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17 dicembre 2013
È assai piacevole bere con Nando, con lui si aprono continuamente nuovi fronti di discussione interessanti. Non ultimo quello su quanto si stia gestendo male (secondo lui) l’anima più pura di uno dei più grandi vitigni italiani, l’aglianico, costantemente in balìa di pittoresche rappresentazioni ed interpretazioni ad uso e consumo di un mercato a dir poco strampalato (secondo me) e produttori sempre più confusi (secondo entrambi).

La goccia (di vino) che ha fatto traboccare il vaso è stata versata sul confronto su due bottiglie 2008, un aglianico per così dire base ed un Taurasi, entrambe dello stesso produttore. Il primo vino, per quanto buono correva sul fil di lana: assai etereo, maturo, risoluto, buono ma praticamente arrivato. Il secondo, manco a dirlo, con ancora tanta strada da fare, succoso, balsamico, speziato, nerboruto: il grande rosso che ci aspettavamo insomma.
Fin qui tutto possibile se non per il fatto che il primo è ancora in listino (praticamente da tre anni) e proposto come vino d’annata, l’entry level per capirci. Scelta aziendale? Opinabile, o più semplicemente vino invenduto, con le annate successive vendute magari tutte o in parte sfuse per ovviare ai costi di gestione. Boh, però qui mi fermo perché le ragioni di una scelta del genere ha mille risvolti che poco interessano alla discussione. Almeno per ora.
Mi preoccupa, ci preoccupa invece, il fatto che in molti soprattutto tra i piccoli produttori irpini di cui ci siamo innamorati in questi anni stiano sistematicamente rinunciando a dare spazio ai loro vini base puntando quasi esclusivamente a fare vini ‘top gamma’ da lungo invecchiamento abbandonando un poco alla volta la produzione di aglianico destinato ad un consumo più immediato. Che tra l’altro è quello che maggiormente ha contribuito alla loro iniziale crescita economica nonché a conquistare appassionati e professionisti proprio come il nostro buon Nando.
Aggiungo il pericolo di un’omologazione verso il basso, invero già palpabile laddove non c’è quell’esperienza necessaria per gestire il vitigno ed il vino per una produzione proiettata nel tempo, evidenza ogni anno abbastanza palese nelle numerose degustazioni all’Anteprima Taurasi. Non ultimo lo smarrimento evidente che ci prende un po’ a tutti davanti a certi bicchieri dove a dominare dovrebbe essere l’uva, magari con l’anima, la scienza e la bravura di chi la lavora e non certo il tempo.
Abbiamo già assistito al fallimento istituzionale della genialata della Campi Taurasini che ha, d’un colpo, fatto lievitare il prezzo delle bottiglie dei secondi e terzi vini di alcuni produttori facendole praticamente scomparire dal mercato, un suicidio che unito alla crisi le ha letteralmente tagliate fuori dalle tavole soprattutto in quei locali dove meglio funzionavano, cioè Winebar ed Osterie tout court con una cucina all’altezza, posti ben frequentati da una clientela magari meno danarosa ma molto disponibile a lasciarsi consigliare. Insomma miei cari vignaioli irpini, su, un po’ più di coraggio, un’altro (secondo) aglianico è possibile!
Tag:abraxas osteria, aglianico, invecchiamento, irpinia, montemarano, nando salemme, tannini, taurasi
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15 dicembre 2013
C’è un tale crescente interesse sui vini campani che è proprio il caso di dire che non si è più figli di un Bacco minore, anzi. Attenzione certificata da molti critici autorevoli che hanno preso a scrivere con una certa continuità e non più solo di Taurasi o fiano di Avellino dei più blasonati ma anche di etichette per così dire ‘minori’ tipo Piedirosso o Barbera del Sannio piuttosto che Falanghina.
Una tendenza seguita dalle migliori Guide ai Vini che mai come negli ultimi tempi battono forte da queste parti scoprendo tante belle e nuove realtà all’altezza della situazione. Non ultimo dalla soddisfazione di trovare nelle carte dei vini in giro per l’Italia qualche buona etichetta ‘fuori dai soliti giri’ che assieme raccontano tanti piccoli spaccati della nostra amata terra.
Grande merito va anzitutto a chi da sempre racconta e tesse le lodi di una viticoltura preziosa che aveva solo bisogno di un po’ più di fiducia e di un maggiore confronto per imporre le sue indubbie qualità. Ma anche e soprattutto a quei produttori che ci hanno creduto in questo percorso che definire ‘ad ostacoli’ tra i provincialismi e la burocrazia che li circonda è veramente dir poco.
Eppure non stanno proprio tutti bene. Questi due mesi sono stato poco in giro, ovvero meno di quanto sono solito fare eppure anche le poche voci raccolte qua e là mi sembrano assai meno rassicuranti di quanto invece invitino a fare le svariate carrellate fotografiche di premi e riconoscimenti che impazzano un po’ ovunque sul web o nelle stanze di rappresentanza.
In Campania, le poche grandi aziende (per dimensione e fatturati) si difendono – ma ancora per quanto tempo potranno farlo? – perché hanno le spalle belle larghe ma l’aggressività con cui si affrontano ‘tra loro’ soprattutto nella Grande Distribuzione va creando precedenti assai pericolosi. Le aziende medio grandi, diciamo quelle già sopra le 150.000 bottiglie soffrono maledettamente, hanno grandi qualità e un buon marchio ma non hanno più tanta liquidità di cassa, il che gli limita soprattutto la capacità di puntare quei nuovi mercati su cui si è potuto fare poco o nulla visti gli altissimi costi promozionali limitandosi ad un’approccio puramente esplorativo.
Sembrano cavarsela così così le piccoline, un po’ meglio quelle con una dimensione unifamiliare e ancor più quando specializzate nella produzione di due o tre vini al massimo. Qui però si sta ponendo un’altro problema, la montante mancanza di fiducia nella ripresa del mercato italiano (e locale) sempre più alla ricerca ‘del prezzo’, una vera martellata sui denti per le piccole aziende, soprattutto laddove di tanto in tanto strappano un buon contratto di un paio d’anni con qualche importatore (che negli states qualcosa si muove). Accade quindi che si sentono al sicuro, fanno spallucce e vanno per la loro strada ma finiscono praticamente in un limbo, pienamente nelle sue mani, dell’importatore intendo. Mi spiego: se questi per qualche ragione salta – non mancano esempi, ndr -, gli salta il 60/70% del fatturato di un anno.
Insomma, ha una fragilità tutta questa situazione che spero non vada sottovalutata e faccia riflettere in molti e far sì che si guardi tutti nella stessa direzione. Comprese le istituzioni che come sempre appaiono assenti quando non distratte e contente – loro si – solo in occasione dell’ennesimo taglio di nastro. La notorietà si sa è un bel treno, ma ogni locomotiva che si rispetti ha bisogno di binari sicuri e soprattutto di una destinazione certa. Altrimenti va a finire che stiamo tutti perdendo tempo.
Tag:aglianico, angelo di costanzo, fiano di avellino, guide ai vini italiani, lettera di Natale, pmi, produttori vino Campania, riconoscimenti ai vini campani, sommelier dell'anno, taurasi
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11 dicembre 2013
Dovessi scegliere tra i fiano di Avellino in circolazione quello con il rapporto prezzo-qualità più sorprendente questo qui di Sabino Loffredo si giocherebbe alla grande il podio più alto.

L’impianto è solido e promette ancora buona evoluzione, bello già il colore carico e luminoso. A cercare il pelo nell’uovo il profilo organolettico manca forse di quello scatto mordace a cui siamo abituati nei vini di Pietracupa, qui abbastanza sobrio; di certo l’annata è stata letta più che bene, gestita con coraggio nonostante il caldo di quell’anno spingesse molti a vendemmiare in fretta e furia facendo poi vini sostanzialmente più magri e verticali.
Gli ha fatto bene stare in bottiglia, non a caso pare tra i più performanti fiano duemilaundici in circolazione. È un piacere starci col naso nel bicchiere, offre rimandi varietali di grande autenticità e in fin dei conti trovo di giustezza anche il sorso, pulito, rinfrancante, sapido, assai piacevole soprattutto se accompagnato con pietanze poco salsate.
Tag:annata calda, fiano di avellino, irpinia wines, montefredane, pietracupa, sabino loffredo
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10 dicembre 2013
Si corre sempre il rischio di un po’ di riverenza al cospetto di una denominazione di un certo spessore, la giovane sfrontatezza di questa bottiglia poi non aiuta certo a ridimensionare la questione.

Tant’è che il La Serra di Davide Rosso val più del rischio (tutto da verificare) di una lavata di testa: l’ho trovato di gran lunga il miglior Barolo saggiato quest’anno, fitto, avvenente, ossuto, carezzato da un manico lesto ma assai morigerato, che gli dà fascino e avvenenza, che lo esalta ma senza forzarne la misura. Ha un’impronta maledettamente moderna, dinamica, questione questa sempre difficile da riuscire a coniugare con giustezza con un vino così antico e prezioso come il Barolo. Insomma la standing ovation è appena dietro l’angolo.
Nel bicchiere un rosso un po’ più carnoso e verticale del crudo e risentito Cerretta stessa annata, almeno a berli oggi, che impressiona in particolar modo per il notevole slancio olfattivo tutto giocato su sentori varietali di una nettezza formidabile – con quei frutti neri e quel lampone pare appena spremuto -; e stupisce anche la giustezza del sorso, certo giovane, giovanissimo ma polputo e teso che si allarga succoso e tannico sul palato come solo i grandi vini di Serralunga sanno essere. Interessante stargli dietro, diciamo così, nei prossimi 20 anni…
Tag:barolo, cemento, Cerretta, Cru barolo, Davide rosso, Giovanni rosso, la serra, nebbiolo, quality wines, serralunga d'alba, vigna rifonda
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9 dicembre 2013
Non c’è che dire, le bottiglie di Luigi e Laura hanno decisamente bisogno di spazio davanti, hanno bisogno di una lunga progressione nel tempo per distendersi ed affinarsi. Ancor più le annate recenti.

Sontuoso l’Exultet 2010, sontuoso e al tempo stesso vibrante mi viene da aggiungere. Un fiano di Avellino dal profilo organolettico di un tale spessore da rimanerci di sasso, soprattutto se ti capita servito alla cieca in mezzo ad altri quattro Campioni di tutto rispetto. Vino dal naso prorompente, che un po’ lo cogli già dal colore bello luminoso e carico che ti debba qualcosa di particolare: si rivela pieno, verticale, complesso, finissimo.
A giocare coi ricordi ci senti dentro tutta la frutta gialla che conosci a menadito, matura e succosa, camomilla e tiglio, ci cogli sensazioni dolci e quel rintocco un po’ agrumato un po’ balsamico che fa rinvenire tutto a primitiva freschezza. Quanto è buono te ne accorgi sin dal primo sorso: l’attacco è vivace e l’allungo carnoso e minerale, tremendamente sapido. Bianco impressionante per fittezza, eleganza, equilibrio. Ma c’è di più: che abbia fatto (in parte) legno lo sai solo quando tiri via la stagnola dall’etichetta.
E questo è un’altro grande merito del lavoro di Luigi mai contento dei risultati nonostante il grande successo, un uso sempre più misurato del legno e come sempre mai fine a se stesso. Ecco, puoi credere di essere bravo, puoi pensare di saper già tutto del fiano, dei fiano, quelli migliori, autentici. Puoi tranquillamente continuare a farlo ma tieni in conto che non sarà mai abbastanza!
Tag:exultet, fiano di avellino, giallo d'arles, laura di marzio, luigi moio, mirabella eclano, quintodecimo, via del campo
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8 dicembre 2013
Se tanto¤ mi da tanto anche questo qui avrà vita lunga. Torno sempre con un certo piacere ai vini di Querciabella, azienda di cui si parla sempre troppo poco nonostante negli ultimi 20 anni abbia fatto da apripista prima alle produzioni biologiche, poi a quelle ‘naturali’ sino a divenire un riferimento in Italia per la biodinamica.

Batteria davvero interessante quella presentata a Milano per la bella serata messa su da Quality Wines al N’Ombra de Vin¤ lo scorso novembre. Fra tutti mi è molto piaciuto il Camartina 2008, un rosso carnoso e di grande piacevolezza, dal naso slanciato, intriso di frutto e dal sorso importante, carico di materia fine e ben espressa, in perfetto stato di grazia: i tannini risultano ben fusi, l’alcol mai invadente, col frutto che ritorna succoso e dolce sul finale di bocca.
Tag:cabernet sauvignon, camartina, degustazioni, milano, n'ombra de vin, quality wines, querciabella, ruffoli, sangiovese, supertuscan
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6 dicembre 2013
Si avvicina il Natale, periodo nel quale si concentra gran parte del fatturato di molte aziende che orbitano intorno all’enogastronomia (penso ad alcune cantine specializzate, enoteche e distribuzioni a vario titolo).
Mi tornano in mente giornate intense e frenetiche, infinite, giornate durante le quali l’agente di commercio, il rappresentante, diviene il bersaglio preferito di clienti e di aziende: i primi perché la merce non arriva, i secondi perché non parte. Nel mezzo i corrieri, che fanno dannare l’anima perché incapaci di lavorare 30 ore al giorno (come minimo) e di consegnare la merce prima… a te!
Dicevo del ruolo del rappresentante¤ laddove questa professione viene ancora considerata cruciale nei rapporti che intercorrono tra azienda e cliente. Inutile nascondere che anche qui un mare magnum di improvvisati ha sbiadito un po’ la figura ma rimangono esempi di tutto rispetto a difesa di una categoria che ha contribuito e che contribuisce non poco a salvaguardare quel poco di buono che rimane, soprattutto nella tessitura delle relazioni nel nostro lavoro. Gente che ha fatto della strada il suo ufficio, delle persone il primo capitale sociale.
Detto questo, fatta tutta sta premessa mi domando* se non sia un tantino sovraesposta la figura di certi produttori di vino (ma non solo) che soprattutto attraverso i social network si lanciano in pubbliche relazioni dal sapore un po’ avventuriero un po’ adolescenziale, talvolta puntando incoscientemente (voglio sperare) ben oltre l’operato del suo stesso agente di zona. Pretese di conoscere senza vedere, di sapere senza vivere certe realtà; così i listini vengono lanciati su facebook senza uno straccio di riferimento, si ‘uozzappa’ invece di fare, almeno, un colpo di telefono. Certo, tutto gira più veloce al giorno d’oggi, ma temo che anche chi scappa col malloppo abbia imparato a correre veloce.
*Ascoltavo involontariamente al telefono: ‘Ma perché lì non ci siamo, eppure ci stanno in molti?’ Beh, sarà che il loro Babbo non è ancora morto. E il rappresentante?
Tag:a babbo morto, agente di commercio, cantine, corrieri espresso, enoteche, facebook, fb, natale, rappresentante, regali di natale, twitter, vino
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5 dicembre 2013
Raffaele Pagano è in piena ‘vendemmia’, comincia a raccogliere i frutti di un durissimo lavoro che lo vede, in prima persona, a girare il mondo coi suoi vini da cinque anni ininterrottamente.

Frutti che hanno il sapore dolce del consenso e il valore prezioso del riacquisto, frutti che raccoglie con entusiasmo non a fiere e sagre di paese ma presso clienti e posti Top dove qualcuno convintamente ha scelto di avere anche i suoi i vini. Un investimento che se volessimo fargli due conti in tasca probabilmente recupererà giusto tra una decina d’anni ma che lo colloca di già tra i più autorevoli produttori irpini.
Un fatto per la verità non nuovo a chi lo segue da tempo. Anche perché di applausi e recensioni positive¤ ai suoi vini c’è ne sono a bizzeffe ovunque nella letteratura enoica degli ultimi anni – ‘Joaquin come una maison d’Haute Couture’ qualcuno ha cominciato a pensare -, lui però è rimasto sempre un po’ dimesso, frequenta pochi panel e roadshow (non ha tante bottiglie da dare a destra e a manca) e questo lo tiene costantemente un po’ fuori dal cerchio magico dei ‘graditi’ fianisti, tanto per dirne una.
Aggiungo, non senza un filo di ironia che ahimè lui è forestiero, tra l’altro non ha (ancora) vigne di proprietà per dirsi abbastanza vignaiolo (secondo qualcuno ben pensante) e nemmeno una produzione di fiano, greco, aglianico, falanghina, coda di volpe seriale ogni anno costante e numericamente importante per figurare tra le aziende irpine di riferimento. Uno sfigato insomma, verrebbe da pensare, nonostante una cantina – bella imponente – a Montefalcione, collaborazioni di tutto rispetto (Maurizio De Simone, Sergio Romano per dire) e una continua ricerca a tappeto sul territorio che lo ha condotto a conoscere palmo palmo tutte le vigne del circondario. E progetti sempre vivi e innovativi, quando non preziosi o rari come vinificare l’aglianico in bianco o fare un fiano da sole piante centenarie¤. Per non parlare del rilancio della viticultura a Capri¤.

Tornando a noi, mi è piaciuto molto questo Vino della Stella 2012. Ancorché memore di un timido ma già promettente esordio del 2009¤ diventato poi solo col tempo grande e maturo: il primo assaggio di questo duemiladodici s’è rivelato invece già davvero superbo. Ha un naso scattante e propulsivo, con sentori e riconoscimenti che si sovrappongono con freschezza e minuzia impressionante, da grande fiano moderno. Teso, sapido e lungo il sorso che non soffre la struttura importante. 4500 bottiglie da una vigna di 4 ettari in Contrada Fortuna a Montefalcione. Per i prossimi 4/5 anni ci sarà da togliersi ancora belle soddisfazioni, Raffaele caro.
Tag:campania wines, fiano di avellino, irpinia, joaquin, raffaele pagano, vino della stella
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4 dicembre 2013
In principio mi rimase impresso il firmarsi col cognome e poi col nome. E’ un fiano tra i più buoni da sempre, profondo, minerale, incalzante; quei sentori che tutti conosciamo come markers identitari del fiano li abbiamo imparati anzitutto bevendo Colli di Lapio, e non necessariamente grazie a bottiglie ‘vecchie’ e/o mature, tutt’altro.

Si continua a ‘spingere’ affinché la Signora del Fiano si decida a ritardare l’uscita sul mercato del suo bianco di un anno o due. Magari, mi verrebbe da aggiungere. Però c’è addirittura chi va oltre, un po’ troppo a parer mio raccomandandosi e consigliando pratiche enologiche che migliorerebbero le prospettive di un vino già di per se buonissimo ma che, secondo questi fenomeni, rimane privo di un certo ‘…non è dato sapere’ che sbaragli le carte in tavola. A leggere certe cose, beh… che dire, non resta che aspettare e sperare che il giovane enologo di belle speranze Angelo Pizzi (faccino sorridente) faccia tesoro di questi comandamenti.
Invero credo che possa capitare che un’annata scappi di mano, o che non sia proprio sto granché o ancora porti con se imprevisti e quindi, forse, non è proprio raccomandabile tenerla a lungo in cantina o, più semplicemente, suggerire di berla dopo 6/7 anni. Mica tutto deve durare in eterno, o no?
Questo 2005 ne è testimone e non macchia assolutamente la qualità del lavoro dell’azienda. La pienezza del colore conta poco, ci sta e non è nemmeno eccessivamente maturo – ho visto di peggio -; qui è il naso a mancare, è un po’ in là con le note ossidative anche se offre comunque un quadro varietale accettabile: è tenue, risolto per così dire, e concentrico su sfumature dolci e resinose. Il sorso invece pare ingessato, teso, lungo e ancora fresco. Certo è slegato, contraddittorio, ma la Madonna puoi mica sempre vederla in tutto il suo splendore! Didattico e irriverente.
Tag:angelo pizzi, arianello, big picture, colli di lapio, fiano, fiano di avellino, irpiniawhites, romano clelia
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3 dicembre 2013
L’annata, contrariamente a quella precedente, ha consegnato vini generalmente longilinei e verticali, fatte salve alcune eccezioni, soprattutto interpretative. Il fiano di Picariello viaggia in questo momento proprio su questa linea anche se, a dirla tutta, è davvero molto presto per tirarne fuori un giudizio esaustivo.

Sta di fatto che la qualità della materia non si discute, la stoffa minerale e la matrice balsamica non tradisce il terroir di provenienza, quel carattere ‘nordico’ che da queste parti è ormai un marker inconfondibile.
Ha un colore paglierino tenue ma cristallino e luminoso. Il naso è appena sussurrato, sottile ma fine. Una contrazione evidente in questa fase che trattiene ma non nasconde: erbaceo, balsami e frutta gialla, tiglio e buccia di lime. Il sorso è vivissimo, fitto e sgraziato, ritorna piacevole una sensazione mentolata e di tostato dolce sul finale di bocca. Una tessitura che forse non andrà ad ‘allargarsi’ più di tanto ma saprà senz’altro alzare l’asticella verso quella verticalità a cui Ciro Picariello ci ha abituato.
Sembra tra l’altro che proprio una parte di questo 2012 sia stato messo da parte per farne una sorta di Cru o Selezione che arriverà sul mercato nella primavera prossima. Una scelta commerciale chiara, così a primo acchito, che amplia l’offerta di fiano della piccola cantina di Summonte ma che magari farà storcere il naso a chi, già abituato a bere così bene dovrà dividersi e districarsi tra più etichette nonostante una produzione limitata.
Tag:annata 2012, campania wines, ciro picariello, cru, fiano di avellino, irpinia, Rita picariello, selezione, summonte
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2 dicembre 2013
Era il giugno 2008, a Cerreto Sannita ricevevo il premio Primo Sommelier Campania. E Gianni era lì. Giannantonio Aiuolo non faceva il Sommelier per professione eppure era tra i più preparati e diligenti Relatori Ais in circolazione: una passione incredibile la sua, una dedizione che ho sempre apprezzato e che ci ha sempre fatti viaggiare sulla stessa linea d’onda.

Una vita spezzata troppo presto. Giovedì 5 Dicembre al Moon Valley¤ di Seiano di Vico Equense lo ricordano tanti amici che gli hanno voluto bene. Si berranno i vini del Consorzio Diversi Vignaioli Irpini¤. Tutto L’incasso sarà poi devoluto a ‘Le Fate di Arianna Onlus’. Ingresso 10 euro, dalle 18.00 alle 21.00.
Rif. Giovanni Starace stargiov60@hotmail.com
Tag:ais, Giannantonio Aiuolo, Gianni Aiuolo, in ricordo di, Moon Valley, primo sommelier campania, Seiano di Vico Equense, sommelier
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28 novembre 2013
Ce n’è abbastanza di letteratura su questo blog che racconta di Raffaele Moccia¤ e della sua piccola cantina, tanta da potermi ritenere, sin dai suoi primi passi, un suo grande fan.

Persona per bene, discreta, assolutamente fuori dal coro, Raffaele non ha mai dovuto alzare la voce per farsi notare, men che meno i suoi vini, originali, sobri e profondi che un po’ per la dimensione dell’azienda, un po’ per la denominazione rimangono quasi sempre fuori dai soliti circuiti di mercato, ciononostante per vocazione continuano ad essere tra i più autentici (e contemporanei) in circolazione.
Sono rimasto profondamente conquistato da questo per ‘e palummo 2012, forse il migliore di sempre venuto fuori da quella splendida vigna che si arrampica su per il costone napoletano di Agnano, fin su il limitare del Parco degli Astroni. Migliore sì, anche del buonissimo 2010¤.
Viene fuori da piante di un vigneto vecchio ormai di 40 anni che pare sgarruparsi ogni qualvolta le piogge torrenziali si abbattono su Napoli, una vigna che Raffaele riesce a tenere su solo grazie ad una grande volontà e tanta tanta fatica; un lavoro immane, come quello di preservare tra questi filari una biodiversità unica, varietà sconosciute ai più come la suricella (nera) e la marsigliese, una tradizione che resiste, forte, come forte ha resistito alla speculazione edilizia che qui pur ha lasciato segni di devastazione evidente in gran parte del paesaggio circostante.
Bellissimo vino quindi, vivace, di quelli immediatamente comprensibili. Ha un colore rubino purissimo e un naso incalzante e fitto: sa maledettamente di frutti rossi, è vinoso e variopinto persino di spezie dolci. Un quadro organolettico che ritorna croccante e invitante anche al palato, con un sorso franco, non ostentato, saporito e succoso. Se dovessi portare a cena un rosso stasera, eccolo qui, quale che sia il tema sarebbe un successone!
Tag:agnanum, campi flegrei, per e palummo, piedirosso, raffaele moccia
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25 novembre 2013
Rilancio volentieri un post scritto stamattina da Daniele Cernilli qui¤ su Doctor Wine, un pezzo che tocca argomenti da sempre a me cari e più di una volta affrontati anche qua su queste pagine.
Quella del ‘todos sommelieros’ è ormai realtà conclamata, un rischio a lungo sottovalutato (o poco attenzionato) negli ultimi anni perché alle prese in larga parte a fare i conti con la cassa anziché con un mercato del lavoro sempre più in crisi e alla ricerca di figure specializzate e, soprattutto, disposte a lavorare e crescere seriamente in ambito professionale e non soltanto per un servizio o due la settimana come dopolavoro (molto ben retribuito in seno al Gruppo Servizi dell’Associazione).
Per essere chiaro: è curioso come gente che fa altro per campare, lavora in banca, fa l’assicuratore, talvolta c’ha addirittura il posto fisso fa regolarmente il ‘sommelier’ quando nei ristoranti si grida¤ da tempo alla mancanza di personale qualificato. Certo nulla in contrario che ciò possa accadere ma se continuiamo solo in questa direzione cosa ne sarà della professione? Manco a farlo apposta, proprio questa questione è stata al centro di un piacevole quanto accorato confronto avuto mercoledì scorso a Milano con il presidente dell’Ais Maietta.
> Doctor Wine 2013 http://www.doctorwine.it
Tag:ais, aspi, daniele cernilli, doctor wine, fisar, professione sommelier, sommelier, todos caballeros, wsa
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21 novembre 2013
Il numero uno, non v’è dubbio. Il numero uno che si lancia nella sfida del tempo e un po’ anche a se stesso. Giulio Ferrari, la Riserva del Fondatore¤, la famiglia Lunelli, il Trentodoc, il metodo classico italiano che portano il cuore oltre l’ostacolo.

Mai un vino italiano aveva osato sfidare il tempo in maniera così sfrontata. E forse mai sarebbe accaduto se Mauro Lunelli dinanzi a quell’annata così formidabile come quella del ’95 non avesse pensato (bene) di mettere via queste 1500 bottiglie, così, tanto per capire se oltre i soliti 7/8 anni di sosta in bottiglia – poi diventati via via 10, in ultimo 11, ndr – si potesse ottenere dal Giulio¤ qualcosina in più.
Dicono, i fratelli Gino e Franco, che di questa ‘pensata’ di Mauro non ne sapevano nulla. E Franco lo giura con lo slancio piccato e sornione che da sempre lo contraddistingue: lui, ragioniere e contabile dell’azienda, non nasconde che se l’avesse saputo a quel tempo sarebbe andato su tutte le furie visto che proprio in quegli anni la Riserva del Fondatore prendeva sempre più mercato e non si riusciva a stargli dietro perché, ahilui, mancava puntualmente.

Vaglielo a spiegare 18 anni dopo il segno che lascia questo vino oggi nella storia del vino italiano. Ma invero Franco lo sa, sa bene chi e cosa rappresentano oggi lui e la famiglia Lunelli¤ in Italia e nel mondo; e sa bene che tutto il lustro di cui godono se lo sono guadagnato anche grazie a scelte importanti, coraggiose, lungimiranti come quella fatta da Mauro quell’anno. Chapeau!
Il Collezione 1995? E’ quello scatto in avanti che ti aspetti da uno dei più grandi vini italiani. Pensatelo così, non semplicemente un Trentodoc o uno spumante, il Giulio Ferrari non lo è mai stato per la verità, tant’è che questo ha tutto per essere la Pietra Miliare dell’evoluzione massima dello chardonnay di quel pezzo di terra così unico di Maso Pianizza¤, l’espressione italiana più alta del cosiddetto terroir tanto caro ai cugini d’oltralpe. Altro riferimento questo non buttato lì a caso: se al Dom Perignon viene concesso di sfidare il tempo con l’oenoteque al Giulio viene naturale, a quanto pare, farlo con questo straordinario vino!

18 anni dicevamo, sboccato a febbraio 2012 e solo adesso sul mercato. Il colore è di un giallo oro intenso, ricco e luminoso. La spuma è densa e cremosa, le bollicine finissime. Il naso non ha la pungenza del Giulio¤ a cui siamo abituati e questo è un primo segnale di compostezza ed equilibrio di cui dobbiamo sempre tener conto da qui in avanti, tant’è che oltre a stapparlo tranquillamente qualche minuto prima di servirlo consiglio anche di caraffarlo, pur potendolo rinfrescare in acqua e ghiaccio di tanto in tanto.
Il naso è ampio e vivace, sentori e riconoscimenti si avvicendano lievi e fini, accenni di humus e mandorla tostata e agrumi canditi, su tutti una dolcissima nota di mela confit sul finale. Ma è in bocca che conquista: il sorso è lungo, ampio, cremoso come solo i migliori chardonnay d’annata (di Borgogna) sanno essere. Ecco, magari sarò sfrontato anch’io, ma in attesa di un’altro Giulio Collezione cui rifarsi viene difficile paragonare il quadro organolettico di questo vino, l’integrità della sostanza, la sua profondità ad altre ‘bollicine’ in circolazione. Unico, verrebbe da dire.
Tag:angelo di costanzo, chardonnay, f.lli lunelli, giulio, giulio ferrari riserva del fondatore 1995, larte, milano, trentino, trentodoc
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19 novembre 2013
E’ indubbio che Angelo Gaja¤ e i suoi vini¤ dividano da sempre appassionati e critica. I primi, pur sedotti dalla bontà dei suoi vini si vedono tagliati fuori da un consumo per così dire abituale per una precisa collocazione sul mercato delle sue splendide bottiglie¤ in una fascia decisamente alta per le disponibilità di molti.

Una scelta ben precisa che da sempre contribuisce ad alimentare il mito e a farne oggetto del desiderio ma allo stesso tempo, quasi come un contrappasso, a tenerle sempre sulla graticola del ‘sì buono, ma caro’¤. Così la critica si divide da sempre, soprattutto quella più smaliziata ed ‘esperta’; invero anche per tante altre questioni, leggi tipicità, tradizione, punti di vista ecc… che lo stesso Angelo non ha mai lesinato ad alimentare a suo modo (con astuzia) nonostante certe scelte, alcune sue iniziative, posizioni, pur se talvolta di profonda rottura, potessero essere ben comprese se non anche condivise da altri.
Tant’è Gaja, e Angelo Gaja in quanto personalità davvero unica nel suo genere sono a pieno titolo nella storia del vino italiano e questo nessuno potrà mai metterlo in discussione, nessuno.
Sorì Tildìn 1990 è stato uno degli ultimi cru di Barbaresco uscito dalla cantina di via Torino prima della decisione di abbandonare la docg, col 1996, con i Sorì e il Costa Russi. Decisione che suscitò non poco clamore, soprattutto per la montante paura di una invasione dei cosiddetti vitigni internazionali anche in Langa. Scelta che fu presa, stando a quanto ci consegna la storia oggi, per consentire l’utilizzo di un 5/6% di barbera nei Barbaresco (e Barolo) così da attenuare l’importante acidità del nebbiolo di quelle terre.
L’assaggio di questo ’90 è di quelli memorabili, uno dei migliori vini mai avuti nel bicchiere: vivo, sfrontato, infinito. 23 anni dopo non c’è schema che tenga e non c’è appiglio cui fare ricorso. Grande. Certo quel maledetto tappo ci ha dato non pochi grattacapi ma alla fine ne vien fuori un’occasione di quelle che mai prima.
Il colore è maturo ma perfetto, rubino appena aranciato sull’unghia del vino nel bicchiere, luminoso e trasparente. Il ventaglio olfattivo è ammaliante, l’incipit è impressionante: subito speziato, vien fuori ricco e variegato; tenerlo in caraffa, lungamente, gli dona una vivacità incredibile, ad ogni passaggio vira continuamente dal varietale all’emozionale, ritorna preciso sui frutti di neri ad ogni sorso, alla prugna e poi al tabacco, china, rabarbaro mentre in bocca è ancora teso, finissimo, ampio, avvolgente ma teso, in perfetto stato di grazia. Pura emozione.
Tag:100/100, angelo gaja, barbaresco, barbera, big picture, gaja, nebbiolo, piemonte, sorì tildìn, vecchie annate
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18 novembre 2013
Il Messorio di Le Macchiole, 100% Merlot di Bolgheri, viene lanciato spedito sin da subito nell’olimpo dei grandi vini italiani con un percorso quasi netto tra le varie maglie della critica prima italiana poi internazionale; una grandeur ogni anno più ridondante che ha raggiunto il suo apice massimo col 2008 premiato da Parker – udite udite – con ben 100/100.

Bella esperienza bere oggi il Messorio 1999*, con quasi quindici anni sul groppone appare ancora in tutto il suo splendore. il vino è tutto merlot, a quel tempo della vigna Puntone, piantata nel 1993 (Vignone arriverà solo nel ’99), con 18 mesi spesi in rovere francese. Tre lustri dopo arriva nel bicchiere un vino dal colore rubino maturo ma ancora pieno ed invitante. Il naso ha bisogno del suo tempo, ha da stare in caraffa e fare i suoi bei giri nel calice, necessita di attenzione e della calma dei forti. Nitidi i sentori di china e caffè, poi liquirizia, more confettate, amarena sottospirito e tutta una serie di nuances terragne e tabaccose; il sorso è ben espresso, possente ma preciso, caldo e fitto, teso e lungo, un merlottone con ancora il giusto piglio e la profondità utile per guardare avanti col petto in fuori.
Non ne farei l’assaggio dell’anno ma quando si stappano certe bottiglie ad anticiparle c’è tutta una serie di deja-vù e luoghi comuni sempre un tantino complicati da soppesare con giustezza. Ecco perché la sfrontata bellezza di questo assaggio ha un sapore ancor più pregnante.
*98/100 per Parker, Tre Bicchieri Gambero Rosso, 17/20 L’Espresso.
Tag:big picture, bolgheri, le macchiole, merlot, messorio, super tuscan, toscana
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17 novembre 2013
Il Futuro de Il Colombaio di Cencio nei suoi primi 5/6 anni di vita li stracciava tutti i SuperTuscans provenienti dal Chianti Classico: dal ’95 una sequenza incredibile di lodi et amo da ogniddove ne accompagnò l’ascesa sul mercato senza se e senza ma.

E’ una sortita un po’ così così per questa bottiglia di Il Futuro 2000. L’azienda è di Gaiole in Chianti – vicino al Castello di Brolio -, fu fondata nei primi anni ’90 da Werner Wilhelm, imprenditore di Monaco di Baviera sceso in Toscana nei primi anni ’90 col pallino di fare grandi vini; il marchio Wilhelm fu parecchio on the wave per almeno un decennio in quegli anni.
Un rosso, Il Futuro, da sangiovese, cabernet sauvignon e merlot, che matura generalmente in barriques per 24 mesi e poi ancora in bottiglia per almeno un’altro anno. Gli almanacchi dell’epoca consegnano annate memorabili (’95*, ’97*, ’99*) e qualcuna un poco meno; questa duemila sembrerebbe, col senno di poi decisamente tra le seconde. Sin dal colore appare poco brillante e con poco slancio: ha profumi risolti e un sorso sopito, senza guizzi, vellutato e morbido.
Non lo bevevo da tempo, non che avessi memoria di assaggi mirabolanti ma finire così risoluto con quel Pedigree mi pare davvero un peccato. E’ proprio il caso di dire che il tempo non gli è stato granché galantuomo.
*Tre Bicchieri Gambero Rosso
Tag:cabernet sauvignon, chianti classico, gaiole in chianti, il colombaio di cencio, il futuro, merlot, sangiovese, supertuscan, werner wilhelm, wilhelm
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12 novembre 2013

Il nero di Troia è uno di quei vini che mi dà sempre piacevoli sensazioni e continuo a pensare sia vittima di un equivoco storico che l’ha relegato troppo spesso a fare da controfigura al primitivo. Quando ben interpretato invece e tenuto conto con coscienza dei limiti della varietà che pur ci sono riesce a dare vini di valore assoluto, non necessariamente da lungo invecchiamento e, come in questo caso, particolari e a dir poco sorprendenti.
Non conosco molto dell’azienda di Michele Biancardi, Vigne Daune¤ di Cerignola, in Contrada Viro, ma quando Giulio¤ mi ha fatto dono di questa bottiglia ero certo che mi stesse regalando una bella opportunità di scoprire qualcosa di nuovo ed interessante. E così è stato, mi pare.
Mille Ceppi 2011 viene affinato esclusivamente in anfore di terracotta, passaggio questo che riesce a contenere in maniera sublime tutta la sua verve esaltandone frutto e freschezza gustativa. Il colore è di uno splendido viola con accenni porpora, imperscrutabile. Naso classicheggiante che sa di viola e frutti neri macerati, mirtillo e amarena anzitutto, ed accenni balsamici in sottofondo. Ma è il frutto a rimanere costantemente in primo piano, croccante, integro e polposo anche in bocca, qui la beva è esemplare, scorrevole e ben viva sorso dopo sorso grazie anche a un tannino minuto e preciso. Gran-bella-scoperta.
Tag:angolo divino, big picture, Cerignola, Giulio cantatore, michele biancardi, mille ceppi, nero di troia, puglia wines
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10 novembre 2013
Capita di aspettare un vino a lungo, tanto, per anni. Capita perché quel vino se l’è meritato o più semplicemente siamo convinti che lo meriti; ce lo consiglia il fiuto, l’esperienza, il mestiere o più semplicemente quel pizzico di riverenza pagato al proprio ego o al Guru di turno. Sta di fatto che quel vino, proprio quello là lo tieni in disparte, smarcato, incartato, piazzato in maniera che non venga fuori ogni volta che ti viene un piccolo slancio ma solo e soltanto quando hai deciso che sì, è il suo momento (e il tuo).
Tiri fuori la bottiglia con cura, carezzandola, ci levi la capsula e gli tiri via il sughero come fosse un rito propiziatorio, lento e meccanico; ne accompagni l’assaggio assaporandolo – estasiato – col solo pensiero, seguendo ogni giro nel bicchiere con la stessa suspense con cui trattenesti il fiato sull’ultimo tiro dal dischetto di Grosso nel 2006.
Non l’hai ancora fatto ma ti immagini che arriverà la Madonna non appena gli avvicinerai il naso, non lo hai ancora portato alla bocca che ne prevedi un sorso strabiliante per intensità, progressione, distensione. Un finale sferzante e incantevole. Sei eccitatissimo.
Ti viene in mente quel luogo, quella collina, quel pezzettino di terra, quella vigna, quei filari – quelli più in alto -, quell’uva, quei grappoli, i migliori. Per non parlare di lui, il vignaiolo, il Poeta Contadino, la sua vocazione, dedizione, passione, amore, intransigenza in cantina. La sua rettitudine.
Davanti a te ti si schiude un mondo, è perfetto: l’annata del secolo, l’unico posto vocato al mondo, la migliore uva, un vino straordinario. Ti viene da pensare alla fittezza e l’eleganza del colore, a quell’immancabile sottobosco, alla setosita’ dei tannini, l’acidità che ne fortifica la schiena, ben dritta. Un quadro impressionante, un piccolo capolavoro, di quelli rari, e pensi sia irripetibile. Sì, mai annata fu migliore.
Sei pronto, stai ancora valutando se decantarlo o meno ma sei pronto. Tenerlo lì in bottiglia potrebbe regalarti sorsi ognuno un pelino più avvincente del precedente, caraffarlo un po’ più uniformi. Nell’indecisione lo tieni in bottiglia, un ultimo sguardo sul piano bianco ti convince.
Un ampio respiro ed è qui che alzi gli occhi, stai quasi per alzarti in piedi che ti accorgi che davanti a te non c’è più nessuno. Sono andati tutti via. Tutti. Solo, sei rimasto solo coi tuoi pensieri, con la tua bottiglia. Tu e lei. E speriamo che non si sia…girata.
© L’Arcante – riproduzione riservata
Tag:banco degustazione, big picture, capolavoro, degustatori seriali, elogio, grandi vini, guide, guru del vino, immediatezza, poeta contadino
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8 novembre 2013
Dell’acidità ne abbiamo parlato a più riprese, del suo valore¤ e talvolta della sua deriva¤. Un assaggio interlocutorio sul tema mi è parso il Perella 2009 di Bruno De Conciliis, un vino simbolo dell’azienda e tra i primi bianchi Cilentani e campani a suscitare scalpore ed attenzione ai più, che viaggia oggi verso la maggiore età produttiva. Una vigna, quella dove nasce il Perella, ben esposta che da uve sanissime e implica un lavoro particolarmente accurato sui lieviti, fermentazioni e affinamento (parte in in acciaio e parte in Tonneaux) soppesato con destrezza e maestria.
Il risultato? Un bianco notevole, di chiara impronta territoriale, luminoso, di spessore ma anche scontroso e irreprensibile. E se può passare come un valido esercizio di stile soffermarsi sulla sublime consistenza del quadro olfattivo mi sembra invece doveroso sottolineare quanto sia parecchio complicato gestirne il sorso, ahimè slegato, a tratti tagliente sino all’aspro, tale da allontanare quasi. Un nervosismo gustativo che mette a dura prova l’appassionato quanto il degustatore seriale. Certo è evidente prevederne una evoluzione gustativa notevole nei prossimi anni ma oggi che ci mettiamo nel bicchiere?
Tag:acidità, bruno, cilento, de conciliis, fiano, perella, prignano
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6 novembre 2013

L’Amicizia, quella con la A in maiuscolo conta e come. Grazie ragazzi!
Photogallery¤
Tag:abraxas, amicizia, big picture, ca' del bosco, cuvee Prestige 9 litri, gerardo vernazzaro, la festa di angelo, nando salemme, osteria, pino esposito, salvatore martusciello, sommelier dell'anno
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5 novembre 2013

4 Cucchiaio&Forchette (luogo di Gran confort)
2 Stelle (Tavola Eccellente)
Grappolo Rosso (Specialità e Vini scelti)
Un vasto e raffinato salotto dove illuminazione, tessuti e decorazioni creano un’ineguagliata armonia di stile e benessere; in cucina il giovane Migliaccio si fa portabandiera di piatti mediterranei e creativi, eleganti e sofisticati.
Risotto ai ricci con colatura di alici, acqua di pomodoro e friselle al finocchietto. Merluzzo Nero al vapore con spinaci, pomodori secchi e spuma al whisky torbato. Sfera di cioccolato con prugne alla lavanda e gelato alla birra e liquirizia.
Addendum: con viva soddisfazione ci viene confermata anche la Stella a Il Riccio, il Restaurant&Beach Club in località’ Grotta Azzurra.
Tag:andrea migliaccio, angelo di costanzo, big picture, capri palace hotel anacapri, due stelle michelin a Capri, fausto arrighi, il riccio, l'arcante, l'olivo capri palace, la guida rossa, Michelin 2014, quarto, ristorante il riccio, Sergio lovrinovich, stella michelin a quarto, stelle michelin a Capri
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4 novembre 2013

In generale l’annata 2011 è andata un po’ così così, fatte salve alcune belle bevute regalateci solo dai migliori in zona. Vini però comunque snelli, di grande godibilità e caratterizzati da una matrice organolettica abbastanza omogenea. Certo si sa che il greco non è il fiano e quando il millesimo non lo bacia proprio in fronte qualche accenno di perdenza viene naturale. D’altronde il greco di Tufo è sempre stato, più del fiano, un vino ‘di pancia’, di quelli cioè senza starci a girare intorno più di tanto: o è o non è.
Meno male che Montefusco non è Santa Paolina, giusto per citarne uno degli altri 7 comuni ammessi alla docg, dove pare si sia sofferto un po’ meno le bizze climatiche di quell’anno. E che Mastroberardino¤ è sempre Mastroberardino¤. Così Massimo Di Renzo¤, forte dell’ormai decennale esperienza nell’areale, c’ha regalato un’interpretazione ‘classica’ e molto molto piacevole. Colore paglierino, di buona luminosità, dal naso di mela bianca e pera appena matura, dal timbro vivace e fugace. Sorso sottile ma abbastanza lungo, sapido e minerale a tutto spiano che pare declinare alla perfezione gli abbinamenti più classici della cucina napoletana, penso alle ricche insalate di mare ma anche quegli indimenticabili piatti di alici e fragagli fritti aggiustati con sale e pepe.
Tag:bianchi campani, big picture, greco di tufo, massimo di renzo, mastroberardino, novaserra, piero mastroberardino, wines
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3 novembre 2013

E’ a due passi dalla stazione Metro 3 Porta Romana, il luogo è carino e ben frequentato, in qualche occasione anche troppo il che rallenta di molto il servizio. C’è cortesia e buon senso, la proposta è variegata e con qualche buona intuizione sul piatto del giorno; la cucina strizza l’occhio alla tradizione toscana anche se non mancano piatti di un po’ ovunque. Pochi i vini a disposizione ma con ricarichi accettabili.
Osteria Casa Tua
via Ludovico Muratori 10 (angolo via Bernardino Corio)
Tel. 05514269
prenota@casatuaosteria.com
http://www.casatuaosteria.com
Tag:cucina toscana, mangiare a milano, metro milano, milano, osteria, osteria casa tua, porta romana
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2 novembre 2013

A guardare in giro sembra sempre sfuggirti qualcosa ma la differenza che passa tra gli Champagne e gli altri sta proprio nel fatto che da quelle parti sono possibili continuamente nuove scoperte.
Gli Autreau¤ si danno da fare dalle parti di Champillon, nei dintorni di Epernay sin dal 1670. Ma quello che portano in bottiglia oggi sono una piccola serie di buone etichette (poche bottiglie per la verità) che dalle nostre parti sfuggono ai più ma che grazie all’amico Andrea Gori¤ ho pensato di andarmi a cercare per capirci qualcosina in più. La chiave di lettura appare molto semplice ma al contempo estremamente contemporanea: bevibilità!
Questo Champagne Prestige Millésime Grand Cru ’05 è secondo me la loro punta di diamante. Fa tesoro di un millesimo straordinario, proprio per questo non ha sovrastrutture inutili e cosa a me sempre molto cara non ha bisogno di un libretto d’istruzione prima dello stappo. Nel senso che a leggere l’etichetta tutto quello che pensi di trovarci dentro te lo ritrovi pari pari nel bicchiere. Chardonnay della Cote des Blancs (Chouilly) e pinot noir in larga parte di Ay per una cuvée di straordinaria intensità, fittezza ed eleganza. Il naso è pulito, fresco e balsamico, sa di frutto della passione e ananas, menta ed erbe di montagna e chiude delicato e sapido con un ritorno finale di note dolci d’acacia. Una bottiglia davvero deliziosa!
Tag:autréau de champillon, champagne, chardonnay, cote de blancs, les perles de la dhuy 2002, pinot noir, prestige millésime, reims
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21 ottobre 2013

Bene, rieccoci qua. Mamma mia che giornata memorabile lo scorso 17 Ottobre! L’avessimo voluta scrivere così una sceneggiatura non ci saremmo mai riusciti, giuro. Adesso però è il momento dei ringraziamenti, di concedere onore a chi lo merita. Anzitutto alla mia famiglia, tutta, e a Lilly¤ che mi sostiene da sempre; e poi a tutti coloro che hanno fatto sì ch’io arrivassi là su quel palco a Firenze giovedì scorso: a chi mi ha accompagnato in questi anni, gli amici, i colleghi, i compagni di viaggio che hanno condiviso con me ogni secondo, ogni centimetro, ogni momento di questo cammino. Tutti, nessuno escluso. Onore quindi a chi ha assaporato – è proprio il caso di dirlo – ogni sorso di questo splendido e duro lavoro di Sala e Cantina.
Onore a chi ci ha sempre creduto in me, a chi mi ha sostenuto e quando necessario mi ha dato una mano, lasciato la porta appena accostata; ma grazie anche a chi, per un motivo o per un’altro non l’ha fatto, perché per crescere e migliorarsi si ha bisogno anche di questo, di gente contro. Grazie, grazie di vero cuore.
Sapete, qualcuno, penso anche giustamente, mi ha detto: ‘Ma come, tua moglie entra in sala parto, nasce tua figlia e tu vai, te ne vai alla premiazione de L’Espresso?‘. Beh, forse sì, non è stato per niente semplice scegliere, capire cosa fosse giusto fare in una situazione del genere. Ci abbiamo ragionato e abbiamo deciso: questione di rispetto!
Si, rispetto, una parola che ultimamente pare scomparsa dal linguaggio e dal comportamento di molti, soprattutto nel nostro mondo di Cucina e Sala. Quel rispetto che pare mancare a molti ‘giovani’ scalpitanti che proprio non si capacitano perché non gli venga riconosciuto (subito) quanto sono convinti di valere (secondo loro sempre un punto o due in più di quanto vengono valutati). Già, i punti, sembra che tutto alla fine si riduca a una rincorsa ai punti, ai virgola 5 e stellette. Macché…
Ecco, a Firenze ci sono andato per rispetto, per chi ha voluto ch’io fossi là quel giorno ma soprattutto per chi ha permesso in questi ultimi quindici anni di costruire passo dopo passo quel momento indimenticabile. Rispetto per tutti, a maggior ragione per la mia Lilly che quei passi li ha camminati con me. E un po’ anche per me stesso che, lasciatemelo dire, mi sono fatto ‘un mazzo grosso così pe’ ll’avé!’¤.
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Se vi va qui sotto trovate alcune delle cose uscite qua e là in giro che raccontano dell’evento del 17 Ottobre alla Stazione Leopolda di Firenze. E su Facebook c’è anche un Video¤ opera dell’amico Pino Esposito¤.
L’Espresso ¤ – Luciano Pignataro ¤ – Il Mattino ¤
Gambero Rosso ¤ – Identità Golose ¤ – Dissapore ¤
Tag:angelo di costanzo, capri palace, firenze stazione leopolda, l'espresso, l'olivo, ledichef, onore e rispetto, ristoranti d'Italia l'espresso, sommelier dell'anno, video premiazione
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20 ottobre 2013

Per chi come me è cresciuto nel mito di Giorgio Pinchiorri potergli fare visita e stringergli la mano è stato un momento memorabile, da consegnare agli annali. Ho approfittato della salita¤ a Firenze per strappare un appuntamento per fare un giro in cantina all’Enoteca in via Ghibellina¤.

Pinchiorri¤ è ‘il’ posto dei sogni, manco a dirlo. E al di là del valore che credo incalcolabile delle preziose bottiglie nonché di certe etichette introvabili ciò che affascina qui, sopra tutto, è quella particolare atmosfera che si respira passando da una stanza all’altra della cantina, assolutamente fuori dal tempo.
Centinaia di migliaia di bottiglie stipate con una cura a dir poco maniacale – proprio come piace a me! – con ognuna delle bottiglie al suo posto, tutte chiaramente identificabili e a portata di mano. Un lavoro immane che non sfugge nemmeno ai meno attenti, curato in ogni minimo particolare da uno staff (!) di sommelier chiaramente di primissimo livello.

Trovo quasi scontato soffermarmi sull’unicità di certe etichette, basta dare un’occhiata ai preziosissimi ‘vuoti’ sparsi qua e là a testimoniare passaggi che sicuramente avranno fatto storia per coloro che l’hanno stappate: Bordeaux e Borgognoni di annate rarissime, millesimi addirittura dei primi del novecento e bottiglie ‘uniche’ (ormai introvabili) di Petrus, Jayer, Coche-Dury, Romanée Conti e tutti quanti quelli che vi potrebbero venire in mente da qui a un’ora.
Sono qui, e in larga parte anche con formati speciali che recano in etichetta il fatidico N.1: un particolare che deve necessariamente far riflettere su quanto quest’uomo e questo luogo rappresentino nel campo una icona di altissima levatura della professionalità italiana riconosciutaci in tutto il mondo.

Mi riprendo con in mano un sorso di La Mission Haut Brion (credo 2009), mi porto via così un bellissimo momento, di grande intensità e valore, indimenticabile; un bagno di umiltà essenziale per capire quanta strada c’è sempre da fare e che in sostanza, per quanto sia duro il nostro mestiere sa però regalarti dei momenti davvero indimenticabili. Applausi per Giorgio Pinchiorri¤.
Enoteca Pinchiorri
Via Ghibellina 87 50122 Firenze
Tel.+39.055.242757 / +39.055.242777
Fax +39.055.244983
http://www.enotecapinchiorri.it
ristorante@enotecapinchiorri.com
Tag:annie feolde, big picture, bordeaux, borgogna, cantina storica, enoteca pinchiorri, firenze, giorgio pinchiorri, romanée conti, sommelier dell'anno
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20 ottobre 2013

E’ uno degli esercizi storici fiorentini la Fiaschetteria¤ della famiglia Gori appena fuori Firenze. Un posto normale, tranquillo, dove si respira un’atmosfera d’altri tempi, verace mi verrebbe da dire usando un termine a me tanto caro, dove una cucina chiaramente tradizionale ha possibilità, quando si vuole, di grandi abbinamenti¤ con la competenza magistrale di uno dei migliori Sommelier d’Italia in circolazione, l’amico Andrea Gori¤.
Trattoria Da Burde
Via Pistoiese, 154
50145 Firenze
Tel.: 055317206
info@daburde.it
http://www.vinodaburde.com
Tag:andra gori, caffè detto burde, esercizi storici fiorentini, fiaschetteria, firenze, paolo gori, trattoria da burde
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18 ottobre 2013
Voto: 17
Due Cappelli: cucina di gran qualità.
Bicchiere: particolare cura nella ricerca e nel servizio dei vini, internazionali, nazionali o locali.
Quante volte, nei ristoranti dei grandi alberghi, si resta abbagliati dalla perfezione formale di alcune pietanze e magari non altrettanto colpiti al momento dell’assaggio? Qui, nel più prestigioso rifugio dell’Isola Azzurra, questo rischio non è contemplato. Anzi, il giovane chef Andrea Migliaccio continua a scalare imperterrito la strada dell’Alta Cucina, come un atleta che insegue vigoroso la piena maturità senza mollare mai. Il risultato e’ davvero convincente, sotto il segno orgoglioso della tradizione campana, che si rinnova senza complessi, e con una squadra fortemente motivata. Che si tratti della vellutata di cipollotti con guanciale, fava e bottarga, o della trilogia di agnello, non arriva piatto che non sia animato da profondo equilibrio e vivacizzato da un allegro gioco di contrasti: nel coloratissimo risotto, i ricci di mare duellano con la colatura di alici, acqua di pomodoro e dei friselle al finocchietto. Ma la perfezione arriva con le candele spezzate (tartufi di mare, gamberi, broccoli e pecorino) e subito dopo con la triglia (con burrata al limone, fagiolini e patate). Incoraggiati da una Signora Carta dei Vini, gestita alla perfezione da Angelo Di Costanzo, anche gli ospiti più conservatori si abbandonano così al sogno caprese, fino a provare i sapori forti della genovese di coniglio… Degustazione Super da 220 euro, sui 160 alla carta. (da Le guide de L’Espresso – I ristoranti d’Italia 2014)
Tag:anacapri, andrea migliaccio, angelo di costanzo, big picture, capri, capri palace, guide 2014, guide ai ristoranti d'italia, l'espresso, l'olivo, recensioni ristoranti, ristorante l'olivo del capri palace, sommelier, sommelier dell'anno
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