Archive for the ‘FATTI, PERSONE’ Category

Dieci cose che ho capito e che mi hanno tolto dalla mente ogni ragionevole dubbio!

10 gennaio 2011

Al supermercato ci vado sempre molto volentieri, amo fare la spesa e quasi sempre l’azzecco in tutto e per tutto, con buona pace della mia signora! Ho imparato addirittura anche a confrontare i prezzi, gli sconti e le offerte, anche se alla fine, diciamocelo, tutto quello che prendi da un prodotto lo perdi – a volte di brutto – su altri due o tre. Ma tantè che ci piace giocare a carte scoperte e non è certo questo il nocciolo della questione, perchè tutto è lì, in bella mostra, sei tu a scegliere, quindi una volta arrivato alla cassa, rimani l’unico responsabile dei tuoi rimorsi. Così è se vi pare, ecco perchè anche su queste pagine, troverete sempre un diario scritto a carte scoperte, che cerca di mettere assieme i tasselli di una passione e di tanto in tanto un qualche tentativo di capire, pure quando questo significa mettersi in gioco. Così, dopo più di anno di posts, persone, sbevazzate e rincorse per vigne e cantine, eccovi alcune cose che ho capito in un anno e più di blog che ritengo opportuno rilanciare per sgombrare la mente da ogni ragionevole dubbio!

1- Iniziamo con una avvertenza: Il sommelier non fa proprio tutto quello che combina Antonio Albanese nella sua divertentissima parodia. A meno che non siate disposti a sborsare una lauta mancia!

2- Le guide ai vini d’Italia, come quelle ai ristoranti servono e come. Una o due al massimo però! La prima per gli enostrippati, se no per tutto novembre di cosa scriviamo? L’altra, magari a “editori uniti” (e degustatori pure, ma quanti sono?) per il largo, larghissimo numero di consumatori, al netto dei committenti!

3- I produttori di vino ne hanno le scatole piene, ma piene per davvero, più della cantina di bottiglie, di una burocrazia che serve (nel vero senso della parola) solo ai burocrati e molto poco a loro e a i consumatori. “Avete idea di quanto costi in termini di tempo e denaro stare appresso a sti coglioni?” (cit. anonima)

4- Il giornalista enogastronomico visita tutte le aziende e/o i ristoranti di cui scrive, anonimamente, pagando i conti regolarmente (dietro ricevuta fiscale rimborsata) e ne riporta recensioni del tutto obiettive. Quindi se ti senti un mago ma non ti filano, non è colpa tua, solo questione di tempo!

5- A tal proposito, scrivere di vino non fa guadagnare, e quando lo fa, solo al farmacista di turno!

6– Inutile ribadirlo, ma per scrivere di vino, di quel vino, devi quantomeno averlo prima assaggiato.

7- Fondamentale: per poter scrivere di vino (e godere di un checchè di credibilità) devi aver letto almeno un paio di volte Mario Soldati ed aver mancato d’un soffio – per un tot così – di conoscere Gino* Veronelli, e possibilmente mettere qua e là nelle tue recensioni uno o due passaggi tanto cari ai maestri. Se no rischi di essere un tuo contemporaneo, sfigato! (*) Chiamarlo Gino – e non Luigi – è segno di gran devozione oltre che di pane quotidiano!

8- Nel Taurasi, come dimostrato per la “faccenda Brunello”, non v’è merlot o cabernet che tenga, basta non fare troppe domande in giro e pretendere pure delle risposte. Per tutto il resto, c’è il piedirosso!

9- Capri è l’isola azzurra, Ischia l’isola verde, l’isola ecologica però non sta nel golfo di Napoli.

10- Infine, questo blog non gode di sponsors, quindi niente benefattori, ma non l’ho mai scritto perchè se qualcuno volesse fare della pubblicità sul nostro blog… non saprei, dovrei vedere, valutare, mi si aprirebbe una questione etica prima che morale: vabbuò può essere che accettiamo! 😉

Lo spot del mese, Gennaio 2011

6 gennaio 2011

Dieci anime (più o meno) intorno a me da portare volentieri sull’Arca nel 2011

1 gennaio 2011

Rieccoci! Si riparte alla grande in questo 2011 con subito tanti appuntamenti a cui dedicare particolare attenzione, ma prima di tutto, senza voler essere troppo pallosi, eccovi un piccolo classico con il quale desideriamo sottolineare alcuni riferimenti che ci fanno pensare in positivo per quest’anno appena arrivato. Non è una classifica, solo il piacere – sincero – di ringraziare alcune persone per quello che fanno e sono capaci di trasmettere e dunque una sottolineatura a persone, cose, eventi, fatti che non ci sono risultati indifferenti. Così è se vi pare. Buon anno a tutti!

Rosanna Petrozziello. Moglie, mamma, sommelier, vignaiola di finissime intuizioni sotto l’egida di suo marito Piersabino Favati nonchè – da qualche tempo sempre più ferrata – abile tecnico di cantina grazie agli insegnamenti del suo consulente Vincenzo Mercurio. Potrei anche fermarmi qui, perchè di certe persone basta dire anche meno, per lasciarne carpire il valore umano e morale, ed il suo brillante futuro in questo più o meno meraviglioso mondo del vino. Ci tengo però ad aggiungere solo un ulteriore considerazione, rifacendomi ad una delle più leggere ma al tempo stesso efficaci battute di Totò: in un mondo costellato di mille e più primedonne “tutte pittate*” che sgomitano per ottenere un primo piano, ebbene, come chiosava il più nobile dei comici napoletani ne Il Turco Napoletano, “in questo negozio, fra tanti fichi secchi, un po di poesia non guasta mai”, e Rosanna, con il suo solare splendore, forgiato da sani e saldi principi di un tempo che fu, non guasta davvero no, e guai a chi se ne dimentica! (*) pittate, truccate

Gerardo Vernazzaro, mai senza Emanuela Russo però. E sì, perchè Gerardo è un tipo giusto, che sa il fatto suo, cresciuto come me nella cruda periferia napoletana ma che ha saputo leggere e vivere il presente senza mai rinunciare al suo futuro, ai suoi sogni, pur nella loro reale dimensione, senza cioè voli pindarici. Gerardo fa vino, e seguirlo nel suo lavoro, correre cioè tra le vigne, camminare con lui tra le vasche e rincorrere i suoi ideali nelle bottiglie è, credetemi, uno spasso; Perchè più del valore della fatica, del sacrificio della costruzione, condividere una bevuta con lui significa riuscire a cogliere di un vino”l’essenza” che vuole manifestare, più del territorio che si arroga la presunzione di rappresentare, il suo ideale. E mai compagno di bevute mi fu più gradito!

Teletubbies, sono off topic, lo so, ma aspetto da sei mesi di inserirli in qualche modo in un mio post; Senza di loro non so proprio come farei. Dei quattro, chi mi fa scompisciare è Dipsy, con il suo cappello sempre alla moda ed i suoi balli originalissimi, anche se, per amor del vero, sono quasi costretto a tifare sempre per Po e Laa-Laa, Letizia poi di quest’ultima è follemente invaghita. E che dire poi di Tinky Winky, il più grande (e grosso) della ciurma che se ne va in giro sempre con una borsa rossa (della serie ci fa o ci è?). Tutti protagonisti di storie incredibili alla luce di un sempre splendente Sole-bambina, un po come le mie giornate da quando sono diventato padre, altro che sommelier…

Carmine Mazza. In un tempo in cui Napoli e la sua provincia esprime tutto quello di cui mai ci si potrebbe innamorare ogni tanto salta fuori qualcosa di buono. Il Poeta Vesuviano non è solo un ristorante, prendiamolo come un avamposto di modernariato culinario nella popolosa e popolata provincia napoletana. Torre del Greco non è poi così lontana e andare da Carmine, nella foto con la deliziosa compagna Amalia, val bene il viaggio; Perchè Carmine ha voglia di fare e lo si vede in ognuno dei suoi piatti, ha talento da coltivare e motivazioni da preservare, insomma, il poeta va ascoltato!

La Francia. Credo di aver letto tutto il possibile sulla vitienologia francese e di non essermi mai fatto mancare il tempo per approfondire e cercare di capire: un mondo infinito, altro che bordò e burgogn! La cosa più curiosa è che più ci entri nei dettagli del vigneto Francia e più ne ami, ti appassionano, le mille sfumature più che le poche, solide architetture di un paese del vino straordinariamente ricco di cultura enoica. Così l’approccio dello scorso giugno al sogno borgognone diviene solo l’appetizer di una sì forte motivazione di cominciare quel viaggio fantastico che non si pone mete bensì obiettivi: vivere le terre di Francia.

Pasquale Torrente. Mi dicono che una volta capitato a Cetara si rischia di rimanerci secco, di cetarite o giù di lì. Aggiungono però che trattasi di un male buono, che si insinua dapprima nella mente ma che non perde tempo di rapirti l’anima. Cetara è un borgo marinaro tra i più suggestivi della costiera, vissuto da gente che praticamente si conosce tutta, tra questi c’è Pasquale. Di lui ho incontrato prima la sua fama, di persona per bene appassionata del buono e lento della vita nonchè gran cultore di amicizia. Poi il suo lavoro, di chef e patron dello storico ristorante “Al Convento” e quindi la sua persona: schietta, sincera, onesta, disponibile, trasparente. Un signore, si direbbe. Quanti come lui? Ne conosco solo alcuni altri, e comunque meno bravi con la sciabola!  

Angelo Gaja gira che ti rigira te lo trovi sempre davanti, ma anche no. E’ indubbio che sia un personaggio tra i più ambìti della nomenclatura enologica italiana, tra i pochi, pochissimi a cui va indiscutibilmente concesso il merito di aver creato un aspettativa sempre crescente sui suoi vini. Vuoi per passione, vuoi per critica, i vini di messer Barbaresco – checchè se ne dica – sono sempre un riferimento certo della vitienologia italiana, un caposaldo che sai di avere e di potertelo giocare – con tutti – a tuo piacimento. A lui, come forse a nessun altro, è concesso di apparire e sparire dalla scena a suo piacimento, lui come nessun altro ha maturato, soprattutto negli ultimi anni, quella sottile capacità di essere massmediologo senza esserlo, a volte senza nemmeno proferire parola, lasciando semplicemente parlare i fatti. Altre volte, quando proprio gli girano, ci ha abituato invece a sonore prese di posizioni, più o meno condivisibili, proprio come i suoi vini. Un riferimento Angelo Gaja, meno male che c’è!

Annalisa Barbagli. Il suo vecchio profilo sul sito del Gambero Rosso, per il quale ha collaborato sino a poco meno di un paio d’anni fa, la descriveva come “una persona pratica che vive l’impegno della casa (la spesa, il bucato, le pulizie, il cucinare ecc.) come un tutt’uno da fare all’insegna della massima professionalità”. Ed in verità dalle sue pubblicazioni si è sempre respirato quel non so che di vero che molti tentano – invano – di replicare costantemente nelle ultime uscite culinarie. Negli ultimi tempi non si riesce nemmeno più a contarli i vani tentativi di imitazione, ma chi come noi è cresciuto con La cucina di casa e si è ritrovato in quelle mille e più ricette che ha quasi tutte “vissute”, non v’è tubo catodico che tenga: che se le cuociano e mangino pure tra loro, il mio manuale di cucina è differente!

In ultimo, i miei primi dieci anni di Ais. E sì, son passati dieci anni; Era il 2001 quando mi sono avvicinato all’associazione italiana sommelier, per vocazione e non ripiego; Per molti dei miei amici/colleghi del tempo, quella rimane una “classe di ferro”, per altri addirittura mai più ripetuta. A me basta pensare di aver percorso, anche con alcuni di questi, un bel pezzo di strada professionale, appassionati e mai piegati all’arroganza di chi, nel tempo, ha preferito mettere avanti la scadenza mensile della sua prossima rata del mutuo alle ragioni, umane e morali, di un associazione che fortunatamente rimane un riferimento assoluto per la qualificazione e l’affermazione professionale dei comunicatori del vino, in Italia come nel resto del mondo. L’anno appena messo alle spalle ci ha consegnato una bella ventata di rinnovamento e tanti, tantissimi buoni propositi, a livello nazionale ma anche regionale qui in Campania: staremo a vedere cosa succederà, anche perchè, di cose da cambiare pare che ce ne fossero, chi vivrà vedrà!

Così la mia Arca l’anno scorso. (A. D.)

Manocalzati, tutti i numeri del corso sulle molecole aromatiche dell’Assoenologi Campania

29 novembre 2010

Riceviamo e volentieri pubblichiamo dalla segreteria regionale di Assoenologi Campania il riscontro del successo della bella iniziativa messa su con l’impegno del presidente Roberto Di Meo, della segreteria e dell’associazione tutta. Bene, bravi, bis! (A. D.)

I 75 iscritti che hanno partecipato attivamente al “corso di aggiornamento sulle molecole aromatiche” organizzato sabato 27 novembre a Manocalzati (AV) presso il Bel Sito Hotel Le Due Torri, sono stati la testimonianza della nuova e pragmatica veste assunta in Campania dall’Assoenologi. La voglia di confronto e di crescita professionale sono solo alcune delle caratteristiche e dei valori che più contraddistinguono gli attuali operatori del comparto vitivinicolo campano.

Al corso, hanno preso parte enologi, enotecnici, produttori ed altre figure professionali operanti nel settore, i due relatori Paolo Peira e Dominique Roujou de Boubeé hanno affrontato ed approfondito con metodologia esperienziale e coinvolgimento dialettico le proprietà aromatiche dei vini, la concreta possibilità di interagire attivamente attraverso l’olfazione diretta di 25 molecole odorose sia in termini di descrizione olfattiva che di concentrazione, oltre che la possibilità di esaltare aromi pregiati attraverso interventi in vigna nonché in vinificazione o la riduzione o eliminazione di aromi associati a difetti, quindi sono state fornite numerosissimi ed utili spunti tecnici sia di carattere viticolo che enologico, finalizzati al miglioramento qualitativo delle uve e quindi dei vini.

L’Associazione è fermamente convinta che la crescita della Campania vitivinicola sia direttamente proporzionale alla crescita professionale di tutti gli attori della filiera: viticoltori, enologi e produttori, e proprio per questo motivo, che  Assoenologi Campania sta organizzando per l’anno 2011 diverse iniziative e corsi specifici per contribuire alla crescita di tutto il comparto vitivinicolo.

Per contatti o maggiori informazioni
Roberto Di Meo info@dimeo.it
Presidente Assoenologi Campania
Gerardo Vernazzaro gerardovernazzaro@hotmail.com
segretario Assoenologi Campania

Un anno di blog, dalla velleità di stare al di sopra delle parti al silenzio di Striscia la notizia…

20 novembre 2010

La settimana scorsa L’Arcante ha soffiato sulla sua prima candelina on line, subito ci siamo sentiti in dovere di condividere tale ricorrenzapostando innanzitutto vivissimi ringraziamenti ad indirizzo di chi ogni giorno ci segue e ci sprona a continuare nello scrivere le pagine del nostro diario enogastronomico, ma anche di ribadire – purtroppo pare non essere mai abbastanza farlo –  la libera ispirazione alla quale ci rifacciamo (qualcuno la chiama indipendenza!) per ogni singolo post trattato dal sottoscritto, da Ledichef e da chi, di tanto in tanto ama lasciare una sua traccia sul nostro blog.

Detto questo, il clima domenicale, mi solleticava l’idea di ripercorrere, brevemente, il percorso camminato in un anno di posts: temi, luoghi, persone, ma anche vini e piatti che più ci hanno e più vi hanno appassionati nella lettura quotidiana delle nostre pagine, schegge più o meno impazzite di un puzzle sempre più avvincente che ad oggi viaggia più o meno stabilmente sulla media di 7.000 (settemila!) visite al mese. Non male, direi…

I Luoghi: quelli vissuti con i piedi ben piantati nella terra e quelli ancora da camminare, per farsi attraversare da esperienze reali e non virtuali: veni, vidi, vici. Senza null’altro da aggiungere!

Il vino: la vita mia! Mai avrei sognato di diventarne così dipendente, invero ho sempre immaginato che avrei fatto della mia passione iniziale (avevo meno di vent’anni) la professione di tutta una vita. Senza entrare troppo nel merito, mi accorgo ogni giorno di un mondo in continuo movimento ed evoluzione (talvolta pur con le sue involuzioni, ma tantè…), impossibile quindi da seguire stando semplicemente alla finestra, o peggio, seduti dietro ad una scrivania. Proprio non riesco a capire come fanno certi a trattare così superficialmente un argomento così complesso e profondamente legato a tutta una serie innumerevoli di fattori quali luoghi, vigne, persone impossibili da decifrare senza metterci bene le mani in pasta! Della serie, i vini prima di raccontarli vanno bevuti!

Il cibo: una passione infinita, e si vede, mea culpa? Per niente! Sono le esperienze che fanno cultura, conoscenza, capacità di confronto; Non solo stando seduti alla tavola di tizio o di caio, ma anche sforzandosi di capire un piatto sin dalla sua origine, dall’idea dello chef, dagli ingredienti, dal suo valore, talvolta palese come altre volte effimero, ma sempre da tenere in considerazione per comprenderne il significato: il tutto condensato dal grande rispetto verso la gastronomia ed  i suoi protagonisti.

Le persone: Un piacere da non perdere mai, quello di scoprirne nuove, stringervi le mani, incrociare gli sguardi ed i sorrisi, quando serve fare domande, quelle giuste o più semplicemente, quattro chiacchiere. Perché in un mondo sempre più virtuale non basta comunque  facebook per sentirsi in collegamento con il mondo, soprattutto quello enogastronomico, in continuo movimento ed evoluzione. E’ successo, tanto per citare un esempio proprio sotto casa, con Marianna Vitale e Pino Esposito del Ristorante Sud a Quarto: due giovanissimi, sbucati all’improvviso nel nulla o quasi della monotona periferia napoletana – praticamente come una rosa nel deserto. A ragion del vero sono subito assurti come il fenomeno del momento in Campania, a cui nessuno, nemmeno le guide ai ristoranti più autarchiche – ed il web in questo è stato un gran volano – è sembrato voler far mancare immediatamente una visita, tanto dall’indurre a pensare quanto sia più grande la necessità di rinnovamento, l’impellenza quasi, che si respira nella ristorazione italiana più che la mera difficoltà di emergere, proporsi, affermarsi. A patto naturalmente che – come nel caso citato – siano il puro talento e la voglia di crescere a sgomitare e non il solo spirito imprenditoriale dei soliti coglioni di turno!

La curiosità: quella che non ci facciamo mancare mai, per intenderci, il sale della vita, almeno per un sommelier. Quella che ci aiuta a vivere con maggiore piglio ognuna delle esperienze professionali che ci formano e caratterizzano e quella che ti prende quando ti ritrovi ad osservare e non ti basta guardare perché vorresti capire. Così ci piace, giusto per citare alcuni passaggi di quest’anno sul blog, aver chiesto ai curatori delle maggiori guide gastronomiche italiane come si muovono per raccontare lo stato delle arti della nostra ristorazione. O come per esempio – e questo ci è piaciuto meno – quando abbiamo incontrato Max Laudadio, persona attenta e disponibile oltre che simpatica – e che oltretutto personalmente ritengo un tipo in gamba – a cui successivamente, con il suo benestare, abbiamo posto delle domande in merito alla querelle Fornelli Polemici (ricordate?) alle quali però non è stato possibile ricevere risposte per il veto, così ci è stato riferito, posto dalla redazione di Striscia. Un gran peccato!

Il futuro: oggi già lo è. Il lavoro, gli amici e tutto il resto; coltiviamo il futuro per vivere più serenamente il presente ed apprezzare di più il passato. Guardare sempre con occhi nuovi al futuro ci piace, ma non ne facciamo una fissa, proprio per goderci meglio il presente. Mi dico di sovente, il futuro è lì, saprà aspettarci. E’ questa una ragione in più per la quale non amiamo programmare ciò che scriviamo su questo blog, vogliate pertanto perdonarci quando non troverete aggiornata l’home page, ma non abbiamo ancora maturato la capacità di scrivere per inerzia. E questo, potete starne certi, è una delle poche passioni che lasciamo volentieri ad altri!

Un anno di blog, la nostra prima candelina

14 novembre 2010

Ieri, appena un anno fa – era il 13 novembre 2009 – passava on line il primo post del diario enogastronomico di un sommelier. In verità le prove tecniche di messa in rete andavano avanti già da un paio di settimane, ma per chi come noi col computer vive più o meno lo stesso rapporto che si ricorda dell’uomo con la scoperta del fuoco, i tempi spesi riteniamo essere stati più che minimi.

Inutile ripercorrere ancora una volta la nostra storia, fare sfoggio delle migliori e più illuminanti motivazioni che ci hanno spinto a sdoganare il 2.0, è tutto scritto e sotto gli occhi di tutti su queste pagine, a portata di clic, come si direbbe. Una cosa però la vogliamo scrivere, sentiamo anzitutto l’esigenza di ringraziare tutti coloro che liberamente ispirati si iscrivono quotidianamente alla newsletter di questo blog, tanti, tantissimi per le nostre aspettative come tante sono le persone che ogni giorno fanno registrare almeno un passaggio su queste pagine. Ma più dei numeri siamo orgogliosi dei nomi, della qualità degli utenti che frequentano L’Arcante; molti sono colleghi sommeliers, spesso in cerca di un riscontro alle proprie esperienze più che di comunicati o uffici stampa tutti uguali, con i quali oltretutto, fuori dalle righe del blog, riusciamo anche a parlare di tanti altri argomenti che attraversano trasversalmente il mondo enogastronomico e che spesso possono risultare off topic da trattare in rete ma certamente utili come esperienza di vita. Altri sono cronisti del web, in cerca magari di cosa succede dalle nostre parti, qualche altri stimatissimi giornalisti che ringrazio per l’onorevole sostegno, tantissimi invece gli appassionati, a quanto pare gli utenti più attenti ed esigenti. A tutti quanti un grazie di cuore grosso così, veramente!

Detto questo, senza entrare troppo nel merito filosofico, e al netto di un linguaggio tanto sofisticato quanto fine e se stesso, a qualcuno sempre molto caro, è d’obbligo ribadire che questo è un semplice diario enogastronomico, cioè un contenitore di idee, progetti, esperienze, vissuti con passione ed emozione ed appartenenti a persone vere, in questo caso al sottoscritto e per quanto Letizia lo consenta, alla compagna di viaggio (e moglie) di sempre Lilly Avallone. Non si ambisce a fare giornalismo, non ci interessa, lo lasciamo fare ben volentieri ad altri certamente più capaci e soprattutto qualificati; non desideriamo nemmeno essere sul pezzo, come si suol dire, quasi per natura infatti alla sempre più frequente ostentazione della presenza opponiamo il sottile dispiacere di non poter esserci.

Una cosa però è certa, ci teniamo a dire la nostra, a raccontare le nostre esperienze, siano esse professionali che umane, a condividere quindi la nostra passione con chi il mondo del vino lo vive con amore e lo beve per piacere, anche per lavoro, ma giammai per mero interesse economico.

Angelo Di Costanzo & Lilly Avallone

Lo spot del mese, Novembre 2010

1 novembre 2010

Napoli, Città del Gusto: spunti e riflessioni a margine del Galà del vino Campano

1 novembre 2010

“Non è una fortuna da poco quella di potersi occupare professionalmente (o almeno provarci) della propria principale passione. Nel mio caso è un vero e proprio privilegio al quadrato, perchè mi viene data la possibilità di raccontare storie e bottiglie che nascono nella mia regione, quella Campania che vive nel presente un’avventura elettrizzante almeno quanto affascinanti sono le sue radici millenarie. Perchè al netto di ogni retorica e nella maniera più asciutta possibile, non c’è dubbio che la Terra Felix celebrata da Plinio e Tito Livio sia oggi uno dei laboratori a più alto indice di dinamismo e gradimento nel panorama vitienologico italiano”.

Così Paolo De Cristofaro, responsabile Campania del Gambero Rosso, ci ha presentato il Galà del vino campano andato in scena alla Città del Gusto di Napoli. Così ha introdotto la conferenza stampa, devo dire una delle poche alle quali abbia partecipato con grande piacere e con aspettative puntualmente tutte rispettate, davvero interessante e con spunti di confronto e riflessione da non perdere di vista. Tra i relatori, oltre a Luigi Salerno, direttore generale di GRH intervenuto per un saluto formale, non ha fatto mancare il suo apporto Daniele Cernilli, da sempre deus ex machina di tutto l’ambaradàn Gambero. Con loro, in rappresentanza delle varie anime consortili della regione Nicola Venditti, Michele Farro, Salvatore (Tani) Avallone nonchè Carlo Flamini direttore del Corriere Vinicolo, intervenuto anche per nome e per conto del presidente dell’Unione Italiana Vini Lucio Mastroberardino. Assenti, come quasi sempre avviene in momenti di confronto intelligente e costruttivo, pur essendo state invitate per tempo, le istituzioni, impegnate come conviene far sapere in questi casi, in impegni inderogabili.

Cernilli ci ha tenuto a sottolineare come ancora una volta il lavoro della guida del Gambero sia da prendere in seria considerazione come uno strumento di profonda analisi, in questo caso riferito specificatamente alla Campania, dei cambiamenti e della evoluzione in corso nel mondo del vino. “Qualcuno ci ha tenuto a evidenziare, non poco, come alla base di una guida ai vini rispettabile, oltre alla valutazione dei campioni, sia imprenscindibile visitare le cantine, conoscere i luoghi, le persone: bene, noi del Gambero lo facciamo da ben 24 edizioni, altri hanno appena iniziato a farlo”. Capito l’antifona? Ci consegna poi alcuni dati significativi, come già anticipato da De Cristofaro, di una Campania in gran fermento: sono circa 210 le aziende che hanno partecipato alle selezioni per la guida 2011, di cui solo 102 vi hanno avuto accesso, ben 1019 i vini degustati con 53 entrati a pieno diritto nelle finali da cui sono stati estrapolati i 19 premiati con il prezioso “tre bicchieri“.

Molto interessante, seppur a tratti poco chiaro, l’intervento di Carlo Flamini. Piuttosto lucida mi è apparsa la disamina sulla situazione critica delle istituzioni regionali, che continuano a latitare da impegni assunti nonostante l’urgenza di un intervento riorganizzativo in materia vino ormai imprenscindibile. Bene anche lo sprone indirizzato sprattutto ai consorzi di migliorare e crescere in bene visto che in altre regioni, non certo più vocate della Campania, alcune buone cose sono venute proprio dal comparto consortile (vedi Alto Adige, ndr); Meno efficace invece, secondo mio modesto parere, l’intervento in merito al confronto Campania-Veneto quale viatico di riflessione sulla qualità del brand, dove l’utile punto di vista sulla migliore capacità di concretizzare le risorse e le opportunità offerte dal mercato, certamente a vantaggio dei padani, non trova riscontro sul fatto storico e numerico, visto che da un lato c’è una regione, la nostra, che pur con tutti i limiti ha teso fortemente a specializzarsi sui vitigni autoctoni invece che dare campo libero ai vitigni internazionali, cosa questa assai in voga per le terre a nord del Po, soprattutto in quelle aree a vocazione zero, e ciò è servito non poco, a rimanere in prima linea per esempio sul mercato del vino all’estero, dove i vini veneti occupano 1/3 dell’export italiano (!). Inoltre, la stessa, ha numeri da paura in fatto di produzione, che la pongono costantemente ai primi posti in Italia per volumi, e con, tra i tanti, un vino come “il prosecco” a far da traino praticamente a tutto il comparto enoico regionale.

Molto utili alla dissertazione degli argomenti gli interventi di alcuni produttori profondamente impegnati, ognuno nella propria realtà, nella salvaguardia del buon nome della viticoltura campana. Nicola Venditti per esempio, ci ha tenuto col fiato sospeso per tutto il suo intervento, loquace ma quanto mai efficace, soprattutto nel chiarire alcuni luoghi comuni che vogliono il Sannio-Beneventano un luogo dimenticato da Dio. Produttore di larghe vedute e finissime intuizioni, Nicola era però in rappresentanza del Consorzio di Tutela Samnium, laddove si sta lavorando alacremente per ottenere l’abrogazione di ben quattro denominazioni a favore dell’istituzione di un’unica doc “Sannio” ricadente su tutto il territorio così favorendo invece la nascita di due sole docg di riferimento per  l’Aglianico del Taburno e la Falanghina del Sannio, per rendere più facile l’indentificazione territoriale da parte del consumatore e allo stesso tempo salvaguardare le peculiarità di questi due vitigni sì presenti in tutta la Campania ma qui nettamente distinguibili dalle altre espressioni regionali. La sferzata di Michele Farro, presidente del Consorzio di Tutela vini Campi Flegrei, ha in seno il sapore dolce di un’animo ancora in lotta e tutto l’amaro della constatazione, ben ha fatto a sottolinearlo, “che quando è indispensabile, come nel caso di una vetrina come questa messa a disposizione dal Gambero Rosso, che le istituzioni siano presenti per un confronto aperto e chiaro, si preferisce latitare, vanificando l’impegno di chi strenuamente cerca di trovare una via di uscita da una crisi senza fine”. A conferma che un territorio come quello flegreo, pur affermandosi sempre più da un punto di vista enologico per le grandi qualità dei suoi vini, soffre oltremodo di una insistente mancanza di istituzioni capaci di agire seriamente al fine di uno sviluppo integrato del settore agricolo in sintonia con un territorio dalle risorse archelogiche, turistiche, ambientali ineguagliabili eppure sistematicamente abbandonate a se stesse. Sulla stessa linea di principio si è mosso anche Tani Avallone, storico produttore di Falerno del Massico, che non lo manda certo a dire: “[…] e seppur in provincia di Caserta non esista crisi di mercato dell’uva, poichè chi produce è quasi sempre esso stesso vignaiolo, non ci si può esimere dal constatare l’assoluta inadeguatezza degli enti preposti, e dove  esistano progetti, come l’istituo regionale della vite e del vino, tutto viene lasciato giacere in un desolante silenzio di intenti e di vedute!” 

Ecco, mi piacerebbe che gli eventi legati al vino, di tanto in tanto, non sempre, riuscissero a mostrare del mondo del vino anche questo aspetto, di certo non secondario, in un ambiente troppo spesso raccontato e rappresentato come luogo ideale per lo struscio d’autore, la passerella edotta a cui tra l’altro molti non riescono proprio a negare la propria presenza. Bene, forse anche per questo mi è piaciuto – molto – incontrare in questa occasione tante persone non note, ma anche amici vecchi e nuovi che non vedevo, vista la mia poca frequentazione dei salotti, da molto, moltissimo tempo!

A Paolo De Cristofaro, e a tutta la sua ciurma, i miei più sentiti complimenti per un evento a dir poco centrato e non di meno, funzionale!

Etica ed estetica al tempo di fine stagione…

27 ottobre 2010

In principio fu leggere, poi studiare, lavorare; Fermarsi, quindi capire. Avere poi l’opportunità di maturare, grazie al proprio lavoro, esperienze umane e professionali atte a favorire una crescita è fortuna per pochi, e per ognuno di questi, un patrimonio personale da conservare gelosamente.

Sono questi giorni di improvvisa frescura, imperversano vento gelido e scrosci di fredda pioggia, le stanze rimbombano dell’assenza di vita, gli spazi si allargano, si allungano, i corridoi appaiono interminabili, il silenzio, rotto solo dalle grasse risate strappate da una battuta insolente, quasi fastidioso. Così volge al termine questa mia seconda stagione al ristorante L’Olivo del Capri Palace e tra qualche giorno, quando, con giusto distacco fisico e relax mentale potrò farlo, non mancherà un pensiero di fondo, a memoria di una delle più belle stagioni lavorative di sempre: grazie mille Oliver!

A caldo, mi sovviene di lasciare volentieri traccia di una breve, personale, osservazione su ciò che per molti è un dogma, per qualcuno un mero esercizio di stile, per altri più semplicemente la solita fuffa da salotto buono: l’etica e l’estetica in un albergo di lusso e/o ristorante gourmet.

L’architettura, le forme, possono suscitare un eccesso di aspettative, l’arte della raffigurazione della materia è palesemente di altissimo profilo, ed esprimere con essa la sostanza che ci si aspetta, attraverso linee esuberanti, lussuose, non è per tutti: il lavoro è tanto, l’impegno incalcolabile, il risultato già da qualche anno sotto gli occhi di tutti. Un luogo a dimensione umana, ideale per crescere e maturare.

Il dono artistico e la bontà sono due cose distinte? Chissà. Ad un ottimo pittore si possono commisionare tante opere, ma questi, se in gamba, dipingerà solo ciò che rappresenta la sua folgorazione. Alla stessa maniera costruire piatti per colpire l’immaginario può insinuare la mente del palato più fine, non le sue papille gustative. La rappresentazione delle proprie idee, della propria terra non può piegarsi alla sola esibizione estetica, gli ingredienti sono tutto, i colori, i profumi ed i sapori prima  di tutto: un falso – seppur d’autore – non ha implicazioni di valore morale da salvaguardare, uno chef si: in bocca al lupo ad Andrea Migliaccio, il nuovo* manico ai nostri fornelli!

“Se non c’è talento, non c’è arte, e se non c’è anima retta, l’arte è inferiore, per quanto abile”. (John Ruskin, 1819-1900). Con queste poche parole, apparirà banale, autoreferenziale, va raccontato uno spaccato di gioventù motivatissima che insegue il sogno di essere invece che apparire; Giovani senza confini, partiti a 15 o 16 anni per scappare da realtà poco attente alle loro esigenze per conoscere il mondo, con la curiosità di chi guarda al futuro ed ambisce ad essere, imparare, crescere. Arrivano da ogni dove, partono per ogni dove, poi ritornano. Fermarsi sarebbe come delegare ad un ammortizzatore dell’originalità il proprio valore, il maggiore distruttore del proprio talento. Più forte ragazzi, liberi di sognare il proprio futuro, costruito pezzo per pezzo con il gran lavoro!

*già delfino di Oliver Glowig da oltre un lustro.

La critica gastronomica oggi, Marco Bolasco (Slow Food Editore) ci racconta il suo punto di vista…

15 ottobre 2010

Ricordo come fosse ieri ognuno dei suoi “superpanini” firmati Gambero Rosso Channel, dell’omonimo editore, il racconto appassionato di tante birre, artigianali o meno, da ogni dove, sulla rivista più trendy degli anni novanta; Indimenticabili poi i suoi reportage delle passeggiate per i vicoli e le piazze d’Italia alla riscoperta della cucina di strada prima, del miglior caffè poi. Marco Bolasco ha saputo come pochi guadagnarsi spazio e dare l’esempio, ai giovani cronisti, di come il talento e la voglia di fare possano affermarsi nel variegato mondo della critica enogastronomica. Da poco più di anno, dopo i tanti trascorsi al Gambero, è approdato a Slow Food in qualità di direttore editoriale: appena uscita la guida ai vini Slow wine, si attende quella delle Osterie d’Italia. 

Chi è oggi il critico gastronomico? Una persona che ha vissuto esperienze importanti che l’hanno formato, uno che ha girato, scoperto, conosciuto, non per forza capito. Le conoscenze tecniche, l’arte di cucinare possono essere relative, non l’onestà con la quale lo si racconta.

Quali secondo te i principi da non mancare mai per operare al meglio nel settore? L’umiltà è il centro di tutto, senza umiltà chi scrive non ha ragioni da esprimere.

Quali sono i parametri fondamentali con i quali costruire una recensione gastronomica? Il rispetto per il lettore innanzitutto; Esistono tante qualità, tecniche, morali che fanno di una penna un mezzo di enorme efficacia, ma il tutto deve essere finalizzato al rispetto del lettore.

In questi giorni usciranno le nuove guide edite da Slow Food Editore, sarà vera rivoluzione? Su Osterie d’Italia c’era ben poco da fare, il format è ben consolidato, abbiamo però voluto integrarla con alcuni accorgimenti che la renderanno certamente più fruibile: la mappatura geografica per esempio e l’inserto dei 50 ristoranti “di territorio”. Sul vino, al di là delle incomprensioni legate soprattutto alla comunicazione – dove ognuno ha voluto leggere solo ciò che gli faceva comodo leggere – si può dire che abbiamo prodotto una guida sicuramente innovativa, incentrata, come non capitava da tempo, sulle aziende, il territorio che rappresentano più che sui singoli vini prodotti. 

Guide e Classifiche: Marchesi asserisce che ne farebbe davvero a meno, molti giovani invece sembrano lavorare duro per entrarvi al più presto. Chi ha ragione? Certamente il rispetto verso certi esponenti della nostra cucina imporrebbe maggiore attenzione nel giudicare alcune esperienze, ma chi fa ciritica gastronomica non può astenersi dal raccontare, ed ove previsto, esprimere un giudizio. In alcuni casi ci si potrebbe anche astenere dall’esprimere un giudizio, ma si tratterebbe di una cortesia, nulla di più.

E’ risaputo della tua profonda ammirazione per la Spagna e per Barcellona in particolare, come spiegheresti una tale rivincita di una cucina, quella spagnola, definita da sempre “minore” rispetto a quella francese e italiana? Non ho mai voluto imporre un modello piuttosto che un altro, era invece opportuno invitare a guardare con maggiore attenzione ad una realtà, quella spagnola, in forte ascesa; Il duopolio Italia-Francia, per quanto solido, ha mostrato tanti punti deboli e tutti a vantaggio della dinamicità del fenomeno Spagna. Se un tempo poteva ritenersi una tendenza, oggi è una realtà incontrovertibile. 

Una domanda che forse senti girare spesso visto che oggi anche tu curi un blog-diario: si dice che sia “guerra” aperta tra il cartaceo ed il web, chi vincerà? Il mezzo ha una importanza relativa, i contenuti invece sono fondamentali. Nell’uno e nell’altro caso esistono riferimenti utili e validi.

Qual è l’ingrediente che non dovrebbe mai mancare in un piatto, e quello invece di cui si potrebbe fare volentieri a meno? La pulizia, la capacità di lasciarne apprezzare l’integrità. Non amo invece le salse.

Se c’è, qual è il piatto che più ti ha entusiasmato sino ad oggi? Beh, la Ribollita della mia vicina di casa, insuperabile!

Il pranzo (o la cena) indimenticabile? Alla Certosa di Maggiano, indimenticabile!

Già da tempo anche i grandi ristoranti ”gourmet” offrono menu in versione “light” da un punto di vista economico, ha senso o è solo una trovata pubblicitaria? Il fatto stesso di essere proposti è un buona trovata pubblicitaria. L’importante è che siano in tutto e per tutto espressione della propria cucina: proporre un menu con uno o due piatti di alta gastronomia a prezzi contenuti può solo giovare a chi si avvicina a certe realtà per la prima volta. Altrimenti, sarebbe decisamente inspiegabile.

La cucina di strada, ingredienti poveri, di cui spesso ti sei occupato in passato: è possibile replicarli efficacemente nei ristoranti cosiddetti gourmet? Non credo o almeno non in quei luoghi che non ne hanno piena percezione della tradizione storica. 

C’è un ristorante che secondo te vale la pena visitare almeno una volta nella vita? La Certosa di Maggiano, da Paolo Lopriore.

Se c’è invece, mi dai il nome di uno chef (se possibile italiano) che consiglieresti vivamente ai giovani di guardare con maggiore riferimento? Nessun dubbio, Gennaro Esposito!

 

Qui le interessanti risposte di Clara Barra, curatrice con Giancarlo Perrotta della guida ai ristoranti d’Italia del Gambero Rosso.

Qui invece la bella intervista rilasciataci da Francesco Aiello.

Qui l’intervento di Luciano Pignataro, winewriter della prima ora e da oltre dieci anni collaboratore della guida ai ristoranti d’Italia de L’Espresso.

Chiacchiere distintive, la critica gastronomica con vista a sud: la parola a Luciano Pignataro

9 ottobre 2010

Luciano Pignataro, una bella laurea in Filosofia e giornalista professionista a  Il Mattino di Napoli dove da anni cura – tra le altre cose – una rubrica sul vino che ha fatto storia, sin dal 1994, sin dal grande rilancio della viticoltura campana e meridionale. E’ autore di numerose pubblicazioni di successo sul vino e sulla gastronomia tradizionale, con un occhio sempre rivolto soprattutto al Sud Italia; Il suo Wineblog è tra i più seguiti in Italia in materia, con numeri a dir poco impressionanti; Da oltre dieci anni collabora alla “guida ai ristoranti d’Italia de L’Espresso“. Per me, come per molti, Luciano ha, tra le tante, una grandissima qualità comune a pochi nel mondo della critica enogastronomica: quella di unire, saper mettere assieme, aggregare, alla costante ricerca di un confronto diretto, franco ma soprattutto leale. Non poteva mancare quindi un suo intervento in merito…

Chi è per Luciano Pignataro il critico gastronomico oggi? Il critico gastronomico è una persona molto difficile da formare perché serve tempo per affinare il palato, disponibilità per girare nei ristoranti, grande cultura umanistica generale, conoscenza dei prodotti e delle tecniche, capacità di usare la tecnologia web. Deve essere legato alle sue radici ma al tempo stesso non scadere nel campanilismo sterile, lavorare per il cliente e non per il ristoratore, avere rapporti cordiali e rispettare sempre chi lavora in questo settore. Credo che  in Italia ci siano pochissimi professionisti completi (Vizzari, Marchi, Fiammetta Fadda, Marco Bolasco, Cremona, Raspelli, Clara Barra, Bonilli, Davide Paolini, Carlo Cambi). Io stesso non mi sento e non sono un critico gastronomico perché mi mancano ancora i fondamentali all’estero e qualcuno al Nord, preferisco definirmi un giornalista specializzato di settore. Punto a diventare critico gastronomico puro, ma mi servono ancora una decina di anni di esperienza.

Quali sono i principi da non mancare mai, come operare al meglio? Il principi sono gli stessi dei degustatori di vino e, più in generale del giornalismo. Essere fedeli solo al proprio lettore e non tradire la fiducia dell’editore. Sul piano psicologico è buona regola non innamorarsi e non antipatizzare con nessuno, cercare di farsi capire quando si scrive e si parla e soprattutto, nel dare un punteggio, mai forzare in un senso o nell’altro, ma essere equilibrati. Se l’entusiasmo o la delusione staccano troppo dai giudizi di altri colleghi, chiedere ad altri di rifare il passaggio e fare la verifica. 

Una recensione, come nasce? Quali sono i paramentri fondamentali su cui si costruisce una sana critica gastronomica? Quando il critico fa una ispezione non deve mai annunciarsi in precedenza, deve pagare il conto e accettare al massimo un’attenzione non condizionante se riconosciuto. Evitare di giudicare lo stesso locale per due o tre edizioni consecutive, assolutamente non scrivere e premiare se ci sono rapporti che vanno al di là della semplice conoscenza. Questo vale anche per il vino. Intendo rapporti di parentela, di cumparaggio o anche semplicemente di amicizia intensa.

E’ capitato, non di rado, di sentire che alcuni critici gastronomici non sappiano nemmeno cucinare un uovo al tegamino: ecco, può essere questo deleterio ai fini di una critica affidabile? Saper cucinare aiuta sicuramente a capire meglio un piatto, come anche fare esperienza lavorativa dentro una cucina professionale, ma non è una conditio sine qua non per un critico. L’esperienza palatale è quella davvero decisiva. E’ personale e non si può ereditare.

Guide e Classifiche: Marchesi da tempo ne farebbe davvero a meno, molti dei giovani invece sembrano scalpitare non poco per entrarvi al più presto. Chi ha ragione? Le Guide servono ai ristoratori per farsi conoscere, ma la gestione del quotidiano in un ristorante non è risolta da un punteggio. Era vero ieri e lo sarà sempre di più: conta il lavoro e la professionalità. Per questo all’inizio bisogna sempre essere prudenti su una novità, bisogna aspettare almeno due o tre anni per vedere cosa succede prima di iniziare a consacrare una cucina. La polemica di Marchesi è solo un malinconico episodio crepuscolare di un grande. Purtroppo non l’unico.

Le Guide servono però soprattutto ai lettori che le comprano, non dimentichiamolo mai. Sono loro i veri giudici del nostro lavoro.

Una domanda che ti viene fatta sempre più spesso, e che ti vede protagonista in prima persona: la “guerra” tra il cartaceo ed il web, chi vincerà? Purtroppo ho una età che mi consente di dire di aver già partecipato al dibattito su chi vincerà tra tv e cartaceo. Ora c’è questa nuova competizione. Nessuno si pone il problema su chi vincerà tra web e tv! Sono mezzi espressivi diversi, ma si integrano alla perfezione se ben gestiti. Oggi il cartaceo conta ancora molto, resta la consacrazione, ma il web aiuta a monitare la realtà.

In ogni caso conta la qualità di chi scrive o parla, su questo non ci sono dubbi. Sono i contenuti che fanno la differenza.

Qual è l’elemento che non dovrebbe mai mancare in un piatto? L’acidità. E’ l’elemento che lo rende comprensibile anche fuori dal territorio di origine. Non a caso le cucine che opprimono l’acidità sono quelle dei fast food e degli autogrill. Un grande piatto senza acidità non può essere ricordato. La salivazione in bocca è la condizione per mangiare bene. Dall’antipasto al dolce.

Quello invece di cui si potrebbe fare volentieri a meno? Dipende dai periodi storici. Io sono oppresso in questi anni da ricotte e burrate mischiate con il pesce fresco: il piatto diventa sempre un troiaio insopportabile.

Qual è il piatto che più ti ha entusiasmato sino ad oggi? L’arancino di riso e verza, pomodori secchi e acciughe di Marianna Vitale. Da mangiare a carriola. Io che ho sempre detestato riso e verza :-).

Il pranzo (o la cena) indimenticabile? Nel  2010 quello al Mosaico da Nino Di Costanzo.

Già da tempo anche i grandi ristoranti ”gourmet” offrono menu in versione “light” da un punto di vista economico, ha senso o è solo una trovata pubblicitaria? E’ il futuro. L’idea di entrare in un posto e magiare solo due cose è ancora poco italiana, ma credo sia una delle poche abitudini sane che possiamo importare dagli anglosassoni. Io più di tre, quattro piatti non riesco a metabolizzare mentalmente. Un po come i vini: più di dieci/dodici diventano ingestibili per l’emozione.

C’è un ristorante che secondo te vale la pena visitare almeno una volta nella vita? Quello che ancora non si è visitato.

Se c’è invece, mi dai il nome di uno chef (se possibile italiano) che consiglieresti vivamente ai giovani di guardare con maggiore riferimento? Due: Massimo Bottura e Gennaro Esposito.

La cosa che mi piace di più di quello che sta venendo fuori da queste interviste è proprio la pluralità di vedute, in alcuni casi contrastante, espressa dai vari intervistati: quantomeno possiamo esser certi di una critica più che viva e protesa al futuro. Grazie mille! (A.D.)

Qui le interessanti risposte di Clara Barra, curatrice con Giancarlo Perrotta della guida ai ristoranti d’Italia del Gambero Rosso.

Qui invece la bella intervista rilasciataci da Francesco Aiello.

Qui l’intervento di Marco Bolasco, curatore delle guide Slow Food Editore.

Chiacchiere distintive, la critica gastronomica secondo chi la fa: la parola a Francesco Aiello

8 ottobre 2010

Francesco Aiello è un vero e proprio “globe trotter”, tra l’altro uno di quelli che rispecchiano appieno, mio modestissimo parere, la linea del basso profilo ed altissime prestazioni. Lo conosco più o meno da un decennio, la mia stima per lui, come il girovita (il mio), in questi anni non ha fatto altro che lievitare; Quasi quarant’anni, studi classici alle spalle+una laurea in Economia Master all’università Bocconi di Milano in Organizzazione e gestione aziendale, si occupa e scrive di economia e turismo e, da più di dieci anni, si occupa – guarda un po! – di enogastronomia. Non lascia trapelare altro, ci tiene a che si dica solo che collabora con una guida ai ristoranti nazionale, in più scrive di cibo, prodotti tipici ed ospitalità per alcuni magazine italiani ed importanti pubblicazioni specializzate inglesi ed americane. Anche a lui abbiamo rivolto qualche domandina…

Allora Francesco, chi è il critico gastronomico oggi? In senso stretto dovrebbe essere (mai come in questo caso il condizionale è d’obbligo)  un professionista della comunicazione con una solida preparazione teorica su tutto quello che ruota intorno al mondo del cibo, dalle materie prime alle tecniche. Assolutamente indispensabile una significativa esperienza, da costruire con frequentazioni dirette nel corso del tempo, di ristoranti e cucine, possibilmente del mondo. Una infarinatura della storia delle tradizioni gastronomiche più significative non dovrebbe fare troppo male.

Come ci si comporta, quali sono i principi da non mancare mai? Gli stessi che sono alla base della professione giornalistica con un supplemento di curiosità e di accuratezza, in considerazione del fatto che si scrive di qualcosa, il cibo appunto,  di cui tutti in un modo o nell’altro hanno esperienza diretta.

Come nasce una recensione, quali sono i parametri fondamentali su cui si costruisce una sana critica gastronomica? Inutile nascondere che il rischio più pericoloso è quello della eccessiva soggettività. La percezione di un ristorante o di un piatto è inevitabilmente influenzata dal bagaglio di esperienze di ciascuno di noi e talvolta anche dalle preferenze. Ma qui entra il gioco la professionalità che consente di esprimere un giudizio, o anche solo di raccontare una cena, con un accettabile grado di obiettività, a prescindere dai gusti personali o dagli eventuali rapporti di consuetudine con cuochi e ristoratori. L’invito a tenere distinti ciò che è buono (concetto molto meno soggettivo di quanto solitamente si pensi) da quello che piace, può apparire talmente  banale da essere  superfluo. A tal proposito il confronto con i colleghi più esperti è essenziale.     

E’ capitato, non di rado, di sentire che alcuni critici gastronomici non sappiano nemmeno cucinare un uovo al tegamino: ecco, può essere questo deleterio ai fini di una critica affidabile? Per recensire una mostra di Hopper bisogna saper dipingere come il pittore statunitense? Ovviamente no, ma riuscire a tenere il pennello in mano ed avere qualche dimestichezza con il realismo applicato alla tavolozza dovrebbe aiutare. Lo stesso per coloro che si occupano di critica gastronomica, ai quali conoscenze dirette del mestiere di cuoco dovrebbero servire a comprendere meglio il lavoro altrui, piuttosto che a dare consigli su improbabili varianti ai piatti altrui, come pure talvolta si sente in giro. Personalmente esaspererei anche il concetto chiedendo a chi ne ha la voglia e la possibilità di passare una settimana all’anno nella cucina (o anche in sala) di un buon ristorante decentemente organizzato.

Guide e Classifiche: alcuni grandi chef, Marchesi in testa, vanno maturando l’idea che ne farebbero davvero a meno, molti dei giovani invece sembrano scalpitare non poco per entrarvi al più presto, chi ha ragione? Su questo punto bisogna chiarirsi:  le guide e le  classifiche o si accettano sempre o mai, a prescindere da come sei valutato. Detto questo,  sono dell’idea che ci sono alcuni cuochi, e Marchesi è certo tra questi, che hanno fatto la storia della gastronomia, almeno italiana, e che potrebbero essere sottratti al vincolo della valutazione: cappello, forchetta o stella che sia. Si tratterebbe di un omaggio non tanto ai protagonisti, quanto alla chiarezza espositiva e di interpretazione della gastronomia contemporanea. Giusto per ristabilire la debite proporzioni tra attori e comparse, sennò  finisce che di notte  tutti i gatti sono neri ….

Quanto ai giovani, dato per scontato il non trascurabile contributo alla notorietà che le guide danno soprattutto nella fase iniziale, sarebbe il caso che si concentrassero su coloro che si siedono ai loro tavoli tutte le sere.        

Lo so, non è originalissima come domanda, ma ci sta bene: la “guerra” tra il cartaceo ed il web, chi vincerà? Al momento non saprei, anche se per esperienza credo che a fare la differenza non sia lo strumento ma le finalità. A tal proposito se il web utilizza il sistema di controlli e di filtri, formali e sostanziali, propri dei media tradizionali, alla fine potrà anche prevalere, visto che dalla  sua ha velocità e la capacità di raggiungere i destinatari a costi bassi.  Tuttavia  credo che  molte delle polemiche attuali nascono da un equivoco di fondo: quello di confondere la critica gastronomica con il  racconto illustrato di un ristorante.  Ad oggi sul web vedo prevalere questa seconda categoria.

Quale secondo te l’ingrediente che non dovrebbe mai mancare in un piatto? In generale l’equilibrio tra le diverse componenti. Per me, invece, il tartufo bianco.

Uno invece del quale si potrebbe fare volentieri a meno? La presunzione, di chi cucina e di chi critica. Se poi sparisse anche  il filo d’olio a crudo, dubito che qualcuno ne sentirebbe la mancanza.

C’è un piatto che più ti ha entusiasmato? Impossibile rispondere per chi ogni anno fortunatamente assaggia qualche centinaio di grandi piatti

L’esperienza indimenticabile? Sicuramente la prossima ….

Alcuni grandi ristoranti ”gourmet” hanno pensato a menu in versione “light” per contenere i prezzi, ha senso o è solo una trovata pubblicitaria? Un conto sono i ristoranti che, sulla scorta di quanto avviene da tempo  in Francia, a pranzo propongono un menù del mercato o con piatti più semplici ad un costo accessibile. Ha un senso ed una convenienza sotto il profilo economico,  sia per il cliente sia per il ristoratore. Discorso diverso è per chi pretende di fare grande ristorazione low cost. Non ho mai subito il fascino del “pauperismo gastronomico” e mi riesce difficile immaginare grandi menù costruiti a colpi di variazioni di alici, frattaglie o verdure, magari con lo stesso ingrediente, rigorosamente ”povero”, che si ripete dall’antipasto al dolce. Alla lunga l’esperienza insegna che, tranne poche eccezioni, non funziona. 

Un ristorante  da visitare almeno una volta nella vita? Il Louis XV di Alain Ducasse a Montecarlo.

Quale il talento affermato (se possibile italiano) a cui i giovani potrebbero guardare con maggiore riferimento? Molti di quelli che oggi hanno più di sessant’anni e che negli ultimi tre decenni hanno costruito le basi della moderna cucina italiana.

Qui l’intervista a Clara Barra, curatrice con Giancarlo Perrotta della guida ai ristoranti d’Italia del Gambero Rosso.

Qui l’intervento di Luciano Pignataro, winewriter della prima ora e da oltre dieci anni collaboratore della guida ai ristoranti d’Italia de L’Espresso.

Qui l’intervento di Marco Bolasco, curatore delle guide Slow Food Editore.

Chiacchiere distintive, la critica gastronomica secondo chi la fa: Clara Barra, Gambero Rosso

7 ottobre 2010

E’ tempo di guide, ai vini d’Italia, ai ristoranti d’Italia e bla bla bla. La critica alla critica enogastronomica, come accade per il calcio, fa proseliti e nutre al tempo stesso detrattori a centinaia di migliaia – ma che dico! – a milionate, che però di volta in volta non disdegnano di vestire i panni di osservatori noncuranti, poi analisti, poi ancora lettori più o meno attenti, eppure compratori quasi certi: appassionati, fighetti gourmandise, operatori del settore, fedelissimi all’idea che la critica enogastronomica sia uno sport inutile che costa – a volte – troppo, eppure leggere il proprio nome sulle pagine delle guide in uscita ogni anno continua a non avere prezzo, anzitutto in termini di soddisfazione professionale! Insomma, c’è chi va asserendo che le guide ci hanno proprio rotto e chi al tempo stesso urla “ma che ipocriti che siamo, ma se ogni anno non vediamo l’ora che escono..!”.

Detto questo,  in previsione delle imminenti uscite delle guide gastronomiche abbiamo cercato tra queste l’opinione di alcune tra le firme più apprezzate, fatto quindi alcune domande a chi le guide le fa veramente e a chi della critica gastronomica (in alcuni casi non solo) ne ha fatto il suo lavoro, in maniera brillante, obiettiva, professionale. Iniziamo questa nuova serie di “Chiacchiere distintive” con Clara Barra che ringrazio sentitamente per la disponibilità mostrata e per la sincerità con la quale ci ha risposto; Giornalista professionista, è al Gambero Rosso dai primi anni novanta, con Giancarlo Perrotta cura la Guida ai Ristoranti d’Italia (Qui le eccellenze dell’edizione 2011).

Chi è il critico gastronomico oggi? Il critico gastronomico dovrebbe essere sempre (quindi non solo oggi) una persona che cerca di orientare il cliente nella scelta di un ristorante o di un prodotto.

Come si muove e quali sono i principi da non mancare mai? Massimo rispetto per il lavoro degli altri e massima buona educazione (leggi niente foto per esempio) quando si visitano i locali.

Come nasce una recensione, quali sono i paramentri fondamentali su cui si costruisce una sana critica gastronomica? Il Gambero Rosso come è noto è l’unica guida che esprime un giudizio articolato in più voci (cucina, cantina, servizio), cosa di grande utilità a mio avviso perché così ogni lettore individua facilmente il locale adatto per la propria esigenza, ragion per cui sarebbe un errore leggere solamente il punteggio unitario.

E’ capitato, non di rado, di sentire che alcuni critici gastronomici non sappiano nemmeno cucinare un uovo al tegamino: ecco, può essere questo deleterio ai fini di una critica affidabile? Direi di no, un palato fino non necessariamente deve saper cucinare.

Guide e Classifiche: alcuni grandi chef, Marchesi in testa, vanno maturando l’idea che ne farebbero davvero a meno, molti dei giovani invece sembrano scalpitare non poco per entarvi al più presto, chi ha ragione? Le guide dovrebbero essere prese per ciò che sono, un utile strumento di servizio per un’ampia fascia di pubblico, e quindi non vissute come un prodotto editoriale destinato a pochi eletti gourmet che sono comunque una minoranza rispetto a chi fruisce del ristorante abitualmente. Inoltre vale la pena ricordare che la guida è “ristoranti d’Italia” non “cuochi d’Italia”, bisogna stare quindi molto attenti a non esagerare nel rendere i cuochi delle star.

Lo so, non è originalissima come domanda, ma ci sta bene: la “guerra” tra il cartaceo ed il web, chi vincerà? C’è spazio per tutti e ciascuno dei due ha i propri estimatori, personalmente ritengo i blog autoreferenziali e abbastanza deleteri per la ristorazione.

Qual è l’ingrediente che secondo te non dovrebbe mai mancare in un piatto? L’equilibrio.

Quello invece di cui si potrebbe fare volentieri a meno… Oggi come oggi l’uovo di Paolo Parisi cotto a bassa temperatura, non se ne può più! Senza per questo nulla togliere ovviamente alla bontà delle uova di Paolo che stimo moltissimo.

Qual è il piatto che più ti ha entusiasmato sino ad oggi? Ce ne sono molti, troppi, e anche “datati”, ma cito in ordine sparso: Ravioli di grano saraceno con astice tartufo e fegato grasso di Vissani, la maionese espressa di Lorenzo a Forte dei Marmi, l’insalata “21 31 41” di Enrico Crippa, la terrina di anguilla e foie gras di Fabrizia Meroi, un’inarrivabile scaloppa di fegato grasso all’uva di Paracucchi, il soufflé al limone de La Caravella di Amalfi, i risotti de Il Gambero di Calvisano, sicuramente ne dimentico qualcuno e chiedo scusa.

Il pranzo (o la cena) indimenticabile? Forse all’Ambasciata di Quistello, uno spettacolo per tutti i sensi.

Già da tempo anche i grandi ristoranti ”gourmet” offrono menu in versione “light” da un punto di vista economico, ha senso o è solo una trovata pubblicitaria? Ha invece molto senso, specie per consentire ai giovani di poter andare nei grandi ristoranti.

C’è un ristorante che consiglierebbe di visitare almeno una volta nella vita? Dire uno solo mi mette in imbarazzo, spero mi comprenderete… 🙂

Se c’è invece, uno chef (se possibile italiano) a cui i giovani potrebbero guardare con maggiore riferimento… Salvatore Tassa de Le Colline Ciociare di Acuto, a mio avviso spesso sottostimato perché unisce genio a determinazione, volontà, umiltà e tanto tanto coraggio.

Qui l’intervista a Francesco Aiello.

Qui l’intervento di Luciano Pignataro, winewriter della prima ora e da oltre dieci anni collaboratore della guida ai ristoranti d’Italia de L’Espresso.

Qui l’intervento di Marco Bolasco, curatore delle guide Slow Food Editore.

Ancora sulla vendemmia 2010, note sparse…

21 settembre 2010

Concludiamo con questo post (forse), il viaggio nelle cinque province campane alla ricerca della vendemmia 2010 perfetta! Abbiamo dato, durante tutta una settimana, la parola a chi il vino lo fa, agli enologi, a coloro cioè che vivono costantemente, durante tutto il ciclo biologico annuale della vite, le ragioni dell’essere di una vigna, dal ciclo vegetativo a quello riproduttivo, e di una azienda, dalla raccolta dell’uva dalla pianta a quello che sarà, con ogni probabilità, vino autentico e piena soddisfazione dei nostri lieti calici. Noi de L’Arcante, ce l’abbiamo messa tutta, di certo non si potrà dire che non ve l’avevamo detto raccontato: Benvenuta (generosa) vendemmia 2010!

Francesco Martusciello Jr, enologo a Grotta del Sole e Foglie di Amaltea, il nuovo gioiello di famiglia in terra flegrea, ci da una seconda chiave di lettura sui Campi Flegrei. La vendemmia in Campania è piuttosto in ritardo, per cui anche dalle nostre parti soffriamo di questa problematica legata al fatto che la stagione invernale si è protratta sino alla prima settimana dello scorso giugno, con un’altalena meteorologica che ha rallentato moltissimo la maturazione. Le uve per contro si presentano tutte sanissime, abbiamo in effetti registrato solo pochi problemi fitosanitari; Le rese  per ettaro relative alla falanghina sono più alte rispetto allo scorso anno di circa un 7-8 %, ma comunque nella media dell’ultimo triennio. Per quanto concerne il piedirosso, le rese sono certamente più basse rispetto alla media degli ultimi due anni poichè le piante nella fase di pre-allegagione sono state esposte ad un periodo di forti piogge e vento, durato un paio di settimane, che ha influenzato sensibilmente la fioritura; Per cui ha allegato meno, in particolare nelle aree più alte (c.a. 230-250 mt slm), e comunque, per il momento le uve presentano buone acidità e una discreta concentrazione con un rapporto polpa/buccia decisamente a favore della buccia: se le prossime settimane saranno, come mi auguro, ricche di sole si può prevedere una qualità dei nostri mosti ottima-eccellente. In più c’è da considerare un aumento in ricchezza aromatica, considerando le buone escursioni termiche che si stanno registrando, spesso superiore agli 8-9°c.   

Così Antonio Pesce, enologo consulente per diverse aziende campane tra le quali Casa Setaro sul Vesuvio, Quarium in Irpinia e Contrada Salandra nei Campi Flegrei.  Bene, in generale la vendemmia, come già ampiamente trattato sarà certamente posticipata, la situazione è più o meno come qualche anno fa, quando si vendemmiava a fine settembre, o meglio ancora ad ottobre inoltrato. Tutto ciò è dovuto al freddo, alle forti piogge e al ritardo della ripresa vegetativa della pianta; Le vigne nelle quali si è lavorato bene, sia dal punto di vista sanitario che produttivo, sicuramente risponderanno alla grande; Le uve che ho analizzato fino a stamattina (20 settembre, ndr) rispondono alla perfezione per il rapporto fra zuccheri, pH ed acidità. In conclusione credo che i vini bianchi beneficeranno di una particolare ricchezza aromatica, i rossi inevitabilmente con una struttura importante. Molto probabilmente le “mie” vendemmie cominceranno nei Campi Flegrei il 27 settembre, prima con la falanghina e poi, qualche settimana dopo, con il piedirosso; Sul Vesuvio, dove tutto procede nel migliore dei modi, credo di arrivare sino alla prima settimana di ottobre, in Irpinia se ne parla sicuramente dopo il 10 ottobre, dapprima con il Greco, poi il Fiano e solo dopo il 4-5 di novembre con l’aglianico di Taurasi.

A Vincenzo Mercurio, tra i più attivi winemaker campani e grande interprete della vitienologia regionale, abbiamo chiesto invece di relazionarci – visto il suo gran da fare in Campania sulla tipologia – su uno dei trend in maggiore crescita negli ultimi anni: lo spumante da vitigno autoctono.

Si parte con il Giacarando, lo spumante rosè da uve aglianico di Cantine San Paolo di Atripalda: abbiamo vendemmiato il 20 settembre, uve sanissime, dalle prime rilevazioni abbiamo una gradazione alcolica più bassa rispetto allo scorso anno, siamo sugli 8 gradi. La falanghina dei Campi Flegrei per il Malazè, lo spumante di Cantine Babbo di Pozzuoli, l’abbiamo vendemmiata, vincendo la superstizione, lo scorso venerdì 17 settembre: abbiamo in cantina un’ottima materia prima, con un’acidità record pari a 8, 5 di pH. Il colore dei mosti è particolarmente brillante e fa presagire, tra l’altro, ad una buona longevità. A Torrecuso invece, nelle vigne di Paolo Cotroneo a Fattoria  la Rivolta, il Greco sarà raccolto tra qualche giorno, contiamo di iniziare il 27 settembre, l’acidità è più elevata dello scorso anno, le uve sono anche qui sanissime e ci aspettiamo, grazie alle forti escursioni termiche degli ultimi giorni, una maggiore concentrazione di note aromatiche rispetto all’anno scorso.

In Irpinia, da I Favati, il Cabrì spumante da uve fiano di avellino si vendemmia questo fine settimana. Le uve sono molto ricche e proprio per questo abbiammo deciso di dare vita anche ad un secondo vino spumante, questa volta un extra dry “etichetta bianca” con uno stile decisamente diverso dal primo. In ultima analisi, oltre che affermare con certezza che siamo di fronte ad un’ottima annata per gli spumanti, rimaniamo un po preoccupati per i rossi: abbiamo ancora una buccia sottile, con i rischi annessi e siamo forse troppo in ritardo in quanto a maturazione, perciò decisamente attaccati alla speranza a che le condizioni climatiche delle prossime settimane riescano a fare la differenza. Per i vini bianchi invece è decisamente una bella annata, ho avuto modo di registrare dati analitici di acidità record e spiccate mineralità, il che ci fa ben sperare anche in virtù di un mercato bianchista che si sta dimostrando sempre più avvezzo a tendenze stravaganti e più vicino ad interpretazioni autentiche, territoriali, che fanno finalmente preferire vini freschi e minerali a vini surmaturi e burrosi!

Qui le impressioni dei vignerons Antonio Papa e Tony Rossetti che ci presentano il millesimo nella terra dell’Ager Falernus.

Qui il polso della provincia di Caserta, Gennaro Reale su le Terre del Volturno e Roccamonfina.

Qui la vendemmia 2010 nei Campi Flegrei illustrata da Gerardo Vernazzaro.

Qui la vendemmia 2010 in Cilento, Irpinia e provincia di Benevento analizzata da Fortunato Sebastiano e Massimo Di Renzo.

La vendemmia 2010 nell’Ager Falernus, di Primitivo e Aglianico fratelli gemelli diversi…

20 settembre 2010

Domani martedì 21 settembre concluderemo il nostro piccolo viaggio previsionale sulla prossima vendemmia 2010 giunta ormai alle porte, in Campania così come altrove, anche se a dirla tutta in alcune vigne – in partricolar modo sulle isole e aree costiere – e per alcune varietà c’è già stato un fortunatissimo prologo; Concluderemo questo excursus con un po di note sparse che in effetti non fanno altro che confermare l’impressione che questa 2010, pur nella sua complessità si possa rivelare proprio un’ottima annata: vedremo quale vino, o meglio, quale vigneron ne saprà fare tesoro. Queste che seguono sono le impressioni che abbiamo raccolto in terra di Falerno… 

Antonio Papa da Falciano del Massico, zona di produzione Falerno con base Primitivo, provincia di Caserta. Le uve, qui a Falciano, sono decisamente condizionate da un clima variabile ed abbastanza instabile, tarderanno pertanto la maturazione di almeno 10 giorni rispetto alla scorsa vendemmia. In particolare, la pioggia nell’ultima parte della primavera, ed il fresco atipico dei mesi estivi, con importanti escursioni termiche specie nella prima parte dell’estate, hanno inciso non poco. Se dovessi paragonare questa  vendemmia a quella dello scorso anno, sicuramente sottolineerei che il lavoro in vigna di questa stagione è stato più impegnativo, per vari motivi, a cominciare da una più importante selezione dei grappoli  specie nel vigneto situato a circa 120 m slm; Salendo in collina invece, cambiando il terreno, cambiando esposizione, a circa 260m slm, le uve sono davvero eccellenti e mi fanno sperare in un prodotto finale di grande potenziale. Ci tengo a precisare però che personalmente non ritengo opportuno parlare già di come sarà il vino, di questo ne parleremo fra 2/4 anni, quando le prime bottiglie 2010 saranno pronte per l’assaggio, ci tengo invece ad evidenziare un dato: io credo che se un’azienda lavora bene, lo si vede proprio attraverso queste annate, le quali proprio come le persone con un carattere difficile hanno bisogno di maggiore comprensione e pazienza per essere valorizzate appieno.

Tony Rossetti, deus es machina di Bianchini Rossetti a Casale di Carinola, in provincia di Caserta. Nella zona del Falerno del Massico che ci riguarda, in special modo sulle colline del Carinolese e del Sessano, dopo una estate piuttosto torrida le piogge di settembre hanno un po mitigato l’aria ed il repentino abbassamento delle temperature registrato già dai primi giorni di questo mese ci fanno ben sperare in una lenta ma progressiva maturazione delle uve sulle piante e quindi un giusto equilibrio fenolico. I frutti sono sani e sulle nostre colline la ventilazione ad ampio respiro ci aiuta non poco ad areare i grappoli di aglianico evitando innanzitutto eventuali problemi di muffe. Dalle prime analisi effettuate nei giorni scrosi e le curve di maturazione evidenziate ci stiamo organizzando per una vendemmia ottobrina, incrociamo le dita.

Qui il polso della provincia di Caserta, Gennaro Reale su le Terre del Volturno e Roccamonfina.

Qui la vendemmia 2010 nei Campi Flegrei illustrata da Gerardo Vernazzaro.

Qui la vendemmia 2010 in Cilento, Irpinia e provincia di Benevento analizzata da Fortunato Sebastiano e Massimo Di Renzo.

Vendemmia 2010, le previsioni in provincia di Caserta nelle Terre del Volturno e Roccamonfina

16 settembre 2010

di Gennaro Reale, enologo di Fattoria Selvanova a Castel Campagnano, Masseria Starnali a Roccamonfina nonchè collaboratore in Vigna Viva.

L’annata 2010 si è manifestata un poco strana all’inizio ma poi pian piano sta venendo fuori molto bene. La maturazione delle uve si è lentamente evidenziata in maniera molto eterogenea, l’aglianico in particolare è emblematico per come si differenzia da areale in areale, si pensi per esempio che in Cilento credo che non si arriverà nemmeno alla fine del mese (settembre, ndr) mentre in Irpinia come è già noto si arriverà, in alcuni casi, sino a novembre inoltrato. Detto ciò, mi sento di affermare con certezza che per i bianchi sarà una gran bella annata, in alcune zone l’andamento fresco ha permesso una maturazione lenta ma particolarmente regolare, ed i ritardi, ove registrati, hanno permesso o stanno permettendo alle uve di giovarsi di importanti escursioni termiche tra giorno e notte che insistono tra l’altro già da qualche settimana.

Le Colline Caiatine e le Terre del Volturno, provincia di Caserta. I terreni qui sono ricchi di argilla con una buona dotazione calcarea ed organica (usiamo nutrire i suoli esclusivamente con gli scarti delle potature ed il letame bovino, il cosiddetto compost). Sono terreni molto resistenti alla siccità, ma nelle ultime tre annate – soprattutto ’07 e ’08 – abbiamo avuto notevole stress idrico che ha fatto andare in disidratazione soprattutto le piante più giovani mentre quest’anno l’andamento stagionale più fresco e piovoso ha permesso ai terreni di fare scorta d’acqua in abbondanza e quindi di essere rigogliosi ed equilibrati anche nel periodo più caldo agostano. Confido quindi in un grande pallagrello bianco, guardando al passato, mai sono riuscito a vendemmiare dopo il 15 settembre, per via dell’accumulo eccessivo di zuccheri ed il conseguente crollo dell’acidità, ma quest’anno invece il quadro analitico è equilibratissimo, e la maturità aromatica piuttosto spinta promettono un pallagrello bianco da ricordare negli annali, estremamente ricco e complesso: solo a vederne i mosti sono già contentissimo. Anche il pallagrello nero promette ottimi risultati, ma per il momento è opportuno rimanere alla finestra, sarà utile aspettare ancora qualche settimana per avere una perfetta maturità fenolica prima di raccoglierlo dalla pianta! L’aglianico sta benissimo, le poche spaccature dell’acino che c’erano si sono rimarginate rapidamente e queste belle giornate permettono ai grappoli la giusta areazione, importantissima per questa varietà tanto sensibile quanto prelibata.

Roccamonfina, provincia di Caserta: Masseria Starnali, di cui mi occupo, ha circa 30 ettari tutti a conduzione biologica di cui 6 vitati, in una delle zone più suggestive della denominazione, non a caso confinanti con Fontana Galardi, a circa 500 m slm e proprio alle pendici del vulcano spento di Roccamonfina. Qui  i terreni sono sciolti con affioramenti di roccia vulcanica e lapilli, denotando comunque una discreta percentuale di argilla. Sono terreni che soffrono molto le annate siccitose e che hanno invece goduto particolarmente di questa 2010 rivelatasi sufficientemente piovosa, quindi offrendoci vigne dalle pareti fogliari verdeggianti e frutti sanissimi. La vocazione è a falanghina ed aglianico, con una piccola parte anche di piedirosso. I tempi di maturazione sono più o meno simili a quelli Irpini, quindi è abbastanza presto per azzardare previsioni, credo si arriverà ad iniziare intorno al 20 settembre ottobre per la falanghina e fine ottobre-inizio novembre per aglianico e piedirosso. Anche qui mi aspetto una gran materia prima e non nego di aspettarmi delle belle sorprese!

In definitiva, guardando più in generale il quadro regionale, penso che sarà proprio un’ottima annata, in particolar modo sui vini bianchi e soprattutto per chi ha lavorato con buon senso ed equilibrio in vigneto. Aspettiamo i vini a conferma di tanto entusiasmo…

Qui la vendemmia 2010 nei Campi Flegrei illustrata da Gerardo Vernazzaro.

Qui la vendemmia 2010 in Cilento, Irpinia e provincia di Benevento analizzata da Fortunato Sebastiano e Massimo Di Renzo.

Qui le impressioni dei vignerons Antonio Papa e Tony Rossetti che ci presentano il millesimo nella terra dell’Ager Falernus.

Benvenuta (generosa) vendemmia 2010, ma…

14 settembre 2010

Benvenuta (generosa) vendemmia 2010! Nelle scorse settimane, in previsione della vendemmia che andava già iniziando in alcune regioni d’Italia, si sono subito levate voci gaudenti di piena soddisfazione in virtù dell’imminente sorpasso, numeri alla mano, nei confronti dei cugini francesi, che avrebbe confermato la produzione vitivinicola italiana come primo riferimento assoluto in Europa, grazie ad una vendemmia abbondante, talmente ricca che porterà nelle cantine italiane (già stracolme, ndr) uve sane ed in quantità più che soddisfacente. Giusto il tempo però di lanciare alcune riflessioni e tutto l’entusiasmo iniziale è andato subito a farsi benedire, lasciando spazio ad accesi dibattiti, speculazioni mediatiche nonchè polemiche sterili e quintalate di buoni auspici per riordinare un sistema che a quanto pare non riesce proprio a vedere ad un palmo dal naso il buco nero che si è aperto all’orizzonte, continuando ad annaspare, ed in maniera pedissequa, a sovrastimare un mercato in continua svalutazione, perchè in Italia di uva e di vino se ne producono fin troppo! 

Così, in attesa del lungo inverno alle porte che ci accompagnerà in in giro per l’Italia e ancora in Francia a scoprire e capire cosa poi è arrivato nelle bottiglie (promettiamo che ne leggerete delle belle!) abbiamo chiesto ad alcuni enologi, stimatissimi amici, di darci delle dritte o più semplicemente illustrarci il loro punto di vista sul campo, in primo luogo in terra campana, certamente primario interesse di questo blog e qua e là in giro per l’Italia. Ecco le prime testimonianze che ci sono arrivate. 

Fortunato Sebastiano, enologo, con Vigna Viva segue diverse aziende sparse nelle cinque province campane; La sua è una testimonianza molto utile che ci da il polso di diverse microaree regionali; Questo il suo racconto: “è importante premettere che tutte le vigne di cui scrivo sono condotte in regime biologico. In provincia di Salerno (Picentini e Cilento) si prefigura una grande annata, con uve Fiano straordinarie, raccolte a fine agosto, di grande equilibrio acidico; L’aglianico promette benissimo, le escursioni termiche e gli abbassamenti di temperatura di fine primavera hanno rallentato le maturazioni ma qui questo non è un problema. In provincia di Benevento, areale di Sant’Agata dei Goti, dove opero, è stata per l’aglianico un’annata difficile, la peronospora è stata particolarmente invadente; La Falanghina invece molto buona, il Greco ed il Piedirosso idem, ci attendiamo vini molto interessanti. Qui alcune zone umide hanno risentito delle temperature medie troppo basse, inchiodandosi e trovando un pò di difficoltà di allegagione, la cosiddetta maturità eterogenea. Ad Avellino, negli areali di Montefusco, Santa Paolina, Castelfranci, Lapio, Montefredane, San Michele di Serino, il Greco è risultato molto equilibrato e dalle acidità perfette che mi fa pensare ad un’annata “tipica e varietale”, peccato per la grandine di fine luglio a Santa Paolina che ha un po ridimensionato le prospettive. L’Aglianico è in grande forma, ci aspettiamo grandi cose anche perchè per le zone più alte si arriverà presumibilmente sino a metà novembre per la raccolta; il Fiano risulta di grande spessore a Lapio, e anche nelle esposizioni più calde si avranno uve di buona spalla acida, a Montefredane si prevede una vendemmia nella media ma proprio qui si è registrata peronospora larvata diffusa, con le problematiche che ne conseguono. Infine a San Michele di Serino non ho dubbi sul fatto che si otterranno uve di grande qualità come base spumante”.

Massimo Di Renzo, enologo in Mastroberardino, senza dubbio tra le aziende di riferimento per tutta la regione; Ecco le indicazioni di Massimo: “Le mie riflessioni sulla vendemmia sono basate soprattutto su dati rilevati e costatazioni nelle province di Avellino e Benevento. L’inverno freddo e piovoso ha ritardato un po’ l’inizio della fase vegetativa, riportandola ai tempi classici delle suddette zone, sfatando gli anticipi a cui si è stati costretti negli anni precedenti. La primavera e l’estate sono state caratterizzate da precipitazioni superiori alle medie stagionali. In linea generale oltretutto non è stata un’estate molto calda e le escursioni termiche sono cominciate già forti nel mese di agosto, e ciò si traduce in un rallentamento nella progressione della maturazione, esaltando ricchezza aromatica e freschezza nelle uve. Siamo in ritardo sull’epoca di raccolta di circa 15 giorni, possiamo dunque confermare quanto accennato in precedenza e cioè che si ha un ritorno alle vendemmie tradizionali di ottobre avanzato e novembre, il che, ove possibile, esalterà fortemente il valore del territorio sulla qualità delle uve che arriveranno in cantina. Più degli altri anni la conduzione del vigneto è stata difficile ma prevedo ottimi risultati per chi ha lavorato bene in vigna, chi ha saputo guardare con lungimiranza ad una materia prima di qualità e non necessariamente di quantità. Detto questo però, con un mese circa ancora avanti, è naturale che saranno decisive le condizioni meteo dei prossimi giorni per definire il profilo definito dell’annata, pertanto incrociamo le dita e buona vendemmia a tutti!”

Grazie mille a Fortunato e Massimo, come sempre precisi e di facile lettura, a breve ci occuperemo anche dell’areale vesuviano (Lacryma Christi, ndr) e dei Campi Flegrei; Continuiamo, imperterriti, a scoprire e capire il vino e le sue origini, e così ci pare più facile, non trovate?

Qui la vendemmia 2010 nei Campi Flegrei illustrata da Gerardo Vernazzaro.

Qui il polso della provincia di Caserta, Gennaro Reale su le Terre del Volturno e Roccamonfina.

Qui le impressioni dei vignerons Antonio Papa e Tony Rossetti che ci presentano il millesimo nella terra dell’Ager Falernus.

L’utile sottovalutato, il tappo a vite per esempio

16 agosto 2010

Lo ammetto, inizio ad accettare di buon grado l’idea delle bottiglie di vino con la chiusura tappo a vite. Credo siano stati fatti buoni passi avanti, innanzitutto sull’utilizzo dei materiali, soprattutto in riferimento alle plastiche utilizzate internamente al tappo come sigillante, da qualcuno, in passato, additate come nocive se non addirittura cancerogene e poi anche, sebbene ancora poco, da un punto di vista comunicativo e divulgativo. Per la verità, per quanto ci riguarda, in Italia il dibattito sulla utilità o efficacia di questa soluzione, nata perlopiù per sopperire alle difficoltà causate dal prezzo dei sugheri in costante ascesa, non si è mai acceso del tutto, dovuto soprattutto al fattore culturale, più che altro così filo mittel-europeo quanto vera e propria sincope del nuovo mondo, distante quasi anni luce dal romanticismo latino, italiano e francese in primis, che vuole, aggiungo forse giustamente, le bottiglie di vino bollate e consegnate al tempo esclusivamente con il tappo di prezioso sughero.

Ecco, pur essendo io un romantico, me ne sono fatto una ragione, professionale innanzitutto e nel tempo ho imparato a rivalutare il tappo a vite sino a pensare che prima o poi ne diverrò un convinto sostenitore, quasi un fan; A ciò aggiungo che rilancio molto volentieri l’invito, a chiunque ne fosse strenuo ostruzionista, a rivedere sin da subito la propria posizione e poichè non sarebbe così male di pensare di utilizzarlo con maggiore frequenza, e mi riferisco in particolar modo a quelle aziende che dedicano stabilmente una “linea di prodotti” per esempio alla banchettistica o più semplicemente propongono sul mercato vini dal consumo più o meno veloce (bianchi e rossi d’annata, rosati). Tra i pro, tra i tanti, uno lampante proprio per gli addetti ai lavori, quello cioè di non dover aprire (metti un evento di gala) cento-centocinquanta bottiglie e – come mi auguro capiti di sovente – provarne l’integrità da tricloroanisolo una ad una. Qualcuno ha pensato bene di attenuare lo stress per il sommelier di turno con i tappi sintetici, bene, bravo, ma rimangono pur sempre da aprire, cavatappi alla mano, cento-centocinquanta bottiglie di cui sopra. Vuoi mettere con uno Stelvin,  svita e… vai!

© L’Arcante – riproduzione riservata

La torrida estate e 6 buoni vini da non perdere (ma se ve li perdete non succede mica qualcosa!)

5 agosto 2010

Agosto, è piena estate! A parte l’intenso ma breve schiaffo temporalesco della settimana scorsa possiamo affermare di essere già da un pezzo nel bel mezzo della bella stagione, e fra tre-quattro giorni, dicono gli esperti, le temperature potranno salire ancora fino a 38 gradi, in particolare, come sempre, al sud. Sempre gli esperti ci dicono che ormai è uno schema risaputo e che tutti gli anni ci tocca, è diventato quasi regolare infatti l’assenza di una primavera degna di questo nome, e neppure l’inizio dell’estate, quella tiepida di fine maggio, per intenderci, risulta più riconoscibile: in pratica “non esisterebbe più la mezza stagione”.

Qualcuno ha gridato: e l’anticiclone delle Azzorre, che fine ha fatto? Beh, pare abbia pure lui i suoi problemi, in verità si vocifera che il nostro bene amato se ne stia per conto suo visto i tempi che corrono dalle nostre parti. Pertanto, cari Amici di Bevute , tenetevi la calura, e se accettate un consiglio, beveteci su; Cose semplici s’intende, fresche, di quelle che “nippano” le papille gustative e rivitalizzano il gargarozzo: ma si, per una volta che vadano pure al mare sti’ sommelier, della serie “faciteme sta’ quijete”!!

L’ordine è più o meno sparso, gli assaggi abbastanza recenti e sostenuti da ampio confronto e gradimento con i miei avventori, pertanto potete fidarvi :-).

Coda di Volpe del Taburno 2009 Fattoria La Rivolta, sempre in crescendo i vini di Paolo Cotroneo, la sua coda di volpe, abbandonata la veste muscolosa che l’ha accompagnata egregiamente agli esordi di qualche anno fa, spunta ad ogni nuovo millesimo un risultato migliore del precedente. Dal colore paglierino tenue con sfumature dorate esprime un ventaglio olfattivo molto pulito, piuttosto invitante. In bocca è decisamente asciutto, con una beva di sostanza ma sorretta da una acidità importante. Avete presente una tranquilla cena a pochi centimetri sopra il mare, con il vento che lentamente ti gira intorno e ti tiene lieve mentre due occhi neri ti stampano la felicità nel cuore?

Vdt bianco Joaquin dall’Isola 2009 JoaquinRaffaele Pagano ci ha ormai abituati a vini per niente banali, con la sua cantina ha messo su in realtà, in quel di Montefalcione, un piccolo “laboratorio” enologico a disposizione di chi, come enologo, voglia cimentarsi con i vitigni autoctoni campani ed esprimere attraverso questi la propria arte di fare vino. Non poteva mancare nella “collezione 2009” un vino di una suggestione unica, che nasce dalle vigne capresi che guardano il mare del golfo di Napoli dall’alto della solenne tranquillità della piccola Anacapri. Greco, Biancolella e Falanghina selezionati acino per acino da Sergio Romano per un vino sinceramente sorprendente: dal colore paglierino tenue, intriso di sentori floreali molto invitanti e di sfumature agrumate assai gradevoli. In bocca è asciutto, possiede un ottimo slancio gustativo che avvolge di sana freschezza il palato e chiude su un finale lievemente iodato. Ecco la novità dell’anno, solo 820 magnum, per un vino ben fatto, che va molto oltre la semplice intuizione di dare nuovo slancio alla viticultura caprese. Bravo Raffaele!!

Langhe Arneis Blangè 2009 Ceretto, è un vino che non riesco ad amare, e sinceramente nemmeno ci provo, sarà un mio limite? Idiosincrasia a parte però, mi trovo costretto a prendere atto di un fenomeno di mercato tanto comune quanto apprezzato, a tratti ricercato. C’ho buttato dentro, così per caso ( 😦 ) il naso, pulito, interessante, di fiori e frutta esotica; Me ne sono appena bagnato le labbra, poi un sorso, e ancora uno per essere certo di aver ben compreso: è un buon vino, sinuoso ma senza particolare profondità, appena godibile, leggero.

Asprinio d’Aversa brut Grotta del Sole. “Vorrei poter bere un vino bello freddo, fregandomene per una volta, dei precetti. Lo vorrei secco, anche un tantino acido, magari con delle belle bollicine che mi tengano sveglio il palato. Desidero un vino di questo tipo, che posso trovare con una certa facilità e ad un prezzo conveniente, che sia però prodotto da una azienda di cui mi possa fidare, che magari mi possa raccontare di se e della sua terra, dei suoi vini autentici”. Devo aggiungere altro?

Rheingau Riesling Sauvage 2008 George Breuer, seppur la gente continua a storcere il naso quando gli proponi una bottiglia con il tappo a vite, sono sempre più convinto che il sughero, quello buono, dovremmo pensare seriamente di preservarlo solo per le bottiglie migliori e destinate ad un lungo invecchiamento.  E’ indubbio che si tratti di una questione innazitutto culturale – soprattutto mittel europea – che dovremo prima o poi fare anche nostra. Venendo a questo riesling, tedesco per elezione, è un vino decisamente affascinate, uno di quei vini dalla pulizia olfattiva disarmante, quasi inebriante. All’approccio gustativo è tagliente, infonde notevole freschezza al palato richiamandone subito un nuovo sorso, non ha, al momento, le suadenti note di idrocarburi che a taluni piacciono tanto, ma tanto è finemente minerale quanto particolarmente saporito. Da ricordare di bere.

Collio Sauvignon Ronco delle Mele 2009 Venica&Venica. E’ – con il de la Tour 2008 di Villa Russiz e il Picol 2008 di Lis Neris – tra i migliori assaggi di quest’anno del varietale; Un vino che non posso fare a meno di annoverare tra i miei preferiti italiani nel gioco di rincorsa al più austero e selvaggio dei vitigni internazionali. Sempre sugli scudi, proprio da un recente assaggio – 25 campioni da tutto il mondo, alla cieca – il Ronco è emerso a mani basse e senza smentita alcuna come il più appassionate dei blanc in batteria: dal colore paglierino viene fuori un bouquet olfattivo sempre in grande spolvero, fiori di sambuco e note vegetali su tutti, balsamico. Al palato non fa mancare una certa vivacità gustativa, quasi intransigente prima di offrirsi in un finale di bocca ricco e oltremodo piacevole. Da tenere sempre a portata di mano!

Magari poi mi ringrazierete pure, forse.

L’Arcante, diario di una passione in crescita

29 luglio 2010

Pozzuoli 16 novembre 2009, nasce L’Arcantediario enogastronomico di un sommelier. Abbiamo esordito più o meno così, raccontandovi di Peppe Mancini e Manuela Piancastelli e della bella favola del Pallagrello. In verità già da qualche giorno lavoravamo su una nuova idea di comunicazione ed alcune belle esperienze ci esortavano a camminare, decisi, questa strada: per imparare, costruire, confrontarsi, crescere. 

Erano quelli giorni pesanti, mistici direi, di profonda gioia con il cuore impavido per la novella notizia e di pressione debordante con la mente rarefatta da scelte improrogabili; noi abbiamo deciso di guardare avanti, svoltare l’angolo, alla ricerca di una via percorribile, e di queste pagine farne la cronaca, di nuove esperienze professionali ed umane capaci di segnare il tempo, il nostro tempo, che passiamo a lavorare e vivere alcune delle nostre passioni quotidiane: il vino, il cibo, gli amici, il confronto professionale.

Le ragioni di questo post potrebbero far passare l’argomento come il più banale delle autocelebrazioni ma i numeri meritano sempre una certa considerazione, su tutti le più o meno 200 visite al giorno e le oltre 4500 pagine lette ogni mese, una costante che ci riempie di grandi stimoli; chi ci ama ci segue, chi no pure, ma questo conta relativamente; ci piace parecchio invece che chi ci conosce continua ad esortarci, mentre chi scopre queste pagine per la prima volta ne fa lettura quasi quotidiana.

A tutti diciamo grazie, di vero cuore, perchè avere qualcosa da dire è importante, ma essere ascoltati letti è proprio una bella soddisfazione: le lunghe notti del dopo-lavoro dedicate a buttare giù parole più o meno comprensibili e tracce percorribili hanno per fortuna un senso compiuto.

Orbene, ovunque voi andiate alla ricerca del mare più cristallino e delle spiaggie più fini, che il sole possa accompagnare ogni vostro giorno di agognata vacanza. A Chi sceglierà la terrazza sulla valle più verde di montagna, auguriamo che l’aria tutt’intorno sia della più pura possibile mentre per chi invece rimane in città, che lo stress, almeno ad agosto, abbandoni la vostra quotidianità. A tutti Buone vacanze, e per tutti, buon vino! E che sia dei migliori della nostra amata Campania Felix!

Bacoli, Cruna DeLago 2008 La Sibilla

13 luglio 2010

“Guardi avrei proprio voglia di lasciarmi consigliare da lei un bel vino campano, qualcosa che mi possa far cambiare idea ed opinione a riguardo: deve sapere che lì, su al nord, non è che si beva benissimo, ci sono certi soloni, tutti matti per lo sciardonnè, ma per me che amo il sud rimane comunque piuttosto difficile trovare dei vini della vostra regione che mi entusiasmino in modo particolare, ma è possibile che avete solo Cantine Sociali..?”

Carlo Bernini (nome puramente di fantasia, ndr) si è dimostrato un ospite molto gradito. Avvocato in Cassazione, spalle larghe, almeno quanto il bacino e sessant’anni nemmeno a vedergli la carta d’identità, viso tondo tendente al paffuto, dagli occhi azzurri, semi chiusi; persona però distinta, appena un po sfacciata, curiosa, insomma uno di quei clienti che pagheresti per avere alla tua tavola, e non solo per le belle bottiglie che ti lascia decidere di aprire, e nemmeno per la lauta mancia che ti offrirà alla fine per ringraziarti, stavolta con gli occhi ben aperti, azzurri, lucidi, soddisfatti per avergli riservato una piacevole serata: la tua soddisfazione, la grande soddisfazione l’avrai ottenuta invece da quelle poche parole, tra le mille venute fuori durante la cena, che ha saputo far entrare, esprienza alla mano, con le sue osservazioni, con le sue puntualizzazioni, con i suoi aneddoti, nella tua mente, prepotentemente, parole che mai dimenticherai!

L’avvocato Bernini ne ha viste tante in vita sua, e ne ha districate troppe per fidarsi ciecamente: “mi sono occupato di frodi alimentari e di vino per circa un ventennio, e credimi mio bel sommelier, la purezza delle tue parole, il tuo racconto mi affascinano, ma non mi convincono, ho bisogno di più”. Avvocato mi lasci dire, che brutta opinione che s’è fatto del vino, lasciamo stare le mie chiacchiere, facciamo che a parlare sia il bicchiere, io le faccio bere due-tre cosette, lei, alla fine, mi deciderà cosa val la pena pagare e cosa no, ci stà? “Intraprendente…”.

Così dopo una ouverture leggiadra a base di Biancatenera di Tramonti (Monte di Grazia bianco ’09) confido che sia il Cruna DeLago di Luigi e Restitua Di Meo a scalfire la mistica  pervasione del vino nostrano agli occhi dei transumanti avventori dell’alta langa. “Un vino delizioso, ti dà l’impressione di volerti piacere per forza ma non è ruffiano, non ammicca in maniera insolente, dico bene?”  Dice bene, essere se stesso è un suo tratto caratteriale. Il vitigno di cui è composto, la Falanghina dei Campi Flegrei ha la capacità di conquistare i palati senza sciolinare false pretese, offre vini sinceramente franchi, austeri e sottili al naso, asciutti e minerali, profondi al palato. Il vino che ne viene fuori è di solito vivo come la storia millenaria imprigionata nelle centinaia di enclavi di monumenti che ne costellano il territorio tutto, da Pozzuoli a Bacoli, ed il Cruna DeLago è una delle sue massime interpretazioni: giallo splendente, intriso di profumi di glicine e pino mediterraneo, quello delle coste di Agnano, austero proprio come l’anima dei suoi vignaioli, legati alla propria terra più che a se stessi, un nettare asciutto e minerale come le falde ardenti del vulcano Solfatara, salmastro non per evoluzione ma per finissima vocazione.

Ecco avvocato, mi sono tenuto defilato, niente nomoni, non le ho nemmeno raccontato della crescita inimmaginabile, il successo del Fiano di Avellino e del Greco di Tufo, e le ho servito il Fiorduva solo perchè così come richiesto dal dotto’ Impresacchi: ma mi dica, le sono piaciuti i vini? “Angelo, ho molto apprezzato, vorrei tanto conoscere di questo Alfonso Arpino, come si fa ad allevare vigne di cent’anni? E poi i Campi Flegrei, pensare alla Falanghina con questa profondità così mediterranea non mi era mai capitato prima, oggi ho scoperto due bei vini!

E’ solo l’inizio mio caro Avvocato, questa è la mia terra e non ha confini!

Pozzuoli, metti una sera di luglio a cena…

8 luglio 2010

E’ accaduto ieri sera, e qualche tempo prima, un saluto accorato ci ha legati ad una promessa, di ripeterlo tra qualche giorno, e poi ancora dopo l’estate, ma non vi nascondo che c’è un altissima probabilità che ciò continui all’infinito, non un appuntamento fisso – le agende servono a poco quando a scriverle è chi ha solo l’interesse a riempirle quanto più gli è possibile – ma cadenzato dalle opportunità del momento, dal piacere di stare assieme.

E’ accaduto ieri sera, dicevo: c’era l’aria giusta, leggera, a dirla tutta anche un po frescolina, il buon umore si respirava a grasse boccate tanto che il nostro ritardo è passato (quasi) inosservato; le facce, belle seppur per niente abbronzate (!) non avevano fretta di sorridere, ma ne avrebbero colto l’occasione appena arrivato il momento del saluto. Le strette di mano? Solo il primo approccio a baci e abbracci appiccicosi: come si sa può sempre capitare di ritrovarsi a cena senza conoscersi tutti, e pur consapevole che ciò non sempre è una scelta vincente, il piacere di stare assieme, quello puro, per rimanere indelebile, pare rafforzarsi nella lieve attesa, con l’inaspettato incontro ravvicinato con “l’altro tipo”.

E’ bastato un sms, di poche righe, inviato quasi per gioco: “oh, ci vediamo mercoledì, alle nove. Porta una paio di bottiglie di Pinot Nero, celate, mi raccomando”.

Così nasce tutto, così è stato, è accaduto che ci siamo riuniti intorno ad un tavolo, nella casa di Nando e Wanna, come stare a casa propria: abbiamo mangiato purezza e semplicità, chiacchierato a lungo, (s)parlato quel poco che basta, sorriso moltissimo. Ah, quasi dimenticavo, abbiamo bevuto molto bene!

P.S.: giammai accettare ancora Sauvignon da Gerardo Vernazzaro 😉

Il sogno di mezza estate, la mia Borgogna

19 giugno 2010

“E’ la sottile immensità del Pinot Nero  il solo racconto della bianca pietra della mia terra; il solo capace di scaldare gli animi e di frenare i sussulti.”

Prologo: è appena l’alba, l’aria è tersa e l’aereoporto di Capodichino comincia ad animarsi, il check in è abbastanza veloce, siamo fortunati, ci dicono, l’aereo è già li che ci attende, un Bombardier crj900 (!) puntato in direzione Torino: Borgogna stiamo arrivando!

Il volo è sempre una emozione stupenda, lasciarsi alle spalle la terra e varcare le nuvole provoca sempre un certo brivido; da qui l’azzurro del cielo in lontananza sembra più azzurro e la stessa luce che rimbalza sui flap delle ali dell’aereo prima di svanire nel nulla mi appare più limpida, luccicante. Nemmeno il tempo di raggiungere quota e la velocità di crociera (850 Km/h!) che sorvoliamo in un soffio le isole Pontine: adesso l’aria è chiarissima, Palmarola, con le sue rocce bianche, un graffio nel mare laziale; pochi minuti dopo ci lasciamo l’Elba alla nostra destra, adesso lì davanti, sotto le nuvole appena più dense, appare la costa ligure. Le nuvole d’un tratto si infittiscono, poi divengono grigie, gonfie, sul vetro passa sottile un rivolo d’acqua, è l’annuncio di un temporale: benvenuti a Torino!

Inizia da qui il sogno di mezza estate, la mia Borgogna, cronaca di una passione infinita, di un desiderio realizzato. Dopo poco ci riuniamo nel pullmann che attraverso il traforo del Frejus ci accompagna in terra di Francia attraverso la statale italo-francese costeggiata da un paesaggio ancora grigio sullo sfondo ma molto suggestivo, fatto di foreste di abeti, corsi d’acqua rocciosi e pontili sull’ignoto. 

Dopo un centinaio di chilometri ed una melanconica pausa caffé in un bislacco Café l’Arche (pessima interpretazione di un nostro Autogrill) ci immettiamo sulla dipartimentale che ci condurrà a Tournus, un piccolo borgo del 1100, avamposto della cristianità (testimonianza ne è la bellissima abbazia romanica di St. Philibert¤) ed oggi importante centro turistico-culturale dedito soprattutto ad una sopraffina offerta di artigianato locale, di tessuti impreziositi da ricami artistici in particolar modo, di rara bellezza. Più in là a poche decine di chilomentri, Chalon sur Saone,  praticamente la nostra porta sulla Borgogna… (continua)

Montefusco, Fiano di Avellino 2006 Terredora

22 Maggio 2010

Ci sono aziende che rappresentano per qualità dell’offerta una continuità espressiva inappuntabile, sono spesso marchi che ci portiamo dietro da sempre, sembrerebbe sin dalla notte dei tempi; Sono lì, costantemente presenti, pur non curandoli in maniera particolare pare impossibile trascurarli del tutto. Sono etichette per qualcuno storiche, per altri più semplicemente rappresentazioni di storie di famiglie che il vino, in questo caso in Campania, l’hanno letteralmente inventato ed imposto sul mercato come unico modello di sviluppo possibile, una opportunità economica da non mancare assolutamente, soprattutto in anni in cui, siamo verso la fine dei settanta, oltre alla politica di asservimento del “Palazzo”, in alcuni areali, rurali in particolar modo, di certezze tangibili ve n’erano davvero ben poche.

“Il lavoro rende liberi”, una frase che rievoca certamente ricordi oscuri di un passato tremendo, eppure presa così com’è potrebbe rappresentare il manifesto di “liberazione” di una terra, l’Irpinia, che faticosamente sta riscoprendo e affermando sempre più una propria identità/vocazione – chiamiamola rurale, viticola, enoturistica – che non può passare inosservata alle politiche di sviluppo che il “palazzo” (in questo caso scritto in minuscolo perchè minuscoli son gli interpreti moderni) deciderà di delineare per questa regione nella regione.

Tutto questo fermento, oggi continuamente rinnovato dai tanti nuovi piccoli vignaioli, talvolta veri e propri “garagiste” – devo dire interpreti di ottimi primi vini – e talvolta costellato di ex imprenditori del cemento, dell’asfalto, ex capitani d’impresa, ex piloti di nave da crociera ed ex qualcosa che tanto funziona sempre, va delineando un profilo territoriale davvero eterogeneo, diverso, ma che dico, di più, biodiverso, ma che ha nel dna le tracce indelebili degli iniziatori, tra questi la famiglia Mastroberardino, di qui il ramo familiare di Walter che in quel di Montefusco con i figli Daniela, Lucio e Paolo sin dal 1978 ha continuato con Terredora di Paolo a lavorare le vigne ed in cantina per portare la Campania del vino in tutto il mondo, guadagnandosi tra le tante gran menzioni, di entrare nel 2007 tra le prime cento aziende al mondo selezionate da Wine Spectator per continuità e qualità offerta (!).

Oggi l’azienda produce mediamente 1.200.000 bottiglie l’anno, particolare attenzione è destinata senz’altro ai vini dell’areale storico irpino, personalmente ritengo per esempio il Taurasi Fatica Contadina tra le più autentiche espressioni della denominazione e non di meno ineccepibile la costanza qualitativa dei vini bianchi base, il Greco di Tufo ed il Fiano di Avellino. Lo spunto per questa recensione nasce però dalla piacevole bevuta di questo cru di Fiano Avellino Terre dei Dora 2006, un bianco, dopo quattro anni, davvero soprendente, per vivacità, complessità e bontà gustativa. Il colore è marcato da un giallo paglierino intenso, appena teso a venature ossidative, il primo naso è salmastro, inizialmente, ti invita quasi ad allontanarti dal calice, ma appena alla seconda sniffata ti accorgi di ritrovarti di fronte ad un grande bianco. Il ventaglio olfattivo ha smarrito l’eleganza delle note fruttate e floreali ma in compenso si offre terragno, minerale, etereo, cremoso, quasi tostato. In bocca è asciutto, l’ingresso gustativo è grasso ma si distende immediatamente con una freschezza inaspettata, gratificante, piacevolmente lunga, il finale minerale riconsegna nuovamente il leit motiv a sensazioni cremose e salmastre. Un fiano da non banalizzare su primi piatti ai frutti di mare, piuttosto ben indicato su estrose preparazioni gourmet, penso al Carciofo ripieno con burrata di Andria e scampi crudi del nostro Oliver Glowig. Ed è ancora scoperta…

Chiacchiere distintive, Nicoletta Gargiulo e il suo programma elettorale per l’Ais Campania

17 Maggio 2010

Riceviamo e volentieri pubblichiamo da Nicoletta Gargiulo le sue idee programmatiche da realizzare qualora venga eletta presidente regionale dell’Ais Campania.

Da una prima analisi, come lei stessa non manca di sottolineare nel messaggio di posta inviatoci, i punti sono essenziali e diretti al cuore dei temi rappresentati: “Non amo promettere cose irrealizzabili, pertanto chiedo che questi pochi passaggi vengano interpretati come grande volontà da parte mia di interagire con tutti i sommeliers che vorranno partecipare al forte rinnovamento che tutti auspicano da tempo ma che pochi, a quanto pare, sembrano disposti a sostenere veramente !” (Nicoletta Gargiulo).

Particolare attenzione, come del resto ci si aspetta da una Miglior Sommelier d’Italia, è destinata a migliorare e qualificare sempre di più il sommelier professionista che opera sul campo. Ecco i passaggi più significativi del programma:

Programmare di inserire Didattica, Relatori e Degustatori Ais nelle scuole alberghiere.

Lavorare decisi per la nascita di un “Salone del vino della Campania”.

Una idea importante da realizzare e destinare con grande comunicazione a tutti i sommeliers, anche fuori regione, “la Guida ai vini della Campania a cura dell’Ais Campania”.

Migliorare e rendere vivibile a tutti la sede di rappresentanza dell’Ais Campania.

Supportare aggiornamenti e lezioni supplementari sui servizi offerti dall’associazione, integrandoli con l’intervento di professionisti che operano sul campo per trasmettere agli aspiranti e a tutti gli appartenenti al gruppo servizi le esperienze tecniche necessarie per un servizio ad hoc.

Programmare incontri tecnici e di pubblica audizione con enologi e viticultori, per aprire ai sommeliers non solo le porte delle cantine ma anche per crescere e migliorare l’altrui comprensione di un linguaggio tecnico-produttivo che spesso incontra difformità da quello puramente didattico-degustativo.

Programmare e migliorare parthnerships con aziende vinicole e ristorative, soprattutto delle grandi strutture ricettive, per stages formativi per i futuri sommelier professionisti.

Così per i viaggi-studio nelle aree di maggior interesse vinicolo, una risorsa importante da sviluppare con maggiore convinzione.

Scuola concorsi, un punto di svolta per la formazione dei migliori sommelier capaci di confrontarsi con il panorama nazionale ed internazionale, in particolare con una didattica basata su lezioni più approfondite di enografia, cultura e tradizione territoriale, degustazioni magari con l’ intervento di relatori esperti nelle materie di maggiore interesse.

Concorsi Primo sommelier della Campania, Master dell’Aglianico, Primo sommelier nelle scuole alberghiere. Da continuare e dove possibile migliorare per renderli sempre più appetibili!

E poi maggiore attenzione agli eventi, da curare e sviluppare in prima persona, in cui l’Ais deve entrarci con profonda sinergia e professionalità: Sagrantino day, Anteprima Taurasi (ripristino di),  spingere per la nascita di almeno un evento specificatamente territoriale in ciascuna delegazione; Poi ancora proseguire la strada tracciata con l’arrivo di “Ais Campania TV Tastevin”, e seguire con attenzione gli sviluppi per l’Enoteca Regionale in Campania.

Infine l’ascolto, aprirsi alle proposte che arrivano da parte di ciascun delegato per far si che l’Ais Campania sia la casa di tutti, di tutti i sommeliers campani e gli appassionati del mondo del vino.

Ringraziando Angelo per l’opportunità concessa, cordiali saluti,

Nicoletta Gargiulo

Potete leggere qui il nostro invito ai candidati della scorsa settimana e prendere visione qui del programma inviatoci a suo tempo da Marco Starace.

Chiacchiere distintive, Roberto Adduono

15 Maggio 2010

Prologo: Carpe Diem, se ne trovassimo il tempo. Allora Robbè, questa intervista la facciamo o passo tra un paio di anni?

Roberto Adduono è salernitano doc, classe ’78; Dal racconto che ascolto con piacere colgo che era inesorabile, nel suo destino che fosse destinato alla sommellerie. Dopo gli studi professinali trascorre alcuni anni a farsi le ossa nei ristoranti “tradizionali” del salernitano, tra comunioni e battesimi (del fuoco, aggiunge!) nel ’99 inizia il percorso di formazione sommelier e poco tempo dopo, siamo nel 2002 arriva il gran salto a Palazzo Sasso di Ravello, come assistente al Rossellinis di Nando Papa, tra i primi sommelier campani, assieme a Maurizio Cerio del Don Alfonso e  Giovanni Piezzo a godere di un certo risalto nazionale. Seguiranno poi alcune esperienze a “The Waterside Inn” di Bray-on-Thames UK (tre stelle Michelin e Relais&Chateaux), alla Locanda dell’Amorosa di Sinalunga, al Grand Hotel Du Parc di Villar-sur-Olonne in Svizzera, al ristorante “Agata&Romeo” di Roma, sino alle ultime in ordine di tempo, l’Altromodo di Pontecagnano ed Il Conte Andrea di Salerno. Oggi Roberto è chef sommelier presso il Rossellinis dell’Hotel Palazzo Sasso di Ravello, come a dire, a volte ritornano.

I tuoi inizi sono stati sicuramente particolarmente formativi, ma quel’è il momento in cui hai capito di avere un futuro nella sommellerie? La somellerie è parte integrante del personale che opera in un ristorante. Avendo iniziato come Chef de rang mi sono avvicinato al vino ed al suo mondo per ampliare la mia cultura professionale, ma sapevo a priori che non poteva fermarsi ad essere solo una infarinatura. Oggi è diventata la mia professione, e quando si inizia un percorso, e questo ti affascina ogni giorno di più, è molto difficile lasciarlo.

Chi il tuo modello, o magari che ti ha aiutato a migliorare nella tua crescita professionale? Ti dico la sincera verità. Non ho mai avuto un modello, però non mi sono mai fatto mancare la curiosità e l’umiltà di ascoltare ed apprendere il meglio dalle varie esperienze lavorative che ho avuto. 

Sei praticamente ritornato da dove sei partito, come è stato questo ritorno? Essere sommelier presso il Rossellinis è certamente una grande soddisfazione, Ravello poi è un luogo d’incanto. In questo contesto posso esprimere tutto ciò che ho imparato nelle precedenti esperienze e metterlo in pratica ogni giorno che passa e confrontarlo con un pubblico molto eterogeneo. Sai Angelo, e tu forse sai bene a cosa mi riferisco, alcuni clienti macinano migliaia di chilometri per venire da noi, le loro aspettative sono molto alte e noi dobbiamo dare sempre costantemente il meglio per preservarle e soddisfarle appieno.

Raccontaci come nasce la tua carta dei vini, lo spazio che dedichi per esempio ai nostri vini campani? La carta dei vini comprende tutta l’Italia con una buona incidenza di vini campani. Il cliente californiano di turno non viene certo a Ravello per bere un Opus One; Ovviamente sono in carta tutti i pilastri dell’enologia italiana ma non disdegno di proporre anche realtà piccole e di buona qualità che riesco a trovare in giro, cercando quindi di non perdere mai la curiosità dell’aggiornamento mediatico e fisico (partecipando cioè a visite in cantina ecc.).

Il vino del cuore e quello che desideri di bere prima o poi? Sinceramente non ho un vino del cuore. Adoro tanto le bollicine italiane e i bianchi alsaziani. La mia ottica è a trecentosessanta gradi ma quelli che desideravo più intensamente ho avuto modo di assaggiarli, dai rossi di Chateau Margaux a quelli di Mouton-Rothschild o La Tache di Romanèe Conti.

Che ne pensi, duro il lavoro di Sommelier? La passione è la forza di tutto, non ho rimpianti, ma spero che un giorno cambi almeno una cosa: maggiore rispetto verso il lavoratore in alcune aziende alberghiere e ristorative, spesso costoro credono che chi opera alle loro dipendenze sia un’automa, facendo fare troppo spesso turni stressanti e lasciando troppo poco tempo da dedicare alla famiglia.

A breve ci saranno le nuove elezioni regionali dell’ais Campania, qual è il tuo rapporto con l’associazione e se c’è, cosa potrebbe fare di più per te? Ho un ottimo rapporto con l’associazione e con i suoi membri. Mi sento però di avanzare un consiglio: che si organizzino più incontri di aggiornamento professionale per chi opera nel settore, che siano questi, momenti di profondo studio e di fondamentale confronto.

Gli amici, la famiglia, come concili il lavoro, la lontananza da casa con tutto questo? Quello che faccio comporta qualche sacrificio in più. Nel mio caso non posso non ringraziare mia moglie Margherita, che pur di vederci realizzati trascorre ore e giorni da sola. Io forse sono fortunato, lavoro più o meno ad un’ora d’auto da casa, quindi oggi vivo solo in parte questo problema, ma capisco cosa significa.

A questo punto, cosa ti auguri per il futuro? Così su due piedi, che si diano un po tutti una gran calmata, mi auguro solo che il mondo del vino non arrivi all’irreparabile esasperazione. Sono veramente dispiaciuto quando vedo e leggo di tanta speculazione su un prodotto che alla fine è bene ricordare, nasce dalla terra e dalle mani (e la fatica) di un uomo, che lavora la vigna, raccoglie l’uva e la vendemmia. E’ pur sempre vino o no?

Caro Roberto, nell’augurarti (nuovamente 🙂 ) una splendida stagione ti ringrazio per la cortese e forbita chiacchierata, e studia mi raccomando ( 😉 ). Buon lavoro e a presto rivederci.

Cirò, nessuno tocchi il disciplinare!

13 Maggio 2010

Riceviamo e volentieri pubblichiamo l’invito del Comitatoin difesa dell’identità del vino Ciròa rivedere le intenzioni di modificare il disciplinare di produzione dello storico vino calabrese per aprirlo tra le altre cose, al blend con vitigni internazionali.

Nel comunicato stampa del 25 Luglio 2009 (puoi leggerlo qui) facevamo appello al Consorzio di Tutela per fermare tutte le procedure di modifiche al disciplinare e nello stesso tempo aprire un dialogo con tutti i soggetti coinvolti, per arrivare ad una soluzione condivisa.

Invece, ostinati, come solo i calabresi sanno essere, hanno presentato la richiesta di modifica che è stata pubblicata sul Bur Calabria del 31 Luglio 2009. Il fronte dei contrari era comunque talmente ampio e autorevole che ci aspettavamo un rigetto di questa fantasiosa richiesta, ma si sa in Italia non bisogna dare niente per scontato e dopo 9 mesi (un vero travaglio) gli ultimi rumors dicono che in Regione Calabria si sia arrivati ad un compromesso. Comprocheeee!!

A questo punto vogliamo trasparenza! Non ci importa più di internazionali e di autoctoni, di imbottigliamenti in zona e fuori zona, di rese per ettaro e per pianta. Vogliamo solo trasparenza, che tutto avvenga alla luce del sole, che tutte le voci interessate abbiano la possibilità di parlare.

E se prevarrà l’irrazionale idea di poter utilizzare decine di vitigni che nulla hanno a che fare con il Cirò, accetteremo l’esito con la serenità derivante da un confronto libero e democratico.

Per tutto questo chiediamo che venga indetta una pubblica audizione e a tal proposito abbiamo inviato una lettera alla Regione Calabria e al Ministero Politiche Agricole Alimentari e Forestali, che riportiamo di seguito.

Spett.le
Ministero Politiche Agricole, Alimentari e Forestali
Comitato Nazionale per la tutela e valorizzazione dei vini DOC e I.G.T
Dir. Gen. SACO IX.
Via XX Settembre, 20 00187 ROMASpett.le Regione Calabria-Settore 2 – Dip. Agricoltura
Via E. Molè 88100 – CATANZAROe p.c. Agli organi di stampa

Cirò Marina, 29 Aprile 2010

Oggetto: Modifica del disciplinare DOC Cirò pubblicato sul BUR Calabria in data 30/07/2009

In riferimento alla richiesta di modifica del disciplinare DOC Cirò in oggetto, avanzata dal Consorzio di Tutela del Cirò e Melissa, facciamo presente che nel periodo precedente alla presentazione, si è costituito un comitato spontaneo “In difesa dell’identità del vino Cirò” che ha promosso una raccolta di firme dei soggetti contrari alla modifica.

L’iniziativa ha trovato il consenso dei Sindaci del Cirotano, dei viticoltori e di molte cantine, ha visto inoltre l’adesione anche di figure di rilievo della ricerca vitivinicola, quali il prof Fregoni e il prof Scienza e di moltissimi estimatori del Cirò in tutto il territorio nazionale.

Questo movimento ha organizzato una pubblica assemblea per discutere delle proposte di modifiche del disciplinare di produzione del Cirò DOC. Assemblea che si è svolta presso il Centro servizi del Comune di Cirò in data 10 Luglio 2009.

L’assemblea, molto partecipata, ha visto la presenza di viticoltori, vinificatori, delle istituzioni pubbliche, nelle figure dei Sindaci di Cirò, di Cirò Marina, di Crucoli, di Melissa e di personalità politiche nella persona dell’On. Nicodemo Oliverio.

Tutti concordi che il processo di modifica del disciplinare del “Cirò DOC” iniziato unilateralmente dal Consorzio di Tutela dei Vini DOC Cirò e Melissa, doveva essere bloccato e ridiscusso.

Pertanto chiediamo che venga indetta una pubblica audizione in cui si possano esporre tutte le ragioni, al fine di giungere in modo trasparente ad una soluzione condivisa.

Il comitato in difesa dell’identità del vino Cirò

Chiacchiere distintive, Ciro Potenza

11 Maggio 2010

No, non mi sono sbagliato, c’è un’altro protagonista in questa storia ed è, con il Vesuvio, il simbolo di Napoli nel mondo: la pizza, la più grande passione, assieme al vino naturalmente, di Ciro Potenza, napoletano di Salita Tarsia, classe ’83, giovane e dinamico sommelier di Palazzo Petrucci, a Napoli unico ristorante Stella Michelin. L’Arcante ci ha fatto quattro chiacchiere, distintive come sempre di bravi sommeliers che lavorano per affermare la propria passione e professionalità!

Allora Ciro, entriamo subito nel vivo della chiacchierata. Come nasce la tua passione per la sommellerie? Mia nonna è irpina, di Frigento. I miei primissimi ricordi legati al vino sono dell’infanzia, quando andavamo in campagna a trovarla, per me era bellissimo stare in mezzo al verde con i panorami irpini e le viti a fare da sfondo. Ma il vino arriverà solo più tardi, io vengo da una famiglia di pizzaioli e le prime esperienze di lavoro le ho avute in bottega con mio padre, ero fortemente affascinato dalla pizza, più che un alimento, un rito, un’arte dalla storia antica. A 16 anni incontrai Enzo Coccia (Pizzeria La Notizia, tra le migliori a Napoli) ed iniziai a collaborare con lui. Da li gli studi sulla storia, le materie prime, i primi corsi di formazione, le consulenze: alla fine mi ritrovai un vero e proprio “artigiano pizzaiolo”. Nel 2006 attratto sempre più dai giochi di abbinamento che con lo stesso Enzo provavamo a fare in pizzeria, mi iscrissi ai corsi dell’ Ais di Napoli, un ottimo viatico per la mia formazione.

Quale il momento in cui ha capito di poter avere un futuro nell’ambito della sommellerie? Ci sono stati una serie di eventi favorevoli. In primis l’aver ottenuto un ottimo risultato al corso, subito dopo l’incontro con il Gambero Rosso. Ricordo che la Città del Gusto era stata inaugurata da pochi mesi, cercavano un giovane sommelier ed io avevo da poco finito il corso, feci il colloquio e mi scelsero; Era il 2008. Poi la partecipazione al master sulle acquaviti “la ricerca dell’eccellenza” organizzato dall’AIS e dalla distilleria Bonaventura Maschio, e la borsa di studio vinta come primo classificato per il sud. Subito dopo l’esperienza al Gambero ci fu l’incontro con la proprietà del ristorante Palazzo Petrucci che era in cerca di un sommelier. Sin dal primo momento c’è stata grande intesa sia con Lino Scarallo, lo chef, che con tutto lo staff del ristorante. Quando si dice al posto giusto al momento giusto!

Chi è, se c’è, il tuo modello professionale, chi ti ha aiutato a migliorare nella tua crescita professionale? Sicuramente la mia famiglia ed i miei affetti. Ringrazio ancora Enzo Coccia per avermi sempre incoraggiato nonostante mi avviavo a fare un salto nel buio cambiando completamente lavoro, ma anche e soprattutto un amico, Paolo De Cristofaro; Al Gambero di Città della Scienza ho collaborato per un anno, e lui che è un grande comunicatore mi ha aiutato molto a crescere.

Cosa ti piace dell’ambiente in cui lavori, cosa possiede di speciale? Sono a Palazzo Petrucci da poco più di un anno, qui ho trovato un gruppo di lavoro molto affiatato ed una proprietà davvero sensibile, mi hanno aiutato molto ad entrare subito in sintonia con tutto l’ambiente. E poi ho la possibilità di lavorare a stretto contatto con Lino Scarallo, cosa per me molto esaltante,

Com’è la tua carta dei vini? Come scegli di acquistare i vini e come li proponi ai tuoi ospiti? La mia carta è in continuo movimento, cerco sempre di aggiornarla con nuove proposte. Attualmente sono circa 500 le etichette, con grande spazio alla Campania; A breve ci sarà il completamento della cantina che stiamo allestendo in un adiacente locale storico. I vini che acquisto sono soprattutto quelli che piacciono a me e che certamente posso abbinare alla nostra cucina. Al tavolo invece, cerco sempre di coinvolgere i miei ospiti proponendo nuove esperienze, magari stuzzicando la loro curiosità.

Il vino del cuore e quello che desideri di bere prima o poi? È difficile sceglierne uno, ritengo il Fiano e l’Aglianico due vitigni di grandissimo spessore. Poi mi piace tantissimo il Verdicchio, i Sauvignon della Loira e del Friuli, alcuni Champagne, blanc de blancs in particolare, i Riesling tedeschi, il Pinot Nero in Borgogna ed alcune interpretazioni dell’Alto Adige. Amo tanto anche i Super Tuscans ed i rossi delle Langhe. Al sud guardo sempre con interesse al Vulture, all’Etna ed al Carignano in Sardegna. Nutro grande passione per i vini da dessert, indistintamente! Il vino che desidero bere? Uno di quei vini che sfidano il tempo, capaci di emozionare e lasciare il segno.

Il nostro lavoro è di grande sacrificio, rimpianti o che cosa avresti voluto cambiare? Rimpianti no, ma se potessi tornare indietro frequenterei l’istituto alberghiero, sicuramente più attinente al mio percorso.

Il tuo rapporto con l’ais, c’è qualcosa che potrebbe fare di più l’associazione per te? La mia esperienza con l’AIS è stata felicissima, purtroppo non ho molto tempo da poter dedicare alla vita associativa, ma cerco di essere presente alle rassegne, a volte anche solo per mezz’ora! Per me anche la semplice chiacchierata con un collega può essere un momento di crescita .

Gli amici, la famiglia, come concili il lavoro, con tutto questo? I momenti da poter dedicare a se stessi ed ai propri affetti sono sempre di meno, ma ho la fortuna di avere una compagna fantastica, che ha capito quanto sia importante per me questo mondo, ed è sempre pronta a sostenermi. C’è poi il gruppo storico di amici, tanti studiavano a Napoli come fuori sede, cerchiamo di incastrare i giorni liberi e di vederci.

Le tue aspettative, cosa ti auguri per il futuro? Per un giovane come me la voglia di sapere è quasi ossessiva e spero di poter soddisfare la mia curiosità, mi piacerebbe conoscere il vino nell’anima così come ho fatto in passato con la pizza, ci vorrà del tempo, visto la vastità dell’argomento e la dinamicità di questo settore, ma sono paziente! Mi auguro infine di poter seguire sempre le mie passioni, e di poterle esprimere al meglio.

Bene, grazie Ciro per la bella chiacchierata, ad maiora!