Archive for the ‘FATTI, PERSONE’ Category
29 agosto 2012
Scrivo questa cosa non perché voglia compiacermi – semmai dovreste compatirmi -, ma succede talvolta di rimanere ancora basito su come si vive a questo mondo la comunicazione del vino. Anche quella specializzata.
Per chiarezza d’intenti, non è che abbia critiche o nomi da fare, ognuno coi propri soldi ci fa quel che gli pare, ci mancherebbe, anche perché di comune accordo col titolare dell’azienda in questione, che ha commissionato a terzi l’iniziativa, abbiamo già deciso di prenderla a ridere (per non piangere, per la verità).
Tant’è, la settimana scorsa mi è arrivata una mail (all’indirizzo di lavoro) dove mi si anticipava di qualche giorno una telefonata atta a promuovere i vini dell’azienda nelle principali destinazioni di lusso del Bel Paese. In questa mail, dalla trama devo dire molto cordiale e precisa, venivano citati, verso la fine, anche alcuni link di certi Siti Specializzati e wine Blog dove alcuni prestigiosi “opinion leaders” già raccontavano entusiasti i vini oggetto dell’iniziativa promozionale, alcuni dei quali tanto eloquentemente che se avessi voluto avrei potuto già da lì “gustarne il sapore unico ed autentico” anche solo leggendone. Poi, se fosse montato l’interesse, mi sarebbe stata recapitata una campionatura completa, aggratis naturalmente. Ok, va bene, mi fermo qui.
Eh sì, perché al di là di una personale considerazione sull’inutilità di una iniziativa del genere, praticamente a cavallo di ferragosto, io credo ancora possibile l’altro tipo di approccio azienda/cliente, quello vecchia maniera, fatto di carne e ossa, strette di mano e calici mezzi pieni, laddove possibile magari anche sporcandosi di terreno le scarpe. Ma soprattutto perché non vi dico quanto è tremendo scoprire di essere ritenuto da qualcuno già un Opinion Leader e che le cose che scrivo, per quanto male lo faccia, possano risultare addirittura imperdibili e gustose. Bah…
Tag:big picture, l'arcante, la rete, nella morsa della rete, opinion leader, pollice verso, the amazing spider man
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13 agosto 2012
Da domani ritorno a raccontare di vini – domani o più in là vediamo, incalza Ferragosto -, ho saggiato infatti diverse cose parecchio interessanti in quest’ultima settimana che varrebbe la pena segnalarvi. Stamattina però mi sono svegliato con un grillo per la testa…

Eh sì, anch’io avevo le mie aspettative una volta finita la scuola, ancor più dopo i primi passi al ristorante. Poi le prime incertezze – ma chi me lo fa fare?, ti chiedi mentre gli amici vanno al mare -, salvato da certi sogni da inseguire, progetti da realizzare, con al centro il lavoro che diventa ogni giorno più tuo, fare il sommelier. Con tutti gli annessi e connessi del caso. Possibilmente senza rimpianti (o quasi).
Così mi sono venuti alla mente una decina di punti, chiamateli pure “passaggi obbligati” se volete, l’ordine temporale decidetelo voi, se ne può certamente discutere ma non passarci sopra. Eccoli…
1. Trovare un lavoro capace di dare soddisfazioni.
2. Lavorare in un posto dove con altri si possano condividere esperienze e crescita professionale.
3. Stappare finalmente “la bottiglia”, una di quelle che fa sospirare ed esclamare: “cazzo, allora esistono per davvero sti’ vini!”.
4. Lasciare quel lavoro dopo un giusto tempo di maturazione per trovarne un altro ancor più soddisfacente in termini professionali ma anche economici. O aprire una propria attività, che non è proprio lo stesso ma va bene comunque.
5. Concorsi, riconoscimenti, cotillons: eppure ripartire sempre con grande slancio con la convinzione che il traguardo raggiunto sia solo una linea di partenza e non un punto di arrivo.
6. Fare del proprio meglio – sempre! – per dare piena soddisfazione al cliente e accontentarsi di riceverne poco meno della metà. Quando accade.
7. Stappare un La Tache del ’90 di Romanée Conti e un Mouton Rothschild dell’82 e coglierne al volo le primarie differenze (fazzoletto alla mano). Parliamo di fenomeni!
8. Come qualsiasi vino, senza la propria terra, una storia di valore, soprattutto credibile, non si va da nessuna parte. Quindi non sarà mai una cattiva idea studiare per diventarne l’ambasciatore.
9. Mettersi in discussione, sempre. Anche quando si pensa di essere il numero 1 (!).
10. Sorridere, che è la cosa più saporita della vita.
Tag:albergo, angelo di costanzo, big picture, bisogni, giovane sommelier, l'arcante, la tua strada, lavoro, professione sommelier, ristorante, scuola di formazione, sogni, va dove ti porta il cuore
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11 agosto 2012
Riflettevo ieri sui tanti episodi che mi capitano durante il servizio, il più delle volte a sera: sapete, la signorina mittiquì con la fisima dello chardonnay o la donnina che senza il pinot grigio…oh… gnente!, e poi quello che il vino campano “mamma li turchi!” ma anche quelli che il vino toscano… “toh, ma continuano a barare?”; insomma ecco, cose così, conversazioni impegnative e meno, con gente da suggestionare, convincere, stimolare, conquistare…
E per farlo bene, conquistarle dico, bisogna essere convincenti per davvero, non necessariamente bravi ma avere argomenti buoni da trattare, bottiglie seducenti oltre ai Barolo e ai Supertuscan – che vuoi o non vuoi godono ancora di quell’appeal che manca agli altri -, vini insomma che hanno qualcosa da raccontare, non solo profumi e sapori ma anche storie cui stare dietro a spiegare. Spiegare, spiegare, spiegare, fino alla noia far sapere cosa c’è in quel bicchiere, magari perché è finito lì nella tua carta, chi ce l’ha fatto fare e dove e come nasce.
Invero non ho molto tempo per scrivere in questi giorni particolarmente intensi e pieni, però sento il dovere di confessare perché ho peccato ancora; sì, l’ho fatto ancora, di sana pianta e per tutta una serata, cominciata alle otto e finita da poco, quasi a mezzanotte. L’ho fatto per vendere vino, per vendere, e tra le altre ancora una bottiglia di Cruna De Lago 2010 della famiglia Di Meo, un Brunello di Montalcino 2006 di Pian dell’ Orino e l’ennesimo Grotte Alte 2006 di Arianna Occhipinti.
Belle bottiglie, ottimi vini, grandi potremmo dire. Talvolta però non basta, ma chi sono? La gente vuole e deve sapere che anche dietro una Falanghina dei Campi Flegrei c’è il lavoro di tutta una vita: un fazzoletto di terra strappato al cemento, un nonno di 80 anni che ancora freme per correre a potare la vigna e un giovanotto di 20 anni che più delle sottane ha subito capito quanto contasse vegliare i mosti per tutta la fermentazione.
E che dire poi di Jan Erbach e Caroline Pobitzer, che barano? Allora fateci due chiacchiere con loro, andate là a Pian dell’Orino, sta a Montalcino dove sta Biondi Santi; lei è una tosta, e tanto basta, di lui si può dire che è un tipo in gamba, germanico, intransigente, con una testa grossa così: parla alle piante e ne ascolta il ciclo vitale, ma non è quello il suo segreto, il suo asso nella manica è l’amore. Così i loro vini vi parlano col cuore, e colpiscono direttamente al cuore.
O di Arianna Occhipinti. E’ vero, ha fatto degli errori (ma chi non ne fa?), i suoi vini hanno sofferto l’inesperienza e la troppa grazia di un movimento in subbuglio (i cosiddetti vini naturali) dove qualunque cosa appena potabile passava per oro colato. E’ forte Arianna, capace, intraprendente, solare come certe sue bottiglie; portare in tavola una di Grotte Alte è come consegnare ai clienti la chiave di uno scrigno, dove dentro ci sta tutto quanto desideri da una bottiglia di vino: la terra, l’orgoglio, l’amore.
Eh si, il sommelier è un po’ così, racconta frottole, inventa storie per vendere vino ma giuro, almeno per quanto mi riguarda, che non è tutta farina del mio sacco, il più delle volte è che me le raccontano proprio così, ed io ci credo. Colpa degli altri insomma.
Tag:arianna occhipinti, biondi santi, brunello di montalcino, campi flegrei, caroline pobitzer, cruna delago la sibilla, di meo, falanghina, grotte alte, jan erbach, nero d'avola, pian dell'orino, sicilia wines, vittoria
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6 agosto 2012
E’ comparso ieri 5 agosto su italiaatavola.net questo articolo: “Sommelier o conducente? Questo è il problema!” a firma di un tal Guerrino Di Benedetto. Pezzo poi rilanciato su fb dall’amico e collega Roberto Anesi. Un articolo sinceramente incomprensibile, chiaramente indirizzato a qualcuno in particolare che l’autore aveva probabilmente in mente quando l’ha scritto, ma finito poi, come spesso accade, per colpire superficialmente tutta una categoria.

Qui trovate l’articolo completo, dove ho trovato un passaggio assai decisivo nel spingermi a scrivere queste poche righe, è questo: […] Poi però, negli ultimi tempi i mass media enogastronomici hanno contribuito a modificare la sua figura così il sommelier è diventato un po’ un fenomeno da baraccone, fa gare e concorsi va e viene dai ristoranti di grido (spesso gridandolo ai giornali), fa, disfa e vende wine list, commercia in vini, organizza degustazioni e dulcis in fundo, guarda come dei miserabili tirchioni i poveri ristoratori che non possono permetterselo, che, poi, preda della sudditanza psicologica, gli commissionano liste di vini per poter almeno dire ai clienti che la loro lista l’ha fatta lui, “che per anni ha lavorato per tale ristorante e poi è passato dalla Francia e poi ha girato l’Italia” e ora è qui, nella mia lista. [da Italiaatavola.net © del 5.08.12]
Ecco, senza voler aggiungere tanto di più, sento di rispondere all’autore, ma più in generale a chi la pensa ancora così con quanto segue:
Gentile Signor Di Benedetto,
trovo francamente datata se non vetusta questa visione arcaica – per non dire banale e diffamante – della figura del sommelier.
Nel frattempo il mondo (enogastronomico) è cambiato parecchio, soprattutto il rapporto fra cliente, sempre più informato e preparato e sommelier stesso, sempre più formato e qualificato grazie anche ai numerosi confronti – leggi anche concorsi, che insegue per crescere e trovare continuamente nuovi stimoli e traguardi -; un rapporto non più o giammai tra antagonisti, come lei evidentemente li intende, ma veri e propri complici a tavola nel condividere impressioni ed opinioni.
E mi lasci aggiungere, stavolta da mero lettore appassionato di enogastronomia, che spiace sinceramente leggere ancora, nel 2012, articoli così superficiali su un argomento invece così determinante per il comparto turistico ricettivo italiano.
Cordialmente,
Angelo Di Costanzo
Tag:e adesso ammazzateci tutti, guerino di benedetto, italia a tavola, ristoranti gourmet, sommelier, sommelier come fenomeni da baraccone
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5 agosto 2012
Anche se non sempre sono esperienze rassicuranti e ristrutturanti, il ricordo di certe bottiglie, per quanto storicamente significative, galleggia sempre tra la sufficienza e il mediocre; e pare che a molti tanto basta per essere certi della propria idea.

Del Cristal di Louis Roederer è tuttavia un giudizio positivo quello che mi porto dietro, pur nella necessità di doverlo rinnovare periodicamente per evitare che il senso della conoscenza, il sapere stesso di questa etichetta si affievolisca; poi può anche succedere di ridursi in una memoria talmente labile da rischiare di trasformarsi, nel bene e nel male – il più delle volte nel male, non necessariamente con malizia -, in un giudizio definitivo quanto più insindacabile. Così una grande bottiglia rischia di esserlo per la storia, per il blasone, per il mercato ma non sempre per il palato.
E’ un bene dunque che anche il Cristal, da grande Champagne qual è, sappia di tanto in tanto meritarsi, bicchiere alla mano, i galloni che la cronaca, il blasone e la storia ci impongono. Eccola la mia riprova, così chiara che non serve aggiungerci molto di più: statene certi, il 2004 è buono, buono per davvero!
Tag:big picture, champagne, cristal, cristal champagne, il vino dello zar, louis roederer, reims
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2 agosto 2012
Capita una mattina di ritrovarsi sotto l’ombrellone a fare due chiacchiere sulla sera prima: l’aperitivo al tramonto, l’atmosfera unica al Faro di Anacapri, le grasse risate per quel vassoio rovesciato – l’imbarazzo della cameriera per aver rovinato quel vestito di Prada è impensabile! -, ma soprattutto l’ottima cena e, immancabili, le buone bottiglie bevute. Bottiglie per una volta sconosciute. E sorprendenti…

Quando si ha una idea precisa di cosa sia o cosa possa divenire nel tempo uno Champagne, anche un assaggio controverso può rivelarsi invece una bella scoperta da appuntare subito sul taccuino, ovvero mettere subito in rete. Sconosciuta e sorprendente era l’etichetta Prestige Brut 2003 di Jacques Picard, récoltant–manipulant a Berru, un paesino di poche anime appena fuori Reims; i protagonisti, ancor più sconosciuti, sono José Lievens e sua moglie Corinne Picard, che dalle loro migliori vigne tirano via uva per circa 8.000 bottiglie di questo ottimo haut de gamme, una piccolissima fetta di quella immensa torta che è il mercato dello Champagne, una fetta però dolcissima e imperdibile.
Ecco perché ci ritornerò su volentieri, non appena possibile; per adesso val bene segnalarvi che trattasi di una bella storia d’amore sbocciata tra le vigne, di agricoltura sostenibile e di uno stile champenois tagliente e implacabile – controverso, appunto – e di prezzi vivaddìo più che umani.

E sconosciuta era la bottiglia di Vita Menia 2011, rosato da piedirosso e aglianico prodotto nelle vigne a Raito, minuscola frazione sopra la costiera amalfitana, sopra il mare di Vietri per intenderci. Panorama mozzafiato, la vigna qui è tutta a conduzione biologica. Di questo sottile e profumato rosato se ne fanno appena seicento bottiglie l’anno, Patrizia Malanga ha voluto mandarmene qualcuna; un pensiero prezioso, almeno quanto il vino saggiato.
Bello e invitante il colore cerasuolo, il naso è ciliegioso ma anche un po’ marino, mentre il sorso è secco, leggiadro e sapido. Il frutto ritorna perentorio in bocca, aggraziando il palato sollazzato da una beva fresca e gradevole. Andatela a trovare Patrizia, siete ancora in tempo per sposare il mare alla vigna che lì, dalle quelle parti mi dicono essere entrambi bellissimi. 🙂
Tag:aglianico, berru, big picture, champagne, chardonnay, colli di salerno rosato vita menia le vigne di raito, fortunato sebastiano, gennaro reale, jacques picard, le vigne di raito, patrizia malanga, piedirosso, pinot meunier, pinot noir, prestige brut, ragis, raito, reims, vietri sul mare, vita menia
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28 luglio 2012
Eh sì, l’argomento torna perentorio ogni qualvolta la sera prima si corre il rischio di rimanerci fregato. Un paio di settimane fa, dopo aver scritto questo post (leggi qui) ho avuto il piacere di fare quattro chiacchiere con alcuni “tecnici del settore” ma anche e soprattutto con alcuni produttori di vino evidentemente sollecitati dall’argomento. Loro mi hanno detto la loro, che più o meno provo a sintetizzare, poi io ci metto ancora del mio…

La capsula in PVC = competitività. La parola d’ordine per chi sceglie questo tipo di chiusura è la competitività; difficile infatti trovare equilibrio fra estetica e controllo dei costi, soprattutto quando ci si deve confrontare con i canali della GDO dove il giusto rapporto qualità-prezzo è di fondamentale importanza.
Le capsule termoretraibili vengono realizzate a partire dalla materia prima acquistata in bobine, vengono poi verniciate sulle linee rotocalco dove si effettua la verniciatura del fondo e una prima personalizzazione che si ottiene attraverso cilindri di stampa disposti su tutta la larghezza della rotocalco. Il semilavorato, una volta verniciato e tagliato viene avviato nelle linee di formatura, dove le capsule vengono modellate attraverso un processo di termoretrazione su appositi mandrini conici. Anche in questo caso, nelle macchine di formatura, le capsule possono essere ulteriormente personalizzate con stampe a caldo e punzonature, sia sulla testa che sulla parete.
Tecnicamente facili da approcciare possono creare una qualche difficoltà quando il pvc non è di altissima rifinitura, strappandosi letterelmante sotto il coltellino del cavatappi. Con mano ferma però ed un po’ di esperienza l’apertura è regolare ed abbastanza veloce. (A.D.)

La capsula in Polilaminato, viva la modernità e l’eleganza. Le capsule in polilaminato sono essenzialmente costituite da un sandwich di Alluminio – Polietilene – Alluminio. Sia l’alluminio che il polietilene, vengono acquistati in bobine che vengono lavorate all’accoppiatrice, capace di produrre fino a 250 metri/min di materiale. Il semilavorato viene poi verniciato con dei colori di fondo ed eventualmente personalizzato con le grafiche richieste nelle linee rotocalco. Grazie al connubio fra la forza dell’alluminio e l’elasticità del polietilene, si ottiene una gamma di prodotti particolarmente adatti per tutti quei vini che devono, comunque, distinguersi anche a livello di packaging.
Se ti capita tra le mani una brochure promozionale di una qualche azienda non è raro trovare descrizioni del genere: “durante la fase di apertura, la sua eccezionale duttilità esalta al massimo questo importantissimo momento”. Bene, ma è davvero così? Non sempre, e di sicuro c’è da starci seriamente attenti; perché anche qui c’è Polilaminato e Polilaminato. Il più delle volte ti capitano capsule pessime, sottilissime, che hanno lo stesso potenziale letale di un Boker Magnum 02RB3 (qui); diciamola tutta, ne faremmo davvero a meno!
L’impressione è che sono sì facili da approcciare ma proprio qui rimani fregato. Il coltellino del cavatappi gli scivola intorno velocemente ma la dentatura spesso ne trattiene qualche briciola rendendo la capsula praticamente un’arma letale anche solo sfiorandola con le dita. Bisogna metterci molta attenzione, e 1 a 10 un paio di dita rischi sempre di rimettercele. (A.D.)

La capsula in stagno, un po’ amarcord e un po’ tradizione. Con i moderni impianti e materiali selezionati si ottiene di sovente un prodotto capace di adattarsi perfettamente al collo di ogni bottiglia. Nelle fasi di verniciatura, serigrafia e timbratura, vengono poi eseguiti i più svariati lavori di decoro e personalizzazione indispensabili per completare l’abbigliamento delle bottiglie destinate a contenere vini di grande pregio riservate alla clientela più attenta ed esigente.
Risultano un po’ “pesanti” da aprire e non sempre il taglio è lineare e scorrevole tant’è che spesso capita di doverci ritornare ancora una volta su per effettuare un taglio più decisivo e funzionale. Meglio procurarsi un cavatappi veramente dei migliori o una levacapsule piuttosto efficace. (A.D.)
Tag:angelo di costanzo, big picture, capsule in pvc, capsule termoretraibili, capsule vino, caspule in polilaminato, caspule retraibili, cavatappi, levacapsule, professione sommelier, pvc, sommelier, vino
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22 luglio 2012
Sulla rivista Food&Beverage di Luglio-Agosto è appena stato pubblicato un articolo a cura di Paolo Becarelli sui vini rosati italiani, dove, tra le altre cose, viene sottolineata la nostra proposta in carta al Capri Palace. Questo il mio breve pensiero sull’argomento che come ormai saprete mi sta particolarmente a cuore…

[…] Se alcuni anni fa i rosé erano spesso dei completamenti di gamma o realizzati per ovviare a problemi di vendemmie di rossi, ora hanno cambiato decisamente passo. Ne è certo anche Angelo Di Costanzo, sommelier del Capri Palace di Anacapri, hotel che ospita ristoranti raffinati come L’Olivo e Il Riccio. “Chi si avvicina a un vino rosato oggi riesce finalmente a cogliere il senso di bere rosa. Ossia, la leggerezza e la piacevolezza, ma trova anche il piacere di scoprire rosati diversi, come quelli d’annata o di piccoli produttori. Senza contare le nuove possibilità di abbinamento. Il rosato è infatti un vino molto versatile che lascia infinite possibilità sia a chi lo ordina, sia a chi lo propone”, spiega Di Costanzo che solo di rosati in carta ne ha ben 36, oltre a una trentina di referenze fra bollicine francesi e italiane.
“Poiché l’hotel è in Campania abbiamo un occhio di riguardo per i rosati di Campi Flegrei, Irpinia e Cilento, ma non mancano etichette sia delle zone più vocate, sia di altre regioni italiane. Ci sono anche i rosati d’annata: vini particolari, richiesti soprattutto da intenditori perché rinunciano a un po’ della tipica freschezza dei vini giovani per acquistare maggiore complessità. […]
Tratto da FOOD&BEVERAGE di Luglio-Agosto 2012, pag. 52.
Tag:anacapri, angelo di costanzo, big picture, capri, capri palace hotel, food and beverage, il riccio, l'olivo, paolo becarelli, rivista f&b, rosè, vini rosati, vini rosati italiani
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18 luglio 2012
Iersera, ancora una volta, mi sono quasi troncato due dita. Ok, è conclamato che lo sprovveduto sono io, probabilmente anche un poco incapace; aiutatemi allora a capire se e come si può guarire dalla dabbenaggine acuta che mi assale, pare, ogni qualvolta mi capita tra le mani una bottiglia di vino con una maledetta capsula in polilaminato.
Sempre di più le bottiglie di vino che ne hanno una e generalmente anche chi produce distillati, liquore, olio, aceto, birra comincia a preferirle. E’ notorio che esistono essenzialmente due tipologie di capsule: quelle in pvc – sono queste capsule termoretraibili, utilizzate molto frequentemente – e in polilaminato – talvolta anche capsuloni, come quelli applicati alle bottiglie di vino frizzante o spumante – che sembrano prendere sempre più mercato negli ultimi tempi poiché offrono, oltre a quell’effetto stagno che piace tanto a molti produttori, anche e soprattutto una certa facilità di personalizzazione; su queste infatti, più che su quelle in pvc, si possono ricreare diciture e loghi aziendali con stampe a caldo e con colori in tonalità varie: lucide e mattate, addirittura perlate; e più sono sottili più sono belle a vedersi, sinuose quasi.
Rimane però quella sola, implacabile, fottutissima controindicazione: sono taglienti un accidenti! Quindi, cari sommelier, che ne dite, ce lo facciamo un pensierino (al guanto d’acciaio)?
Tag:big picture, capsule taglienti, capsule vino in polilaminato, guanto d'acciaio, infortuni sul lavoro, l'arcante, pvc, shark attack, sommelier
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16 luglio 2012
La storia, il ”blasone enogastronomico”, forse un po’ anche il look, possono pesare tanto, creare pregiudizio; ti aspetti infatti una donna cui l’anticipa il “personaggio”, apparentemente un po’ distante, per qualcuno con la puzza sotto il naso, la grande chef scesa a Capri a fare passerella, riverita dalla grande Maison e dalla stampa tutta. E’ pur sempre, non dimentichiamocelo, l’artefice del “3 stelle Michelin” italiano più conosciuto al mondo.

E invece no. Che straordinaria persona è invece Annie Féolde, che esempio di umiltà e disponibilità professionale. L’abbiamo capito subito, quando ce la siamo ritrovata, così d’emblé, all’ingresso delle cucine dell’albergo, con al suo fianco il fidato Italo Bassi intenti a scaricare i prodotti che han voluto portarsi dietro dalla Toscana per preparare i piatti della serata dell’indomani. Era un po’ provata Annie, accaldata ma con un bel sorriso smagliante stampato in faccia, e quando io le accenno un inchino ed il baciamano d’ordinanza, lei quasi vorrebbe darmi un pizzicotto per l’eccessiva riverenza: benvenuta al Capri Palace, Madame La Cuisine! Risata generale, abbiamo rotto gli indugi.

Questo giorno era scritto che dovesse arrivare, prima o poi; sin da quando, verso fine anni novanta m’era scattata la fissa del vino e della cucina. Lei, proprio lei e Giorgio Pinchiorri (G i o r g i o P i n c h i o r r i!) i primi riferimenti in assoluto, il primo ristorante da non perdere negli anni a venire, il primo libro di cucina comprato (nel 2004), divorato ogni giorno con quelle splendide ricette tutte da provare a replicare, magari vicine anche lontanamente! Poi il fascino del successo ogni anno sempre più fragoroso, con l’Enoteca Pinchiorri che assurge a icona assoluta ed un fatto quantomeno curioso, incredibile ma vero: lei francese, protagonista assoluta della scena mondiale della cucina made in Italy e lui, italiano, tra i più stimati e corteggiati sommelier del pianeta e grandissimo conoscitore e collezionista di bottiglie francesi (e non solo). Insomma, tanta roba pe’ i posteri.

Ho cercato così di cogliere l’occasione per farci quattro chiacchiere, almeno con lei, raccogliere di persona un po’ di riscontri storici, di esperienze personali, di vedute, prospettive. E Annie Feolde, garbatissima e disponibile, si racconta; e non basta certo un post, ma vanno bene queste poche righe per raccontarvi almeno l’emozione e il piacere dell’incontro.
Ci ha raccontato del suo arrivo a Firenze nel 1969, in verità per studiare l’italiano non certo per cucinare, ma conoscere Giorgio qualche tempo dopo le ha completamente stravolto i progetti di vita. Così nel ’72, con lui appena diplomato sommelier rilevano l’antica cantina del palazzo lì in via Ghibellina, dove cominciano come enoteca e dove lentamente, ma in crescendo, si vira su qualcosa che ci mette davvero poco a diventare un riferimento assoluto per l’intera città. I primi piatti cucinati arrivano nel ’74, con l’aiuto prezioso della madre di Giorgio in cucina, poi gli antipasti e i dolci a cura proprio di Annie. “Tutto secondo il proprio istinto, da perfetta autodidatta, con orgoglio e senza pregiudizio, traendo qua e là ispirazioni ma con il chiodo fisso della primaria qualità degli ingredienti, made in Italy e toscani anzitutto”.

Sembra che fare di testa propria allora sia stato un’intuizione decisiva, eh sì perché di là c’erano – ci sono – le origini francesi, la nouvelle cuisine che impazzava, mentre di qua una terra di adozione straordinaria, come la sua Francia ricca di storia ma soprattutto di una cucina tradizionale, soprattutto quella povera, ancora vivissima; quella cucina popolare che Oltralpe già la rivoluzione francese aveva praticamente spazzato via d’un colpo. Un eccidio continuato negli anni, si pensi ad esempio a quell’elemento che da sempre divide i due paesi in cucina: il burro di là, l’olio extravergine d’oliva di qua. Abbastanza facile scegliere, no?, sussurra. “E poi ci sono le verdure, le mille ricette sul tema, il pomodoro, l’Aceto Balsamico Tradizionale, il Parmigiano Reggiano”. Insomma, sulla varietà e qualità della materia prima non c’è storia, anche se bisogna sempre tenere bene a mente, sottolinea, che la scuola francese rimane un caposaldo per tecnica ed esecuzione.
Tanto curiosa M.me Féolde che l’indomani ci ha onorato della sua presenza durante tutto il briefing di pre-servizio serale: aveva piacere di stare con noi, condividere sino in fondo l’evento messo su in collaborazione con la Maison Vranken-Pommery (vedi qui) di cui è oggi Ambasciatrice in cucina. E come è stato splendido, a fine serata, fare le due del mattino in terrazza a continuare la bella chiacchierata, riprendere dove s’era interrotto. E quando s’è alzata per andar via, visibilmente stanca, c’ha tenuto a salutare e stringere le mani – uno ad uno – a tutto lo staff del ristorante riunito lì per un brindisi finale. Ineccepibile, Annie Féolde.
Ecco, Signora Annie – basta francesismi, a questo punto-, come si fa a rimanere sulla cresta dell’onda per 40 anni suonati? “E’ semplice, basta non fermarsi mai e cercare sempre di migliorare, non adagiarsi. C’è sempre qualcosa di meglio che si può dare agli ospiti. Ogni giorno”.
Enoteca Pinchiorri
Via Ghibellina 87 50122 Firenze
Tel.+39 055 242757 – +39 055 242777
Fax +39 055 244983
www.enotecapinchiorri.com – ristorante@enotecapinchiorri.com
Alcuni riconoscimenti tra i più significativi
Dal 2004 ad oggi: Tre Stelle, Guida Michelin.
2004: Primo Ristorante d’Italia, secondo le sette principali Guide ai Ristoranti.
2003: Annie Féolde, Five Star Diamond Award American Academy of Hospitality Sciences.
1995-2003: Due Stelle, Guida Michelin.
1993-1994:Tre Stelle, Guida Michelin.
1992: Primo Ristorante d’Italia, secondo le sette Guide ai Ristoranti principali.
1987: Annie Féolde, Personnalitè de l’Année Distinction Internationale, Paris.
1986: Giorgio Pinchiorri viene nominato Cavaliere all’Ordine al Merito della Repubblica Italiana.
1983-1992: Due Stelle, Guida Michelin.
1983: ingresso in Relais e Chateaux e Tradition et Qualité.
1982: Una Stella, Guida Michelin.
Questo articolo esce anche su www.lucianopignataro.it.
© L’Arcante – riproduzione riservata
Tag:angelo di costanzo, annie feolde, big picture, capri palace hotel, enoteca pinchiorri, enoteca pinchiorri firenze, giorgio pinchiorri, italo bassi, l'olivo, luciano pignataro, lucianopignatarowineblog, vranken pommery
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10 luglio 2012

“Guardi, non perché voglia insistere, e nemmeno mi interessa cosa fanno gli altri, ma questo è il nostro capolavoro! Nasce dalla selezione dei migliori grappoli, ci portiamo in cantina appena 30 quintali, tutti raccolti a mano e scelti acino per acino, si potrebbe dire; le nostre vigne poi sono uno spettacolo, di 30 anni e collocate nella zona più vocata del territorio, a circa 300 (!) metri di altitudine con esposizione piena e aperta a sud, dove i terreni sono terribilmente sani e di natura particolarmente adatta al varietale”.
“Ci facciamo una vinificazione attenta, coscienziosa, senza lieviti selezionati, a temperatura di cantina e senza intervento alcuno con tecnologia del freddo o chimica di sintesi o altro; i travasi sono fatti per caduta, senza forzature meccaniche e ci tengo a precisare che non procediamo a nessun tipo di trattamento, né per chiarificare o stabilizzare. E’ tutto naturale, per dirla! E ci tengo ad aggiungere ancora che in nessuna fase di lavorazione viene utilizzata solforosa o qualsiasi tipo di conservante. Insomma, come viene qua da noi il raboso, mi creda, da nessuna altra parte!”
In effetti sì, un raboso così mi mancava proprio…
Tag:area manager, big picture, cartellino rosso, manager, o' scarrafone, ogni scarrafone è bello a mamma soja, raboso del piave, rappresentanti, vini inutili, vini veneti
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24 giugno 2012
Esterno sera, quel tavolo là in prima fila, per quattro. Si parla del più e del meno per rompere il ghiaccio, cose del tipo “come andata la giornata sull’isola?” oppure “avete già fatto un giro dell’isola?”. Poi arriva il momento di servirgli il vino…

“Dovete sapere che l’anno scorso siamo stati a cena in un ristorante importante ad Ischia”. Ci servirono un rosso, uno buono del 2003, di quelli toscani, ma sapeva brutto. Così ce ne servirono una seconda bottiglia, ma anche quella aveva un sapore strano, come di legno, di sughero. Sapete quando si dice che sa di tappo? Ecco, proprio quello”.
“Bene, lo facemmo subito notare e alla fine rinunciammo… e prendemmo un bianco locale d’Ischia. Del 2010. Quello sì che era buono! Poi venne il direttore dell’albergo assieme con il direttore di questo ristorante di Ischia: ci fecero tante scuse e ci dissero che effettivamente quell’annata aveva avuto dei problemi, che molti vini di quell’anno uscivano di tappo. Era l’annata che non era uscita bene secondo me. E loro ce lo confermarono. A volte capitano annate che i vini sanno quasi tutti di tappo.
“Scusate, Angelo, che annata è questo Taurasi che ci avete consigliato?”.
“Taurasi Riserva Radici, Signora, del 2003! Incrociamo le dita…”.
Tag:2003, anacapri, big picture, capri, cena al ristorante, clienti al ristorante, duemilatre, l'olivo, sentore di tappo, sommelier, storie di sommelier, tappo, tricloroanisolo, vini che sanno di tappo
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12 giugno 2012
Qualche settimana fa ho rilasciato questa intervista al sito “Cellar Tours” che si occupa, tra le altre cose, di organizzare tours esclusivi in tutto il mondo per i grandi appassionati del vino. Se vi va dategli una occhiata…

The youngest of 7 brothers, Angelo was born in Pozzuoli in 1975, he attended hotel school and, after working in several local restaurants, he became a certified AIS sommelier in 2001.
In 2008 he was awarded “Best Sommelier in Campania” (leggi qui) and “Silver Pin – Charme Sommelier of Italy”. From 2002 to 2009, he run a great wine shop in Pozzuoli, L’Arcante, which is also the name of his fantastic food and wine blog, L´Arcante.
Sipping a glass of Falanghina dei Campi Flegrei Cruna De Lago 2007*, we began our chat… continua a leggerla su cellartours.com 🙂
*la foto dell’ultima bottiglia di Cruna DeLago dei Di Meo è di Sara Marte (che linko) ripresa dal blog di Luciano Pignataro.
Tag:angelo di costanzo, big picture, campania, campania wines, campi flegrei, cellar tours, cruna de lago, italian gourmet, italian travel, la sbilla, le vigne di raito, marisa cuomo, simona piccinelli, sommelier, terre del principe, wines from campania
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8 giugno 2012
E’ da un po’ che mi girava per la testa, invero è da un po’ che dovevo – a domanda – delle risposte: a Claudio, Piero, ma anche ad Alessandro che più di una volta si sono chiesti e mi hanno detto “quanta fortuna fare il sommelier lì a Capri...”.

Ore 8,30/9.00 del mattino, poco dopo il caffé.
Amo. Ci sono giornate che comincio a rincorrere bottiglie dalle otto e mezzo/nove del mattino: quelle che la sera prima hanno consumato e vanno rimandate al Riccio – con, eventualmente, carta aggiornata e stampata -, quelle che deve ritirare il Bar degli Artisti, quelle da rimpiazzare nei frigo a L’Olivo uscite il giorno prima. E quelle che vanno al Bistrot Ragù, meno impegnative ma pur sempre da tenere sotto costante controllo. Almeno un centinaio, nelle giornate più “cool” talvolta anche più, da rincorrere su e giù per la Cantina del Giorno, in La Dolce Vite o nel deposito. Un lavoraccio? Più o meno, ma che mi piace ed amo perché dà valore alle scelte, e valore – ancor più prezioso! – al lavoro dei ragazzi che con me le propongono, presentano, servono al meglio, al loro meglio.
Odio. Un po’ mi scoccia, è vero, ma come si fa? E’ pesante mettere ogni giorno tutto a posto quando gli spazi sono quelli che sono, i tempi poi, manco a dirlo; 8/9.000 bottiglie l’anno da far fuori in 4/5 mesi di stagione buona. Tante, anche questo un lavoraccio, duro, per tutti: per Gennaro che talvolta è immerso nelle carte, per Dario, Sabatino – bontà loro – che non mancano mai di offrire la spalla, per Claudietta che, poveretta, morde il freno a fare su e giù per le scale ma ohh!, non si risparmia mai. Non v’è rimedio, è quanto necessario per garantire quello che proviamo a fare, offrire il meglio, alquanto più ci è possibile!
Ore 10,00/11,30: carta canta.
Amo. Nomi, etichette, annate, varietali, annotazioni. Talvolta c’è da perderci la testa: nuovi arrivi, passaggi di annata, revisioni, ma quanto mi piace metterci l’anima nel preparare una carta quanto più completa, affascinante, convincente, viva possibile!
Odio. Lo so, capita nei migliori ristoranti del mondo, ma quanto è banale bere ovunque nel mondo sempre lo stesso vino del cuore: “i would like any chardonnay, smooth, buttery, Napa style!”. Per fortuna sono sempre meno (di clienti che lo chiedono, il vino del cuore e di chardonnay Napa Style), ma aprila quella carta, sei a Capri mica in culo al mondo, guarda almeno cosa ha raccontarti…
Ore 19,30: quasi sempre sino a tardi.
Amo. I clienti attenti, anche severi, esigenti, pure quelli che si attaccano al taglio della zucchina nel Cotto&Crudo o alla goccia d’acqua trasudata della bottiglia appena alzata dal seau à glace. Sono di grande stimolo, ti fanno stare in allerta, correre e concentrare, ti fanno dare il meglio di te e quasi sempre riuscire nell’ardua impresa di sbagliare il meno possibile.
Odio. I fighetti, presuntuosi, altezzosi e soprattutto quelli incazzatissimi che ti arrivano al ristorante per aprirti in faccia tutte le valvole di sfogo possibili: “fa caldo”, “ma fa freschetto?”, “c’è poca luce” o “troppa, si può abbassare?”, “c’è rumore… e un posto più appartato?” o “troppo silenzio, mica saremo soli?”. Almeno passala la soglia, guardami, ho le braccia aperte, ti sto dando il benvenuto, prova a fidarti! Continua…
© L’Arcante – riproduzione riservata
Tag:anacapri, angelo di costanzo, capri, capri palace hotel&Spa, il duro lavoro del sommelier, il riccio, professione sommelier, sommelier, sommelier angelo di costanzo
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3 giugno 2012
E’ solo un pensiero domenicale, di riflesso a quanto rilanciato ieri su facebook dal collega sommelier Ivano Antonini (qui) che in qualche maniera richiamava l’attenzione sul packaging di certe etichette di vino italiane; osservazioni naturalmente acute di chi ogni giorno il vino lo compra e lo vende, prima di raccontarlo…

Così mi è tornata in mente questa ottima bottiglia di Franciacorta di Bellavista. Un vino simbolo della crescita di questo piccolo paradiso delle bollicine italiane, con il quale l’azienda di Erbusco compie probabilmente un altro significativo salto di qualità, invero già garantita da tempo da una gamma di vini sicuramente tra i più rappresentativi della denominazione.
Nel Vittorio Moretti 2004 c’è dentro tutto il meglio dei crus di Franciacorta, da quelli di Erbusco a Nigoline, Torbiato e Colombaro, per il 50% chardonnay e 50% pinot nero e, non dimentichiamocelo mai, il grande talento – ormai una garanzia anche questa -, del winemaker e chef de cave Mattia Vezzola. Il colore è splendido, brillante e luminoso. La spuma è ricca e persistente e il perlage finissimo, abbondante. Il naso, svanite le prime insistenze classiche di una cuvée che fa così tanti anni di bottiglia si dimostra assai invitante, elegante, pienamente avvolgente; si apre a sentori di frutta e fiori tra i quali tornano nitidi pesca, frutto della passione, bosso, agrumi e, infine, miele. Il sorso è asciutto e sapido, ma non troppo, v’è tanta freschezza e più che attaccare il palato quasi lo ammanta, lo rapisce, e a lungo. Insomma, stiamo parlando di signore bollicine.
Una critica – ognuno fa un po’ come gli pare, sia chiaro – mi permetto però di avanzarla sul packaging¤ con il quale esce dalla cantina bresciana: la bottiglia è sicuramente bella, elegante nella forma e nell’etichetta, nemmeno troppo pesante, trovo però esagerato quanta carta e cartone si porta dietro in giro; una scatola è infatti composta di solito da 6 bottiglie, ognuna delle quali incartata a mano e posta in un grande astuccio (anche bello!) a forma di violino, tutte dentro una seconda scatola in cartone (!); un tantino eccessivo, visto i tempi che corrono e la sempre maggiore necessità di ridurre gli imballi e di conseguenza il loro smaltimento.
P.S.: rimanendo sul tema, come tante aziende spumantistiche anche Bellavista le ha sicuramente tentate tutte con le chiusure e le capsule delle sue bottiglie; le prime, su tutta la linea rimangono tra le più funzionali, le capsule del Vittorio Moretti vanno invece migliorate tant’è che consiglio spesso di tirarle via completamente col coltellino del cavatappi (A.D.).
Tag:bellavista, chardonnay, chiusure degli spumnati, erbusco, franciacorta, gabbietta degli spumnati, mattia vezzola, pinot nero, spumanti italiani, tappo a fungo, vittorio moretti, winemaker
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20 Maggio 2012
Credo avesse dalla sua una possibilità forse unica, concessa solo a pochi eletti, anche se non sempre di immediata comprensione. Poteva, con Laura, decidere di produrre a Mirabella Eclano questo e tutti gli altri vini senza una specifica denominazione territoriale, quel riferimento tanto ricercato da molti, evocativo, talvolta necessario secondo alcuni come fosse dovuto, eppure quante volte l’abbiamo visto depredato per soli fini commerciali.

Ha sbagliato quindi Luigi Moio¤? E chissà che non ci stia ripensando…*
Da un lato ci sono terre e vigne straordinariamente suggestive, e varietali che la dicono lunga. Dall’altro, la mano e il tempo, che consegnano ai bicchieri ogni anno vini finissimi; poi ci sono gli addetti ai lavori, molti non hanno perso tempo nel coglierli, interpretarli, descriverli ognuno a loro piacere. Pro o contro non fa alcuna differenza, certuni han voluto addirittura aggiungere qualcosa, una sfida personale al professore, talvolta nel bene, altre nel male. Però tutti si sono comunque guadagnati il loro quarto d’ora di notorietà (cit.), grazie ai vini di Luigi e Laura.
Eppure qualcosa non mi torna: “fare vini senza avere lacci”, si dice. “La denominazione ci sta spesso stretta”, c’è chi ribadisce. E invece… ma com’è, non dovrebbe essere così anche a Quintodecimo¤? Sappiamo o no tutti di quella precisa timbrica personale, addirittura firmata in calce? Eppure, bicchiere alla mano, bevi sto vino e pensi subito a quelle meravigliose vigne a Santa Paolina baciate dal sole. Massì, è semplicemente un paradosso, uno dei tanti, come spiegarlo altrimenti. Un territorio, un microcosmo, fuori dal mondo!

E se invece oltre il greco di Tufo che conosciamo conoscevamo c’è dell’altro? Il fatto è che con le prime bottiglie del 2006 c’era da scegliere e anziché giocare d’azzardo si preferì lasciarsi individuare, scegliere tra i tanti fiano di Avellino, greco di Tufo, aglianico e Taurasi invece di rimanere più semplicemente unici artefici di un bianco Exultet o Giallo d’Arles piuttosto che un rosso Terra d’Eclano o Vigna Quintodecimo¤: il territorio, abbracciare l’idea dell’insieme, della valorizzazione di un areale, delle denominazioni piuttosto che se stessi, solo se stessi. Quanto è valsa questa scelta?
Per quanto mi riguarda tanto, il sistema ha sempre bisogno di nuovi interpreti capaci di aggiungere qualcosa di nuovo o innovativo, ma anche semplicemente di diverso. E frattanto io non ricordo un greco di Tufo così profondo e pienamente espressivo come questo, che salta al naso e ti riempie la bocca dal primo all’ultimo sorso. Ha una maturità impressionate, stilisticamente inequivocabile eppure di forte, fortissima personalità e persistenza varietale. Una visione territoriale dunque, ma a suo modo unica.

Quello di Van Gogh – dice un recente studio europeo su alcune sue opere – sta progressivamente perdendo brillantezza, si sta spegnendo. Questo invece è un Giallo d’Arles luminoso e cristallino. Il naso, sin da subito comincia a tirare fuori una miriade di sfumature sottili e insistenti, di fiori e frutta gialli ma anche note speziate piacevoli. Ginestra e glicine, poi prugna, pesca ed albicocca mature, cedro, ma anche un soffio di camomilla e zenzero candito. Il sorso è asciutto e avvolgente, largo, fresco e minerale, lungo e persistente, di infinita piacevolezza.
Giuro che vorrei averne ancora, ahimè però non si riesce per davvero a metterne via una che dico una. Anche questo è un paradosso tutto da disvelare: non è certamente a buon mercato, come del resto tutti i vini dell’azienda; dicono addirittura che siano cari, eppure, credetemi, non si riesce a stargli dietro tanto se ne vendono.
*Ci pensavo con in mano le nuove etichette 2010, con la scritta dei nomi dei vini ancora più grande e quella delle denominazioni ancora più piccola.
Tag:big picture, giallo d'arles, greco di tufo, greco di tufo giallo d'arles 2009 quintodecimo, i colori della pittura, laura di marzio, luigi moio, mirabella eclano, professor moio, santa paolina, van gogh, vigna quintodecimo
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1 Maggio 2012

La forza,
il coraggio,
l’amore,
gli anni, 81 oggi, nulla hanno cambiato.
Avrai fatto anche tu bellissimi sogni,
avrai avuto anche tu dei grandi desideri,
avrai avuto anche tu delle speranze,
tutto, proprio tutto, messo via da qualche parte per i figli,
solo e sempre per la famiglia.
Oggi è per te,
Buon compleanno mamma!
Tag:big picture, buon compleanno!, festa della mamma, mia madre, ricorrenze, vincenza
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27 aprile 2012
Roba da non credere! E’ quasi un anno che volevo segnalarvi sta cosa, poi tra un post e l’altro mi era proprio sfuggita; fortuna ha voluto che mi sono nuovamente imbattuto in una delle bollicine che più mi piacciono…

Il tappo nella foto è quello di un Brut Rosé Collezione 2005 di Cavalleri, splendido Franciacorta da pinot nero e chardonnay di cui avrò tempo di raccontarvi. Ciò che mi ha subito incuriosito invece è quella guarnizione di gomma incastonata proprio al centro dell’ultima lamella di sughero, quella a contatto con il vino: funge praticamente da barriera contro la contaminazione da tricloroanisolo, quella sostanza cioè che conferisce al vino il cosiddetto “sentore di tappo”.
Il rischio naturalmente non è del tutto azzerato, ma l’azienda mi ha confermato che da quando vengono usate queste guarnizioni il fenomeno si è fortemente ridotto, soprattutto per quei prodotti – come le riserve – destinati solitamente ad elevazioni prolungate a contatto col sughero. Cavalleri lo ha sperimentato per la prima volta otto anni fa e lo ha adottato definitivamente su tutti i suoi “Collezione” a partire dal millesimo 2004 (in vendita dal 2009).
Per la cronaca, si tratta di un brevetto francese dell’azienda Barangé, utilizzato tra l’altro da oltre un decennio anche da note maison della Champagne.
Tag:big picture, brut rosé collezione, cavalleri, chardonnay, franciacorta, pinot nero, sentore di tappo, tappi di sughero, tca, tricloroanisolo
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19 aprile 2012
L’amico sommelier e giornalista Andrea Gori (da Burde) mi segnalava iersera questo articolo apparso su “Eater”, il giornale on line di Talia Baiocchi. Il pezzo, “The Era of the Sommelier as Delphic Oracle Is Over” è interessante e descrive chiaramente la nuova veste del sommelier moderno, non più semplicemente un Oracolo ma un vero comunicatore a 360°. In home page c’è una mia foto – l’hanno scovata Flickr -, è la prova di decantazione al concorso “Primo Sommelier della Campania vinto nel 2008!

“People are no longer looking for the best wine, they’re looking for the most distinctive wine,” says Levi Dalton, sommelier at Boulud Sud in New York City. While that may just sound like semantics, it’s actually the single most significant development in the diner-sommelier relationship over the past 20 years.
Raj Parr, the wine director for the Michael Mina group and the co-author – along with Jordan Mackay – of Secrets of the Sommeliers said that in 1996, when he first started as a sommelier it wasn’t about anything but what the guest wanted. Now, he says, the sommelier is less of a steward and more of an ambassador. Sommeliers are no longer just there to give the diner what they are familiar with; they’re there to expose them to something they probably wouldn’t have discovered on their own.
Qui l’articolo per intero pubblicato lo scorso 17 Aprile.
*Talia Baiocchi is Eater’s Wine Editor. Find her on Twitter at @TaliaBaiocchi and over at “Eater NY” where she covers the treacherous world of New York wine lists via her Decanted column.
Tag:angelo di costanzo, capri palace hotel, columnist talia baiocchi, concorso sommelier, delphic oracle, eater, l'arcante, new yorker, primo sommelier della campania, talia baiocchi, twitter
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12 aprile 2012
Lo dicevo ieri su facebook: orgoglio, finalmente senza pregiudizio. Dopo tre anni di duro lavoro e fine cesellatura (cit.), la Carta dei Vini della Campania – qui a L’Olivo – ha ufficialmente più referenze della Toscana (101 a 99). E così, pur crescendo, sarà sempre.

Un lavoro iniziato nel 2009, promosso dalla proprietà e deciso con l’amico e collega Giovanni Guida con il quale ho condiviso due splendide stagioni insieme e continuato ostinatamente per garantire agli ospiti dei nostri ristoranti oltre ad una cucina d’autore, espressa a più livelli, anche una proposta vini che sapesse dare ampio spazio e lustro non solo alle splendide bottiglie delle varie regioni italiane, Piemonte e Toscana in testa – al solito, appunto -, ma anche, soprattutto, allo straordinario patrimonio varietale regionale campano. Oggi posso dirlo, finalmente ci siamo, la mia terra è protagonista assoluta.
I numeri della cantina¤? Bene, giusto qualcuno: 850 etichette (più un centinaio fuori carta), qualcosa come 9.000 bottiglie, 88 vini al bicchiere (60 vini dolci, praticamente tutti quelli in carta sono proposti anche al calice), una trentina gli Spumanti, 75 Maison di Champagne, 25 rosati italiani, 150 e più referenze tra francesi ed esteri in generale, una sessantina i vari formati speciali tra mezze bottiglie, magnum, doppi magnum e jeroboam). Si riparte quindi, è (quasi) tutto pronto!
Tag:angelo di costanzo, big picure, bottiglie, capri palace hotel&Spa, carta dei vini, carta dei vini campani, isola di capri, l'olivo del capri palace, la dolce vite, sommelier, tonino cacace
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6 aprile 2012
Un paio di settimane fa, un giornalista, caro amico e fine connoisseur, mi chiedeva cosa avessi da dire sull’argomento vino naturale-biodinamico-convenzionale e, più in generale, sulla comunicazione, dandogli magari indicazioni della reale percezione dei clienti a riguardo.

Frattanto c’è stato Vinitaly – un successo, mi dicono -, dove al suo interno, per la prima volta, si proponeva ViViT, il primo salone delle produzioni enologiche da agricoltura biologica e biodinamica: si racconta sia stato un successone (qui)!
Ebbene, sono ormai anni che si parla dell’argomento, di contrapposizioni tra produttori “convenzionali” e quelli cosiddetti “naturali” e/o biodinamici; la mia opinione è che ancora oggi, nonostante ne siano passati di vini nei calici, insiste ancora troppa approssimazione e le tante, numerose sigle che fanno da corollario al movimento non aiutano certo a chiarire bene la faccenda. Tutt’altro (leggi qui).
Anzitutto non è certo con l’estremizzazione delle idee produttive – della serie questo è, se vi pare! -, che si fa il bene del consumatore, ancora lontano dal sapersi orientare. E poi basta, ormai si assiste a un continuo nascere di comitati, movimenti, associazioni, talvolta senza capo ne coda, uno straccio di codifiche, men che meno certificate, e che nell’idea di unire le forze, le idee, lentamente stanno dividendo l’Italia del vino in un puzzle sempre più complicato da cogliere, comporre, comprendere.
Personalmente sono convinto che questioni come la salvaguardia della terra, dell’ecosistema, della naturalità di certi prodotti, quindi anche il vino, siano argomenti cari a molti, non solo ai vinoveristi o giù di lì, così la mia carta dei vini si racconta da sola, proponendone sì svariati punti di vista ma senza necessariamente schierarsi; ché, secondo me, risulterebbe tanto banale quanto controproducente. Oltre che inutile.
Da un argomento all’altro. Il dato allarmante piuttosto, quello che dovrebbe far riflettere profondamente, è che oggi il vino in Italia si consuma sempre meno, ed è su questo calo dei consumi che tutti dovremmo darci una mossa e cercare di capire come rimediare; è vero, la crisi ha un peso enorme, ma è indubbio che negli ultimi vent’anni siano stati commessi errori enormi, in qualche caso disastrosi che hanno recato solo danno al comparto vitivinicolo: uno fra i tanti è che si produce tanto, troppo e non sempre con giusta coscienza, sia essa convenzionale o non (di cose imbevibili in giro ci sono dell’una e dell’altra parte). In Italia, nel mondo, ormai si fa vino ovunque, lo fa chiunque e praticamente con qualsiasi cosa fermenti e produca un liquido di un qualche colore.
Per non parlare poi di quanto se ne parla: decisamente tanto, tantissimo ma sempre più spesso con un linguaggio “chiuso”, fatto da e per pochi eletti maestri degustatori. Un gran parlare, un giro virtuoso di penne talvolta finissime, in preda al “celolunghismo” acuto, che non si capisce mai se scrivono per la gente che sperano di incuriosire o più semplicemente per compiacere il proprio collega, se non addirittura l’antagonista, con scritti talvolta di una ricercatezza stilistica impeccabile, d’altri tempi, dall’effetto assicurato ma proprio per questo, secondo me, sempre una spanna lontani dalla realtà che viviamo, da un sistema che è lì che annaspa ma che continua a pensare, ad esser convinto che ancor oggi basta comprare una pagina sul quotidiano nazionale per far preferire il proprio Chianti tra le centinaia di etichette in giro.
Tag:associazioni vini, big picture, biodynamic, discussioni in rete, larcante wine awards 2011, organic wines, sommelier, vini biodinamici, vini biologici, vini naturali
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19 marzo 2012
Approccio, con nonchalance.
Di là: “Buongiorno. Salve, è possibile..?”
Di qua: “Ma certo: ha qualche preferenza? Cosa preferisce assaggiare…”
Di là: “Guardi personalmente vi seguo da sempre, mi piace da impazzire il vostro bianco di punta…”
Di qua: “Grazie, grazie. Cosa dice, vuole provare anche qualcos’altro o le servo direttamente quello?”
Di là: “Guardi, va bene, proviamoli. Ma solo i bianchi. Sa, sto facendo il giro dei bianchi adesso, ho appena finito con le bollicine. Non vorrei appesantire il palato.”
Preamboli, con determinazione.
Di qua: “Bene, ecco questo è il nostro vino base. Lei già ci conosce quindi, è mai stato dalle nostre parti?”
Di là: “Mmm, si, si, m…mm. Beh no, proprio dalle vostre parti no, però conosco bene il territorio. Sa, ai corsi l’abbiamo studiato per bene.”
Di qua: “Ah, perché lei è sommelier?”
Di là: “Eh si, secondo livello Ais. A Roma, ha presente?”
Di qua: “(Caspita!) Cosa ne pensa? Non perché sia mio, ma sa, io a questo vino ci sono proprio affezionata, lo trovo molto fine, fresco e di gran lunga sapido. Magari avrà letto, ha avuto un sacco di buone recensioni.”
Di là: “Beh, ecco, in effetti c’ha ragione: fine è abbastanza fine. Abbastanza fresco. E lo trovo anch’io abbastanza minerale!” “Ma fa legno grande, tonneau?”
Di qua: “No, no. Questo fa solo acciaio. Preferiamo esaltare la freschezza.”
Di là: “Ah, strano. Mi pareva avere qualcosa, una certa nota, un sentore di…”
Di qua: “Eh si, è vero, ce lo dicono in molti, ma quello è il varietale; lì da noi è molto espressivo!”
Di là: “Complimenti! Non lo facevo così complesso…”.
Approfondimenti.
Di qua: “Grazie. Qui invece facciamo un lavoro diverso, adesso sentirà: vendemmiamo un po’ più tardi, sgrondando acino su acino e il vino fa fermentazione…”.
Di là: “Legno piccolo immagino, barriques. In effetti c’ha proprio un bel naso, qui si sente proprio che c’ha un marcia in più.”
Di qua: “Non per sottolinearlo, ma quello che facciamo noi in zona non lo fa nessuno. Anche perché nessuno ha le vigne come le nostre. Come lei saprà da noi è tutto naturale. Poi noi usciamo dopo quasi due anni con questa etichetta. Non sa che sacrificio, nessun’ altro lo fa! Non le dico certe recensioni, i giornalisti sono impazziti per questo vino.”
Di là: “Immagino. Anche qui c’è una bella mineralità. Sarà il terreno che è proprio minerale da quelle parti? E poi la barriques… Io lo sento proprio armonico.”
Di qua: “Beh, sì. E pensi che questo deve ancora finire in bottiglia. Il nostro enologo poi è molto bravo. Lui sa bene come fare a preservarla. Conosce molto bene il territorio.”
Di là: “Ah bene”.
Ebbrezza.
Di qua: “Questo qui invece è…”
Di là: “Non me lo dica: e lui?”
Di qua: “Eh sì, è proprio lui: ci sta dando grosse soddisfazioni. L’hanno premiato persino a Berlino e in Canada. Qui cerchiamo davvero di esaltare al meglio le caratteristiche del vitigno, del territorio, della tradizione.”
Di là: “E’ lui, è lui. Gran bouquet e… m..mm. Che mineralità, che armonia! Qua sempre legno grande vero?”
Di qua: “Come lei ben saprà parte in acciaio e parte in barriques, di media tostatura e di secondo passaggio.”
Di là: “Ma certo, certo. Era che, quasi mi confondevo. L’ho detto, è il mio preferito.”
Distacco, esalazioni, promesse.
Di qua: “Bene. Che dice, le faccio assaggiare anche altro? Vuole provare i nostri due rossi?”
Di là: “No guardi, lascio spazio agli altri. Tornerò più tardi. Sa, non vorrei appesantire il palato. Complimenti davvero, bella linea di prodotti!”
Di qua: “Ma si figuri. E se viene giù dalle nostre parti ci venga a trovare…”
Di là: “Senz’altro.”
Di qua: “Ci conto.”
Tag:ais roma, assaggi in fiera, banalità sul vino, big picture, conversazioni semiserie sul vino, espositori vinitaly 2012, produttori vino, roma, sommlier, stress da fiera, vinitaly 2012
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15 marzo 2012
Se ne parla già da un po’, molti amici produttori si sono premurati di sapere se ci fossi o meno. Altri, come spesso accade, non hanno fatto mancare un invito, una telefonata, anche giusto per un saluto. Purtroppo, dico purtroppo, anche quest’anno si passa la mano, il lavoro, per fortuna, incombe…
In giro, come sempre d’altronde, se ne leggono di tutti i colori: giornalisti offesi, qualcuno addirittura sceriffo, blogger snobbati, produttori impettiti, vignaioli-diversamente-produttori preoccupati dalla svolta (anche)naturista della fiera, e ancora sommelier spaesati, appassionati bistrattati, prodi degustatori che lisciano i bicchieri. Che fare, quindi?
Beh, al Vinitaly val sempre la pena andarci, almeno sino a quando non ne puoi proprio più. Mi spiego meglio. Con l’entusiasmo del novizio quei giorni di fiera sono come aprire il rubinetto di casa e scegliere di bere traminer, cococciola, fiano o guarnaccia, o meglio ancora Barolo, Taurasi, Nero d’Avola o Brunello di Montalcino. Insomma, un po’ come fare zapping al gargarozzo col telecomando. Però poi passano gli anni: uno, due, tre, cinque, dieci Vinitaly, magari un anno sì e un anno no. Ogni anno alla ricerca di qualcosa di nuovo, magari diverso, che non sempre trovi; così quel rubinetto pensi vada cambiato, anche perché nel frattempo hai imparato a girarla davvero l’Italia del vino, scovare cantine, conoscere persone, bere tanto altro insomma, e può capitare quindi di trovare addirittura stancante persino prenderlo solo in mano quel telecomando.
Allora, consigli? No, non ne ho, la fiera del vino di Verona è lì, dal 25 al 28 Marzo. Ci sono, mi dicono, tante belle novità, c’è per esempio OperaWine, o ViViT, il padiglione che racchiude le produzioni enologiche da agricoltura biologica e biodinamica. Tanta carne al fuoco insomma. Poi mi raccomando, fatelo un salto in Campania, saggiatene più che potrete. Dove? Chi? No, non vi faccio il nome di questo o quello, vale quasi sempre la pena, talvolta di più. Anzi, fossi in voi almeno una giornata, dico una giornata da spendere in Campania (o inseguendo le aziende campane sparse qua e là) la spenderei. Non ve ne pentirete, statene certi. Bon voyage…
Tag:big picture, campania al vinitaly, fiera del vino, opera wine, romeo e giulietta, verona, veronafiere, vini vignaioli terroir, vinitaly, vivit, wine spectator
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10 marzo 2012
Prendo spunto dal post di Jacopo sul suo Enoiche Illusioni. Me l’ero perso, ma solo perché ero in giro a bere aglianico qua e là, in cerca di persone, conferme, buone nuove, cose del genere insomma.

Non che ci sia da stupirsi più tanto – o forse si? -, però è indubbio che non mi capitava da tempo vederne una così. E non è che frequenti solo posti infiocchettati. Diciamocelo una volta per tutte: la carta dei vini o ce l’hai oppure lascia stare. E non mi dite che siamo alle solite, che siamo noi a menarla, non è che vi si chiede un lavoro certosino, quello va bene lasciarlo ai fissati, come me per esempio. Però cavolo, un po’ di attenzione!

Non è necessario metterci per forza tutto: la foto dell’etichetta, la denominazione, quando c’è la sottozona o il cru, il nome del vino, l’azienda, i vitigni, l’annata, magari indicazioni tipo “organic wine” o quando, in caso di verticali, sia nel frattempo cambiato qualcosa (uvaggi, denominazioni ecc.). Queste sono cose complicate, talvolta addirittura pesanti se non opportunamente supportate.
Basta riportare in carta – semplicemente – ciò che c’è scritto in etichetta: denominazione, quando c’è il nome del vino, l’azienda, annata e prezzo. Possibilmente scritti correttamente.
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29 febbraio 2012

Da un lato un piatto, un bel piatto di pasta che concettualmente si potrebbe tranquillamente definire trasversale: povero ma ricco, appetibile e pieno di sostanza, profumato, fresco, alleggerito, saporito il giusto. L’intuizione è terragna, che più semplice non potrebbe essere, coi porri e la salsiccia “pezzente”; un connubio pensato bene, riuscito e mantecato meglio, ingentilito con giustezza da quel richiamo al mare, che sa di fasolari, ma non necessariamente. Buono a sapersi, tra i piatti cult in carta a Sud come probabilmente lo diventeranno anche questi nuovi appena segnalati sul suo sito da Luciano Pignataro, tra i quali consiglio vivamente di non mancare il cous cous di soffritto su crema di cipolla, yogurt e paprika.

Nel bicchiere invece il primo Nastro Rosa* doc per i Campi Flegrei. Il primo rosato 2011 bevuto, s’intende, provato giustappunto l’altra sera a cena da Pino e Marianna. Un piedirosso dal bel colore rosa tenue, luminoso e vivace, col “naso” evidentemente ancora imbrigliato dallo stress da vasca ma un sapore, asciutto, vivido, minerale, sapido, già determinato a conquistarsi tutti i palati più gentili, sbarazzini, assetati di territorio; “senza pensarci troppo su però – come ci tiene a sottolineare l’amico Gerardo Vernazzaro, enologo a Cantine Astroni -, le chiacchiere conserviamocele per altri vini, magari proprio per quelli di cui tra l’altro tanto più si parla e sempre meno se ne bevono”.
Allora, questi gli elementi, accontentiamoci e fatene pure il vostro prossimo gioco di abbinamento cibo-vino, senza esagerare naturalmente, tanto ci sarà sempre uno che ne saprà più di voi!
* non avendo ancora scelto un nome definitivo – il vino tra l’altro uscirà solo a metà aprile prossimo -, mi sono permesso, con “Nastro Rosa”, di avanzare un mio piccolo suggerimento agli amici Gerardo ed Emanuela per il loro primo rosato doc Campi Flegrei firmato Cantine Astroni.
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27 febbraio 2012
Avevo un nodo in gola, e come non potevo: dispiaciuto, commosso, rattristito per la scomparsa di una persona così cara e stimata. Avevo però necessità di rifletterci un po’ su, capire se fosse realmente importante ch’io scrivessi due righe, un pensiero. Così quasi senza pensarci mi son ritrovato a bere nuovamente questo splendido bianco flegreo.

Bene ha fatto qui Luciano Pignataro a riprenderne, in poche chiare righe, la specchiata figura umana e professionale; aggiungo che con la scomparsa di Gennaro Martusciello si chiude dalle nostri parti davvero un’epoca: quella dei pionieri, di coloro i quali avevano come riferimento del mestiere praticamente solo se stessi, il più delle volte costretti, loro malgrado, solo a sognarlo ciò che avrebbero veramente desiderato fare in cantina, dei loro vini; più semplicemente, era necessario fare ciò che andava fatto e nel miglior modo possibile, senza troppi grilli per la testa.
Eh sì, perché quando più o meno vent’anni fa, fuori dai confini regionali, a malapena si era affacciato il greco di Tufo di Mastroberardino, qualche volta il Taurasi, a Quarto si cominciava a ragionare anche sulla falanghina e il piedirosso dei Campi Flegrei: “poveri, ma belli” venivano chiamati (e forse lo sono tutt’ora). Senza contare i primi, incontenibili successi commerciali del rilanciato Gragnano della Penisola Sorrentina o dell’Asprinio d’Aversa fermo e spumante. L’avrete letto centinaia di volte, qui come altrove, un leit motiv pedissequo, quasi stancante, che però pare non bastare mai: “la famiglia Martusciello, che tanto ha contribuito al rilancio vitivinicolo regionale e alla valorizzazione dei vitigni autoctoni campani”. Certo, nei fatti però, non a chiacchiere. E senza dover rincorrere etichette evocative, battaglie bioqualchecosa, sintomatologie naturali. E Gennaro Martusciello in tutto questo, e in molto altro, ha avuto un ruolo cruciale, fondamentale.
Una persona, prima che enologo, stimatissima dall’ambiente; e pur non potendo andare oltre, non ho l’età per maggiori elogi personali – c’ho parlato troppe poche volte, molto di più coi suoi vini -, ho sempre avuto la sensazione come fosse un uomo in tutto e per tutto calato ostinatamente nella sua dimensione: un grande talento, finissimo tecnico e profondo conoscitore della materia, imbrigliato però da una realtà produttiva difficilissima e complicata, misconosciuta, sin da subito dura, talvolta talmente cruda che solo la malattia che l’affliggeva riusciva ad essere più desolante. Un uomo vulcanico don Gennaro, come la sua terra, costretto nella morsa di un malessere che l’ha accompagnato praticamente tutta la vita, segnandolo profondamente nel fisico ma non nell’intelletto, nell’invidiabile talento professionale; un uomo del sud che proprio come la sua terra ha dovuto faticare il doppio, anzi il triplo per emergere, affermarsi. Sì, perché Gennaro Martusciello un riferimento lo è diventato lo stesso, lui con tutta l’azienda di famiglia Grotta del Sole; un esempio per tanti, seguito, emulato, contrastato addirittura, ma un riferimento assoluto, per giovani e vecchie leve di enologi, ma anche di produttori, e non solo in Campania.
E così che saggiando questo Coste di Cuma 2010, oltre a saltarmi al naso bellissimi toni primaverili, con ricordi di macchia mediterranea e poi un sapore asciutto e lungamente sapido, mi ritornano perentorie le parole di Salvatore Martusciello che, lo scorso dicembre, quando mi ha dato questa bottiglia per sapere cosa ne pensassi mi fa: “siamo convinti che sia l’inizio di una nuova epoca in Grotta del Sole, questo duemiladieci del Coste pare condensare tanti degli sforzi che abbiamo fatto sulla falanghina dei Campi Flegrei negli ultimi vent’anni”. E bicchiere alla mano ne sono convinto anch’io, con poco o nulla da aggiungere se non che mi piace, con questa convinzione, pensare a quanto potesse essere felice zio Gennaro di sapere finalmente compiuto un percorso così duro lungo quasi vent’anni, grazie al quale, oltre a lui e ai suoi fratelli, nei vini dei Campi Flegrei hanno imparato a crederci in tanti, e a saggiarli, con attenzione e rispetto, in molti di più.
Questo articolo esce anche su www.lucianopignataro.it.
Tag:assoenologi campania, big picture, coste di cuma, falanghina campi flegrei, gennaro martusciello, grotta del sole, luciano pignataro, piedirosso, pozzuoli, quarto, vinicola flegrea
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21 febbraio 2012

Di là: Pronto… Buongiorno…
Di qua: Buongiorno! Mi chiamo Angelo Di Costanzo. Ho saggiato alcuni vostri vini e avrei piacere nel venire a farvi visita in cantina. E’ possibile?
Di là: Sì, si, un attimo che vi passo l’interessato… [breve attesa].
Di là: Pronto… Buongiorno…
Di qua: Buongiorno a voi, mi chiamo Angelo Di Costanzo. La settimana scorsa ho saggiato alcuni vostri vini e avrei piacere di venirvi a trovare in cantina. E’ possibile?
Di là: Ah, ma voi cercate la cantina? Aspettate un attimo che vedo se ci rispondono… [attesa, non proprio breve].
Di là: Pronto Buongiorno… chi è che parla?
Di qua: Sì, salve, buongiorno, mi chiamo Angelo. Di Costanzo. Dicevo… che qualche giorno fa ho assaggiato alcuni vostri vini e così avrei piacere nel venire in visita in cantina per conoscervi meglio. E’ possibile?
Di là: Eh sì, grazie grazie. Sentite, ma voi scrivete? Su qualche giornale, rivista, blogger (che immagino con l’h, ndr)?
Di qua: Per la verità sì, a tempo perso anche, ma…
Di là: No perché se vuole i vini glieli posso spedire: mi manda l’indirizzo e così facciamo prima.
Di qua: In verità le mie intenzioni erano altre. Ci terrei a visitarvi, conoscere l’azienda, e magari saggiarli assieme a voi i vostri vini; guardi è mia intenzione comprarne un po’ per mettervi in carta…
Di là: Ah… allora se è così dobbiamo fare quando ci sta pure l’enologo. Fa tutto lui qui…
Di qua: Bene, se lo preferisce, per me va bene. Quando possiamo?
Di là: Le faccio sapere quando è disponibile.
Di qua: Attendo sue allora, buone cose. Le lascio il mio num…
Di là: Buona giornata.
Ecco, immaginatevi adesso cosa possa essere, significare, e non per un appassionato mentecatto come me, ma per un normalissimo avventore o cliente – manco a pensarlo uno straniero, chennesò americano –, scoprire l’Italia del vino ancor oggi.
Tag:angelo di costanzo, big picture, blogger, comprare vino, comunicazioni, conversazioni semi serie al telefono, riso amaro, rivista vino, telefono, vino
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16 gennaio 2012
Per dirla con Raffaele Del Franco, noto sbevazzatore sommelier irpino di Aiello del Sabato formatosi – dicono insistenti voci – nel chiantigiano, “il più importante, preciso e completo approfondimento sulla storia reale e i territori del Taurasi Docg lo poteva fare solo Paolo De Cristofaro”.

Così, in attesa dell’anteprima 2008 in scena questo week-end prossimo, rilancio molto volentieri, per i fedelissimi seguaci di queste pagine, nonché per i grandi appassionati di vini campani sparsi in lungo e in largo nel mondo (ouch!), questo pregevole lavoro sul Taurasi, on-line da qualche giorno qui, grazie ai ragazzi di Miriade&Partners.
Giusto per darvi un’anticipazione, le ultime quattro annate in commercio per esempio, alle quali “anteprime” ebbi il piacere di parteciparvi e di raccontarle, qui come altrove, sono così magistralmente riassunte: la vendemmia 2007, valutata 16/20, viene descritta come un’annata “equilibrata, carnosa e accessibile, con un ottimo potenziale evolutivo”. La 2006 invece (rating: 15/20) come “un’annata “calda, capricciosa, eterogenea, con i migliori potenti e nervosi, da aspettare”. La vendemmia 2005, millesimo da 17,5/20, “fresca, articolata, elegante; da lungo invecchiamento”. Mentre la 2004 – non a caso, con l’88 e il ’90, ritenuta da molti addetti ai lavori un riferimento assoluto per gli ultimi vent’anni di Taurasi -, un’ annata da 18/20, di quelle, per dirla con la maniera toscana, a cinque stelle, “con un andamento regolare, tardiva, austera, da lungo invecchiamento”.
Insomma cari amici, un lavoro del genere, così prezioso e autorevole, oltretutto con moltissimi altri riferimenti imperdibili, non può assolutamente mancare nel vostro carniere da enostrippati.
Tag:anteprima taurasi, castello della leonessa, miriade&partners, montemiletto, paolo de cristofaro, raffaele del franco, sommelier, taurasi docg, valutazione annate taurasi, valutazione taurasi
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5 gennaio 2012
Naturalmente non ho nessuna intenzione di sottoporvi un trattato a riguardo delle polemiche degli ultimi giorni sulle varie faccende che stanno scuotendo l’Ais e movimentando non poco il nostro piccolo mondo web di enostrippati (cit).
Però non si può non notare, viste le frequentazioni, come si sia scatenato un bailamme assurdo su ciò che è o non è opportuno far passare in rete nell’era del 2.0, con al centro la beneamata Associazione Italiana Sommeliers e il “nostro” Antonello Maietta.
Così seppur apparisse controversa, una semplice scelta di non avvalersi più della collaborazione giornalistica di Franco Ziliani, pur valida e puntuale, ha rischiato di finire in uno scontro epico fra titani prima che, dopo aver smosso mari, monti e coscienze, l’animato confronto s’è presto rivelato chiarito e foriero di argomenti migliori.
Poi quelli di Intravino – oh, sempre loro! – hanno colto in fallo una a dir poco scellerata campagna promozionale Ais rilanciata con una certa superficialità su fb, nonostante si trattasse, dicono, di vecchio materiale d’agenzia tra l’altro non autorizzato. Poi il Corsera, nel giorno del debutto del suo wineblog c’ha messo pure del suo, scatenando tra l’altro l’ira della stimata giornalista Laura Rangoni che in un suo successivo post non s’è fatta per niente saltare la mosca al naso. Così oggi, sul sito dell’Ais, a firma del presidente Maietta, è arrivato l’ennesimo colpo scena: “anche l’Ais si dissocia”, minacciando querele. Quelli di Intravino però – ancora loro! – non ci stanno, e rilanciano. Come andrà a finire?
Di certo il cattivo gusto di certe uscite, e certe scelte comunicative, almeno quello, lasciatecelo sottolineare. Anche perché certe stravaganti idee alla fine vengono pagate anche grazie alla “nostra” quota familiare che ogni anno, più o meno puntualmente, facciamo recapitare alla beneamata di Viale Monza a Milano.
Un’altra cosa però è chiara, e qui mi permetto di aggiungere “condivisibile al cento per cento”: sarebbe bene, o quantomeno opportuno, che prima di prendere certe posizioni così nette, mal non farebbe verificarne attentamente le fonti direttamente con gli interessati. Compreso però ciò che l’Associazione Italiana Sommeliers consente di fare col proprio marchio, e ancor più, con il suo buon nome. Poi si sa, nell’era del 2.0 tutto corre velocemente. A volte, a quanto pare, troppo anche per gli aggiornatissimi organi collegiali dell’Ais.
Tag:ais, antonello maietta, associazione italiana asommeliers, corriere della sera, corsera, daniele cernilli, espresso blog, facebook, fb, intravino, laura rangoni
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26 novembre 2011
Amo fare la spesa, e nonostante sia diventato sempre più “impegnativo” districarsi tra offerte premium e tentazioni sopra ogni scaffale, mi ci diverto ancora. Poi con Letizia nel carrello, con quei suoi occhioni curiosi… macchéttelodicoaffare!
Capita talvolta qualcosa che ti salti agli occhi. Sarà che ci tieni particolarmente a certe cose, e hai sempre quella strana sensazione di essere capitato nel posto sbagliato nel momento sbagliato. O più semplicemente di aver mal compreso, o non capito bene. E invece, invece no, stavolta è proprio così.
Leggo testualmente: “Porchetta, solitamente si affetta a mano e si mangia con del pane fresco. Classico è l’abbinamento con un vino Frascati.” – “Corallina, è perfetta insieme a uova sode, pizza di formaggio e un bicchiere di vino rosso”. – “Ventricina, vista la speziatura piccante è perfetta sulla pizza alla diavola. Può essere abbinata con un vino strutturato, tipo Montepulciano d’Abruzzo”. – “Guanciale, può essere gustato a fette sottili su del pane caldo. La sua vera vocazione è però quella di finire nei sughi, come l’amatriciana. Ideale l’abbinamento con un vino rosso doc della Sabina”. – Ma il meglio arriva quando si scrive della Salamella Romana, che – recita la brochure, chiara seppur un po’ vetusta – “si consiglia di consumarla morbida, poiché rimane molto dolce e profumata. Ottima con un vino dei Castelli Romani, tipo Montiano”.
Si descrivono – è evidente – alcuni salumi tradizionali del centro Italia, nella fattispecie prodotti dalla Fiorucci. E’ pur vero che si gioca con l’abbinamento per territori, e che l’azienda promuove “i grandi sapori d’Italia dal 1850”. Nel frattempo però qualcosa nel mondo, non solo del vino, è cambiato. Se ne saranno accorti?
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