà del pur confinante La Tache.

La Romanée è uno dei Grands Crus di Pinot Noir più ricercati al mondo eppure rappresenta la più piccola delle appellation di Francia, pensate meno di un ettaro di vigna, caratterizzato anche qui da un terreno marnoso-calcareo frammisto ad argilla. Confina a sud con parte della vigna de La Grand Rue ed in parte con Aux Champs Perdrix (Village), poco più in la spostato verso est con il mitico vigneto de La Romanée Conti e a nord con Romanée St Vivant e Richebourg.

La Romanée Conti è anch’esso un piccolo giardino al sole di Vosne-Romanée, il Grand Cru per eccellenza, consacrato al mito grazie a vini di una longevità impressionante, di una finezza e costante pulizia olfattiva incredibili ed una opulenza insindacabile. Meno di due ettari nel cuore di Vosne, proprio a due passi dal centro del borgo cittadino, appena voltato l’angolo del “Mairie”, il palazzo comunale. Una curiosità del momento mi è saltata agli occhi, un manipolo di corridori sudati ed affannati presi dalla loro corsa antistress lungo le viuzze di campagna, proprio dai filari dei grands crus: che fortunati, mi è venuto da pensare, a pensare a chi è costretto a fare jogging sui marciapiedi di periferie grigie e fumose di città… 

In conclusione, per chi si appassiona alle cifre piuttosto che alle sensazioni, sono circa 225 gli ettari a vigneto di tutto l’areale, per una produzione annuale che varia a seconda della qualità della vendemmia dai novemila ai novemilacinquecento ettolitri l’anno. Come già accennato possono richiedere hanno diritto all’appellation Vosne-Romanée anche alcune parcelle che allignano nei comuni confinanti di Vosne, come per esempio Flagey-Echezeaux; il quadro che ne viene fuori è un “vignoble” di 8 Grands Crus e 15 Premiers Crus, praticamente dei più conosciuti ed apprezzati di tutta la produzione vitivinicola francese. Qui ogni pianta è un piccolo gioiello donato all’uomo dalla terra, gelosamente custodito, non è difficile tra l’altro trovare lungo i filari continui inviti a non invadere il vigneto, non disturbare l’equilibrio naturale instaurato…

E questo perchè puntualmente, più che preoccuparsi dei numeri è proprio camminare le vigne il più emozionante dei passatempi borgognoni…

Isola di Capri, Il sentiero dei Fortini ad Anacapri

26 aprile 2010

“A Capri lo struscio, ad Anacapri per scoprire le bellezze dell’isola di Tiberio”.

C’è un posto meraviglioso che non potete perdere di vivere, quantomeno non potete non sapere che esiste, è “Il Sentiero dei Fortini” ad Anacapri, un percorso unico e straordinario tra cornici di roccia, scultorei promontori e baie profonde come i fiordi norvegesi con la differenza che qui le acque sono turchesi; Un viatico di collegamento tra la zona del Faro di Punta Carena a quella della Grotta Azzurra, via costa, di una suggestione incantevole. La storia racconta che la sua origine è dovuta alle angherie che Capri ha subito durante l’epopea Borbonica a Napoli, in particolare durante la “Presa di Napoli” del 4 ottobre 1808 ad opera dei francesi sotto il comando di Gioacchino Murat che, si racconta, sia stato l’artefice di questa massiccia intensificazione di fortificazioni sull’isola per preservarsi da attacchi improvvisi e governare il Golfo di Napoli: “Chi ha Capri, ha Napoli” amava sottolineare nelle sue infuocate arringhe alla corte del re mite Giuseppe Bonaparte.

Il cammino è immerso nel verde, tra le roccie frastagliate della costa, a tratti mascherate dalla folta boscaglia ed il mare immenso che si apre sul Tirreno. I Fortini sono oggi completamente restaurati e meritano senz’altro di essere visitati, luoghi che raccontano storie di uomini lontani ma che appartengono in tutto e per tutto alla nostra storia. C’è il Fortino di Pino, quello più vicino a Punta Carena, che ha una struttura circolare con un diametro esterno di 60 metri, l’interno è invece rettangolare e si trova a circa 40 metri sul livello del mare. Dalla sua posizione venivano controllate la Cala di Mezzo a nord e la Cala del Limmo a sud.

Il Fortino di Mesola invece si erge sul promontorio Campetiello, che prende il nome dalla famiglia De Campetiello che ne era proprietaria. Ha anch’esso una struttura circolare con mura spesse entro cui erano posizionati due cannoni per la difesa della costa. Un particolare non secondario per avvalorare il valore storico di queste costruzioni e che proprio qui vi sono stati importanti ritrovamenti addirittura risalenti all’insediamento dell’uomo primitivo sull’isola, ne è testimonianza il ritrovamento di piccoli utensili di ossidiana nonché reperti risalenti al periodo greco e romano che ne fanno un approdo storico all’isola, fondamentale la testimonianza di resti di un’antica scala scolpita nella roccia.

Il Fortino di Orrico (nella foto, toponimo di origine greca, significa “campo fiorito”), anche questo di particolare suggestione, si trova a circa 30 metri sul livello del mare sulla Punta del Miglio, ha una struttura semicircolare con un diametro di circa 20 metri, e si trova a circa trecento metri dalla Grotta Azzurra. Anche qui entro le sue mura di cinta, spesse circa 2 metri, vi erano due cannoni direzionati a sud-ovest e a nord-ovest in modo che il loro fuoco s’incrociasse con il fuoco del fortino di Campetiello, centrale, e questo con quello di Pino, un modo da creare una barriera di fuoco a qualsiasi nave che cercava di avvicinarsi senza autorizzazione.

Ecco alcune buone ragioni per vivere l’isola di Capri, i lustrini e le paillettes sono buoni per la notte, le luci del giorno consegnano paesaggi indimenticabili, da vivere!

© L’Arcante – riproduzione riservata

Trento, una giornata tra i masi trentini a camminar le vigne, raccogliere storie…in Ferrari!

16 aprile 2010

Ho da tempo imparato a misurare, nel senso letterale del termine, l’amore per il vino; qualche amico, ridendo con scherno ha sempre avanzato come ipotesi (a dire il vero una delle più plausibili) un metro a suo dire infallibile, del tipo “a litri”, o quantomeno a bottiglie.

Mi spiego meglio: più si ama un vino e più se ne beve, più se ne beve e più se ne racconta un gran bene. Io dal canto mio, avendo da tempo recuperato la coscienza nel rimanere appena al di sotto della sottile linea dell’ebbrezza, ho cominciato a misurare, sempre nel senso letterale del termine, la mia passione per il vino in grassi chilometri; più se ne macinano per esso e più ci si può ritenere innamorati, più vigne si camminano e più si alza l’indice di probabilità di poterne capire qualcosa, almeno si spera.

Dieci ore, filate, oltre ottocento cinquanta chilometri, tanto è bastato (per qualcuno c’è voluto!) per raggiungere casa Ferrari in quel di Trento, o meglio, ad un tiro di schioppo dal suo centro storico, in località Ponte di Ravina. Partenza ore 5.45 da Pozzuoli, tra le mani una Alfa 159 jtd prestante ma nella mente siamo costantemente stizziti dal controllo elettronico della velocità; una breve sosta (un’ora tonda!) in Roma, zona raccordo anulare per prelevare alcuni amici, e subito di nuovo direzione nord. Arriviamo “puntuali” alle 15.45, con solo due ore di ritardo: l’importante è dare adito alla migliore prospettiva possibile, quantomeno una giusta interpretazione al proprio punto di vista. Simmo e’ Napule o no?

Trento, Località Margone, tra le pergole trentine del Maso Margon.

Ci accoglie Franco Lunelli, il ragioniere dei fratelli, si dimostrerà una delle più belle e cordiali persone che abbia mai incontrato sulla mia strada del vino negli ultimi quindici anni. Non ci lascia nemmeno il tempo di respirare che è già ora di arrampicarsi su per i masi, ci fa segno di seguirlo e non possiamo fare altro. Ci conduce a Villa Margon, la tenuta dei primi del ‘500 che la familgia Lunelli ha avuto in donazione, con l’obbligo morale di preservarne lo splendore dal fu Baron Salvadori che l’ha abitata sino al 1970. Un luogo d’incanto, ameno ma dal grande fascino, le stanze della villa come un vero e proprio museo, arricchite come sono da dipinti dal valore inestimabile e da una collezione di raffigurazioni murali in perfetto stato di conservazione che riprendono tra le altre cose le gesta dell’imperatore Carlo V e del vecchio e nuovo testamento. Un bel colpo d’occhio, e di cultura.

Una curiosità. Le nuove barbatelle, una volta innestate, vengono rassicurate con delle speciali protezioni in rete per evitare che le prime fioriture vengano “rubate” dai Cerbiatti che scendono dalla montagna per cibarsene.

Ci spostiamo in cantina, inutile raccontare la mastodonticità di certi ambienti ed attrezzature, nonchè della mole di lavoro quotidianamente svolta tra queste mura, per un colosso del vino italiano appare quasi scontato l’esigenza di una tecnologia assolutamente avanti ed una organizzazione perfettamente sinergica. I caveaux invece sono un’altra cosa, qui si respira aria di storia e tanta lentezza, quella necessaria per far nascere vini unici e straordinari, puro spettacolo per gli occhi di oggi, nettari prelibati¤ per i palati di domani. Anche qui un piccolo museo allestito tra le centinaia di migliaia di bottiglie in maturazione sui lieviti racconta della storia dell’azienda e della famiglia, quella di Giulio Ferrari prima, di Bruno Lunelli poi, e di come nasce e si consolida nel mondo il metodo classico prodotto nelle loro cantine.

Ci accomodiamo a questo punto nella sala degustazione, Franco Lunelli, che conduce personalmente il servizio dei vini per i convenuti, ci racconta della sua esperienza in cantina e dei suoi primi passi quando rifuggiva dalle commesse impartite dalla mamma per raggiungere il papà nella mescita allestita nel pieno centro di Trento, della sua passione e del mondo Ferrari, senza ombra di dubbio, uno dei marchi del vino italiano più apprezzati nel mondo; rimaniamo rapiti dalle sue storie, dal blasone conquistato sul campo, dai vini concessi in degustazione, delle gran belle bevute: in sequenza, Chardonnay Villa Margon 2007, Perlè 2004, Riserva Lunelli 2002, Perlè Nero 2002 e, dulcis in fundo, dopo appena una parentesi dedicata alla nuova tenuta in Montefalco, il Giulio Ferrari Riserva del Fondatore¤2000. Ma questa è un’altra storia, da raccontare in un prossimo post.

Erbusco, di Ca’del Bosco indimenticabile e di un Cedroni-Clandestino estroso come non mai…

15 aprile 2010

Dentifricio e colluttorio, il benvenuto riservato ai suoi ospiti da Moreno Cedroni.

Che Maurizio Zanella fosse un grande appassionato di arte era risaputo e conclamato, basta per altro dare uno sguardo in giro una volta arrivati qui in cantina a Rovato: all’ingresso un monumentale (nel vero senso della parola) portale firmato da Arnaldo Pomodoro si apre davanti agli occhi ed accoglie gli avventori preparandoli ad uno scenario magnifico che di lì a poco gli si staglierà dinanzi, mozzandogli il fiato. Che fosse Moreno Cedroni il resident Chef del giorno pure si era intuito, Clandestino è ormai un marchio consolidato e l’estroso genialaccio della Madonnina del Pescatore non poteva firmare meglio le sue, per così dire, “provocazioni gastronomiche”. Che il risultato potesse essere brillante, un dato di fatto, eppure, alla fine un paio di domande ce le siamo fatte: certi piatti/preparazioni, vale proprio la pena proporli in certe occasioni? E poi, come se ne viene fuori, ospiti sì, ma muti ed accondiscendenti? A chi legge le considerazioni del caso, io (noi) ci siamo divertiti, un po’ stupefatti, ma sorridenti e convinti che c’è ancora chi, nonostante tutto questo parlare e rincorrere il pensiero gourmet, riesce ancora a strappare un sorriso.

Il bellissimo vigneto di Pinot Nero che si estende tutto intorno all’azienda.

Questo il racconto di un pomeriggio passato camminando le vigne di Franciacorta, di una prima serata da cineteca nelle cantine di Ca’ del Bosco e di una cena sorprendente, sicuramente ad effetto, con tanti alti (un paio altissimi) e solo uno o due bassi! L’azienda offre un colpo d’occhio, come già ampiamente detto, spettacolare: il lunghissimo viale circondato da vigne allevate a 30/45 centimetri dal suolo conduce alla maestosa cantina perfettamente integrata nella macchia boschiva che si alza all’orizzonte; adesso la luce del giorno sta facendo posto al tramonto, lo scenario, inutile sottolinearlo, è molto suggestivo e ci prepara a dovere al proseguio. Dopo il breve giro in cantina, pura tecnologia da vendere, ci spostiamo passeggiando nei caveau storici della famiglia Zanella, dove si aprono le danze ad un emozionante deblocage a mano della cuvèe Annamaria Clementi ’79 circondatida centinaia di migliaia di bottiglie in maturazione sui lieviti o come si intravedono poco più là, già posizionate sulle pupitres per il remuage. Emozionante!

Bellissima la passeggiata nei caveau storici di Ca’ del Bosco: credo che a breve rivedremo in giro qualche bottiglia di Cuvèe Annamaria Clementi Rosè; Questo il deblocage a mano della Cuvèe Annamaria Clementi 1979 proposta come benvenuto! Mamma che vino!

La cena viene servita nell’ampio salone soprastante i locali commerciali e di rappresentanza, con vista sul parco e sul ponte stile “giardino giapponese” che troneggia sopra il laghetto artificiale sottostante. I tavoli sono ben preparati, il menù è un omaggio ad ognuno degli ospiti che legge il proprio nome tra tutti quelli elencati in onore dei quali cucinerà stasera lo chef patron con il suo staff del Suscibar Clandestino di Portonovo (AN). I pani sono già al tavolo serviti in un sacchetto di carta, una fettina di quello nero, una classica senza sale. Tralasciando il percorso intermedio, ma solo perchè non amo post lunghissimi, uno dei piatti che più mi è piaciuto è certamente questo Tortello con carne cruda e fonduta al formaggio.

Mentre quello meno convincente, se così si può dire, ma forse perché il più scontato, il Filetto di ricciola su salsa di topinambur. Alla fine però, ancora un gioco dei sensi, ancora una sorprendente “boutade” (!): si avvicina al tavolo un commis che ripone di fronte ad ognuno di noi una cartina geografica del mondo con evidenziato il Tropico del Cancro, il foglio è chiaramente in plastica alimentare e firmata in calce Moreno Cedroni, successivamente un secondo ed un terzo commis si avvicinano al tavolo ed iniziano a riporre su tale cartina, seguendo il fil rouge che traccia la linea tropicale, i piccoli petit fours di fine cena prodotti con materie prime ricercate provenienti dalle città segnalate lungo la traccia avidenziata: ci guardiamo in faccia, stupiti? Sorridiamo, dopo il Dentifricio e Collutorio nulla o quasi ci può far vacillare. Più che matto, questo è un gran fìo… ma no, è Moreno Cedroni, punto e basta!

Amici di Bevute, Francesco Mussinelli, io ed il padrone di casa Maurizio Zanella

Il vino? C’era di che bere bene, belle bottiglie e buonissimi millesimi di Maurizio Zanella rosso e Pinero, ma l’unica che ho avuto il coraggio di non tradire e la Cuvèe Annamaria Clementi 2002 di cui ho già parlato in precedenza e di cui non posso ancora una volta che tesserne le lodi!

Trento, Osteria Le due spade

11 aprile 2010

Arriviamo nel centro storico di Trento appena dopo il tramonto, all’orizzonte, tutt’intorno si riescono ancora ad ammirare le cime innevate del cosiddetto tridentum, le tre cime che circondano da ovest ad est sino al fondovalle del fiume adige che l’attraversa tutta. La piazza del duomo è gremita di giovani che prendono l’aperitivo, perlopiù birra e qualche stuzzichino, noi ci infiliamo in un vicolo ed entriamo in questo posto davvero suggestivo, raccomandato per la storica affezione alla cucina di territorio che ne fa una delle rinomate osterie tipiche trentine nonchè per essere ad oggi l’unico locale “stellato” della città. Il locale è piccolino ma perfettamente a misura d’uomo e stato d’animo pacato, appena sette tavoli per una capienza che sarà al massimo di una ventina di persone, ricavato da quella che anticamente era una stube, locale rivestito completamente in legno, pavimento compreso, al cui centro (o come in questo caso, lateralmente) troneggia una “stufa a Ole” (bellissima in maiolica verde), destinata a riscaldare la famiglia durante i rigidi passaggi invernali. I tavoli sono ben preparati, l’hotellerie è elegante e la mise en place sobria ma con stile, tuttavia l’atmosfera che si respira minuto dopo minuto diviene davvero suggestiva. Ci accoglie Massimiliano Peterlana (nella foto), patron e sommelier che si rivelerà anche buona fonte di consigli su cosa e dove bere l’indomani vini emozionali trentini che meritano attenzione. La proposta in carta è eccellente, pertanto una volta scorso tutto il menù e confrontato l’appetito, lasciamo l’iniziativa al padrone di casa che promette di proporci uno spaccato della loro cucina più tradizionale: non poteva andarci meglio; 

Iniziamo con un buonissimo Flan di asparagi e zucca accompagnato da prosciutto di petto d’anatra mediamente stagionato, essenza di territorio e sapori vivi.

Poi una bi-vellutata di zucca e patate servita con dei canederli sferici alle erbe di montagna, appagante e rinfrancate;

Poi, dei superbi Ravioli di acqua e farina con ripieno di Trentingrana e tartufo nero, ancora canederli ma alla maniera tradizionale tra cui molto buono quello alle ortiche.

Continuiamo con una lombatina di maialino con asparagi selvatici, patate sbrisolate e verdure dell’orto croccanti (foto di testa dell’articolo), piatto in perfetto equilibrio con il Marzemino 2007 di Eugenio Rosi consigliatoci da Massimiliano. Un insolito e sorprendente sorbetto al pino mugo (altro che note mentolate!) e poi giù di trionfo di golosità con un classicissimo Tiramisù, Parfait al gorgonzola (!) e Strudel di mela renetta su crema di mele verdi. Signori, appaluse!

Posto facilmente raggiungibile, in pieno centro a Trento, sapori offerti autentici, cordialità e disponibilità da manuale, servizio veloce ma coerente, un ricordo di una bella serata tra amici, appena mille chilometri più in là da casa dopo un viaggio iniziato in primissima mattinata, inutile sottolineare come la familiarità di certi ambienti aiutino sensibilmente a migliorare lo stato d’animo degli astanti! Sui 50-60 euro escluso i vini, come da menu degustazione.

Osteria Le Due Spade
di Massimiliano Peterlana
www.leduespade.com
Via Don Arcangelo Rizzi, 11
38100 Trento
Tel. 0461 234343

Tramonti, suggestioni invernali… a primavera!

10 marzo 2010

Nonna Lucia, madre di Luigi (co-fondatore con Gaetano Bove di Tenuta San Francesco) intenta con la raccolta della Pepella, una delle tante donne della vigna a cui si deve forse la conservazione della viticoltura qui a Tramonti. Sino a pochissimi anni fa da qui si partiva per emigrare per mete più fortunate, spesso oltreoceano, e difficilmente si ritornava. Ecco che la vigna come gli allevamenti di bovini divenivano lavoro per le donne e gli anziani in particolare, molto restii a lasciare la loro terra di origine. (foto di Gaetano Bove)

Arriviamo con la nebbiolina e con una incessante pioggia, sarà così per tutta la giornata. Un tempaccio però che nulla toglie alla suggestione di un territorio straordinario come quello di Tramonti, ed alla bontà delle persone che poi abbiamo incontrato.

Località Madonna del Carmine, uno dei tralci ultracentenari di tintore nella vigna di Alfonso Arpino, Monte di Grazia. E’ incredibile la sostanza di un ceppo che in qualsiasi altro posto del mondo avrebbero estirpato da tempo, non qui, non dove sono patrimonio storico inestimabile.

Gete. Veduta dai filari della famiglia Reale, anche qui abbiamo incontrato persone di grande disponibilità, e bevuto il rosso Borgo di Gete di Gigino Reale, un grande vino, dal valore simbolico e dal grande fascino gustolfattivo. L’impegno comune è quello di ritornare a primavera inoltrata per pranzare all’Osteria, che ci dicono avere una cucina di grande qualità.

San Terenzano, Masseria Felicia

13 febbraio 2010

Il monte Massico, versante nord (che guarda cioè il Lazio). Qui le vigne e gli oliveti di Masseria Felicia s’intrecciano continuamente, filari commisti di aglianico e piedirosso contornati da alberi di varietà leccino, sessana, itrana. Uno scenario mozzafiato.

Operai al lavoro in vigna. Piove, a tratti a dirotto, la temperatura è particolarmente bassa ma il lavoro in vigna non ammette pause. Intenti a legare i tralci lasciati sui ceppi dopo la prima potatura, pare che l’acqua scivoli loro addosso indifferentemente, pare. Traspare invece grande dedizione al lavoro.

L’ettaro e mezzo di vigna intorno alla casa della famiglia Brini. Il primo vigneto piantato da papà Sandro nei primi anni novanta. Aglianico e Piedirosso che si rincorrono nello stesso filare; E’ curioso notare le due differenti legature dei tralci, con l’aglianico tenuto linearmente stretto al filare ed il piedirosso legato più alto: la vigorosità, soprattutto nella fase vegetativa di quest’ultimo ha bisogno di maggiore spazio.

Il piccolo cellaio proprio sotto casa Brini riportato alla luce durante i lavori di restauro della casa colonica. Oggi qui vengono conservate le poche bottiglie di falerno del massico Etichetta Bronzo che si riescono a mettere via, a memoria storica di un viaggio di valorizzazione territoriale iniziato alcuni anni orsono, quasi per gioco, e divenuto nel tempo unico scopo di vita.

Album: a caccia di emozioni, da condividere

13 gennaio 2010

A nord, nelle terre del Prosecco

16 dicembre 2009

San Pietro di Barbozza, nel cuore della denominazione Prosecco di Valdobbiadene superiore, siamo, per intenderci, nel cuore di quello che viene chiamato Cartizze…

Altra veduta della collina di Cartizze, qui nascono prosecco fini ed eleganti.

 

Nelle aree appena sottostanti le colline del prosecco si tende a coltivare vitigni cosiddetti internazionali, siamo in zone pianeggianti e si adottano sistemi di allevamento più moderni.

Le aziende del Trevigiano puntano a crescere anche come produttrici di spumanti metodo classico, per cui infinite gallerie sotterranee si stagliano nel sottosuolo per lasciare riposare i vini in maturazione sui lieviti. Qui siamo a Villa Sandi, dove nasce l’Opere Trevigiane.

Terre da vini, non solo vigne

10 dicembre 2009

 

Basilicata, Vulture, Barile: la bellezza di un albero contornato da un tale paesaggio è pari solo alla forza che la propria immaginazione può esplorare da qui per tutta la Valle del Titolo.

La forza meccanica al servizio della terra, Sant’Agata de’Goti, Mustilli.

Campania, Irpinia, Vallata: le macchine del vento ed il pesco solitario; Davide e Golia in un luogo dove il tempo è segnato tanto velocemente come la forza del vento… 

Matera, I Sassi all’imbrunire. Scenario fantastico di un tempo lontano…

Nusco, i colori di Bu

8 dicembre 2009

Tartare di Podolica con maionese agli agrumi: da mangiare con le mani lasciando passare la tartare attraverso la maionese e poi farne un sol boccone, pura esplosione di sapori…

Uno dei must di Tonino Pisaniello, la ricotta di Montella fritta su passatina di broccoli e soppressa di Venticano, equilibrio e suggestione territoriale…

Raviolo di patate di Folloni con Tartufo bianco irpino, ribattezzato simpaticamente Tuber Magnatum Pisaniellum, piatto incontrovertibile, estasi della libidine gustativa…

Un piatto dalla forte cromaticità, i colori sembrano rincorrersi come i gusti accesi delle preparazioni di Antonio, mai banali, nulla qui in cucina avviene per caso…

Il castagnaccio, secondo Antonio Pisaniello, sinuosa rincorsa alla salsa di aglianico… 

Aeclanum, Quintodecimo parte II: la cantina

4 dicembre 2009

Il primo particolare della piccola e suggestiva cantina di Quintodecimo a Mirabella Eclano che mi è saltato subito agli occhi. I tini di acciaio dove avvengono le vinificazioni sono di dimensioni piccole, a sottolineare la maniacale ricerca del prof. Moio nelle vinificazioni attente e parcellizzate da vigna a vigna se non addirittura  di filare in filare…

La barriccaia è composta da soli legni nuovi francesi per i diversi cru di aglianico atti a divenire Taurasi, così nasce per esempio il Vigna Quintodecimo. E’ molto affascinante seguire il percorso lungo i corridoi che porteranno negli anni i vini ad affinare di sala in sala sino a raggiungere l’area di imbottigliamento e confezionamento. 

Questa è una novità assoluta per me. Qui a Quintodecimo si eliminano dalla linea di imbottigliamento le “teste” e le “code” , sì proprio come si fa classicamente per i distillati di pregio. Vengono poi conservate privatamente dal prof. Moio come archivio storico.

Tutti i vini dell’azienda, la Falanghina Via del Campo, il Fiano di Avellino Extulet, il Greco di Tufo Giallo d’Arles, l’aglianico Terra d’Eclano ed il primo Taurasi commercializzato, il Riserva Vigna Quintodecimo prima di varcare la soglia della cantina vengono lasciati riposare in queste ampie casse di legno per smaltire lo stress da imbottigliamento.

Una cosa è certa, qui nulla è lasciato al caso…

Aeclanum, Quitodecimo parte I: la terra

3 dicembre 2009
 
Il bellissimo vigneto giardino dell’azienda Quitodecimo di Luigi Moio a Mirabella Eclano, qui inizia il viaggio di una giornata speciale a caccia di stelle, prima qui e poi a Nusco.
Esposizione nord, nord-ovest per il vigneto che discende dalla collinetta dove Luigi Moio ha deciso di realizzare il suo sogno di vigneron.I vigneti di Aglianico hanno circa 8 anni…
I protagonisti: a sinistra, l’argilla, compatta, caratteristica del vigneto Quintodecimo, a destra invece il terreno più sciolto, povero di scheletro, caratterizzante la vigna Cerzito, che diverrà in futuro il secondo cru di Taurasi dell’azienda. Il vigneto è esposto a sud…
Certi colori non si dimenticano mai, e mai si smettono di inseguire, tutto nasce qui, in vigna: La scoperta più grande sta nel ricercare e ritrovare nei bicchieri ciò che avviene perennemente qui, e a breve il report delle eccezionali bevute di questa mattinata…

Costa d’Amalfi, a Tramonti con Furore

30 novembre 2009

Vecchie vigne lungo i pendii di Tramonti, sistema a raggiera, ottimizzazione degli spazi 

In cantina nella piccola bottaia dell’azienda Agricola San Francesco a Tramonti

                         Aglianico-Tintore in piena maturazione in Costa d’Amalfi, di là solo il mare…

La Cantina di Marisa Cuomo ed Andrea ferraioli a Furore, altro cru amalfitano

Torrecuso, aspettando La Rivolta

27 novembre 2009

Torrecuso, Fattoria La Rivolta. Il gioiello di Paolo Cotroneo e famiglia.

I colori più belli dell’anno, Torrecuso è il posto più suggestivo del Taburno.

Come dire, rifarsi gli occhi dopo aver ritemprato il palato.

La natura sa essere molto suggestiva, soprattutto dopo aver donato i suoi frutti.

 

Barile, terra del vino

26 novembre 2009

Barile, veduta panoramica delle antiche cantine nel centro storico

la terra vulcanica, arsa nei vigneti di Paternoster a Barile, Vulture

La piccola barriccaia di Rino Botte a Barile, Cantine Macarico

Nuovi impianti di aglianico del vulture, razionali e votati alla qualità

Sant’Agata de’Goti, Mustilli

24 novembre 2009

Vigneto di Falanghina dove nasce il Vigna Segreta di Mustilli

Vecchie bottiglie, memoria storica liquida della famiglia Mustilli

Femminella di Falanghina, la vendemmia ha già avuto il suo corso

Solo i grappoli più sani vengono portati in cantina, il buon vino nasce così

 

Greve in Chianti&Montalcino, Tenimenti Folonari

22 novembre 2009

Montalcino, Tenuta La Fuga. La bottaia nel sottoscala della Villa padronale. Piccola e accogliente, qui riposano innumerveoli vecchie annate di Brunello. 

Il Nobile Tor Calvano è uno dei migliore Nobile in circolazione; il Chianti Classico Riserva La Forra, manco a dirlo, superlativo (il 2005 eccezionale. Poi Cabreo il Borgo, un fuoriclasse assoluto: anime e corpo in evidenza. 

Sangiovese prima dell’invaiatura a Villa Nozzole, Greve in Chianti. Dalle vigne più vecchie della tenuta nasce il La Forra, il Riserva di punta dei Tenimenti Ambrogio e Giovanni Folonari.  

Greve in Chianti, Tenimenti Folonari, il bellissimo borgo che domina la collina. Qui nasce il Cabreo.